Ratzinger e quelle dimissioni possibili
Monsignor Bettazzi torna a parlarne come di “un’ipotesi concreta”
di Luca de Carolis (il Fatto, 17.04.2012)
Quell’ultimo tratto di strada “potrebbe essere quello fino alle dimissioni”. E comunque, Benedetto XVI potrebbe lasciare “solo dopo aver finito il libro su Gesù”. Monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, descrive come un’ipotesi concreta le dimissioni di Joseph Ratzinger. E lo dice ai microfoni di “Un Giorno da pecora”, programma su Radio2 dove già due mesi fa aveva parlato di un “Papa pronto a dimettersi, perché molto stanco”.
Non solo per l’età: “Di fronte ai problemi che ci sono, forse anche di fronte alle tensioni che ci sono all’interno della Curia, potrebbe pensare che di queste cose se ne occuperà il nuovo pontefice”. Una replica, neanche troppo indiretta, a smentite, versioni ufficiali e silenzi imbarazzati sulle lotte di potere in Vaticano, puntualmente raccontate dal Fatto. Scontri a colpi di documenti e veti incrociati, che hanno amareggiato e logorato Benedetto XVI. Un’amarezza lucida, su cui peserebbero anche ricordi dolorosi.
Pochi giorni fa, a Tg2 dossier, ancora Bettazzi aveva raccontato possibili e fragorose verità: “Il Papa potrebbe dare le dimissioni, prima che arrivi quel momento in cui non è più il pontefice a guidare la Chiesa. Ha visto gli ultimi anni di Giovanni Paolo II, e sapeva che lui voleva dare le dimissioni ma non gliel’hanno lasciate dare. Io gli auguro lunga vita e lucidità, ma se Benedetto XVI si accorgesse che le cose stanno cambiando, avrebbe il coraggio di dimettersi”. Ratzinger insomma non accetterebbe di continuare da simbolo vivente, svuotato però di effettivi poteri. E potrebbe lasciare, prima che a governare di fatto la Chiesa sia qualcuno non eletto al soglio pontificio .
Ieri il vescovo di Ivrea ha ribadito: “Il Papa è molto stanco, e può darsi che dica: ‘Piuttosto che un pontefice stanco, lasciamo che ne venga uno nuovo, che continui con vigore la purificazione della Chiesa che Ratzinger ha iniziato e che gli sta tanto a cuore’”.
Ma quando? Bettazzi precisa: “Il pontefice vuole prima finire il libro su Gesù, gli preme tanto. I giornali dicono che lo finirà a dicembre, ma può essere anche che approfitti dell’estate per finirlo prima”. Poi da scrivere ci sarebbero il futuro di un Papa e della Chiesa. Guidata da un intellettuale che potrebbe anche scegliere di dedicarsi solo ai suoi libri. Bettazzi cita come possibili papabili “Scola, Ravasi, Bertello”. Ma conclude: “Lasciamo fare ai cardinali”. Chiaro e semplice. Come certe verità difficili da dire.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
PER RATZINGER, PER IL PAPA E I CARDINALI, UNA LEZIONE DI GIANNI RODARI. L’Acca in fuga
AI CERCATORI DEL MESSAGGIO EVANGELICO. Una nota sulla "lettera" perduta.
MESSAGGIO DELL’EVANGELO ("DEUS CHARITAS EST": 1 Gv. 4.8), MESSAGGIO DEL POSSESSORE DELL’"ANELLO DEL PESCATORE" ("DEUS CARITAS EST": BENEDETTO XVI, 2006), E TEOLOGIA POLITICA DELL’"UOMO SUPREMO" ("DOMINUS IESUS", 2000):
Sesso e carriera i ricatti in Vaticano dietro la rinuncia di Benedetto XVI
di Concita De Gregorio (la Repubblica, 21 febbraio 2013)
"In questi 50 anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste, si traduce sempre in peccati personali che possono divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre la zizzania. Che nella rete di Pietro si trovano i pesci cattivi".
