C. F. SAMUEL HAHNEMANN: “AUDE SAPERE”. LA RIVOLUZIONE COPERNICANA IN MEDICINA. Alcune indicazioni per una rilettura dell’Organon
di Federico La Sala *
Quando, nel 1810, Christian F. Samuel Hahnemann pubblica l’Organon della medicina razionale (tit. orig.: Organon der Rationellen Heilkunde), aveva fatto un lungo cammino sulla strada maestra della storia dell’umanità e di ogni avanzamento nel campo del sapere, era uscito dallo “stato di minorità”(1), ed era gìà pervenuto consapevolmente e coraggiosamente alla sua decisione più grande: non ingannare il prossimo come se stessi.(2). Da sano, aveva osato fare la sua discesa all’inferno ed era riuscito a strappare al veleno il suo pungiglione e alla malattia il suo segreto.
Nel 1796, nel “Saggio su un nuovo principio di individuazione dei poteri curativi dei farmaci”, mostra di aver finalmente capito che il metodo corretto di sperimentazione è la loro verifica sui soggetti sani e che “dovremmo imitare la natura che talvolta cura una malattia cronica con un’altra suplementare e usare nella cura delle malattie (di quelle croniche in particolare) quel rimedio che è in grado di provocare un’altra malattia, artificialmente prodotta, ma molto simile, e la prima sarà guarita: Similia similibus” (3).
In un articolo del 1797, dal titolo “Esistono ostacoli insormontabili a una pratica medica sicura e semplice?”, pubblicato sul giornale medico Journal der pratcticschen Arzneykunde un Wundarzneykunst, fondato da Christian Wilhelm Hufeland (medico e filosofo, autore di L’arte di prolungare la vita umana, Jena, 1797: opera letta e commentata anche da Kant sul Journal nei primi mesi del 1798, con il breve saggio “Del potere dell’animo di dominare col solo proposito le proprie sensazioni morbose”) ( 4) - aveva scritto con chiarezza e determinazione: “Perché lamentarsi della complessità e della scarsa chiarezza della nostra scienza quando siamo noi stessi a produrle? In passato ero anch’io contagiato da questo morbo: le diverse scuole mediche mi avevano corrotto. Il virus si aggrappò a me, prima che con grande fatica riuscissi ad espellerlo, più tenacemente di quello di ogni altra malattia mentale. Pratichiamo seriamente la nostra arte?” ( 5).
Nella “Lettera a un insigne medico sulla riforma della medicina”, cioè al suo vechio e fedele amico Hufeland (che Hahnemann chiama il Nestore della medicina), pubblicata sul Journal il 14 luglio 1808, nel ricapitolare la sua personale esperienza di medico, i motivi che l’hanno condotto a interrompere la pratica medica, gli sforzi compiuti per scoprire un metodo più sicuro ed affidabile di quelli conosciuti ai suoi tempi, così ricorda e scrive: “Era angosciante per me procedere sempre al buio, senz’altra luce se non quella che si poteva ricavare dai libri, quando dovevo guarire i malati [...] Non potevo curare coscienziosamente le nuove e ignote affezioni morbose dei miei fratelli malati con quei farmaci sconosciuti [...] Diventare in tal modo l’assassino o il torturatore dei miei fratelli era per me un’idea tanto terribile e opprimente che, subito dopo il mio matrimonio, rinunciai all’esercizio della professione medica e mi impegnai esclusivamente nella chimica e nelle attività letterarie. [...] Le mie preoccupazioni raddoppiarono quando mi accorsi di non poter offrire loro nessun sollievo" (6). E con onestà, infine, svela e chiarisce anche il ‘segreto’ del suo percorso e del suo lavoro (non solo passato, ma anche presente e futuro): “Che rimanga ai posteri solo l’immagine del mio io profondo, che facilmente può essere compreso dai miei scritti. La mia vanità non va oltre questo” (7)
Con l’avvio della circolazione dell’Organon, infatti, violente furono le ostilità contro di lui: “Egli aveva levato la mano contro antiche tradizioni, aveva dimostrato alla mente di molti che la comune pratica medica si basava solo su incertezza ed emprismo al massimo grado, aveva smascherato le falsità e le incoerenze della classe medica, gli errori e l’ignoranza di molti farmacisti. Contro il dubbio e la confusione aveva dimostrato con esauriente chiarezza che il sistema da lui chiamato legge dei simili o metodo positivo di guarigione, si basava su una legge fissa e immodificabile e che davvero i rimedi omeopatici avrebbero curato più facilemte e rapidamente di ogni altro farmaco fino ad allora scoperto”; “Hahnemann fu attaccato sulle riviste mediche del tempo e molti libri ed opuscoli furono scagliati contro di lui e le sue strane dottrine. Fu chiamato ciarlatano, imbroglione e ignorante. Le sue dosi infinitesimali furono dichiarate inverosimili e le sperimentazioni sui medicamenti semplicemente ridicole” ( 8).
