AL SERVIZIO DEL MONDO
In attivo i conti del Vaticano
A finanziare le attività degli uffici della Curia, che non producono ricavi, provvedono Conferenze episcopali, diocesi e istituti religiosi: le loro offerte sono aumentate nel 2006 passando da 73,9 a 86 milioni di euro
Da Roma Salvatore Mazza (Avvenire, 07.07.2007)
Si è chiuso in attivo, per il terzo anno consecutivo, il bilancio consolidato della Santa Sede. Entrate per 227 milioni 815 mila euro, e uscite per 225 milioni e 409 mila euro, con un saldo positivo di poco oltre i 2,4 milioni di euro. Una «buona notizia», dunque, come ha sottolineato ieri mattina il cardinale Sergio Sebastiani, presidente della Prefettura degli Affari economici, nella conferenza stampa convocata per presentare e "spiegare" i numeri del bilancio consolidato 2006, anticipati qualche giorno fa.
Un «risultato positivo», l’attivo conseguito, pur se «rappresenta il valore meno elevato» dopo quelli registrati nel 2005 (+9,7 milioni) e nel 2004 (+3,1 milioni). Nel bilancio sono conteggiati i costi «di tutte le Amministrazioni pontificie, oltre alle 118 Sedi di rappresentanza pontificia sparse in tutto il mondo e le nove Sedi presso gli organismi internazionali».
Nel corso dell’incontro, introdotto dal direttore della Sala Stampa padre Federico Lombardi, e presenti monsignor Franco Croci, segretario della Prefettura degli Affari economici, e il ragioniere generale Paolo Trombetta, sono state passate in esame le diverse voci iscritte a bilancio. A iniziare ovviamente dalle attività istituzionali, ossia quelle svolte dai Dicasteri e gli Uffici della Curia Romana, ovvero dagli «organismi che assistono da vicino il Santo Padre nella missione di pastore universale a servizio delle Chiese locali, come anche a beneficio dell’umanità, come operatori di pace», e che «non producono ricavi - ha sottolineato Sebastiani - e per questo sono soggetti alla prescrizione canonica 1271 che invita i vescovi a venire incontro liberamente alle attività della Santa Sede».
Il canone richiamato è quello che invita Conferenze episcopali, diocesi, istituti religiosi, fedeli ed Enti ecclesiastici vari a farsi carico, a seconda delle proprie possibilità, dell’esercizio apostolico della Santa Sede. Ebbene, nel 2006 le offerte raccolte attraverso questa disposizione sono aumentate, rispetto all’anno precedente, da 73,9 milioni di euro a 86 milioni nel 2006.
Quanto ai costi, sempre per l’attività istituzionale, l’aumento è stato di quasi 5 milioni, da 121,3 a 126,2 milioni di euro, variazione dovuta sia ai costi aggiuntivi per il personale, sia all’aumento delle spese generali e amministrative (da 13,4 a 15,3 milioni), e di quelle per il mantenimento di rappresentanze e nunziature (da 19,6 a 20,6 milioni). Riguardo all’attività finanziaria, l’incremento dei contributi ha permesso di assorbire il calo molto pronunciato dell’avanzo netto che è stato nel 2006 di 13,7 milioni contro 43,3 milioni nel 2005. Ciò, ha spiegato Sebastiani, in base al «principio della prudenza» che guida questo settore, per cui gran parte degli investimenti sono obbligazioni statali anziché azioni, che sono a maggior rischio.
Sempre nel 2006, il settore immobiliare ha registrato un netto di 32,3 milioni (22,4 nel 2005). Negativo, al contrario, il saldo delle "istituzioni collegate" - Radio Vaticana, Tipografia vaticana, Osservatore Romano, Centro televisivo vaticano e Libreria Editrice vaticana: il disavanzo è di 12,8 milioni di euro, in massima parte dovuti alla Radio (che però non ha entrate) e all’Osservatore.
Obolo di San Pietro: anno record
Grazie a donazioni eccezionali superata quota 100 milioni di euro
Da Roma Salvatore Mazza (Avvenire, 07.07.2007)
Ha largamente superato i 100 milioni di euro, nel 2006, il gettito dell’Obolo di San Pietro. Un risultato dovute alle donazioni «eccezionali» che si sono registrate nel corso dell’anno passato. E che mentre va - ovviamente - visto nel suo valore, non deve far immagine che si tratti di un risultato facilmente ripetibile. Non poteva passare sotto silenzio il dato anticipato qualche giorno fa da una nota della Segreteria di Stato, che informava che la raccolto dell’Obolo aveva raggiunto nel 2006 la cifra di ben 101 milioni e 900 mila dollari. E infatti ieri, nel corso della conferenza stampa per la presentazione del bilancio consolidato 2006 della Santa Sede, è stato chiesto dai giornalisti un commento su questa straordinaria performance.
«È un fatto - ha risposto il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi - che quest’anno ci sono state delle offerte eccezionali. Questo però è bene dirlo, perché non ci si aspetti che ogni anno ci siano. Puoi avere un anno in cui uno ti fa una grandissima offerta e questo fa salire molto l’entrata, ma se l’anno dopo quest’offerta eccezionale non c’è, tu non puoi contarci e non te ne puoi neanche stupire».