La zizzania. I pesci cattivi. Le "strutture del peccato". È giovedì 11 ottobre, Santa Maria Desolata. È il giorno in cui la Chiesa fa memoria di papa Giovanni XXIII, cinquant’anni dal principio del Concilio. Benedetto XVI si affaccia al balcone e ai ragazzi dell’Azione cattolica raccolti in piazza dice così: «Cinquant’anni fa ero come voi in questa piazza, con gli occhi rivolti verso l’alto a guardare e ascoltare le parole piene di poesia e di bontà del Papa. Eravamo, allora, felici. Pieni di entusiasmo, eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa». Breve pausa. Eravamo felici, al passato. «Oggi la gioia è più sobria, è umile. In cinquant’anni abbiamo imparato che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa». Che c’è la zizzania, ci sono i pesci cattivi.
Nessuno ha capito, in quel pomeriggio di ottobre. I ragazzi in piazza hanno applaudito e pianto il ricordo di papa Giovanni. Nessuno sapeva che due giorni prima Benedetto XVI aveva di nuovo incontrato il cardinale Julian Herranz, 83 anni, lo spagnolo dell’Opus Dei da lui incaricato di presiedere la commissione d’indagine su quello che i giornali chiamano Vatileaks. Il corvo, la fuga di notizie, le carte rubate dall’appartamento del Papa.
Herranz ha aggiornato Ratzinger con regolarità. Ogni settimana, in colloquio riservato, da aprile a dicembre. Il Papa ha appreso con crescente apprensione gli sviluppi dell’inchiesta: decine e decine di interviste a prelati, porporati, laici. In Italia e all’estero. Decine e decine di verbali riletti e sottoscritti dagli intervistati. Le stesse domande per tutti, dapprima, poi interviste libere. Controlli incrociati. Verifiche. Un quadro da cui veniva emergendo una rete di lobby che i tre cardinali hanno diviso per provenienza di congregazione religiosa, per origine geografica. I salesiani, i gesuiti. I liguri, i lombardi.
Infine, quel giorno di ottobre, il passaggio più scabroso. Una rete trasversale accomunata dall’orientamento sessuale. Per la prima volta la parola omosessualità è stata pronunciata, letta a voce alta da un testo scritto, nell’appartamento di Ratzinger. Per la prima volta è stata scandita, sebbene in latino, la parola ricatto: «influentiam», Sua Santità. Impropriam influentiam.
17 dicembre 2012, San Lazzaro. I tre cardinali consegnano nelle mani del Pontefice il risultato del loro lavoro. Sono due tomi di quasi 300 pagine. Due cartelle rigide rilegate in rosso, senza intestazione. Sotto "segreto pontificio", sono custodite nella cassaforte dell’appartamento di Ratzinger. Le conosce soltanto, oltre a Lui, chi le ha scritte. Contengono una mappa esatta della zizzania e dei pesci cattivi. Le «divisioni nel corpo ecclesiale che deturpano il volto della Chiesa», dirà il Papa quasi due mesi dopo nell’Omelia delle Ceneri.
È quel giorno, con quelle carte sul tavolo, che Benedetto XVl prende la decisione tanto a lungo meditata. È in quella settimana che incontra il suo biografo, Peter Seewald, e poche ore dopo aver ricevuto i tre cardinali gli dice «sono anziano, basta ciò che ho fatto». Quasi le stesse parole, in quell’intervista poi pubblicata su Focus, che dirà a febbraio al concistoro per i martiri di Otranto: «Ingravescente aetate». «Noi siamo un Papa anziano», aveva già allargato le braccia molte volte, negli ultimi mesi, in colloqui riservati.
Dunque nella settimana prima di Natale il Papa prende la sua decisione. Con queste parole la commenta il cardinale Salvatore De Giorgi, un altro dei tre inquisitori che redigono la "Relationem", presente al momento della rinuncia: «Ha fatto un gesto di fortezza, non di debolezza.