Senza alcun scoraggiamento, con determinazione e lucidità, Hahnemann continua a portare avanti il progetto della sua vita: la nascita di una medicina, degna del suo nome. Circa dieci anni dopo, nel 1819, dà alle stampe un Organon quasi del tutto nuovo, ricalibrato e profondamente rinnovato nello spirito. Non è più l’Organon della medicina razionale, ma l’Organon dell’arte del guarire (titolo originale: Organon der Heilkunst). Non è una svolta vera e propria, ma è un piccolo segno di un grande mutamento e di una più generale e più consapevole messa a punto del lavoro precedente. E’ cambiato il titolo, è cambiata l’epigrafe del frontespizio, e i paragrafi originari dell’opera da 271 sono diventati 318 - ne sono stati aggiunti ben altri 47. Su quanto importante sia stato questo salto di riorganizzazione dell’opera, inoltre, si tenga anche presente che nella terza edizione i paragrafi sono 320, nella quarta sono 292, nella quinta 294, e nella sesta 291.
La grandezza di Hahnemann sta proprio in questo, nell’essere rimasto sempre fedele a stesso e non aver mai abbandonato la strada intrapresa e di sapersi orientare, pur tra le tempeste che dovette affrontare, con la bussola del suo “io profondo”. Nella prefazione Hahnemann scrive: “Quest’opera espone le conclusioni delle mie ricerche. Il futuro ci dirà se i medici che intendono agire onestamente secondo la loro coscienza e nell’interesse dei loro fratelli, continueranno ad essere ancora legati a un intreccio pernicioso di congetture e idee arbitrarie o se essi saranno capaci di aprire gli occhi davanti alla benefica verità”; “E’ opportuno avvertire il lettore che l’indolenza, l’amore per la comodità e l’ostinazione impediscono di porsi al sacro servizio della verità e che solo l’assenza di pregiudizi e un intrepido entusiasmo ci rendono adatti alla più sacra di tutte le occupazioni dell’uomo: l’esercizio della vera Arte del guarire” (9)
Nel 1819, evidentemente, una più profonda consapevolezza teorica (metodologica ed epistemologica) è intervenuta a rendere urgenti questi interventi e a chiarire definitivamente il quadro filosofico e culturale entro cui collocare il suo lavoro. Il nuovo Organon esprime la coscienza di una rottura radicale con le illusioni metafisiche della “medicina razionale” (der Rationellen Heilkunde), e si precisa definitivamente come Organon “dell’arte del guarire” (der Heilkunst). E su cosa questo significhi e sul come procedere in questa direzione, è chiaramente indicato nella nuova epigrafe: “Aude Sapere” (10).
Come epigrafe, nella edizione dell’Organon del 1810, Hahnemann aveva posto questi versi (di forte sapore lessinghiano) del poeta tedesco Christian F. Gellert (1715-1769: anch’egli aveva frequentato la Scuola di Sant’Afra a Meissen): “La Verità, di cui tutti abbiamo bisogno, / lei che fa la nostra felicità umana, / dalla mano saggia che ci ha riservata / è stata solo leggermente velata / e non profondamente celata”. Nella seconda edizione del 1819, a epigrafe, ci sono solo queste due parole: “Aude Sapere”. Sono le parole famose di Orazio (Epistole, I, 2, v. 40: "Chi bene incomincia è già a metà dell’opera; risolviti a diventare saggio: incomincia [dimidium facti, qui coepit, habet: sàpere aude, incipe]" ), invertite di posizione. Perché?
