Canzoniere d’amore per l’Italia...

AL DI LA’ DEL BERLUSCONISMO. Rimuovere le macerie e uscire dal buio. Roberto Roversi conversa con Pietro Spataro:«Contro le miserie d’Italia servono idee e volontà per una grande rigenerazione» - a c. di Federico La Sala

ROBERTO ROVERSI - «Sono profondamente deluso. Ma i miei trenta testi non sono un’invettiva ma una specie di canzoniere d’amore per l’Italia. Penso che dobbiamo fare tutto affinché il Paese si risvegli».
domenica 16 settembre 2012.
 

[...] Finita la guerra dalla finestra vedevo solo macerie e morti. Poi le macerie sono state rimosse, i palazzi ricostruiti, nelle strade è tornata la vita. Oggi come allora, ci vuole la volontà di rimuovere le macerie e uscire dal buio. Per questo dico che solo una politica rinnovata può attirare i giovani che oggi non hanno né riferimenti né figure importanti davanti. Quando siamo tornati dalla guerra noi giovani avevamo invece i nostri punti di riferimento, le nostre idee, i nostri libri. E questo ci ha rivitalizzato. Bisogna fare la stessa cosa: rimettere in moto la voglia di vivere e riconquistarsi il futuro. La nostra generazione ha le responsabilità di questi guasti. Ora dobbiamo consegnare ai più giovani il bastone della storia [...]


Conversando con Roberto Roversi

«Contro le miserie d’Italia servono idee e volontà per una grande rigenerazione»

di Pietro Spataro (l’Unità, 29.05.2011)

«Sono profondamente deluso. Ma i miei trenta testi non sono un’invettiva ma una specie di canzoniere d’amore per l’Italia. Penso che dobbiamo fare tutto affinché il Paese si risvegli». Roberto Roversi, poeta e scrittore, ha ancora l’ostinazione del vecchio partigiano. Una piccola casa editrice, «Sigismundus», sta per mandare in libreria un suo libro di poesie che non a caso si intitola Trenta miserie d’Italia e che è un viaggio nel declino e un inno alla speranza.

Lei scrive che «l’Italia è al fioco bagliore di disperse candele». Un paese disunito?

Vedo un’Italia tenuta insieme ancora dallo sputo di Garibaldi, ma basta poco perché si scolli tutto e si finisca a scatafascio. Da allora ne abbiamo passate tante, dalle guerre mondiali al fascismo, e oggi non vedo riferimenti concreti, né di uomini né di idee. E’ un periodo disastrato. E questo obbliga noi vecchi al senso di responsabilità e più giovani a tenere duro.

Dopo il ventennio berlusconiano che cosa resta di questo Paese?

Guardi, io credo che sul ventennio berlusconiamo carichiamo tutte le responsabilità della situazione che invece sono anche nostre. Abbiamo perso occasioni per rinnovarci, siamo rimasti appollaiati sulla spalla di Berlusconi come piccioni viaggiatori. Il problema non è solo dell’«infame» cavaliere che il destino ci ha mandato. Lui è riuscito ad andare avanti perché non ha avuto la giusta contrapposizione. Abbiamo visto troppa piattezza di proposte, troppo parlare...

È anche un problema di messaggio?

Certo, la lingua dei politici ma anche dei giornalisti è generica, deprimente. Non dà alcuno stimolo. Ricordo ancora i comizi del dopoguerra, quando Di Vittorio veniva a Bologna, lui con quelle manone, e parlava. E dopo qualche minuto vedevi i militanti piangere. Ora, io non dico che la politica deve far piangere, ma commuovere sì, toccare il sentimento.

Un suo verso dice: «Hanno memorie leggere i mandarini di casa nostra». Può vivere una Patria senza la memoria della propria storia?

Assolutamente no. Il problema è che l’Italia non conosce se stessa. Diciamo che non è mai riuscita a invitare se stessa a una cena a lume di candela. Non è riuscita a fare i conti con il fascismo, mentre la Germania li ha fatti con il nazismo. Ci siamo passati sopra a piedi nudi e infatti ci ritroviamo i problemi di allora. Questo Paese non cura se stesso e poi pretende di essere grande. Allora, dobbiamo rovesciare tutto perché il mondo cambia e noi rimaniamo fermi. Guardiamoci indietro: c’è stata la Resistenza che dopo il fascismo ha risollevato tutto. Ricordo sempre la frase che mi disse un montanaro: questa è cosa che non finisce qui. Voleva dire che era l’inizio del cambiamento e del futuro. Oggi tutto è rimasto dimezzato. Ci ritroviamo con un pugno di polvere in mano. Ma la polvere, se soffiata bene, può finisce negli occhi degli avversari. Per questo dico che la speranza non muore.