A comporre la somma che va sotto la voce dell’Obolo concorrono tutte le offerte liberali in arrivo dalle Chiese locali, dagli Istituti religiosi, dalle Fondazioni e dai singoli fedeli. La cifra non rientra dunque nel bilancio della Santa Sede, ma viene iscritta in quello del Governatorato del Città del Vaticano. In cima alla lista dei Paesi donatori sono ancora gli Stati Uniti, e ciò «nonostante» il peso «degli scandali» che di recente hanno investito quella Chiesa locale con la vicenda dei preti pedofili, come ha rilevato il cardinale Sergio Sebastiani. Germania e Italia seguono al secondo e terzo posto.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Doc.:
A) Testo latino
B) Testo italiano
COSTITUZIONE DOGMATICA SULLA CHIESA
LUMEN GENTIUM (21 novembre 1964):
42. « Dio è amore e chi rimane nell’amore, rimane in Dio e Dio in lui » (1 Gv 4,16). Dio ha diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (cfr. Rm 5,5); perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di lui. Ma perché la carità, come buon seme, cresca e nidifichi, ogni fedele deve ascoltare volentieri la parola di Dio e con l’aiuto della sua grazia compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all’eucaristia, e alle azioni liturgiche; applicarsi costantemente alla preghiera, all’abnegazione di se stesso, all’attivo servizio dei fratelli e all’esercizio di tutte le virtù. La carità infatti, quale vincolo della perfezione e compimento della legge (cfr. Col 3,14; Rm 13,10), regola tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine [132]. Perciò il vero discepolo di Cristo è contrassegnato dalla carità verso Dio e verso il prossimo.
* PAOLO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO
A PERPETUA MEMORIA
Santa crisi, Vaticano al verde
di Luca Kocci (il manifesto, 5 agosto 2010)
Santo Ior e benedetti fedeli. Perché senza la robusta stampella messa a disposizione dalla banca vaticana e le cospicue offerte provenienti dai cattolici di tutto il mondo, il Vaticano potrebbe dichiarare bancarotta. I bilanci di Oltretevere, infatti, per il terzo anno consecutivo sono in rosso. Un passivo meno consistente di quello del 2008, quando il saldo negativo complessivo era stato di 16 milioni di euro (l’anno precedente, invece, il buco fu di 2 milioni e 300 mila euro), ma ugualmente pesante: perdite per 12 milioni di euro, però abbondantemente sanate da una donazione dello Ior di 50 milioni, dal sostegno arrivato dalle diocesi cattoliche e dalle offerte dei fedeli per il cosiddetto Obolo di San Pietro che rimettono in sesto tutti i conti e consentono alle finanze del papa di godere di ottima salute.
I bilanci ufficiali dell’anno 2009 sono stati resi noti pochi giorni fa, a conclusione della riunione a porte chiuse del Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, presieduta dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e di cui fanno parte, fra gli altri, l’arcivescovo opusdeista di Lima Juan Luis Cipriani e gli ultraconservatori Antonio Maria Rouco Varela, arcivescovo di Madrid e principale animatore dei family day in salsa spagnola contro le politiche laiche di Zapatero, George Pell (arcivescovo di Sidney) e il neo prefetto della Congregazione per i vescovi, il canadese Marc Ouellet, arcivescovo di Québec. La situazione peggiore riguarda la Santa Sede, cioè il governo centrale della Chiesa cattolica mondiale, che conta 2.762 dipendenti - di cui 1.652 laici - e che comprende tutti i dicasteri e gli organismi della Curia romana, l’Amministrazione del patrimonio della Santa Sede (l’Apsa, che controlla l’enorme quantità di beni mobili e immobili di proprietà vaticana) e i mezzi di comunicazione. Nel corso del 2009 ci sono state entrate per poco più di 250 milioni di euro e uscite per oltre 254 milioni, con un disavanzo quindi di poco superiore ai 4 milioni di euro, mentre lo scorso anno le perdite erano state di soli 911mila euro. Ad incidere negativamente, oltre alle spese ordinarie e straordinarie della Curia, sono stati i costi per mantenere in piedi L’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, e soprattutto Radio Vaticana, da qualche giorno di nuovo sotto accusa perché, secondo la perizia dell’Istituto tumori di Milano ordinata dal Gip Stefano Pesci titolare dell’inchiesta, le onde elettromagnetiche rilasciate dalle sue potentissime antenne nella zona a nord di Roma sarebbero la causa dell’insorgenza di leucemie nei cittadini che abitano nei dintorni. Giornale ed emittente radiofonica perdono circa 15 milioni di euro l’anno, compensati solo in minima parte dalla pubblicità commerciale delle grandi aziende - dall’Enel, all’Eni, fino all’Alitalia - che dall’estate scorsa viene trasmessa sulle frequenze della radio del papa.
Sono invece in attivo di circa 2 milioni il Centro televisivo vaticano (Ctv) - il centro di produzione che riprende in esclusiva le immagini video del papa e degli eventi in Vaticano e le vende alle tv di tutto il mondo - e la Libreria editrice vaticana (Lev), unica proprietaria «in perpetuo e per tutto il mondo» dei diritti d’autore sui discorsi e sugli scritti dei papi dell’ultimo cinquantennio e dei vari dicasteri della Santa sede.
Un copyright rigidissimo, regolato da un apposito decreto pontificio, che nel caso di papa Ratzinger è stato allargato anche a tutte «le opere e gli scritti redatti dallo stesso pontefice prima della sua elevazione alla Cattedra di Pietro»: all’editore Baldini & Castoldi, per fare un solo esempio, è stato chiesto il 15% del prezzo di copertina per ogni copia venduta del Dizionario di papa Ratzinger, una guida al pontificato di Benedetto XVI curata dal vaticanista della Stampa Marco Tosatti, il quale per la redazione di quattro voci del libro aveva utilizzato 50 righe dell’omelia Pro eligendo pontifice, pronunciata in apertura di Conclave dall’ancora cardinal Ratzinger, e dell’omelia della prima celebrazione eucaristica presieduta da papa Benedetto XVI.
