[...] Stupefacente nel discorso papale è la descrizione idilliaca dell’arrivo del cristianesimo in America latina. I popoli precolombiani attendevano il Verbo, che cercavano senza saperlo: «L’annuncio del Vangelo non comportò in nessun momento - precisa - l’alienazione delle culture precolombiane né fu un’imposizione di una cultura straniera». Rimossi il ferro e il fuoco con cui i Conquistadores imposero la fede, cancellate le riflessioni autocritiche di Wojtyla. Un fenomeno grandioso di ombre e luci ridotto ad un tranquillo scambio di valori, come quei dibattiti che da cardinale Ratzinger faceva con Habermas. Deludente si è manifestata in tutto il viaggio la partecipazione popolare. Alla messa davanti al santuario di Aparecida i vescovi si aspettavano da cinquecentomila ad un milione di fedeli. Ne sono venuti al massimo duecentomila [...]
-L’ultimo atto del viaggio in Brasile dedicato al proselitismo: "Sétte forti se la Chiesa è debole"
Le minacce. L’aborto e l’uso degli anticoncezionali minaccia l’avvenire dei popoli
La politica. La Chiesa non si identifica con i partiti né con l’interesse partitico
Il Papa: "Basta regimi autoritari capitalismo e Marx hanno fallito"
di MARCO POLITI (la Repubblica, 14 MAGGIO 2007)
APARECIDA - Difendere la famiglia, ritrovare slancio missionario, lottare contro la povertà, non trasformare la Chiesa in soggetto politico. Papa Ratzinger apre la quinta assemblea dell’episcopato latino-americano con un programma che, a parte qualche variante locale, vale per la Chiesa universale.
Famiglia e riforme sociali - dopo la diffusione del Vangelo anche via internet - sono al cuore delle sue preoccupazioni. Agli oltre duecentocinquanta vescovi del continente, presenti nel santuario mariano di Aparecida, Benedetto XVI ricorda che la famiglia è «patrimonio dell’umanità», minacciata da molti nemici. E di nuovo parte l’attacco alle «legislazioni sociali contrarie al matrimonio». Il giudizio è senza appello: «Anticoncezionali e aborto minacciano il futuro dei popoli». Segue una prudentissima critica del maschilismo imperante.
Ripetuti sono, nel discorso papale, i riferimenti alla situazione sociale. La globalizzazione, spiega il pontefice, è anche un guadagno per l’umanità, ma comporta «senza dubbio il rischio dei grandi monopoli e di trasformare il lucro in valore supremo». Perciò la globalizzazione deve essere guidata dall’etica. Notava, alla vigilia del viaggio, il cileno Josè Miguel Insulza, segretario generale dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), che l’America latina è oggi un continente in movimento: «Il tasso di crescita è del 5,3 per cento», le ricette del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale hanno fallito e dappertutto «c’è una maggiore domanda di Stato, specie nel campo della sanità, dell’educazione e delle infrastrutture». Per di più il continente gode del primato drammatico della maggiore diseguaglianza nella distribuzione del reddito.
Per Benedetto XVI l’economia di mercato «deve tenere presente l’equità, perché continuano ad aumentare i settori sociali che si vedono oppressi sempre di più da un’enorme povertà o perfino depredati dai propri beni naturali». Marxismo e capitalismo, scandisce, hanno fallito nella promessa di creare strutture giuste basate su una morale sociale condivisa. Il marxismo lascia una «triste eredità» di distruzioni economiche, ecologiche e spirituali. «E la stessa cosa la vediamo all’Ovest, dove cresce costantemente la distanza tra poveri e ricchi e si produce un’inquietante degradazione della dignità personale con la droga, l’alcol e gli ingannevoli miraggi di felicità». Solo la Chiesa, fa capire, indica la direzione giusta.
E tuttavia - ed è un punto su cui torna continuamente - sono i laici cristiani che devono impegnarsi nella costruzione di strutture giuste, perché il «lavoro politico non è competenza della Chiesa». L’istituzione ecclesiastica non deve «trasformarsi in soggetto politico», perché perderebbe in indipendenza e autorità. L’indicazione è inequivocabile: «La Chiesa è avvocata della giustizia e dei poveri, perché non si identifica coi politici né con gli interessi di partito».
Nel contesto latino-americano il Papa mette in guardia dall’emergere di «forme di governo autoritario o soggette a ideologie, che si credevano superate»: una stoccata al socialismo di Chavez in Venezuela e alle spinte populiste in altri Paesi.
Quanto alla caduta di attrazione del cattolicesimo Benedetto XVI rinuncia ad ogni analisi approfondita. I colpevoli risuonano nella litania degli «ismi»: secolarismo, relativismo, edonismo, indifferentismo e il proselitismo delle sette, delle religioni animiste e di movimenti pseudoreligiosi.