Lo ha fatto per il bene della Chiesa. Ha dato un messaggio forte a tutti quanti nell’esercizio dell’autorità o del potere si ritengono insostituibili. La Chiesa è fatta di uomini. Il Pontefice ha visto i problemi e li ha affrontati con un’iniziativa tanto inedita quanto lungimirante». Ha assunto su di sé la croce, insomma. Non ne è sceso, al contrario. Ma chi sono «coloro che si ritengono insostituibili?». Riecheggiano le parole dell’Angelus di domenica scorsa: bisogna «smascherare le tentazioni del potere che strumentalizzano Dio per i propri interessi».
La "Relationem" ora è lì. Benedetto XVI la consegnerà nelle mani del prossimo Papa, che dovrà essere abbastanza forte, e giovane, e «santo» - ha auspicato - per affrontare l’immane lavoro che lo attende. È disegnata, in quelle pagine, una geografia di «improprie influenze» che un uomo molto vicino a chi le ha redatte descrive così: «Tutto ruota attorno alla non osservanza del sesto e del settimo comandamento». Non commettere atti impuri. Non rubare. La credibilità della Chiesa uscirebbe distrutta dall’evidenza che i suoi stessi membri violano il dettato originario. Questi due punti, in specie. Vediamo il sesto comandamento, atti impuri. La Relazione è esplicita. Alcuni alti prelati subiscono «l’influenza esterna» - noi diremmo il ricatto - di laici a cui sono legati da vincoli di "natura mondana".
Sono quasi le stesse parole che aveva utilizzato monsignor Attilio Nicora, allora ai vertici dello Ior, nella lettera rubata dalle segrete stanze al principio del 2012: quella lettera poi pubblicata colma di omissis a coprire nomi. Molti di quei nomi e di quelle circostanze riaffiorano nella Relazione. Da vicende remote, come quella di monsignor Tommaso Stenico sospeso dopo un’intervista andata in onda su La 7 in cui raccontava di incontri sessuali avvenuti in Vaticano.
Riemerge la vicenda dei coristi di cui amava circondarsi il Gentiluomo di sua Santità Angelo Balducci, agli atti di un’inchiesta giudiziaria. I luoghi degli incontri. Una villa fuori Roma. Una sauna al Quarto Miglio. Un centro estetico in centro. Le stanze vaticane stesse. Una residenza universitaria in via di Trasone data in affitto ad un ente privato e reclamata indietro dal Segretario di Stato Bertone, residenza abitualmente utilizzata come domicilio romano da un arcivescovo veronese.
Si fa menzione del centro "Priscilla", che persino da ritagli di stampa risulta essere riconducibile a Marco Simeon, il giovane sanremese oggi ai vertici della Rai e già indicato da monsignor Viganò come l’autore delle note anonime a suo carico. Circostanze smentite dai protagonisti sui giornali, ma approfondite e riprese dalla Relazione con dovizia di dettagli.
I tre cardinali hanno continuato a lavorare anche oltre il 17 dicembre scorso. Sono arrivati fino alle ultime vicende che riguardano lo Ior - qui si passa al settimo comandamento - ascoltando gli uomini su cui confida Tarcisio Bertone a partire dal suo braccio destro, il potentissimo monsignor Ettore Balestrero, genovese, classe 1966. Sono arrivati fino alla nomina del giovane René Bruelhart alla direzione dell’Aif, l’autorità finanziaria dell’Istituto.
Il terzo dei cardinali inquirenti, Josef Tomko, è il più anziano e dunque il più influente della triade. Ratzinger lo ha richiamato in servizio a 88 anni. Slovacco, era stato con Woijtyla a capo del controspionaggio vaticano. Aveva seguito di persona la spinosa questione dei contributi anche economici alla causa polacca come delegato ai rapporti con l’Europa orientale. Dopo monsignor Luigi Poggi, scomparso nel 2010, è l’ultimo custode di quella che ancora oggi si chiama l’Entità, il "Sodalitium pianum" di antica memoria, il servizio segreto vaticano formalmente smantellato da Benedetto XV, nel nome predecessore di Ratzinger.