Male anche i conti del Governatorato della Città del Vaticano, cioè l’erede del vecchio Stato pontificio, l’organo a cui il papa - che secondo la costituzione vaticana rimane il sovrano assoluto - ha affidato l’esercizio del potere esecutivo: con nove direzioni, sei uffici centrali e 1.891 dipendenti quasi tutti laici e maschi amministra il territorio statale, controlla le istituzioni e gestisce i servizi, i musei, la gendarmeria e le finanze, tranne lo Ior, che invece è autonomo e saldamente in attivo. Nel 2009 il bilancio dello Stato vaticano ha chiuso con un passivo di quasi 8 milioni di euro (ma l’anno precedente le perdite furono quasi il doppio) per gli «effetti della crisi economico-finanziaria internazionale», ossia per operazioni speculative e investimenti andati male, ha spiegato monsignor Velasio De Paolis, presidente della Prefettura degli affari economici della Santa Sede e da pochissimi giorni anche "delegato pontificio", ovvero "commissario", della Congregazione dei Legionari di Cristo, pesantemente coinvolta nello scandalo pedofilia per gli abusi sessuali compiuti direttamente per almeno 50 anni dal fondatore, padre Marcial Maciel Degollado, solo nel 2006 sospeso a divinis dal successore di Ratzinger alla guida della Congregazione per la dottrina della fede, cioè l’ex Sant’Uffizio, e poi morto nel 2008.
Fra Santa Sede e Stato Città del Vaticano una perdita complessiva, quindi, di 12 milioni di euro totalmente coperta dall’Istituto opere di religione - lo Ior, la banca vaticana, di nuovo al centro delle inchieste della magistratura sulla "cricca" dell’ex gentiluomo del papa Angelo Balducci & co - e, soprattutto, dai portafogli dei fedeli, che insieme hanno donato più di dieci volte tanto.
Dallo Ior del neo governatore Ettore Gotti Tedeschi, filo-ciellino e assai vicino all’Opus Dei nonché grande amico del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, sono arrivati in Vaticano 50 milioni di euro per imprecisate «attività di religione del Santo Padre». E poi ci sono le offerte dei fedeli, sia indirette che dirette. Fra le prime quelle delle diocesi di tutto il mondo che hanno versato alla Santa Sede contributi per 31 milioni e 500 mila dollari (25 milioni di euro), in obbedienza a quanto previsto dal Codice di diritto canonico: «I vescovi, in ragione del vincolo di unità e di carità, secondo le disponibilità della propria diocesi, contribuiscano a procurare i mezzi di cui la Sede Apostolica secondo le condizioni dei tempi necessita, per essere in grado di prestare in modo appropriato il suo servizio alla Chiesa universale». I più generosi sono stati i vescovi degli Stati Uniti e della Germania, di manica assai larga da quando in Vaticano c’è un papa tedesco.
Infine le offerte dirette dei cattolici per l’Obolo di San Pietro, «l’aiuto economico che i fedeli offrono al Santo padre come segno di adesione alla sollecitudine del successore di Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità». Una tradizione di origine medievale, formalizzata da Pio IX in un’enciclica del 1871 all’indomani della breccia di Porta Pia, che nel 2009 ha portato nelle casse del papa quasi 82 milioni e 500mila dollari, pari a 65 milioni e 500 mila euro. Offerte in crescita di 11 milioni di euro rispetto all’anno precedente, ma va detto che quando i fedeli hanno messo mano al portafoglio lo scandalo pedofilia non era ancora esploso a livello internazionale, per cui, secondo diversi analisti vaticani dal prossimo anno il volume delle offerte potrebbe precipitare. E i conti della Santa Sede scricchiolare.
Lo Ior e il Vaticano
risponde Luigi Cancrini (l’Unità, 30.01.10)
Non posso fare a meno di ringraziare Margherita Hack che a «Otto e mezzo» ci ha ricordato che in Italia oggi comanda un Vaticano che, francamente, non mi pare intenzionato a diffondere il messaggio evangelico sull’eguaglianza degli uomini, ma quello più redditizio del profitto economico.
Silvana Stefanelli
RISPOSTA
In «Qualunque cosa succeda» (Sironi editore), dedicato alla memoria di suo padre Giorgio, Umberto Ambrosoli ha lucidamente ricostruito l’imbroglio che Sindona aveva organizzato ai danni del nostro paese. C’erano, con lui, la Democrazia Cristiana di Andreotti e lo Ior, la banca del Vaticano legata alla P2 che tanta parte ha avuto nella vicenda politica italiana del secondo dopoguerra. Margherita Hack fa bene a ripeterlo, c’è una continuità impressionante fra quello che accadeva allora e quello che accade oggi che a capo del Governo c’è un uomo che nella P2 ha iniziato la sua carriera. Di lui infatti il Vaticano (che la rappresenta ma, per fortuna, non è la Chiesa) ha sfacciatamente auspicato e favorito (scendendo in capo col Family Day) il ritorno al potere. Continuando a godere senza problemi di coscienza i frutti di questo appoggio: la spregiudicatezza della finanza tanto cara agli uomini (o ai prelati) dello Ior, la tutela degli insegnanti di religione nominati dai Vescovi nella scuola pubblica e la difesa di leggi (l’ultima è il testamento biologico) ipocritamente confessionali. Come con la Dc di Sindona.
Il libro scritto da Claudio Rendina fa sembrare Dan Brown un principiante
Un’istituzione bimillenaria raccontata nel suo lato peggiore
La "santa Casta" non va in paradiso
I peccati della Chiesa
Ma sulla questione dell’Olocausto l’autore sostiene che Pio XII fece salvare 600 ebrei
In una storia così lunga, per ogni infamia c’è però sempre una virtù
Il caleidoscopio di nequizie ecclesiastiche è ricco di esempi
di Filippo Ceccarelli (la Repubblica, 17.03.2009)
A proposito di odio, morsi, divoramenti in Vaticano e dentro la Chiesa: eh, figurarsi, non è mica la prima volta, da quelle parti la storia offre molto di peggio. E dunque, tenendosi larghi e vaghi, per non dire indulgenti: stragi, avvelenamenti, saccheggi, roghi, torture, idolatrie, simonie, traffici, nepotismi, incesti, pedofilia, riesumazione e vilipendio di cadaveri, con tanto sacri paramenti indosso, e a lungo si potrebbe continuare, secolo dopo secolo, con il soccorso di una imponente documentazione.