Stupefacente nel discorso papale è la descrizione idilliaca dell’arrivo del cristianesimo in America latina. I popoli precolombiani attendevano il Verbo, che cercavano senza saperlo: «L’annuncio del Vangelo non comportò in nessun momento - precisa - l’alienazione delle culture precolombiane né fu un’imposizione di una cultura straniera». Rimossi il ferro e il fuoco con cui i Conquistadores imposero la fede, cancellate le riflessioni autocritiche di Wojtyla. Un fenomeno grandioso di ombre e luci ridotto ad un tranquillo scambio di valori, come quei dibattiti che da cardinale Ratzinger faceva con Habermas. Deludente si è manifestata in tutto il viaggio la partecipazione popolare. Alla messa davanti al santuario di Aparecida i vescovi si aspettavano da cinquecentomila ad un milione di fedeli. Ne sono venuti al massimo duecentomila.
Il Papa: la Chiesa non fa politica
Benedetto XVI dal Brasile: marxismo e capitalismo hanno fallito
di Luigi Accattoli (Corriere della Sera, 14 maggio 2007)
APARECIDA (Brasile) - Fare politica «non è competenza della Chiesa», che intende rispettare «una sana laicità» e riconosce «la pluralità delle posizioni politiche»: l’ha detto il papa ieri ad Aparecida, aprendo la Quinta conferenza degli episcopati dell’America latina e concludendo con questo atto il suo viaggio in Brasile. Ha pure invitato i vescovi di qui a impegnarsi più che mai a difesa e promozione della famiglia, minacciata oggi nella sua «unità e identità». Non ha trattato delle unioni civili, che qua non sono all’ordine del giorno, ma del divorzio, dell’aborto e della contraccezione. Chiesa che non fa politica e difesa della famiglia: Benedetto XVI ha dunque trattato, insieme ad altri temi (questione indigena, povertà, sperequazioni sociali, sette), questioni di prima attualità in Italia. Ma occorre fare attenzione ai contesti diversi, per non fargli dire troppo o troppo poco. Per esempio, quando parla della politica non fa riferimento ai cattolici in piazza per la famiglia ma a comunità di base vicine all’estrema sinistra. «Questo lavoro politico - ha detto il papa pensando a loro - non è competenza immediata della Chiesa. Il rispetto di una sana laicità - compresa la pluralità delle posizioni politiche - è essenziale nella tradizione cristiana autentica».
«Se la Chiesa - ha continuato - cominciasse a trasformarsi direttamente in soggetto politico, non farebbe di più per i poveri e per la giustizia, ma di meno, perché perderebbe la sua indipendenza e la sua autorità morale. La Chiesa è avvocata della giustizia e dei poveri, precisamente perché non si identifica con i politici né con gli interessi di partito. Solo essendo indipendente può insegnare i grandi criteri e i valori inderogabili, orientare le coscienze e offrire un’opzione di vita che va oltre l’ambito politico». La politica però riguarda i laici cattolici: «Devono essere coscienti delle loro responsabilità nella vita pubblica». L’altro riferimento alla politica è nel giudizio, identico, su marxismo e capitalismo: promessa ideologica falsa. «Il sistema marxista ha lasciato una triste eredità di distruzioni economiche ed ecologiche e una dolorosa distruzione degli spiriti. Lo stesso all’Ovest, dove cresce costantemente la distanza tra poveri e ricchi e si produce un’inquietante degradazione della dignità personale con ingannevoli miraggi della felicità».
Poi le parole sulla famiglia, che costituisce «uno dei tesori più importanti dei paesi latino- americani», ma oggi «soffre situazioni avverse provocate dal secolarismo e dal relativismo etico, dai diversi flussi migratori interni ed esterni, dalla povertà, dall’instabilità sociale e dalle legislazioni civili contrarie al matrimonio che, favorendo gli anticoncezionali e l’aborto, minacciano il futuro dei popoli». Benedetto ha invitato i vescovi a chiedere ai governi «politiche familiari autentiche» e a promuovere una «pastorale familiare» che aiuti a superare la «mentalità maschilista» e richiami i padri a esercitare la loro «indispensabile responsabilità». Sempre ieri - da Roma - il cardinale Camillo Ruini parlando in San Pietro ha affermato che nella nostra società è necessario che «la famiglia sia compresa nel suo autentico valore, capita fino in fondo, sostenuta e vissuta con gioia». Di gioia ha parlato anche il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, a proposito del Family Day, «testimonianza rispettosa e gioiosa sul valore della famiglia».
Parole che provocheranno polemiche il papa ha detto ai vescovi latino- americani sulle «ideologie indigeniste» oggi emergenti, definendo un «regresso» la «utopia» da loro perseguita di «tornare a dare vita alle religioni precolombiane». Qui il papa ha rivendicato in toto - senza l’abituale allusione alle «luci e ombre» di quel processo - la bontà dell’evangelizzazione del continente: «L’annuncio di Gesù e del suo Vangelo non comportò, in nessun momento, un’alienazione delle culture precolombiane, né fu un’imposizione di una cultura straniera».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’"UOMO SUPREMO" DELLA CHIESA CATTOLICA: "Dominus Iesus": RATZINGER, LO "STERMINATORE DI ECUMENISMO". Un ’vecchio’ commento del teologo francescano Leonard Boff.