Per un Hahnemann, che conosce molte lingue, ha studiato filologia per molti anni, ed è un grande esperto di traduzioni, l’uso di “aude sapere” in sostituzione dell’originale “sapere aude”, evidentemente e decisamente, non è (e non è stato) un lapsus (altrimenti nelle edizioni successive l’avrebbe ristabilito nella forma originale) né un furbesco atto di appropriazione di un motto famosissimo nella cultura europea della rivoluzione scientifica e nel secolo dei Lumi! Per chi ha frequentato a Meissen la Principesca Scuola di Grammatica di Sant’Afra, dove all’entrata spiccava un targa di marmo con su le parole “sapere aude”, e in cui pochi anni prima aveva studiato anche Lessing, e, ancora, per chi è amico di Hufeland, amico a sua volta di Kant, evidentemente è un indicatore fortissimo (epistemologico) per la comprensione della sua proposta e della sua metodologia di lavoro, fondata e da fondarsi non più su un vecchio e superficiale “io” ma sull’”io profondo”, e sulla sua intelligenza per ben esaminare e giudicare quanto si ha il coraggio (aude) di as-saggiare (sàpere, lat.: sàpio).
“Aude Sapere”. Nell’inversione dell’ordine delle parole di Orazio (“sapere aude”), già assunte a motto della Scuola Principesca di Grammatica di Sant’Afra a Meissen (la città natale di Heinemann) e poi dell’illuminismo da Kant, è da leggersi, innanzitutto, la cifra personale e specifica della vita di Hahnemann e la chiave di accesso al suo lavoro e al suo progetto. Nella sua apparente semplicità, il primo paragrafo del vecchio e nuovo Organon sembra parlare a tutti, ma rivela il suo senso solo a chi ha “il coraggio di as-saggiarlo”: “Scopo principale ed unico del medico è di rendere sani i malati ossia, come si dice, di guarirli (11). Detto diversamente ed espressamente: il programma di Hahnemann si colloca con tutta consapevolezza, all’interno dell’orizzonte illuministico, dentro il programma critico di Kant e, al contempo, sulla propria strada - uscire da interi millenni di labirinto, segnati da minorità e da malattia.
“Aude Sapere”. Senza la comprensione di questa cifra specifica, un’indicazione all’apparenza sorprendente e straniante, si corre il rischio (come è successo e succede ancora) di guardare il dito e non la luna e di collocare Hahnemann (1755-1843) culturalmente e filosoficamente prima di Kant e della sua rivoluzione copernicana, all’interno della tradizione della “metafisica razionale”, “della medicina razionale”, come fanno Harris L. Coulter e Alfonso Masi-Elizalde, che - in una specie di alleanza atea e devota, rinchiudono l’uno nella Introduzione e l’altro nella Postfazione dell’edizione italiana dello storico e pregevole lavoro di Thomas Lindsey Brandford - riconducono Hahnemann alla “ragione” pragmatista di un empirismo reinterpretato (12) e, al contempo, alla “fede” cattolica della teologia tomista (13)! E non saper più distinguere chi è il saggio e chi l’imbecille!