A chi invoca a tutto spiano il premiato binomio Radici & Tradizione contro le magagne del presente relativismo; a chi vede la speranza o addirittura intravede la salvezza nel passato trionfale dell’autorità pontificia, forte di valori antichi e inflessibile nella vera fede, si raccomanda vivamente di buttare un occhio su quest’ultimo volume di Claudio Rendina, instancabile erudito che con la consueta asciuttezza si misura questa volta su La Santa Casta della Chiesa (Newton Compton, pagg. 383, euro 12,90). Inevitabilmente suggestivo il sottotitolo: "Duemila anni di intrighi, delitti, lussurie, inganni e mercimonio tra papi, vescovi, sacerdoti e cardinali". Così è, d’altra parte: e continua pure.
Sarebbe ingiusto adesso sminuire il dramma anche personale di Benedetto XVI sulla conduzione della Chiesa. E tuttavia, "nella consapevolezza del lungo respiro che essa possiede", come si legge nella lettera da lui pubblicata l’altro giorno sull’Osservatore romano, occorrerà riconoscere che ad alcuni predecessori di Joseph Ratzinger è andata decisamente peggio; così come altri papi assai più di lui certamente fallirono, o nel modo più spaventoso vennero consigliati, altro che mancata consultazione "mediante l’internet". Il campionario di Rendina, le cui diverse cronologie e gli approfondimenti di storia pontificia si trovano pur sempre nelle librerie intorno alla Santa Sede, offre in questo senso una rimarchevole varietà di esempi: papi eletti tre volte, papi saliti sul sacro trono a suon di quattrini, papi mezzi atei o interamente pagani, papi davvero molto attaccati alle loro famiglie, tanto da battezzare il "nepotismo", papi assassini, bruti, spergiuri, ladroni, perversi, dementi e biscazzieri. Ce n’è uno, Giovanni XII, probabile record-man dei secoli bui, che nominò vescovo il suo amante, un ragazzino di 10 anni, e che scoperto a letto con l’amica, venne poi buttato giù dalla finestra. Ce n’è un altro ben più famoso, Alessandro VI, della famiglia Borgia, che ne fece a tal punto di cotte e di crude, pure la corrida sotto il Cupolone, che nei santini distribuiti "in solemnitate pascali" lo scorso anno nella basilica di San Pietro, e recanti l’immagine de La Resurrezione di Cristo del Pinturicchio, ecco, quel papa lì, che per giunta era il committente dell’opera, ecco, risulta cancellato dal quadro, come nelle foto della nomenklatura sovietica dopo le purghe.
E saranno anche vicende che si perdono nella notte dei tempi, cosa ovvia per un’istituzione bimillenaria. Ma insomma, prima di Rendina, il peccato che sin dall’inizio grava sulla Chiesa ha del resto ispirato la più alta poesia e letteratura, da Iacopone a Dante, da Petrarca fino al Belli, e oltre.
Tutto però sembra oggi rimosso dal discorso pubblico e in particolare dall’armamentario teo-con - secondo l’antica pratica, peraltro evangelica, della pagliuzza e della trave. Dai primissimi commerci di loculi e reliquie nelle catacombe alla controversa carriera dell’odierno comandante delle Guardie Svizzere; dalle torture dell’Inquisizione alle turpi pratiche del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel, su degli innocenti; dalle cortigiane che nella Curia cinquecentesca si comportavano come autentiche "papesse" fino alle speculazioni edilizie post-risorgimentali, il libro di Rendina certamente si presenta come un caleidoscopio di nequizie ecclesiastiche, un prontuario di immoralità vaticana da far sembrare Dan Brown uno sprovveduto principiante.
Ma al dunque si può e forse addirittura si dovrebbero leggere, queste pagine, come un saggio storico sulla genealogia e gli sviluppi imprevisti di un potere che più di ogni altro sulla faccia della terra costringe degli uomini con la mantella bianca a fare i conti con l’essenza del sacro e al tempo stesso con le inesorabili necessità del profano; e quanto più tale sovranità si concentra sulla materia, sui corpi, sul denaro, sulle apparenze, tanto più automaticamente ne risente lo spirito o lo Spirito, se si preferisce. E sebbene anche per Santa Romana Chiesa i tempi sono quelli che sono, tempi di paure, di ritorni, di sbarramenti, sarebbe sbagliato liquidare questa torbida rievocazione come parte del solito complotto laicista. E non solo perché l’autore è fuori dai giri e anzi, per dire, sulla questione delle responsabilità di Pio XII nell’Olocausto sposa la tesi opposta, sostenendo che la Santa Sede mise in salvo 600 mila ebrei "con un impegno finanziario non indifferente". Ma soprattutto perché da una lettura distaccata e senza pregiudizi appare chiarissimo come in una storia così lunga e così umana per ogni infamia c’è sempre un’eroica virtù; e quindi a ogni mascalzone della Santa Casta corrisponde un santo, a ogni sacro carnefice o barattiere un Francesco d’Assisi, a ogni Borgia un Filippo Neri, a ogni Marcinkus una Madre Teresa di Calcutta.
Questa necessitata ambivalenza si meriterebbe forse una maggiore umiltà. Adesso, per dire, c’è la crisi. Quando se ne videro i primi effetti, nell’autunno scorso, un intelligente uomo di banca, nonché autorevole editorialista dell’Osservatore romano, Ettore Gotti Tedeschi, già segnalatosi per aver consigliato ai manager di fare gli esercizi spirituali, ha spiegato grosso modo in un’intervista che alle origini del disastro finanziario c’è l’etica dei banchieri protestanti, mentre i nostri uomini di finanza, cioè cattolici, "sono in grandissima parte seri, trasparenti e dotati di visione etica".