"Così il cardinale Ratzinger prese di mira i progressisti e lasciò impuniti i pedofili" *
di Federico Rampini (la Repubblica, 3 luglio 2010)
Joseph Ratzinger, quando da cardinale dirigeva la Congregazione per la dottrina della fede, fu «parte di una cultura di non-responsabilità, negazionismo, e ostruzionismo della giustizia» di fronte agli abusi sessuali commessi da sacerdoti. Lo afferma il New York Times sulla base di documenti interni alla Chiesa, interviste a vescovi ed esperti di diritto canonico. Dal reportage emerge una versione molto diversa, sul ruolo di papa Benedetto XVI, rispetto alla descrizione ufficiale fornita dalla Chiesa.
Tra le rivelazioni spunta un vertice segreto avvenuto in Vaticano nel 2000 tra Ratzinger e i vescovi delle nazioni anglofone più colpite dagli scandali di pedofilia: Stati Uniti, Irlanda, Australia. Secondo il vescovo Geoffrey Robinson di Sidney, che partecipò all’incontro segreto, Ratzinger «impiegò molto più tempo a riconoscere il problema degli abusi sessuali, rispetto a quel che fecero alcuni vescovi locali». Nell’intervista al New York Times il prelato australiano si chiede: «Perché il Vaticano era così tanti anni indietro?».
Il New York Times smonta la linea di difesa che la Santa Sede ha tenuto sull’attuale pontefice. Il Vaticano ha descritto come una svolta la decisione del 2001 di dare alla Congregazione diretta da Ratzinger l’autorità di semplificare le procedure e affrontare direttamente i casi di pedofilia.
Dopo quella decisione, annunciata con una lettera apostolica di Giovanni Paolo II, il cardinal Ratzinger sarebbe emerso come uno dei più coraggiosi nel riconoscere la minaccia degli abusi sessuali per la reputazione della Chiesa. Tutto questo viene confutato nella ricostruzione del giornale americano. In realtà la Congregazione aveva già gli stessi poteri dal 1922, secondo diversi esperti di diritto canonico interpellati. La lettera del 2001 non segnò affatto una svolta. Al contrario, la Chiesa si decise ad agire solo in grande ritardo, sotto la pressione di alcuni vescovi anglofoni in prima linea negli scandali.
«Per i due decenni in cui ebbe la guida della Congregazione», scrive il New York Times, «il futuro Papa non esercitò mai quell’autorità. Evitò di intervenire anche quando le accuse e i processi stavano minando la credibilità della Chiesa in America, Australia, Irlanda, e altri Paesi».
Ancora oggi, prosegue l’articolo, «molti decenni dopo che gli abusi sessuali da parte dei sacerdoti sono diventati un problema, Benedetto XVI non ha istituito un sistema di regole universali» per affrontarlo. Al contrario permane tuttora «una confusione dilagante tra i vescovi, sul modo di affrontare le accuse».
Eppure i segnali d’allarme per il Vaticano vengono da lontano. Nel 1984 il reverendo Gilbert Gauthé di Lafayette, Louisiana, ammise di avere molestato 37 minorenni. Nel 1989 uno scandalo enorme scoppiò in un orfanatrofio cattolico del Canada. Nella prima metà degli anni Novanta 40 fra preti e monaci australiani erano sotto processo per abusi sessuali. Nel 1994 cadde un governo in Irlanda per avere negato l’estradizione di un prete pedofilo. A quel tempo il cardinal Ratzinger aveva consolidato la sua autorità al vertice della Congregazione, dove era stato nominato nel 1981.
«È lui», sottolinea il New York Times, «che avrebbe potuto avviare azioni decisive negli anni Novanta, per impedire che gli scandali diventassero una metastasi, diffondendosi da un Paese all ’altro». Ma le sue priorità erano altre. Fin dal 1981 Ratzinger aveva identificato «la minaccia fondamentale per la fede della Chiesa»: la teologia della liberazione, il movimento dei preti progressisti che si stava affermando in America latina. «Mentre padre Gauthé (il pedofilo, ndr) veniva processato in Louisiana, il cardinal Ratzinger stava sanzionando pubblicamente i preti del Brasile e del Perù per aver sostenuto che la Chiesa doveva impegnarsi a favore dei poveri e degli oppressi. I suoi strali colpirono poi un teologo olandese favorevole a dare funzioni ecclesiali ai laici, e un americano che sosteneva il diritto al dissenso sull’aborto, il controllo delle nascite, il divorzio e l’omosessualità».
Per reprimere ogni velleità di autonomia delle Chiese nazionali, Ratzinger usò la sua autorità per affermare che le Conferenze episcopali «non hanno un fondamento teologico, non appartengono alla struttura della Chiesa». Un’offensiva fatale, scatenata proprio nella fase in cui alcune conferenze episcopali nei Paesi anglofoni avevano cominciato ad affrontare gli scandali in modo aperto, e chiedevano di poter sanzionare i preti pedofili senza aspettare le lungaggini dei processi canonici.
La visita del Papa ad Aparecida e gli indios
Risposta del presidente della Conferenza Episcopale dell’Equador
(trad. sintetica di fausto m.)