Il Secolo dei Lumi, al contrario, non è passato invano, e ha gettato luce anche sul passato. Nell’“Aude sapere” riaffiora un’inaudita radicalità che lega insieme l’esperienza e la saggezza dell’intera umanità e, in particolare, della tradizione critica dell’Occidente: si va alle spalle e alla radice del “prendi e leggi” agostiniano e si restituisce a ogni persona, oltre che al medico e al malato, la sua libertà e la sua piena autonomia di giudizio. Prendi e mangia (con virgolette e senza): “Abbi il coraggio di as-saggiare”, tu - in prima persona! Tu puoi (non - potrai o avresti potuto) liberarti dalla schiavitù e dalla malattia! Che il significato e la portata dell’ anomala versione del motto spinga in questa direzione - con tutte le sue ovvie implicazioni relative alle capacità di osservazione, di analisi e discernimento, e di giudizio di ogni soggetto e, in questo caso specifico, del medico prima e del paziente dopo - non è né vuole essere una forzatura (o, peggio, una provocazione): basta rileggersi un “frammento” brillantissimo, scritto da Hahnehman nel 1825, sul tema “L’osservatore medico”(14) e riflettere sulla determinante centralità del “proving” e sul suo strutturale legame con l’“io profondo” del medico. Hahnemann mostra di essere assolutamente lucido e consapevole, con nessuna ombra di dubbio: senza il coraggio dell’as-saggiare, da parte di un soggetto capace di intendere e volere e di analizzare e valutare alla luce del proprio “io profondo”, non si va da nessuna parte e non si può far altro che ripetere solo e sempre dogmaticamente e autoritariamente il ritornello della “medicina razionale” e di tutte le altre scienze dell’albero della “metafisica razionale”.
Nel § 54 dell’ultima edizione dell’Organon Hahnemann così scrive: “Il modo di cura allopatico che usava contro le malattie un po’ di tutto, ma sempre cose inadatte (alloia), era a ricordo d’uomo il metodo dominante, sotto le forme più svariate, denominate sistemi. Questi si susseguivano di quando in quando anche molto diversi tra loro e si onoravano del nome di “terapia razionale” [dem Namen: rationelle HeiIkunde”]. Ogni inventore di sistema aveva la presunzione di saper penetrare nell’intimità della vita sia nell’uomo sano che malato e di conoscerla chiaramente e di conseguenza faceva le prescrizioni per togliere la materia dannosa dall’organismo malato al fine di ridargli la salute. Tutto questo per vuote supposizioni e premesse indeterminate, senza interrogare rettamente la natura e senza dare ascolto, senza preconcetti, all’esperienza. Si ammetteva che le malattie fossero degli stati che comparissero sempre in modo abbastanza simile. La maggior parte dei sistemi stabilì quindi per i suoi quadri patologici dei nomi e ne fece delle classificazioni, ogni sistema in modo diverso. Al medicamento per semplice supposizione si attribuirono azioni (vedi le numerose materie mediche), che avrebbero dovuto togliere ossia guarire questi stati anormali”.
E a prendere definitivamente le distanze, appunto, dalla “medicina razionale” [rationelle HeiIkunde], in nota, Hahnemann ancora - e così - precisa: “Come se una scienza, che ha le sue fondamenta soltanto sulle osservazioni della natura e unicamente su ricerche pure e sull’esperienza, potesse essere fondata su oziose sofisticherie e su ciance scolastiche!” (15).
Su questa base, è più che chiaro come il cammino di Hahnemann incroci (per vie ancora non conosciute, tutte ancora da esplorare) l’orizzonte critico kantiano e questo, in qualche modo, lo aiuta a perfezionare la propria rivoluzione copernicana in medicina. A ben vedere, egli ha condiviso con Kant - al di là dell’empirismo e del razionalismo come di ogni scetticismo, la persuasione fortissima che, sì, tutto proviene dall’esperienza, ma che non tutto si risolve nell’esperienza; e, sempre con Kant, che è solo l’Io profondo (non l’io in senso psicologico!), con l’uso pieno e libero della sua facoltà di giudizio, a rendere possibile l’oltrepassamento del fondamentalismo di ogni cieco pragmatismo e di tutte le metafisiche razionali (idealistiche e spiritualistiche o materialistiche) e andare avanti sulla strada della “virtù e conoscenza” (Dante), senza naufragare (né personalmente né - possibilmente - collettivamente) nel grande oceano della complessità! Con Kant, anche Hahnemann ha lavorato al progetto “per la pace perpetua”. (Federico La Sala, 14.07.2011)
*
NOTE (senza gli allegati):
1. Immanuel Kant, Risposta alla domanda: Che cosa è l’illuminismo, 1784
2. Hahnemann, come si sa, dopo anni di tribolato esercizio arriverà quasi ad abbandonare la professione di medico per mancanza di strumenti adeguati, appenderà fuori la porta di casa il cartello “Andatevene, giacché io non vi so curare”, scritto di suo pugno (cfr. Riccardo de Torrebruna - Luigi Turinese, Hahnemann. Vita del padre dell’omoepatia, Edizioni e/o, Roma 2007, pp. 56-57).