E meno male che c’è da stare tranquilli! Però poi subito viene da pensare ai bacetti di Fiorani al pio governatore Fazio, o al crack Parmalat e al mega-cattolico Tanzi che scarrozzava cardinali con il suo aeroplano; ed è un peccato che non si possa sentire al riguardo Nino Andreatta, che fu ministro del Tesoro ed ebbe il suo da fare ai tempi dello scandalo Ior; per non dire Sindona e Calvi, poveri morti ammazzati, entrambi a suo tempo "banchieri di Dio".
Che invece Iddio non ne avrebbe tanto bisogno, di banchieri personali o nazionali, a differenza del Vaticano, che invece sono duemila anni che si accanisce e si avvilisce appresso a Mammona in forma di tariffe penitenziali, vendita d’indulgenze, proficue crociate, fabbricazione di giubilei, peripezie valutarie, funambolismi azionari e finanziari. E che magari adesso, in qualche missione "sui iuris" alle Cayman, qualche titoletto tossico nel portafoglio se lo potrebbe anche ritrovare, come del resto è già capitato nelle migliori famiglie della finanza.
Dell’economia e perciò anche della crisi e delle sue vittime il Papa, che ha già detto tante buone parole, pubblicherà presto un’enciclica sociale, "Caritas in veritate". Il titolo suona piuttosto impegnativo, ma certo un gesto simbolico non guasterebbe. Nel frattempo, rispetto a odio, morsi, divoramenti e umane debolezze, vale comunque il salmo 129: "Si iniquitates observaveris, Domine, quis sustinebit?". Se consideri solo le colpe, o Signore, chi mai potrà esistere?
«Carità del Papa» mano tesa al mondo
Si celebrerà domenica la giornata dedicata all’Obolo di San Pietro, un gesto antico che mostra il volto di una Chiesa vicina agli ultimi
Poli: «Così partecipiamo al ministero del Pontefice»
DI MATTEO LIUT (Avvenire, 27.06.2008)
Non solo una felice coincidenza ma un’occasione speciale per riscoprire le radici apostoliche di un gesto che da secoli tiene ben saldo il legame tra la comunità cristiana e le necessità del mondo. Domenica, infatti, è la Giornata della carità del Papa, dedicata all’«Obolo di San Pietro», che quest’anno cade in coincidenza con la solennità dei santi Pietro e Paolo. Seguendo nei loro gesti i due apostoli, allora, tutta la Chiesa sarà chiamata a riscoprire le motivazioni autentiche di un’attenzione che non si esaurisce nel « mettere mano al portafogli » , ma che esprime una partecipazione attiva all’opera di chi si adopera per rendere visibile il «Regno di Dio», facendosi vicino agli ultimi. I poveri e le vittime di catastrofi di ogni genere, i bisognosi e i dimenticati, infatti, sono spesso solo immagini evanescenti che passano per qualche secondo sui nostri schermi televisivi. Molte volte il loro dolore non lambisce neppure le tavole imbandite dalle quali gettiamo occhiate distratte alla tv. Altre volte ci sentiamo semplicemente impotenti davanti a tanta sofferenza. Ciò che i mass media non mostrano, però, è il modo, silenzioso ma incisivo, con il quale il Successore di Pietro si fa vicino ai sofferenti, arrivando spesso proprio do- ve la sofferenza è dimenticata. Partecipare all’Obolo di San Pietro significa allora arrivare in questi stessi luoghi assieme alla mano del Pontefice. «La ’specificità’ dell’Obolo rispetto a tante altre forme di solidarietà nei confronti dell’attività caritativa della Chiesa - spiega monsignor Tullio Poli, direttore dell’Ufficio Obolo di San Pietro - sta nel fatto di non essere vincolato ad alcuna etichetta o destinazione specifica: è il Papa stesso, infatti, che ne dispone liberamente, tenendo presenti le necessità del mondo che si manifestano di situazione in situazione, o le emergenze che straordinariamente bisogna fronteggiare. Al ’cuore’ dell’Obolo - aggiunge Poli - sta il ’respiro mondiale’ che appartiene alla figura del Pontefice come pastore della Chiesa universale: la comunione e la corresponsabilità risiedono proprio nel condividere le sollecitudini del successore di Pietro per le frontiere della sua comunità, in tutta la sua ampiezza».
Ma come si concretizza questa attenzione particolare del Papa? Nel 2007 e in questi primi mesi del 2008 gli interventi resi possibili dalla carità del Papa hanno raggiunto le vittime delle guerre e dei disastri naturali, come gli alluvionati in Birmania e i terremotati in Cina. Una parte dell’obolo, poi, arriva alle diocesi in via di costituzione, ai centri di educazione cattolica (con relative borse di studio), ai villaggi di bambini orfani a causa di genocidi, guerre o malattie. Realtà cui di recente si è aggiunto il sostegno allo sviluppo della comunità ecclesiale in Amazzonia. Ma la partecipazione, che in questi anni ha visto un aumento sensibile delle offerte, si realizza in molti Paesi attraverso i « promotori » della raccolta a favore dell’Obolo. Molte Chiese locali, infatti, hanno visto nascere di recente la figura dei «delegati nazionali » . Ad essi vanno aggiunti anche i gruppi attivi da tempo: «I soci del Circolo San Pietro, secondo una antica tradizione, saranno attivamente impegnati a promuovere questa iniziativa, operando al servizio della Chiesa di Roma», ricorda il cardinale vicario Camillo Ruini, nella lettera inviata nelle scorse settimana alla Chiesa della capitale in vista della Giornata di domenica. «Desideriamo aiutare il Papa, vescovo della Chiesa che è chiamata a ’presiedere nella carità’, con un segno tangibile della nostra condivisione per la sua universale sollecitudine», aggiunge il porporato spiegando il significato dell’offerta all’Obolo.