Un commento
Chissà! Forse Bartolomeo de las Casas si rivolta nella tomba a sentire certe dichiarazioni ufficiali, le quali, invece di "aggiustare il danno", ne fanno uno più grande. Perché non chiedere il parere agli interessati, magari ai 15 milioni di indios sterminati con la spada e con la croce, in soli vent’anni di "evangelizzazione" (1560-1580)? *
APARECIDA, 21.5.2007 (ZENIT.org).- La Chiesa cattolica è stata protagonista della liberazione degli indigeni in America Latina, dice il presidente della Conferenza Episcopale Equadoriana, in risposta alle critiche contro Benedetto XVI.
Mons. Nestor Herrera, vescovo di Machala - secondo l’Agenzia Zenit - fa riemergere la verità storica, rispondendo alle accuse rivolte al papa da Humberto Cholango, presidente della Confederazione dei Popoli della Nazione Kichwa, dell’Equador, che afferma: «Rigettiamo energicamente le dichiarazioni fatte dal sommo Pontefice per quello che si riferisce alla nostra spiritualità ancestrale».
Il papa aveva detto nel discorso di inaugurazione del Celam: «l’utopia di tornare a rivitalizzare le religioni pre-colombiane, separandole da Cristo e dalla Chiesa universale, non sarebbe un progresso, ma un retrocesso. In realtà sarebbe un’involuzione verso un momento storico ancorato al passato». E anche: «La sapienza dei popoli aborigeni li ha felicemente condotti a formare una sintesi tra le loro culture e la fede cristiana che i missionari gli hanno offerto. Da lì è nata una ricca e profonda religiosità popolare, nella quale si evidenzia l’anima dei popoli latino-americani».
Cholango ha approfittato per esprimere la sua solidarietà ai presidenti Evo Morales, della Bolívia, Fidel Castro, di Cuba e Hugo Chávez, del Venezuela. Mons. Nestor replica: questa dichiarazione «non mi stupisce, data l’alienazione politica di questi leaders indigeni. Mi da l’impressione che si pretende dimenticare che la Chiesa cattolica è stata una forza propulsiva della loro liberazione. Questo è molto chiaro in Equador e non solo perché molti membri della Chiesa difendono, con Mons Leônidas Proaño (1910-1988), il diritto dei popoli indigeni di essere padroni del loro destino, ma anche perché gli attuali dirigenti sociali e politici degli indigeni sono stati educati dalla Chiesa. E sono stati appoggiati con lealtà in occasione dei cinquecento anni della loro resistenza. Il Santo Padre parlava ai vescovi da una prospettiva profonda della storia, su un piano teologico, che non trascura di ponderare l’importanza delle "ricche tradizioni religiose" degli antepassati indigeni. Il papa fa risaltare che non c’è stata "l’imposizione di una cultura straniera", perché nessuno può arrivare alla fede attraverso l’imposizione e il vangelo è al sopra delle culture. Lo stesso Santo Padre ha deplorato molte volte le ombre e le ingiustizie del passato. Ma non possiamo vedere soltanto le ombre. Ci sono più luci che ombre, fin dall’inizio dell’evangelizzazione in America, dove l’autentico sentimento cristiano di molti è stato il primo e constante difensore degli indigeni".
* IL DIALOGO, Mercoledì, 23 maggio 2007
La visita del Papa ad Aparecida
Teologia della Liberazione è sempre viva, affermano Boff e Casaldáliga
(Traduzione di Fausto Marinetti) *
Estadão 05 maggio 2007
RIO - La Teologia della Liberazione, che Benedetto XVI ha combattuto prima di essere eletto, continua viva, così come persistono ancora le disuguaglianze dell’America Latina che l’hanno generata. L’attualità di tale teologia d’ispirazione marxista, che ha messo i poveri come la priorità della Chiesa cattolica in America Latina, viene evidenziata dai suoi rappresentanti più significativi: Leonardo Boff e mons. Pedro Casaldáliga. Per il segretario generale del Forum Mondiale della Teologia e Liberazione, il cappuccino Luiz Carlos Susin, la Teologia della Liberazione non solo è viva, ma si è estesa in Africa e in Asia.
Questa corrente, adottata dai sacerdoti dell’America Latina, ebbe il suo auge negli anni 70, specialmente nei paesi con gravi problemi di povertà o che erano sotto la dittatura o in guerra civile. Il Vaticano, preoccupato per l’inspirazione marxista del movimento, lottò fortemente contro questa tendenza attraverso la Congregazione della Dottrina della Fede, capeggiata dal Papa attuale, che visita un Brasile, nel quale la Teologia della Liberazione si suppone che abbia perso la sua forza iniziale. "Come tutti i movimenti, ha avuto un momento per nascere, crescere, indebolirsi e sparire", afferma l’arcivescovo di São Paulo, Odilio Scherer, il quale dà ad intendere che il movimento è finito. Ma Boff dichiara: "Lo stesso Vaticano sa di aver perso la battaglia. I due documenti del 1984 e 1986 non hanno frenato il movimento. E’ nato ascoltando il grido degli oppressi e oggi questo grido si è trasformato in clamore.
Casaldaliga afferma che l’opzione della Chiesa per i poveri non perde la sua attualità in un’America Latina che ha ancora 205 milioni di sventurati: "Credo fermamente che la Teologia della Liberazione continua ad essere viva in molte menti, testi e in molte comunità. Sono convinto che si sta rinnovando con nuovi apporti. Adesso, oltre ai poveri, la Chiesa ha fatto propria anche la causa del negro, dell’indio, della donna". Susin ritiene che si è ramificata non solo per includere questi nuovi "soggetti storici", ma anche altri orizzonti: Cina, India e Africa. "La Teologia ha acquisito tematiche speciali, che dialogano tra loro".
