ARTE E NEUROSCIENZE.

ESTETICA, CREATIVITA’, E PAURA DELLA NEUROESTETICA. Alcune risposte di Semir Zeki ad Armando Massarenti - a c. di Federico La Sala

La nascita della neuroestetica, così chiamata da Semir Zeki nel 2001, ha fatto chiarezza nell’ambito di quella che un tempo era considerata filosofia dell’arte e che oggi invece si è sempre più propensi a considerare una scienza della percezione
giovedì 5 maggio 2011.
 


-  C’è chi teme la neuroestetica

-  Dieci anni fa nasceva una strana disciplina, oggi assi in voga.
-  Una vera rivoluzione, secondo Semir Zeki che ne è l’inventore

-  di Armando Massarenti (Il Sole-24 Ore, 01 maggio 2011)

L’estetica, sin dal tempo dalla sua fondazione da parte di Alexander G. Baumgarten, nel lontano 1735, si porta dietro uno statuto disciplinare piuttosto ambiguo. La nascita della neuroestetica, così chiamata da Semir Zeki nel 2001, ha fatto chiarezza nell’ambito di quella che un tempo era considerata filosofia dell’arte e che oggi invece si è sempre più propensi a considerare una scienza della percezione. Ho potuto porre questa domanda impegnativa proprio al fondatore dell’Istituto Internazionale di Neuroestetica, il neurofisiologo Zeki, padre della scoperta di comportamenti del cervello visivo quali la costanza cromatica e autore di testi fondamentali quali La prospettiva dall’interno e Splendori e miserie del cervello (recensito sul Domenicale il 26 febbraio scorso).

Perché è stato necessario creare una disciplina totalmente dedicata all’estetica? Ovvero, quale sarebbe la specificità della neuroestetica rispetto alle altre neuroscienze? È davvero possibile, attraverso lo studio del cervello, comprendere più a fondo un comportamento umano complesso, da sempre considerato "spirituale", come l’arte?

«La ragione per cui è stato fondato un Istituto di Neuroestetica - precisa Zeki - non è stata quella di avere una disciplina neuroscientifica dedicata esclusivamente all’arte. La ragione è stata, piuttosto, quella di incoraggiare i ricercatori che volevano utilizzare l’arte per comprendere meglio come funziona il cervello e di offrire loro un luogo adeguato per potere svolgere questo lavoro. L’idea che la scienza possa avventurarsi in aree che sono state a lungo considerate appartenenti alle scienze umanistiche è stata considerata a dir poco strana ai tempi. Sebbene la maggior parte degli scienziati abbia accettato questo fatto quale inevitabile conseguenza dello sviluppo degli studi sul cervello, alcuni studiosi appartenenti al mondo umanistico erano scettici, alcuni ostili e altri ancora semplicemente si rifiutavano di saperne di più; preferivano vivere nel mistero di ciò che sta alla base dell’ispirazione artistica, o della creatività, o ancora del ruolo del cervello nell’esperienza della bellezza. Tuttavia, ci tengo a precisarlo, non tutti gli umanisti reagiscono in questo modo. La maggior parte degli artisti, per esempio, si sono dimostrati molto accoglienti e hanno voluto saperne di più sul ruolo del cervello nella creatività artistica e nell’esperienza estetica. Oggi l’Istituto di Neuroestetica mira a un altro obiettivo ancora, che è quello di organizzare un forum in cui le idee relative alle neuroscienze e alle scienze umane possano essere discusse da tutti coloro che hanno fatto loro questo campo».

La maggiore sfida lanciata al mondo umanistico, che pare essere una delle motivazioni più forti di Zeki, parte proprio dalla convinzione che, anche attraverso l’arte, e in certi casi soprattutto attraverso l’arte, il cervello sia in grado di acquisire conoscenza. Chiedo a Zeki di che genere di conoscenza si tratta e a cosa servirebbe una conoscenza proveniente dall’arte.

«Wittgenstein ha affermato che spesso le persone rispettano la scienza considerandola un mezzo di acquisizione di conoscenza e rispettano l’arte quale mezzo che procura piacere, senza però ammettere che anche l’arte produce conoscenza. Credo che l’arte fornisca un tipo differente di conoscenza: spesso si tratta di conoscenza di tipo emotivo, che non è facilmente accessibile da parte del cervello "cognitivo", ma che non può non essere considerata conoscenza a tutti gli effetti. Si prenda a esempio la Pietà di Michelangelo nella basilica di San Pietro a Roma. I libri che sono stati dedicati a quest’opera non trasmettono la stessa conoscenza, relativamente al pathos alla delicatezza e alla bellezza, che il cervello visivo ed emotivo è in grado di produrre nel giro di pochi secondi. Perciò, esiste un intero sistema cognitivo, che noi possiamo definire conoscenza emotiva, che l’arte veicola e che è difficile da acquisire altrimenti. Tuttavia esistono altri generi di conoscenza che possono essere trasmessi attraverso l’arte: per esempio, un ritratto può diventare rappresentativo di una persona con un determinato carattere, ovvero il ritratto produce conoscenza circa le caratteristiche che vanno a costituire un carattere. La persona ritratta, in sé e per sé, diventa ininfluente: ciò che importa è invece il carattere che è ritratto. Aveva ragione Michelangelo quando una volta, poiché gli fu detto che le sue sculture non somigliavano affatto ai Medici, replicò: nel giro di mille anni, chi mai ricorderà l’aspetto dei Medici?»