Gettando uno sguardo ai dati degli anni scorsi si scopre che tra i Paesi donatori in testa ci sono gli Usa, l’Italia e la Germania. Ma si fanno notare anche i Paesi dell’Est, che «dopo il crollo del Muro di Berlino hanno adottato con entusiasmo e senso di corresponsabilità la prospettiva della partecipazione alla vita della Chiesa universale», spiega Poli. Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, le offerte sono cresciute di più del 20% tra il 2006 e il 2007. Anche per questo nell’ultima Assemblea generale della Cei i vescovi hanno sottolineato che «la generosità delle nostre Chiese si è sviluppata in questi ultimi anni in un crescendo incoraggiante, pari al crescendo dell’affetto e dell’attenzione che i fedeli manifestano verso Benedetto XVI sia quando convengono a Roma come pellegrini, sia in occasione dei suoi viaggi apostolici».
Ansa» 2008-03-12 20:50
PAPA, SARA’ "CARITAS IN VERITATE" LA SUA NUOVA ENCICLICA
(di Nina Fabrizio)
"Caritas in veritate": sarà questo il titolo della prossima enciclica di Benedetto XVI, la terza del suo pontificato, dedicata ai temi sociali. Attesa già prima della precedente enciclica del Papa, la "Spe Salvi", l’enciclica sociale era stata momentaneamente accantonata da Ratzinger in favore di quella sulla Speranza. Ora, dopo essere stata rivista dai diversi dicasteri che hanno collaborato alla sua elaborazione, la "Caritas in veritate" (in italiano "Carità" o "Amore nella verità") è pronta per essere pubblicata anche se sulla data c’é ancora incertezza. Avrebbe dovuto essere il primo maggio, festa di San Giuseppe Lavoratore, ma potrebbe slittare a causa del tempo necessario per le traduzioni.
La lettera del Papa sarà diffusa infatti per la prima volta fin dall’inizio anche in cinese, per la volontà di Benedetto XVI di far arrivare il suo messaggio anche ai cattolici di Pechino, e forse in arabo. L’atteso documento papale, che sarà diviso in quattro capitoli, nella sua parte iniziale sarà celebrativo di altre due precedenti encicliche. La "Populorum progressio", del 1967, di papa Paolo VI, di cui sono stati celebrati i quaranta anni dalla pubblicazione, e la "Sollicitudo rei socialis", di Giovanni Paolo II, pubblicata invece nel 1987, che Ratzinger ha voluto richiamare, ritenendo anch’essa un fondamentale riferimento sui temi sociali. Nelle parti successive viene sviluppato il tema di quanto sia stata profetica la "Populorum progressio", ma il documento di Benedetto XVI esprime soprattutto la visione della Chiesa rispetto ai cambiamenti sociali che sono avvenuti a partire proprio dai tempi dell’enciclica montiniana.
L’analisi di Ratzinger riguarderà quindi i problemi posti dal processo di globalizzazione e la necessità di un umanesimo che concili lo sviluppo sociale ed economico con il rispetto dovuto alla persona umana e con un giusto rapporto tra le categorie sociali, attenuando le eccessive disparità tra ricchi e poveri. Povertà, pace, cooperazione internazionale, disarmo, guerre su fonti energetiche e ambiente, globalizzazione, divario digitale, microcredito: sono tutti temi che verranno toccati nel documento, piuttosto corposo, che potrebbe ancora subire qualche correzione dell’ultima ora da parte di Benedetto XVI. La pubblicazione di una terza enciclica a così breve distanza dalle precedenti è fatto piuttosto eccezionale che testimonia quanto i temi sociali siano cari a Benedetto XVI e a tutta la Chiesa cattolica. Una enciclica sociale, infatti, era già stata oggetto della discussione delle riunioni del collegio cardinalizio durante la sede vacante, prima del conclave che ha eletto Joseph Ratzinger e sul tema c’era stata anche, più volte, l’attenzione di Wojtyla che lo riteneva prioritario per la Chiesa del futuro.
Scandali, affari e misteri
Tutti i segreti dello IOR
L’Istituto Opere Religiose è la banca del Vaticano. In deposito 5 miliardi di euro. Ai correntisti offre rendimenti record, impermeabilità ai controlli. E segretezza totale.
di Curzio Maltese (la Repubblica, sabato 26 gennaio 2008)
La chiesa cattolica è l’unica religione a disporre di una dottrina sociale, fondata sulla lotta alla povertà e la demonizzazione del danaro, «sterco del diavolo». Vangelo secondo Matteo: «E’ più facile che un cammello passi nella cruna dell’ago, che un ricco entri nel regno dei cieli». Ma è anche l’unica religione ad avere una propria banca per maneggiare affari e investimenti, l’Istituto Opere Religiose. La sede dello Ior è uno scrigno di pietra all’interno delle mura vaticane. Una suggestiva torre del Quattrocento, fatta costruire da Niccolò V, con mura spesse nove metri alla base. Si entra attraverso una porta discreta, senza una scritta, una sigla o un simbolo. Soltanto il presidio delle guardie svizzere notte e giorno ne segnala l’importanza. All’interno si trovano una grande sala di computer, un solo sportello e un unico bancomat. Attraverso questa cruna dell’ago passano immense e spesso oscure fortune. Le stime più prudenti calcolano 5 miliardi di euro di depositi. La banca vaticana offre ai correntisti, fra i quali come ha ammesso una volta il presidente Angelo Caloia «qualcuno ha avuto problemi con la giustizia», rendimenti superiori ai migliori hedge fund e un vantaggio inestimabile: la totale segretezza. Più impermeabile ai controlli delle isole Cayman, più riservato delle banche svizzere, l’istituto vaticano è un vero paradiso (fiscale) in terra. Un libretto d’assegni con la sigla Ior non esiste. Tutti i depositi e i passaggi di danaro avvengono con bonifici, in contanti o in lingotti d’oro. Nessuna traccia.