Per Casaldáliga, che ha scelto di restare in Amazzonia per stare vicino ai poveri, nonostante l’età, la Teologia potrà ricevere nuovo impulso nella 5ª Conferenza del Celam, evento inaugurato da Benedetto XVI ad Aparecida, S. Paolo. "La recente notifica del Vaticano a Jon Sobrino e la preparazione del Celam hanno rimesso tale Teologia sulle prime pagine. E’ possibile procedere (ad Aparecida) e la affermeremo di nuovo con chiarezza, con convinzione, preparati a tutte le conseguenze". Sobrino, gesuita spagnolo che vive a El Salvador, e che con i suoi testi sul Gesù storico e umano si è trasformato in uno dei principali teologi della liberazione, è stato recentemente ammonito dal Vaticano. Ma, al contrario di quello che succedeva quando l’attuale pontefice dirigeva la Congregazione della Dottrina della Fede, questa ammonizione non include una punizione. "La notificazione contiene delle osservazioni, ma non proibisce niente. La stiamo interpretando al meglio, perfino come un invito al dialogo. Ci aspettiamo che ci possa essere una discussione e pare che il papa abbia già detto, in due o tre occasioni, che è favorevole a un dibattito teologico", dice Susin. Boff non la pensa così: "Abbiamo paura che ad Aparecida il papa rinnovi i suoi avvertimenti alla Teologia della Liberazione. Come cristiani rispetteremo sempre la figura del Papa. Ma sappiamo che ha condannato più di cento teologi e ha scritto dei testi duri, quasi fondamentalisti sulle chiese e le religioni e ha controllato le conferenze episcopali progressiste. Per questo è difficile amarlo".
* IL DIALOGO. Mercoledì, 16 maggio 2007
La visita del papa in Brasile
Il domenicano Frei Betto: «Qui in America Latina la Teologia della Liberazione continuerà ad essere attuale»
Secondo l’esponente della corrente di pensiero “sociale” della Chiesa sudamericana, papa Benedetto XVI «ha una visione troppo eurocentrica del mondo»
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/ *
SAN PAOLO (Brasile) - «Fintanto che ci sarà oppressione e due terzi dell’umanità vivrà sotto la soglia della povertà, la Teologia della Liberazione continuerà ad essere attuale: la sua base non è il marxismo, è la miseria». Questo il parere espresso oggi da Frei Betto, in un’intervista esclusiva, il domenicano brasiliano noto anche in Italia per la sessantina di libri che ha scritto e per i suoi costanti interventi sociali.
«Credo che con questo viaggio che si conclude oggi - ha dichiarato Frei Betto, che ha 62 anni -, il Papa si è “bagnato” a piene mani di America Latina. Spero che ora sia un poco più sensibile ai nostri problemi sociali e che questo viaggio in Brasile, il cuore del Sud America, lo aiuti a migliorare la sua ottica rispetto alla diversità culturale e religiosa. Purtroppo Benedetto XVI ha una visione troppo eurocentrica del mondo».
Frei Betto è stato ed è un guru della Teologia della Liberazione, il modo di intendere il cattolicesimo privilegiando l’opzione preferenziale verso i poveri, contro cui Joseph Ratzinger continua a dirsi contrario, «anche se il Vaticano, al di là di censure e avvertenze, non l’ha mai condannata in maniera formale».
«Trent’anni fa la Teologia della Liberazione esisteva solo in America Latina - ha continuato Frei Betto -. Parlavamo di diseguaglianza sociale, di debito estero, di consumismo. Nella seconda metà del pontificato di Giovanni Paolo II, tutti questi temi avevano riferimenti nelle sue dichiarazioni e nei suoi documenti. Basta ricordare la mobilitazione che il Papa ha promosso contro il G8 a Genova. La teologia a partire dai poveri continuerà ad esserci: e se i vescovi gireranno le spalle alla questione sociale, la Chiesa cattolica perderà ancora più fedeli in Brasile».
Riguardo all’aborto, tema che ha avuto vasta eco nel viaggio brasiliano da Benedetto XVI, Frei Betto è molto critico verso il Vaticano, anche se non arriva a parlare espressamente di depenalizzazione: «Mi farebbe piacere che la Chiesa fosse più coerente in difesa della vita e condannasse pure la pena di morte».
«Lo Stato è laico - prosegue - e deve avere il diritto di difendere la vita delle donne povere non più criminalizzando l’aborto: il che non significa essere a suo favore. I ricchi, e molti di loro si considerano cattolici, mandano le loro donne in cliniche private per eseguire aborti in tutta sicurezza. Le donne povere invece corrono rischio di vita».
La sua opposizione alle tesi sostenute da Benedetto XVI si estende ai preti sposati. «Sono a favore della reintegrazione dei sacerdoti sposati nel ministero - ha aggiunto Frei Betto -, così come del celibato facoltativo e dell’ordinazione di uomini e donne sposati. Gesù ha scelto uomini sposati come apostoli. Nel Vangelo si racconta che curò la suocera di Pietro». Frei Betto afferma poi con forza che «la Chiesa cattolica deve essere meno Vaticana, e più universale, adattata alla immensa diversità culturale del mondo attuale».