Dalle parole di Zeki pare che il riduzionismo sia diventato uno strumento necessario per porre domande migliori sui perché dell’arte. Ma come spiega la sua convinzione che conoscere meglio cosa accade nel cervello quando si crea o si fruisce un’opera d’arte non significa cessare di amarne la bellezza?

«Trovo davvero strano che la gente non voglia saperne di più sui meccanismi fisiologici che sottostanno all’impulso atavico dell’amore, all’esperienza della bellezza. Anche un secolo fa devono esserci stati quelli che non volevano imparare nulla sul mistero della vita. Eppure la scoperta di tutta l’informazione necessaria a definire un organismo - anche quello dell’essere umano - con tutta la sua complessità, non ha affatto diminuito il nostro stupore per la vita. Il mistero, come ha affermato una volta Francis Crick, è stato sostituito dalla soggezione. La maggior parte di noi oggi è affascinata dalle scoperte astronomiche che cercano di scandagliare le origini e i limiti dell’universo; molti di noi ammirano Newton per aver individuato la legge di gravità che sta alla base del movimento dei corpi celesti. Forse questo ha diminuito il nostro entusiasmo e la nostra curiosità sull’Universo? Assolutamente no. E perché mai, allora, le conoscenze relative alla creatività, ai neurotrasmettitori dell’area della ricompensa, alla fisiologia dell’area della delusione dovrebbe diminuire la nostra ammirazione per le opere di Richard Wagner o Thomas Mann o Michelangelo? Io questo non lo capisco. Di una cosa sono certo: che coloro che non vogliono sapere, che rifiutano di sapere, semplicemente mancano di curiosità intellettuale. In un aneddoto su Galileo Galilei, questi, esasperato da coloro che non volevano credere nella sua visione copernicana ed eliocentrica dell’universo, li invitò a guardare attraverso il suo telescopio. Una versione è che essi, o almeno Giulio Libri, il professore aristotelico di filosofia a Pisa, si rifiutarono di guardare. Un’altra versione riporta che Libri guardò, ma non riuscì a vedere ciò che Galileo aveva visto. Quale che sia la corretta versione, la storia è una allegoria perfetta di coloro che, oggi, non vogliono sapere, che danno più valore al mistero che alla conoscenza. Il verdetto emesso dalla posterità sulla storia di Galileo e dei suoi detrattori è oggi chiaro. Un simile verdetto aspetta coloro che si rifiutano di imparare di più».

il personaggio

Semir Zeki insegna neurofisiologia presso l’University College di Londra ed è stato uno dei primi neuroscienziati a scommettere sull’arte quale strumento utile nello studio del cervello. A questo scopo egli ha fondato, nel 2001, l’Istituto di Neuroestetica all’Università di Berkeley, California.

I suoi studi sul cervello visivo - in particolare sul fenomeno della costanza cromatica - sintetizzati in volumi come La visione dall’interno (Bollati Boringhieri) e Splendori e miserie del cervello (Codice edizioni), hanno rivoluzionato il modo di intendere la conoscenza sensibile.

Convinto che gli artisti siano neuroscienziati che lavorano con strumenti che solo loro hanno a disposizione, egli ama collaborarvi: col pittore Balthus ha scritto il saggio La quête de l’essentiel (French edition). In questi giorni in libreria il suo testo più recente, scritto con Ludovica Lumer: La bella e la bestia. Arte e neuroscienze (Laterza, pagg. 144, €12).


Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:

Zeki, Semir, La visione dall’interno, arte e cervello. Recensione di Rodolfo Ciuffa - 24/11/2007

LE DUE LEGGI DELLO SGUARDO (...) una lezione di Semir Zeki, neurobiologo dell’University College di Londra, sul «cervello visivo» - di Franco Voltaggio

CREATIVITA’: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETA’ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. Da Emilio Garroni, una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico.

PENSIERO LIQUIDO E CROLLO DELLA MENTE. Sulle nuove frontiere della riflessione estetica, un originale saggio di Gaetano Mirabella, scrittore e collaboratore del "McLuhan Program in culture and technology" di Toronto


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