Da vent’anni, quando si chiuse il processo per lo scandalo del Banco Ambrosiano, lo Ior è un buco nero in cui nessuno osa guardare. Per uscire dal crac che aveva rovinato decine di migliaia di famiglie, la banca vaticana versò 250 milioni di dollari ai liquidatori. Meno di un quarto rispetto ai 1.159 milioni di dollari dovuti secondo l’allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta. Lo scandalo fu accompagnato da infinite leggende e da una scia di cadaveri eccellenti. Michele Sindona avvelenato nel carcere di Voghera, Roberto Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, il giudice istruttore Emilio Alessandrini ucciso dai colpi di Prima Linea, l’avvocato Giorgio Ambrosoli freddato da un killer della mafia venuto dall’America al portone di casa.
Senza contare il mistero più inquietante, la morte di papa Luciani, dopo soli 33 giorni di pontificato, alla vigilia della decisione di rimuovere Paul Marcinkus e i vertici dello Ior. Sull’improvvisa fine di Giovanni Paolo I si sono alimentate macabre dicerie, aiutate dalla reticenza vaticana. Non vi sarà autopsia per accertare il presunto e fulminante infarto e non sarà mai trovato il taccuino con gli appunti sullo Ior che secondo molti testimoni il papa portò a letto l’ultima notte.
Era lo Ior di Paul Marcinkus, il figlio di un lavavetri lituano, nato a Cicero (Chicago) a due strade dal quartier generale di Al Capone, protagonista di una delle più clamorose quanto inspiegabili carriere nella storia recente della chiesa. Alto e atletico, buon giocatore di baseball e golf, era stato l’uomo che aveva salvato Paolo VI dall’attentato nelle Filippine. Ma forse non basta a spiegare la simpatia di un intellettuale come Montini, autore della più avanzata enciclica della storia, la Populorum Progressio, per questo prete americano perennemente atteggiato da avventuriero di Wall Street, con le mazze da golf nella fuoriserie, l’Avana incollato alle labbra, le stupende segreterie bionde e gli amici di poker della P2.
Con il successore di papa Luciani, Marcinkus trova subito un’intesa. A Karol Wojtyla piace molto quel figlio di immigrati dell’Est che parla bene il polacco, odia i comunisti e sembra così sensibile alle lotte di Solidarnosc. Quando i magistrati di Milano spiccano mandato d’arresto nei confronti di Marcinkus, il Vaticano si chiude come una roccaforte per proteggerlo, rifiuta ogni collaborazione con la giustizia italiana, sbandiera i passaporti esteri e l’ extraterritorialità. Ci vorranno altri dieci anni a Woytjla per decidersi a rimuovere uno dei principali responsabili del crac Ambrosiano dalla presidenza dello Ior. Ma senza mai spendere una parola di condanna e neppure di velata critica: Marcinkus era e rimane per le gerarchie cattoliche «una vittima», anzi «un’ingenua vittima».
Dal 1989, con l’arrivo alla presidenza di Angelo Caloia, un galantuomo della finanza bianca, amico e collaboratore di Gianni Bazoli, molte cose dentro lo Ior cambiano. Altre no. Il ruolo di bonificatore dello Ior affidato al laico Caloia è molto vantato dalle gerarchie vaticane all’esterno quanto ostacolato all’interno, soprattutto nei primi anni. Come confida lo stesso Caloia al suo diarista, il giornalista cattolico Giancarlo Galli, autore di un libro fondamentale ma introvabile, Finanza bianca (Mondadori, 2003). «Il vero dominus dello Ior - scrive Galli - rimaneva monsignor Donato De Bonis, in rapporti con tutta la Roma che contava, politica e mondana. Francesco Cossiga lo chiamava Donatino, Giulio Andreotti lo teneva in massima considerazione. E poi aristocratici, finanzieri, artisti come Sofia Loren. Questo spiegherebbe perché fra i conti si trovassero anche quelli di personaggi che poi dovevano confrontarsi con la giustizia. Bastava un cenno del monsignore per aprire un conto segreto». A volte monsignor De Bonis accompagnava di persona i correntisti con i contanti o l’oro nel caveau, attraverso una scala, in cima alla torre, «più vicino al cielo». I contrasti fra il presidente Caloia e De Bonis, in teoria sottoposto, saranno frequenti e duri. Commenta Giancarlo Galli: «Un’aurea legge manageriale vuole che, in caso di conflitto fra un superiore e un inferiore, sia quest’ultimo a soccombere. Ma essendo lo Ior istituzione particolarissima, quando un laico entra in rotta di collisione con una tonaca non è più questione di gradi».
La glasnost finanziaria di Caloia procede in ogni caso a ritmi serrati, ma non impedisce che l’ombra dello Ior venga evocata in quasi tutti gli scandali degli ultimi vent’anni. Da Tangentopoli alle stragi del ’93 alla scalata dei «furbetti» e perfino a Calciopoli. Ma come appare, così l’ombra si dilegua. Nessuno sa o vuole guardare oltre le mura impenetrabili della banca vaticana.