«Oggi il Brasile ha un maggiore pluralismo religioso - ha concluso Frei Betto -. Purtroppo è più sensibile al consumismo edonista proposto dal neoliberalismo, come vediamo dalle sette. Abbiamo già vissuto sotto una dittatura militare, però conviviamo ancora con la miseria e la diseguaglianza sociale. Il 20 per cento della popolazione ha nelle mani il 64 per cento della ricchezza nazionale. Speriamo che Benedetto XVI abbia compreso che questa terra ha una Chiesa cattolica totalmente integrata dai poveri».
* IL DIALOGO, Lunedì, 14 maggio 2007
In onore di Francesco e Chiara d’Assisi, dei Francescani (Dante Alighieri, compreso!) ... e di Leonard Boff
IGNOTI A SE’ STESSI ...ED ESPORTATORI DI ’CRISTIANESIMO’ E DI ’DEMOCRAZIA’!!!
di Federico La Sala *
La ’lezione’ (di Nietzsche e) di un aborigeno canadese ai ’registi’ della politica ’cattolica’ (e ’laica’).
Credo che ormai siamo proprio e davvero al capolinea - nella totale ignoranza di se stessi i componenti della Gerarchia della Chiesa ’cattolica’ si agitano ... alla ’grande’!!! Non hanno proprio più nulla da dire, evidentemente! Sono scesi in campo ... ma contro Chi?!, contro che cosa?! Contro lo spirito francescano!!!
In segno di solidarietà, qui ed ora - 2005 dopo Cristo, con i francescani in carne ed ossa, oggetto di un richiamo, con un Motu proprio, da parte dell’ex- prefetto ’kantiano’ Ratzinger, il papa Benedetto sedicesimo, forse non è inutile un breve commento a margine... per cercare di stare svegli e di svegliarci, possibilmente - tutti e tutte!
Dennis McPherson, un aborigeno (che ormai "ci" conosce bene, evidentemente!) canadese, ecco cosa (sapientemente e sorprendentemente - per noi, occidentali!!!), alla domanda - “qual è l’essenza dell’essere umano? E’ una creatura speciale con una missione speciale?” - di un’antropologa-intervistatrice, ha risposto:
“ Ha mai sentito parlare di Emanuele Kant? Certo che sì! Sa qual è l’asserzione più importante di Kant? E’ che non può: Kant = can’t (gioco linguistico tra il nome del filosofo e il verbo inglese, che hanno lo stesso suono). Questo sta cercando di fare lei. Sa perché? Perché sta cercando di capire la cultura aborigena! Siete lontano migliaia di anni, siete nell’età dell’oscurantismo”(Rita Melillo, Tutuch (Uccello tuono). A colloquio con gli aborigeni del Canada, Presentazione di D. A. Conci, Mephite s.r.l., Atripalda (AV) 2004, p. 211 e p. 217).
Se teniamo presente le famose parole “De nobis ipsis silemus [...]”(di Francesco Bacone), messe da Kant sopra (come una pietra tombale) e prima di iniziare il suo discorso della e nella Critica della ragion pura, si può dire che il ’nostro’ aborigeno ha capito e visto più che bene - e meglio di tutti i filosofi e teologi dell’Occide[re]nte!!! E ’ce’ lo ha detto in faccia - ’papale’, ’papale’: basta!!!
Noi che non conosciamo ancora noi stessi (Nietzsche) .... e che navighiamo nel più grande “oscurantismo” - quello (più importante!!!) relativo a noi stessi, vogliamo pure dare lezioni ed esportare ’cristianesimo’ e ’democrazia’ in tutto il mondo!? “Mi”!?, e “Mah”!!!?
Federico La Sala
* www.ildialogo.org/filosofia, Martedì, 22 novembre 2005
La visita del Papa ad Aparecida
Gli Indios, offesi da Benedetto XVI
di Raymond Colitt, da Reuters (Traduzione di Fausto Marinetti) *
Il Papa afferma che la Chiesa li ha purificati e voler tornare alle loro religioni sarebbe un tornare indietro
Altra gaffe papale papale! Forse peggio di Ratisbona, perché là parlava, da pari a pari, con degli studiosi, qui offende "gli angeli della foresta", che non sono in grado di difendersi sullo stesso livello culturale, scientifico, libresco. Ma, anche senza strumenti sofisticati, la freccia della verità riesce a "colpire" l’errore. Resta da chiedersi: "Possibile che sia tutto in buona fede?".
BRASÍLIA - Rappresentanti indigeni si dicono offesi dalle dichiarazioni "arroganti e irrispettose" del papa, che la Chiesa cattolica li aveva purificati e che il riprendere la pratica delle loro religioni originarie sarebbe un ritorno al passato.
Nel discorso ai vescovi latino-americani a chiusura della sua visita, il pontefice ha affermato, che la Chiesa non si era imposta ai popoli indigeni delle Americhe. Secondo lui, gli indios avevano accolto bene i preti europei, dal momento che "Cristo era il salvatore che aspettavano silenziosamente".