La storia d’Italia è stata anche storia di stragi impunite o inspiegate. Lei li chiama «buchi neri»...

Sì, abbiamo avuto tante disgrazie. Ma noi dobbiamo insistere insistere insistere. Aprire gli occhi sulla storia che è stata anche bella e commovente. In America chissà quanti film ci avrebbero fatto. La patria è terra dei padri, della famiglia: dobbiamo riconquistare questa idea e trasmetterla ai più giovani. Non bastano le trombe e le fanfare delle celebrazioni.

Lei parla di Palazzo ed è un richiamo a Pasolini. Scrive: simulacri di uomini tomba che ridono liberi a Roma. Chi sono?

Sono i politici di oggi, quelli che definirei mezze calzette. Uomini improvvisati che appaiono in tv a parlare con le stesse parole e con le stesse scarpe lucide comprate negli stessi negozi. Li vedo incongrui. Piatti.

Il simbolo di una separazione tra il cittadino e la classe politica?

Vedo una classe politica non partecipante. Parla parla e copre gli spazi senza dire nulla. Berlusconi in questo è maestro, riempie tutti gli spazi e copre tutto. Quando arrivò la tv in Italia regalammo un televisore alla nonna. Qualche mese dopo andai a trovarla e mi accorsi che sapeva tutto di boxe, lei che non se ne era mai interessata. Capii perché: il pomeriggio in tv davano questi grandi incontri di pugilato. Ecco, Berlusconi ha capito questo meglio di altri.

Perché dice che l’«indifferenza è suprema signora del regno»?

Perchè il nostro male. Non sappiamo guardarci allo specchio, vedere le nostre contraddizioni e i nostri desideri. Siamo ormai un paese degradato. Dobbiamo cercare strade nuove, portare con noi i giovani che vedono deluse le loro aspettative perché le segreterie di partito pensano ad altro. Ho scritto sulle «trenta miserie d’Italia» perché amo questo Paese.

Le occasioni, però, sono urgenti e i tempi stretti, ormai siamo al limite. Sembra quasi che lei dica che siamo spacciati...

Assolutamente no. Vedo semmai un paese bloccato a un bivio, che non sa dove andare perché qualcuno ha tolto i cartelli stradali. Servono idee e volontà. Vengano fuori perchè l’Italia ha bisogno di una grande rigenerazione. Proprio per questo mi accanisco di più con la mia parte. Deve saper aprire una alternativa concreta verso il futuro.

Non crede che dai ballottaggi possa aprirsi uno spiraglio di cambiamento?

La speranza è spinta a vivere. Fossi un cittadino di quelle città andrei a votare senza dubbi. Ma dico la verità: il dopo non so aspettarmelo ancora. Però mantengo la mia fiducia anche in momenti difficili: c’è un popolo che aspetta novità. La speranza ci vuole altrimenti sei costretto a scappare come una lepre. Quando questi momenti difficili saranno passati resteranno però le macerie.

Lei dice «qualcuno raccoglierà tra i sassi le nuove canzoni». Chi sarà?

Vede, io abito a Bologna tra via Marconi e via Bassi. Finita la guerra dalla finestra vedevo solo macerie e morti. Poi le macerie sono state rimosse, i palazzi ricostruiti, nelle strade è tornata la vita. Oggi come allora, ci vuole la volontà di rimuovere le macerie e uscire dal buio. Per questo dico che solo una politica rinnovata può attirare i giovani che oggi non hanno né riferimenti né figure importanti davanti. Quando siamo tornati dalla guerra noi giovani avevamo invece i nostri punti di riferimento, le nostre idee, i nostri libri. E questo ci ha rivitalizzato. Bisogna fare la stessa cosa: rimettere in moto la voglia di vivere e riconquistarsi il futuro. La nostra generazione ha le responsabilità di questi guasti. Ora dobbiamo consegnare ai più giovani il bastone della storia. Per noi non c’è più tempo, purtroppo


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Federico La Sala


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