3. Cfr:Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita e lettere di Samuel Hahnemann, Perla Edizioni, Grosseto-Roma, 1994, p. 85.
4. Il saggio di Kant costituirà poi la terza parte de Il conflitto delle facoltà del 1798 (cfr. I. Kant, Il conflitto delle facoltà, Morcelliana, Brescia 1994). Sul rapporto di Kant con Hufeland, si cfr. anche I. Kant, Lettera a Christoph Wilhelm Hufeland, in I. Kant, Epistolario filosofico. 1761-1800, il melangolo, Genova 1990.
5. Cfr.Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita...cit., , p. 86.
6. Cfr. Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita e ...cit., p. 58.
7. Cfr. Sergio Segantini - Maria A. Marchitiello, La medicina dell’esperienza ed altri scritti minori di Samuel Hahnemann, Editorium, Milano, 1993, p. 32.
8. Cfr. Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita e ...cit., pp. 107-108.
9. Cfr. Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita e ...cit., p. 106.
10. Cfr. C. F. Samuel Hahnemann, Organon dell’arte del guarire, Edizioni di Red./Studio redazionale, Como 1985. p. 8.
11. Cfr. C. F. Samuel Hahnemann, Organon dell’arte del guarire... cit., p. 15.
12. Cfr. Harris L. Coulter, Introduzione, in: Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia. Vita e lettere di Samuel Hahnemann, Perla Edizioni, Grosseto-Roma, 1994, pp. 13-30. Egli, pur facendo un accurato lavoro di analisi dell’importanza del “proving” nella lezione di Hahnemann e, pur avendo alle spalle un lavoro sullo sviluppo storico dell’Empirismo e del Razionalismo colloca, con lo stesso “proving”, Hahnemann e il suo “Aude Sapere” sotto l’etichetta di una “reinterpretazione dell’Empirismo”, arrivando così a mettere totalmente in parentesi e fuori contesto storico e teoretico il lavoro di Hehnemann, e a rendere invisibile ogni connessione con l’illuminismo e con la lezione critica di Immanuel Kant. Per la sua analisi relativa al “proving” e alla “reinterpretazione dell’Empirismo”, si cfr. (qui di seguito) allegato A.
13. Alfonso Masi-Elizalde, nella Postfazione, così avvia il suo discorso (altrettanto come Harris L. Coulter, mettendo in parentesi tutto l’orizzonte biografico e culturale di Hahnemann, e i suoi legami con l’illuminismo tedesco, con l’attenzione alla riflessione di Lessing e Reimarus in particolare - documentati anche nelle lettere!): “La lettura de La vita e le lettere di Samuel Hahnemann, che oggi si offre ai lettori di lingua italiana, mi ha fornito nuovi e decisivi argomenti per difendere la mia tesi secondo la quale l’omeopatia non è altro che la visione tomistica della medicina [...]”. E così conclude: “Quindi in base a tutti gli elementi di giudizio che ho appena analizzato [...] Per tutte queste considerazioni, per le sue [di Hahnemann] note a piè di pagina (con cui, senza dubbio, provava a riparare all’ermetismo delle sue affermazioni nel testo delle sue opere, frutto della velocità e sintesi delle sue associazioni mentali) e per il suo [“stato di psora latente”] aggravarsi in primavera io, sfacciatamente, avrei osato prescrivergli [a Hahnemann] per le sofferenze dei suoi ultimi giorni, Lachesis, a un’alta dinamizzazione. Alfonso Masi-Elizalde - Buenos Aires, settembre 1993” (cfr.: Thomas Lindsley Bradford, La nascita dell’omeopatia...cit., pp. 407-412
14. C. F. Samuel Hahnemann, L’osservatore medico (frammento), in: Sergio Segantini - Maria A. Marchitiello, La medicina dell’esperienza ed altri scritti minori di Samuel Hahnemann, Traduzione di Maria A. Marchitiello, Editorium, Milano, 1993, pp. 223-230. Per il testo, si cfr. (qui di seguito) allegato B
15. Cfr. C. F. Samuel Hahnemann, Organon dell’arte del guarire, Edizioni di Red./Studio redazionale, Como 1985. pp. 45-46.