Si sa che, dopo l’arrivo di Cristoforo Colombo nel 1492, nel continente americano milioni di índios sono morti in conseguenza della colonizzazione europea. "É arrogante e irrispettoso considerare la nostra eredità culturale meno importante della loro", dice Jecinaldo Satere Mawe, responsabile della Coordinazione delle Organizzazioni Indigene dell’Amazzonia Brasiliana (Coiab).
La settimana scorsa, vari gruppi indigeni hanno scritto una lettera al papa, chiedendo il suo appoggio per la difesa delle loro terre e della loro cultura. Avevano detto che "gli índios stanno soffrendo un processo di genocidio" fin dall’arrivo dei colonizzatori europei. I conquistatori, infatti, potevano contare sulla benedizione dei sacerdoti cattolici, benché alcuni di questi li abbiano difesi e molti, oggi, siano tra i loro più importanti alleati. "Lo Stato si è servito della Chiesa per fare il lavoro sporco della colonizzazione degli índios, ma loro hanno già chiesto perdono... adesso vuol dire che il papa sta rinnegando quello che aveva detto la Chiesa?", chiede Dionito José de Souza, leader della tribù Makuxi, di Roraima. Nel 1992 Giovanni Paolo II ha parlato degli errori della evangelizzazione dei popoli nativi delle Americhe.
Quelle dichiarazioni non sono dispiaciute solo agli índios, ma anche ai preti cattolici che appoggiano le loro rivendicazioni, dice Sandro Tuxa,che è a capo del movimento delle tribù del Nordest: "Ripudiamo le affermazioni del papa. Dire che il massacro culturale del nostro popolo rappresenta una purificazione è offensivo e, francamente, spaventoso. Ritengo che deve essere stato consigliato male ".
Lo stesso gruppo cattolico che difende gli índios in Brasile, il Consiglio Indigenista Missionario (Cimi), ha preso le distanze dal papa. Padre Paulo Suess afferma alla Reuters: "Il papa non capisce la realtà degli índios di qui, la sua dichiarazione è sbagliata e insostenibile. Anch’io sono rimasto allibito".
* IL DIALOGO, Giovedì, 17 maggio 2007
La lettera a Benedetto XVI che i francesi non sono abbastanza adulti per leggere
di Claude Lacaille
in “Témoignage Chrétien” n. 3257 del 21 giugno 2007 (www.finesettimana.org)
Pubblicata sulla stampa del Quebec in occasione del viaggio del papa in Brasile nel mese di maggio, questa lettera aperta è stata largamente diffusa nei paesi francofoni e ispanofoni, grazie soprattutto a internet. Al contrario la si è poco letta sulla stampa francese. Témoignage Chrétien la pubblica con l’autorizzazione dell’autore, il quale si confessa “sorpreso dell’eco e meravigliato del dibattito che ha suscitato”. La lettera a Benedetto XVI di questo prete del Quebec, Claude Lacaille, solleva numerose questioni lancinanti per l’insieme della chiesa cattolica: difficoltà di comunicazione con la gerarchia, posto della morale sessuale nei discorsi dell’istituzione, ruolo delle conferenze episcopali, ecc. Ma è soprattutto la delusione e l’incomprensione che sono al centro del testo. Il tentativo di mettere al passo le correnti della teologia della liberazione (“pratica” e non “teoria” secondo Claude Lacaille) e il rimettere la pastorale sacramentale al centro susciterebbe un vero sentimento d’abbandono massiccio dei credenti e delle credenti poveri dell’America latina. “E’ una vergogna mandare in rovina così una chiesa sull’altare di un potere clericale oscurantista” ci ha confidato Claude Lacaille. “L’attuale cardinale di Santiago entra in crisi ogni volta che sente la parola “sociale”: per lui si tratta di marxismo”.
A mio fratello Benedetto XVI
di Claude Lacaille, prete delle Missioni straniere, Trois-Rivières (Quebec)
“Ti indirizzo questa lettera perché ho bisogno di comunicare con il pastore della chiesa cattolica e perché non esiste nessun canale di comunicazione per raggiungerti. Mi indirizzo a te come a un fratello nella fede e nel sacerdozio poiché abbiamo ricevuto in comune la missione di annunciare il Vangelo di Gesù a tutte le nazioni.
Io sono prete missionario del Quebec da 45 anni; mi sono impegnato con entusiasmo al servizio del Signore all’apertura del concilio ecumenico Vaticano II. Mi sono trovato a lavorare in ambienti particolarmente poveri: nel quartiere Bolosse a Port au-Prince sotto François Duvalier, poi tra i Quichuas in Equador, e infine in un quartiere operaio di Santiago del Cile, sotto la dittatura di Pinochet.
Nel leggere il Vangelo di Gesù durante i miei studi secondari, sono rimasto impressionato dalla folla di poveri e di menomati dalla vita di cui si circondava Gesù mentre i numerosi preti che ci seguivano nel collegio cattolico ci parlavano solo di morale sessuale. Avevo 15 anni.