Poiché i simboli e i gesti, a San Pietro, contano assai più delle parole chi è molto addentro alle liturgie vaticane fa notare questo. Nell’ultimo giorno del suo pontificato, Benedetto XVI riceverà i tre cardinali estensori della Relationem in udienza privata. Subito dopo, al fianco di Tomko, vedrà i vescovi e i fedeli slovacchi in Santa Maria Maggiore. La sua ultima udienza pubblica. 27 febbraio, San Procopio il Decapolita, confessore. Poi il conclave.
La profezia di Bettazzi “Lascerà prima di non farcela più”
di Guido Novaria (La Stampa - Torino, 12 febbraio 2013)
La notizia delle dimissioni di Papa Benedetto XVI l’aveva data con un anno di anticipo, esattamente il 13 febbraio del 2012, durante la trasmissione di Radiodue Rai «Un giorno da pecora»: «Papa Ratzinger pensa alle dimissioni», scatenando l’immancabile putiferio che da sempre accompagna le sue esternazioni. Monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, non aveva usato il condizionale, sicuro com’era di quella notizia e soprattutto della sua fonte.
Bettazzi aveva escluso l’esistenza di un complotto per uccidere Papa Ratzinger: «No, non credo. Fosse stato il Papa precedente lo capirei, ma questo Papa mi sembra così mite, religioso. Non troverei i motivi per un attentato», aveva detto alla radio.
A risentirla un anno dopo, quell’intervista radiofonica ha un sapore quasi profetico: «La teoria del complotto penso sia un sistema per preparare l’eventualità delle dimissioni. Per preparare questo choc - perché le dimissioni di un Papa sarebbero uno choc - cominciano a buttare lì la cosa del complotto».
E alla domanda se Ratzinger avesse intenzione di dimettersi, la risposta di Bettazzi era stata chiarissima: «Credo di sì, anche se l’hanno smentito. Un vecchio cardinale, però, mi diceva sempre: se il Vaticano smentisce vuol dire che è vero. Io penso che lui si senta molto stanco, basta vederlo, è uno abituato agli studi teologici, alla meditazione». E ha aggiunto: «E di fronte ai problemi che ci sono, forse anche di fronte alle tensioni esistenti all’interno della Curia, potrebbe pensare che di queste cose se ne occuperà il nuovo Papa».
Sul presunto complotto contro il Papa era intervenuto il portavoce vaticano, padre Federicdo Lombardi: «E’ una storia che non merita di essere presa sul serio» aveva spiegato. Il vescovo emerito di Ivrea aveva riconfermato la teoria delle dimissioni anche dopo quel clamoroso annuncio di un anno fa: «Il Papa potrebbe dare le dimissioni, prima che arrivi quel momento in cui non è più il pontefice a guidare la Chiesa. Ha visto gli ultimi anni di Giovanni Paolo II, e sapeva che lui voleva dare le dimissioni ma non gliel’hanno lasciate dare. Io gli auguro lunga vita e lucidità, ma se Benedetto XVI si accorgesse che le cose stanno cambiando, avrebbe il coraggio di dimettersi».
Ad avvalorare la tesi delle dimissioni, secondo monsignor Bettazzi sarebbe arrivata la «sistemazione» del suo segretario particolare: «Quando padre Georg è stato consacrato arcivescovo e promosso Prefetto della Casa Pontificia, ho intuito che i tempi erano maturi. Dopo aver risolto la questione del suo segretario, che non rimarrà a disposizione di tutti ma avrà garantito un posto da vescovo, si è sentito più libero di dare le dimissioni. Del resto se un vescovo dopo i 75 anni non può reggere la sua diocesi e i cardinali con più di 80 anni non possano partecipare al conclave per l’elezione del Papa, mi sembra coerente che anche un Papa raggiunti certi limiti d’età, se il suo fisico non gli consente di continuare, possa dimettersi».