* APPROFONDIMENTI: PER LEGGERE L’ART. COMPLETO CON GLI ALLEGATI, CLICCARE SU QUI
* Sul tema, nel sito, si cfr.:
FLS
Samuel Hahnemann e la nascita dell’omeopatia
Da diluizione e dinamizzazione fino al simile che cura il simile: ecco come è nata la medicina alternativa più famosa, la cui efficacia, secondo il fondatore, "dovrebbe essere giudicata esclusivamente dalla soddisfazione del paziente"
di Marco Boscolo (*)
APPROFONDIMENTO - Sul finire del XVIII secolo Samuel Hahnemann, un medico di Meißen, piccola città della Sassonia famosa per le ceramiche, si accorge che prendere il chinino da sano gli provoca - anche se attenuati - gli stessi sintomi della malaria, la malattia per cui viene usato come terapia. È questa l’ispirazione per la sua intuizione più famosa, ovvero “il simile cura il simile” (similia similibus curentur), il principio che ancora oggi si trova alla base dell’omeopatia. La stessa parola omeopatia trae origine da questo principio; è infatti l’unione di due parole greche: ὅμοιος, òmoios (simile) e πάθος, pàthos (sofferenza).
Hahnemann sosteneva che, se un paziente soffriva di una malattia, gli doveva essere somministrato lo stesso medicinale che dato a una persona in salute avrebbe provocato sintomi simili, ma in una forma più leggera. Se si soffriva di forte nausea, la cura doveva essere una medicina in grado di provocare la nausea. Un’idea non così balzana all’epoca, anzi perfettamente sensata; quando alla fine del Settecento Edward Jenner usa il vaiolo bovino come vaccino per gli esseri umani, Hahnemann lo indica come dimostrazione delle proprie idee.
Salassi e lassativi, ma manca il principio di causa-effetto
Samuel Hahnemann, nato nel 1755, non si inserisce nella tradizione di ciarlatani e millantatori che fin dalla notte dei tempi hanno attirato clienti a latere rispetto alla “medicina ufficiale”. È un medico e, per circa 30 anni, esercita la professione come la maggioranza dei colleghi tedeschi e come molti di loro è insoddisfatto delle terapie impiegate all’epoca. Nel 1790, traducendo il Treatise of materia medica di William Cullen (1710 - 1790), celebre medico e didatta della scuola di Edimburgo, Hahnemann sintetizza così lo stato della terapeutica del suo tempo:
La sua è una frustrazione condivisa da alcuni dei maggiori intellettuali tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Il filosofo Immanuel Kant (1724 - 1804) sottolinea la necessità di una riforma della medicina e il suo adeguamento agli standard di certezza delle scienze fisiche sviluppatesi con l’Illuminismo. Quello di Kant è un invito all’introduzione di principi quantitativi in una pratica medica che, in quel momento, si limita a un ascolto dei sintomi del paziente e una somministrazione per tentativi di rimedi che oggi definiremmo, in molti casi, palliativi. Manca quasi completamente un quadro di riferimento razionale, in cui la terapeutica si possa dire conseguenza logica di un sistema di analisi e pensiero: mancano gli studi che spieghino perché il tale medicinale dovrebbe essere efficace nei confronti della tale malattia. È quello che sostiene qualche anno più tardi G.W.F. Hegel (1770 - 1831), quando scrive:
Il sistema razionale più vicino a soddisfare le esigenze di razionalità di Kant e Hegel è all’epoca quello ideato da John Brown (1735 - 1788), allievo di Cullen. Secondo il suo pensiero, la salute di qualsiasi organismo consisterebbe nel mantenimento di un equilibrio tra la sua eccitabilità e gli stimoli interni ed esterni che la possono alterare (cibo, medicinali, emozioni). Il compito del medico è individuare, in questa sorta di equazione della salute, quali stimoli medicinali possano riportare in equilibrio l’organismo malato. Siamo lontani dall’idea di medicina che si sarebbe sviluppata sul finire dell’Ottocento, alla base di quella moderna: nessun trial per i medicinali, nessun uso della statistica, nessuna (o quasi) sistematizzazione e discussione dei risultati sperimentali. Non deve quindi stupire che il metodo proposto da Samuel Hahnemann abbia immediatamente trovato consensi: fornisce una chiave sintetica e logica in contrasto con la pratica terapeutica che va per la maggiore.