A bordo dell’aereo che ti conduceva in Brasile, hai ancora una volta condannato la teologia della liberazione come un falso millenarismo e un miscuglio non corretto di chiesa e politica. Sono rimasto profondamente scioccato e ferito dalle tue parole. Avevo già letto e riletto le due istruzioni che l’ex cardinale Ratzinger aveva pubblicato su questo tema. Vi si descrive uno spauracchio che non rappresenta per niente il mio vissuto e le mie convinzioni. Non ho avuto bisogno di leggere Karl Marx per scoprire l’opzione per i poveri. La teologia della liberazione non è una dottrina, una teoria; è un modo di vivere il vangelo nella prossimità e solidarietà con le persone escluse, impoverite.
E’ indecente condannare così pubblicamente dei credenti che hanno consacrato la loro vita, e noi siamo decine di migliaia di laici, di religiose e di religiosi, di preti venuti da ogni parte ad aver seguito lo stesso cammino. Essere discepolo di Gesù, è imitarlo, seguirlo, agire come ha agito. Non comprendo il grave accanimento contro di noi. Proprio prima del tuo viaggio in Brasile hai ridotto al silenzio e congedato dall’insegnamento cattolico padre Jon Sobrino (ndr.: al momento non è stata emanata nessuna sanzione), teologo impegnato e devoto, compagno dei gesuiti martiri del Salvador e di monsignor Romero. Quest’uomo di 70 anni ha servito con coraggio e umiltà la chiesa dell’America latina con il suo insegnamento. E’ un’eresia presentare Gesù come un uomo e di trarne le conseguenze?
Ho conosciuto la dittatura di Pinochet in Cile in una chiesa guidata valorosamente da un pastore eccezionale, il cardinal Raul Silva Henriquez. Sotto il suo governo, abbiamo accompagnato un popolo spaventato, terrorizzato dai militari fascisti cattolici che pretendevano di difendere la civiltà cristiana occidentale torturando, sequestrando, facendo scomparire e assassinando.
Ho vissuto quegli anni in un quartiere popolare particolarmente colpito dalla repressione, la Bandera. Sì, ho nascosto delle persone; sì, ne ho aiutate a lasciare il paese; sì, ho aiutato della gente ha salvare la pelle; sì, ho partecipato a degli scioperi della fame. Ho anche consacrato quegli anni a leggere la bibbia con la gente dei quartieri popolari. Centinaia di persone hanno scoperto la parola di Dio e questo ha permesso loro di far fronte all’oppressione con fede e coraggio, convinti che Dio li accompagnava.
Ho organizzato delle mense dei poveri e dei laboratori artigianali per permettere a degli anziani prigionieri politici di ritrovare il loro posto nella società. Ho raccolto i loro corpi assassinati all’obitorio e ho loro dato una sepoltura degna di esseri umani. Ho promosso e difeso i diritti della persona a rischio della mia integrità fisica e della mia vita. Sì, la maggior parte delle vittime della dittatura erano marxisti, e noi ci siamo fatti prossimi perché queste persone ci erano simili.
Abbiamo cantato e sperato insieme la fine di questa ignominia. Abbiamo sognato insieme la libertà. Che avresti fatto al mio posto? Per quale peccato vuoi condannarmi, mio fratello Benedetto? Che cosa ti indispone così tanto in questa pratica? E’ così distante da ciò che Gesù avrebbe fatto nelle stesse circostanze? Come pensi che io mi senta quanto ascolto le tue condanne reiterate? Giungo come te al termine del mio servizio ministeriale e mi attenderei di essere trattato con più rispetto e più affetto da parte di un pastore. Ma tu mi dici: “Non hai capito nulla del Vangelo. E’ solo marxismo! Sei un ingenuo!” Non si tratta di eccessiva arroganza da parte tua?
Rientro dal Cile, dove ho rivisto i miei amici del quartiere dopo 25 anni; nel gennaio scorso sono venuti in 70 ad accogliermi. Mi hanno accolto fraternamente dicendomi: “Tu hai vissuto con noi, come noi, ci hai accompagnato durante i peggiori anni della nostra storia. Sei stato solidale e ci hai amato. E’ per questo che ti vogliamo molto bene”. E questi stessi lavoratori e lavoratrici mi dicevano: “Siamo stati abbandonati dalla nostra chiesa. I preti sono rientrati nei loro templi; non condividono più con noi, non vivono più tra noi”.
In Brasile c’è la stessa realtà: in 25 anni si è rimpiazzato un episcopato impegnato presso i contadini senza terra e i poveri delle favelas delle grandi città con vescovi conservatori che hanno combattuto e rifiutato centinaia di comunità di base, dove la fede si viveva nella vita concreta. Tutto questo ha provocato un vuoto immenso che le chiese evangeliche e pentecostali hanno colmato: sono rimaste in mezzo al popolo e centinaia di migliaia di cattolici passano a queste comunità.
Caro Benedetto, ti supplico di cambiare il tuo sguardo. Non hai l’esclusività del soffio divino; tutta la comunità ecclesiale è animata dallo spirito di Gesù. Ti prego, ritira le tue condanne; tra breve sarai giudicato dal solo autorizzato a classificare chi sta destra e chi a sinistra, e sai come me che è sull’amore che saremo giudicati.”