Sul futuro del Vaticano, il vescovo emerito di Ivrea che quest’anno compirà novant’anni non si sbilancia: «Prego che lo Spirito Santo aiuti i Cardinali, che vengono anche dai Continenti più in difficoltà, a capire la situazione della Chiesa e a scegliere un Papa adatto ai nostri tempi».
Chi lascia orfani Benedetto XVI
di Massimo Faggioli (“L’Huffington Post”, 11 febbraio 2013)
Papa Benedetto XVI si è dimesso ed è un fatto senza precedenti nella storia del pontificato globale moderno: non è chiaro se queste dimissioni inaugureranno un precedente, al contrario delle poche dimissioni avvenute in epoca medievale.
La chiesa non è una dittatura in cui il pontefice è un sovrano che agisce in uno “stato di eccezione”: il canone 332 del Codice di diritto canonico prevede questa possibilità. Ma c’è un altro modo di interpretare le dimissioni, suggerito dalla formula usata da Benedetto XVI per spiegare la decisione: “ingravescentem aetatem”. Questa formula latina non è solo usata per spiegare il peso degli anni, ma richiama parola per parola un motu proprio di Paolo VI, la Ingravescentem aetatem, che nel 1970 introduceva il limite di età di 75 anni per i cardinali di curia romana (e di 80 anni per entrare in conclave ed eleggere il nuovo papa), dopo che un documento del concilio Vaticano II nel 1965 aveva introdotto il limite di età a 75 anni per i vescovi diocesani.
C’è una lettura personale di queste dimissioni: gli osservatori non sarebbero stati sorpresi dalle dimissioni di Benedetto XVI nei primi anni del pontificato, specialmente tra 2006 e l’inizio del 2009, quelli più difficili, punteggiati dagli incidenti diplomatici del discorso di Regensburg e del caso del vescovo lefebvriano antisemita Williamson.
Poi nel 2010 sono iniziati i riverberi degli scandali degli abusi sessuali in America e in Europa che hanno elevato Benedetto XVI ad obbiettivo primario (in qualche caso, anche nelle corti di giustizia). Un papa eletto quasi sette anni fa già con un “brand” molto preciso di conservatore ha dovuto far fronte a venti contrari come nessun papa dell’era mediatica, dentro e fuori la chiesa. A questo si sono aggiunti esempi di grossolano mismanagement della Curia romana da parte del suo inner circle che hanno complicato una situazione prodotta da un conclave che elesse un teologo eminente quanto divisivo.
Ma c’è anche una lettura funzionale di queste dimissioni, che in un certo senso sono testimonianza dell’esperienza conciliare di Joseph Ratzinger. Il concilio Vaticano II fu l’inizio della ridefinizione della “job description” per tutti i ministri della chiesa, ma specialmente per i vescovi cattolici di tutto il mondo: un lavoro sempre più complesso, che richiede competenze tipiche di un leader, di un mediatore, di un comunicatore esperto dei media, e di un amministratore delegato - ma sempre soggetti al Vaticano e con un mandato che termina sempre a 75 anni di età, per i vescovi.
Da oggi in poi, nella teologia del papato e nella scienza canonistica qualcuno potrebbe affermare, senza tema di smentita, che quella legge della chiesa sulle dimissioni dei vescovi si applica anche al papa, vescovo di Roma. Ma restano aperte moltissime questioni. Sul conclave, ovvero quale sarà il ruolo del papa in esso e nella sua preparazione. Sul futuro di Joseph Ratzinger - già Benedetto XVI, primo papa emerito. Sull’agenda Ratzinger, se essa rimarrà valida per il conclave e per il futuro papa.
Le dimissioni lasciano teologicamente, spiritualmente e politicamente orfani parecchi cattolici, ecclesiastici e laici, in questo momento: nella curia romana, tra i vescovi, tra i teologi, and last but not least tra i neo-conservatori italiani e americani (e anche tra qualche ex marxista ora ratzingeriano). Quanto all’Italia, questo pontificato aveva scelto fin dall’inizio di non farsi coinvolgere più di tanto nella politica italiana, sfiorando più volte il peccato di omissione.