Un problema di diluizione
Dopo anni di sperimentazione di centinaia di rimedi, nel 1810 Samuel Hahnemann pubblica l’Organon der rationellen Heilkunde: contiene tutte le sue scoperte comparse, almeno fino a quel momento, su giornali scientifici. È nel 1814 che, nel suo pensiero, si affaccia un’idea che già allora rende teso il rapporto tra l’omeopatia e la medicina ufficiale. Secondo Hahnemann i medicinali devono essere somministrati in dosi che possano produrre solo sintomi attenuati delle malattie che devono trattare. Per far ciò, le preparazioni omeopatiche sono il risultato di una diluizione estrema, fino a una parte della sostanza originale su 100 milioni. Un rapporto che il poeta e medico americano Oliver Wendell Holmes (1809 - 1894) liquida con la battuta per cui la diluizione di Hanhemann avrebbe “richiesto le acque di diecimila mari adriatici”.
Dal canto suo, Hahnemann sostiene che i rimedi omeopatici mantengono la propria efficacia terapeutica a patto che il processo di diluizione sia accompagnato da un scuotimento violento - la “dinamizzazione” - grazie al quale il preparato finale mantiene il proprio potere sotto forma di una “forza spirituale immateriale”. Nel 1828, egli stesso annuncia non solo che opinioni come quella di Wendell Holmes sono sbagliate, ma che i suoi rimedi gli permettono di curare praticamente tutte le malattie conosciute. Si tratta, come nota lo storico della medicina Irvine Loudon in un articolo del Journal of the Royal Society of Medicine del 2007, di un’affermazione che all’epoca era sensata e difficilmente confutabile. La maggiore parte della malattie per cui l’omeopatia sembra dimostrarsi efficace, e per le quali secondo la ricostruzione di Loudon ancora oggi ci si rivolge più frequentemente all’omeopata, sono asma, depressione, otite, rinite allergica, mal di testa ed emicrania, nevrosi, allergie, dermatiti, artriti e ipertensione, ovvero “malattie [...] transitorie e [che] scompaiono spontaneamente, oppure sono cicliche, e consistono di una serie di attacchi seguiti da remissioni spontanee”.
Scarsi i mezzi della terapeutica di inizio Ottocento
Oggi l’estrema diluizione è la causa principale della derisione dei metodi omeopatici, ma non era così all’epoca di Hahnemann. Il sistema esposto nell’Organon rispondeva alle esigenze di razionalità dei critici della terapeutica tardo settecentesca, come Kant e Hegel, ed era facilmente comprensibile da chi lo avrebbe dovuto utilizzare. La somministrazione di sostanze così diluite sembrava, ai malati, molto più sicura dei rimedi impiegati nella terapeutica del tempo. Come nota un altro storico della medicina, Roy Porter, nel suo The Greatest Benefit to Humakind: A Medical History of Humanity from Antiquity to Present (1997),
Accanto a queste poche medicine, come scrive Michael Emmans Dean, un altro storico della scienza e della medicina,
Non stupisce il favore che incontra la proposta di Hahnemann non solo tra i potenziali clienti, ma anche tra i medici condotti della propria epoca. Dove nasce allora la frattura tra gli omeopati e i medici ortodossi che lo costringono a lasciare Lipsia, dove svolgeva le proprie attività, per cercare rifugio a Parigi dove morirà nel 1843? La domanda apre un dibattito filosofico ampio e stratificato, che comprende la concezione della malattia (e della saluta) lungo due secoli di storia e che qui non andremo a indagare. Un punto però deve essere menzionato e può spiegare almeno in parte l’incommensurabilità che permane ancora oggi tra le due idee di medicina.