Le elezioni politiche italiane del 2013, che si terranno con la sede apostolica sostanzialmente vacante, sono l’epigrafe di un pontificato che - va detto - ha sempre visto nella dimensione politica e giuridica della chiesa e del papato due elementi di disturbo più che di aiuto alla missione della chiesa.
In questo senso, un pontificato più post-conciliare che conciliare, e nel caso di Ratzinger questa è una somma ironia. C’è da chiedersi quanto la chiesa cattolica romana mondiale possa permettersi, oggi, una visione così spiritualista di se stessa
Tutti i libri contro Ratzinger
di Filippo Gentiloni (il manifesto, 24 aprile 2012)
Le critiche alle autorità delle chiese non sono mai mancate, più o meno rigide, secondo i tempi e i luoghi. In questi giorni qualche relativa novità. Oggetto delle critiche è proprio la chiesa cattolica e gli autori sono anch’essi cattolici. Critiche, quindi, più acute proprio perché dall’interno. Quindi ancora più dolorose, ma degne di attenzione.
Si può partire da "Adista" che riferisce le osservazioni critiche fatte a papa Ratzinger da un antico collega ed amico americano. «Caro Joe, sono sconcertato dal fatto che tu abbia lanciato segni che contraddicono le parole e lo spirito del Concilio Vaticano II». Il teologo Swidler ricorda le posizioni prese da Ratzinger a favore di una elezione episcopale democratica, posizioni poi dimenticate. Di qui un vibrante appello al papa perché torni a quello spirito di riforma espresso in gioventù.
Molto forti e precise le critiche da parte di uno dei più profondi e noti "vaticanisti", Marco Politi ("Joseph Ratzinger, Crisi di un papato", Editori Laterza). «Eletto per rassicurare la parte di Chiesa in cerca di autorità e identità, il papa ha messo a disagio il cattolicesimo che si ispira al Concilio Vaticano II; con una citazione sprezzante di Maometto ha provocato uno scontro violento con l’Islam; elogiando Pio XII e togliendo la scomunica al vescovo negatore della Shoah ha creato una serie di crisi con l’ebraismo; non ha affrontato questioni come il calo dei sacerdoti e il ruolo della donna». Politi tratteggia il profilo meno conosciuto di un papa impolitico. Un uomo «che crede nel cristianesimo come religione dell’amore e non come pacchetto di divieti». Ma non senza difficoltà. Vedremo il seguito. Comunque è probabile che le critiche continueranno.
È uscito anche in italiano di Matthew Fox, teologo noto in tutto il mondo, "La guerra del papa. Perché la crociata segreta di Ratzinger ha compromesso la Chiesa", Fazi Editore.
Un papa al tramonto
Ratzinger verso il crepuscolo
di Marco Politi (il Fatto, 19.04.2012)
In un’atmosfera crepuscolare Benedetto XVI entra oggi nell’ottavo anno del suo pontificato. “Così come sto dinanzi a voi - ha detto lunedì al governatore di Baviera Seehofer e ai vescovi bavaresi, che ne festeggiavano l’85esimo compleanno - dovrò un giorno presentarmi al Signore”. La messa celebrata dal pontefice nella cappella Paolina, parole testuali di Seehofer, ha fatto venire la “pelle d’oca”. Il Papa è tornato sull’argomento. “Sto davanti all’ultimo tratto della mia vita - ha esclamato - e non so che cosa mi è destinato”.
C’è il Ratzinger profondo in queste parole. Uomo di fede, ma consapevole di aver accettato il pontificato per senso del dovere, spinto da altri e non per propria ambizione. Durante la preghiera alla Via Crucis al Colosseo il suo viso assorto e scavato ricordava quelle teste di imperatori romani del Tardo Impero: sguardo severo e disincantato.
A ottantacinque anni Ratzinger è il pontefice più vecchio dell’ultimo secolo. Sa benissimo che si è aperta una fase estremamente incerta. In Vaticano l’attenzione oscilla. C’è chi punta a un cambio della guardia al vertice della Curia per superare il malessere sotterraneo esploso con i Vaticanleaks, la pubblicazione di documenti compromettenti fortemente critici nei confronti del Segretario di Stato Bertone.
I GRADUALISTI puntano perciò a una sostituzione di Bertone nell’autunno prossimo, quando il cardinale compirà 78 anni. L’ala realista, invece, sostiene che Benedetto XVI, diventato sempre più esitante con l’avanzare degli anni, non si priverà del suo braccio destro salesiano. Così sono partite le prime caute manovre in vista del conclave.
Tra le finalità del documento segreto sulla “morte del Papa” rivelato dal Fatto (e consegnato - non si dimentichi - nelle stesse mani di Ratzinger) c’era anche la denuncia della campagna sotterranea in corso per arrivare a un “pontefice italiano”. Con tanto di nome e cognome per danneggiarlo, secondo l’uso curiale: Angelo Scola, attuale arcivescovo di Milano.
Ma tra i cardinali del mondo molti non accettano l’idea di un conclave precotto. Rifiutano che venga interrotto il processo di internazionalizzazione del papato. Candidato di tutto rispetto è il cardinale Marc Ouellet, canadese, già arcivescovo di Quebec e ora a capo dell’influente Congregazione dei Vescovi. Ratzinger lo ha appena nominato suo rappresentante al congresso eucaristico internazionale, che si terrà in giugno in Irlanda. Altri nomi cominciano a circolare. Per l’America del Sud torna ciclicamente quello del dinamico e aperto cardinale honduregno Oscar Maradiaga. Ma non è detto che l’America latina non possa produrre altri candidati.
La novità è rappresentata dall’emergere di due porporati statunitensi: Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente della conferenza episcopale degli Usa, e Donald Wuerl di Washington. Una novità, perchè sino all’ultimo conclave del 2005, è sempre stato dato per scontato che un pontefice non possa provenire da un paese che sia potenza mondiale. È vero peraltro che il XXI secolo, etichettato dagli ideologhi dell’Amministrazione Bush come “secolo americano”, ha rivelato che gli Stati Uniti non sono in grado di dettare il loro volere al mondo, pur restando sulla scena internazionale il protagonista più potente.
GUARDANDO al futuro della Chiesa, il problema non sta tuttavia nei nomi, ma nella piattaforma dei candidati. Chi è disposto a fare riforme? E quali? Tra Natale e Pasqua Benedetto XVI è tornato due volte sul tema di una Chiesa da riformare. Ponendo un punto interrogativo, beninteso. Il Giovedì Santo si è riferito all’“Iniziativa dei parroci” austriaci, che promettono una sorta di disubbidienza civile rispetto ai temi del celibato e delle ordinazioni femminili. Ma, com’è ormai prassi di questo pontificato, Ratzinger non ha fornito risposte concrete.
Nato come pontificato di transizione, il regno di Benedetto XVI si è trasformato in stagnazione. È un “papa della parola”, sostiene il suo segretario particolare mons. Gaenswein, ed è vero. Il meglio sta nel suo ruolo di teologo, pensatore e predicatore. Ma intanto il peso della Santa Sede sulla scena mondiale è calato drasticamente e nel mondo dei media internazionali l’attenzione riservata al papato si è rarefatta.
I rapporti ecumenici sono cortesi, ma bloccati. I rapporti con l’islam e l’ebraismo sono cortesi, ma inoperanti. La mancanza dei preti nelle parrocchie e il calo degli ordini religiosi femminili (che in sei anni hanno perso cinquantamila unità) sono temi rimossi. Sulla folle idea del governo israeliano di lanciare un attacco all’Iran, il Vaticano tace. Sfidando la sua fragilità (i problemi di cuore, l’artrosi, i mancamenti che sembrano affliggerlo) Benedetto XVI ha ripreso a fare i viaggi intercontinentali, che pareva avere archiviato dopo l’Australia nel 2008. Benin, Messico, Cuba, Libano nel prossimo settembre e forse Brasile nel 2013. Quasi a preparare con tali exploit una sua uscita di scena, quando le forze dovessero abbandonarlo.