Un errore di prospettiva
Nell’idea di Hahnemann, esposta ampiamente nell’Organon, niente è “lasciato alla congiura, affermato senza prova, immaginato, inventato: tutto corrisponde alla risposta della Natura a un attento domandare”. Sembrerebbe il punto di partenza per un’indagine scientifica contemporanea, da Evidenced-Based Medicine. E in parte è proprio così: i risultati esposti nel volume sono il frutto di una rigorosa analisi e di osservazioni sperimentali attente. Leggiamo ancora un passo dell’articolo di Loudon:
Il lavoro di Hahnemann può quindi considerarsi addirittura più accurato di quello dei suoi contemporanei e di molti posteriori. Dove, però, si insinua il seme della discordia è in quali condizioni si possa definire efficace una medicina. Lo stesso Hahnemann fornisce la propria risposta nell’Organon:
Non si fa riferimento a misurazioni di alcun parametro, fattori che avrebbero soddisfatto la richiesta di quantificazione posta da Kant e nella seconda metà dell’Ottocento presa a modello per lo sviluppo della medicina. Ci si limita a registrare le sensazioni riferite da colui che ha ingerito il medicinale, lasciando la porta aperta a quelli che oggi chiameremmo bias. Detto in termini più rigorosi da Loudon:
Via da Lipsia, verso Parigi
La disciplina fondata da Hahnemann si diffonde rapidamente in tutta Europa e raggiunge presto anche gli Stati Uniti. Nel 1832, proprio a Lipsia, apre il primo ospedale omeopatico del mondo, sebbene non sia chiaro se Samuel Hahnemann fosse ancora in città. Secondo l’Enciclopedia Britannica il conflitto con l’accademia locale lo avrebbe costretto a lasciarla nel 1821 per Kothën, a metà strada tra Lipsia e Madgeburgo, dove trova rifugio presso il gran duca locale. Per il Science Musem di Londra, invece, Hahnemann lascia Lipsia nel 1835 per dirigersi direttamente a Parigi.
Di certo le controversie non si sono spente con la sua scomparsa nel 1843, ma anzi si sono acuite con il progressivo allontanamento dell’omeopatia dalla medicina ortodossa. È ironico che proprio le pratiche mediche che Hahnemann non riconoscevano come efficaci siano progressivamente andate scomparendo mentre l’omeopatia, che secondo i detrattori è altrettanto inefficace, è una pratica ancora altamente diffusa. Segno, forse, che le due discipline hanno davvero percorso strade diverse, incrociatesi parzialmente nel corso di questi due secoli.
Un aspetto delle idee di Hahnemann oggi può essere però considerato quasi di attualità. Non si tratta delle tecniche per la produzione dei rimedi omeopatici e nemmeno della loro presunta o reale efficacia. Quando Hahnemann si concentra sulle sensazioni del paziente per stabilire se la cura è stata o meno efficace compie un atto molto più moderno dei colleghi suoi contemporanei, interessandosi ad aspetti della salute del paziente che non sono necessariamente collegati con la patologia che si prova a curare. Si tratta di un rapporto medico-paziente che, in certa misura, oggi definiremmo olistico, e ne è conferma, nelle ricostruzione degli storici della scienza, l’importanza accordata dagli omeopati del XIX secolo a lunghi colloqui con il paziente.
Al contrario, la medicina ortodossa che si sviluppa durante l’Ottocento tende a vedere sempre più il paziente malato come un meccanismo da riparare, relegando in secondo piano ogni altro aspetto della vita del paziente. Si è quindi compiuta la trasformazione auspicata da Kant in favore di una medicina più razionale e matematica. Ma Hahnemann e i suoi metodi forse profetizzavano già allora esigenze che sarebbero emerse quasi due secoli dopo e che hanno portato alla nascita di movimenti come la slow medicine, la medicina narrativa e alle riflessioni sull’importanza psicologica della comunicazione medico-paziente. Tutti elementi che possono contribuire, accanto a tutte le altre pratiche che appartengono alla medicina contemporanea, al raggiungimento e al mantenimento dello stato di salute come auspicato dalla Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”.
(*). OS - OggiScienza, 10 Aprile 2018 (ripresa parziale - senza immagini).