Festa di compleanno per Papa Ratzinger
Niente dimissioni «finché Dio vorrà»
di Roberto Monteforte (l’Unità, 17 aprile 2012)
«Mi trovo di fronte all’ultimo tratto del percorso della mia vita e non so cosa mi aspetta. So, però, che la luce di Dio c’è, che Egli è risorto, che la sua luce è più forte di ogni oscurità, che la bontà di Dio è più forte di ogni male di questo mondo. E questo mi aiuta a procedere con sicurezza. Questo aiuta noi ad andare avanti, e in questa ora ringrazio di cuore tutti coloro che continuamente mi fanno percepire il Sì di Dio attraverso la loro fede». Con queste parole Benedetto XVI ha concluso ieri mattina la sua omelia alla messa privata celebrata nella Cappella Paolina per il suo 85mo compleanno.
Agli amici, ai vescovi tedeschi e alla delegazione giunta dalla sua Baviera, Papa Ratzinger ha parlato dei «segni» offerti alla sua vita dai santi che si festeggiano il 16 aprile, giorno del suo compleanno: la semplicità che ha contrassegnato l’esistenza di santa Bernadette, la veggente di Lourdes. Perché con il nostro «sapere e il fare» - ha spiegato - non dobbiamo perdere «lo sguardo semplice del cuore, capace di vedere l’essenziale».
Dall’altro santo, il francese Benedetto Giuseppe Labre, «viandante europeo», ha tratto il senso di una fraternità da vivere «perché in Dio cadono le frontiere, solo Dio fa cadere le frontiere e lo smantellamento delle frontiere ci unisce e guarisce». Sono i «segni» che ha caratterizzato anche il suo pontificato. Nelle parole dell’anziano pontefice, pronunciate alla vigilia del suo settimo anno di pontificato che verrà celebrato il prossimo 19 aprile, vi è la conferma della determinazione di Papa Ratzinger a continuare a guidare la Chiesa universale davanti al «male» del mondo che non la risparmia.
Nessun abbandono è all’orizzonte. La sua agenda è già fitta: dall’Incontro mondiali per le famiglie di fine maggio a Milano, alla visita ad Arezzo, quindi il viaggio previsto per metà settembre in Libano. L’anno prossimo sarà in Brasile per le Giornate mondiali della gioventù. Poi il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione e l’Anno della Fede. Questa estate è prevista l’uscita del suo terzo libro su Gesù dedicato all’infanzia del Nazareno.
Attivo e lucido, malgrado l’età e i malanni, il più anziano pontefice dalla fine del XIX secolo, ieri, si è visto festeggiare alla «bavarese» nella Sala Clementina dai giovani in costume e da una delegazione guidata dal ministro e presidente della Baviera Horst Seehofer.
Auguri al vescovo di Roma sono giunti anche dai parroci della Capitale. «Te volemo tutti bene» ha detto in romanesco a nome di tutti a Radio Vaticana, padre Lucio Maria Zappatore, parroco a Torrespaccata. Di buon mattino è giunto quello inviato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano a nome anche del popolo italiano e quello del cancelliere tedesco, Angela Merkel.
È stato aperto anche un «sito» in Vaticano per raccogliere i messaggi di augurio rivolti al pontefice. Particolare l’augurio inviato a nome delle Acli dal presidente Andrea Olivero. «Inquieti e mai rassegnati all’esistente» è il titolo del video messaggio realizzato per Famiglia Cristiana. «Le auguriamo ancora anni di gioventù come quelli che ci ha donato - afferma Olivero - anni nei quali Lei possa spronarci a essere inquieti, di quella Santa inquietudine di Cristo che ha manifestato sin dall’inizio del Suo pontificato». «Noi cercheremo - ha aggiunto - di non rassegnarci all’esistente, ma di andare, forti degli insegnamenti della Chiesa e forti del Vangelo, a testimoniare la nostra fede nella società».