L’autunno de 1993 è la stagione più crudele di Tangentopoli. Subito dopo i suicidi veri o presunti di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, la mattina del 4 ottobre arriva al presidente dello Ior una telefonata del procuratore capo del pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli: «Caro professore, ci sono dei problemi, riguardanti lo Ior, i contatti con Enimont...». Il fatto è che una parte considerevole della «madre di tutte le tangenti», per la precisione 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro, è transitata dallo Ior. Sul conto di un vecchio cliente, Luigi Bisignani, piduista, giornalista, collaboratore del gruppo Ferruzzi e faccendiere in proprio, in seguito condannato a 3 anni e 4 mesi per lo scandalo Enimont e di recente rispuntato nell’inchiesta "Why Not" di Luigi De Magistris. Dopo la telefonata di Borrelli, il presidente Caloia si precipita a consulto in Vaticano da monsignor Renato Dardozzi, fiduciario del segretario di Stato Agostino Casaroli. «Monsignor Dardozzi - racconterà a Galli lo stesso Caloia - col suo fiorito linguaggio disse che ero nella merda e, per farmelo capire, ordinò una brandina da sistemare in Vaticano. Mi opposi, rispondendogli che avrei continuato ad alloggiare all’Hassler. Tuttavia accettai il suggerimento di consultare d’urgenza dei luminari di diritto. Una risposta a Borrelli bisognava pur darla!». La risposta sarà di poche ma definitive righe: «Ogni eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di rogatoria internazionale». I magistrati del pool valutano l’ipotesi della rogatoria. Lo Ior non ha sportelli in terra italiana, non emette assegni e, in quanto «ente fondante della Città del Vaticano», è protetto dal Concordato: qualsiasi richiesta deve partire dal ministero degli Esteri. Le probabilità di ottenere la rogatoria in queste condizioni sono lo zero virgola.
In compenso l’effetto di una richiesta da parte dei giudici milanesi sarebbe devastante sull’opinione pubblica. Il pool si ritira in buon ordine e si accontenta della spiegazione ufficiale: «Lo Ior non poteva conoscere la destinazione del danaro».
Il secondo episodio, ancora più cupo, risale alla metà degli anni Novanta, durante il processo per mafia a Marcello Dell’Utri. In video-conferenza dagli Stati Uniti il pentito Francesco Marino Mannoia rivela che «Licio Gelli investiva i danari dei corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano». «Lo Ior garantiva ai corleonesi investimenti e discrezione». Fin qui Mannoia fornisce informazioni di prima mano. Da capo delle raffinerie di eroina di tutta la Sicilia occidentale, principale fonte di profitto delle cosche.
Non può non sapere dove finiscono i capitali mafiosi. Quindi va oltre, con un’ipotesi. «Quando il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) venne in Sicilia e scomunicò i mafiosi, i boss si risentirono soprattutto perché portavano i loro soldi in Vaticano. Da qui nacque la decisione di far esplodere due bombe davanti a due chiese di Roma». Mannoia non è uno qualsiasi. E’ secondo Giovanni Falcone «il più attendibile dei collaboratori di giustizia», per alcuni versi più prezioso dello stesso Buscetta. Ogni sua affermazione ha trovato riscontri oggettivi. Soltanto su una non si è proceduto ad accertare i fatti, quella sullo Ior. I magistrati del caso Dell’Utri non indagano sulla pista Ior perché non riguarda Dell’Utri e il gruppo Berlusconi, ma passano le carte ai colleghi del processo Andreotti. Scarpinato e gli altri sono a conoscenza del precedente di Borrelli e non firmano la richiesta di rogatoria. Al palazzo di giustizia di Palermo qualcuno in alto osserva: «Non ci siamo fatti abbastanza nemici per metterci contro anche il Vaticano?».
Sulle trame dello Ior cala un altro sipario di dieci anni, fino alla scalata dei "furbetti del quartierino". Il 10 luglio dell’anno scorso il capo dei "furbetti", Giampiero Fiorani, racconta in carcere ai magistrati: «Alla Bsi svizzera ci sono tre conti della Santa Sede che saranno, non esagero, due o tre miliardi di euro». Al pm milanese Francesco Greco, Fiorani fa l’elenco dei versamenti in nero fatti alle casse vaticane: «I primi soldi neri li ho dati al cardinale Castillo Lara (presidente dell’Apsa, l’amministrazione del patrimonio immobiliare della chiesa, ndr), quando ho comprato la Cassa Lombarda. M’ha chiesto trenta miliardi di lire, possibilmente su un conto estero». Altri seguiranno, molti a giudicare dalle lamentele dello stesso Fiorani nell’incontro con il cardinale Giovanni Battista Re, potente prefetto della Congregazione dei vescovi e braccio destro di Ruini: «Uno che vi ha sempre dato i soldi, come io ve li ho sempre dati in contanti, e andava tutto bene, ma poi quando è in disgrazia non fate neanche una telefonata a sua moglie per sapere se sta bene o male».
Il Vaticano molla presto Fiorani, ma in compenso difende Antonio Fazio fino al giorno prima delle dimissioni, quando ormai lo hanno abbandonato tutti. Avvenire e Osservatore Romano ripetono fino all’ultimo giorno di Fazio in Bankitalia la teoria del «complotto politico» contro il governatore. Del resto, la carriera di questo strano banchiere che alle riunioni dei governatori centrali non ha mai citato una volta Keynes ma almeno un centinaio di volte le encicliche, si spiega in buona parte con l’appoggio vaticano. In prima persona di Camillo Ruini, presidente della Cei, e poi di Giovanni Battista Re, amico intimo di Fazio, tanto da aver celebrato nel 2003 la messa per il venticinquesimo anniversario di matrimonio dell’ex governatore con Maria Cristina Rosati. Naturalmente neppure i racconti di Fiorani aprono lo scrigno dei segreti dello Ior e dell’Apsa, i cui rapporti con le banche svizzere e i paradisi fiscali in giro per il mondo sono quantomeno singolari. E’ difficile per esempio spiegare con esigenze pastorali la decisione del Vaticano di scorporare le Isole Cayman dalla naturale diocesi giamaicana di Kingston, per proclamarle "missio sui iuris" alle dirette dipendenze della Santa Sede e affidarle al cardinale Adam Joseph Maida, membro del collegio dello Ior.
Il quarto e ultimo episodio di coinvolgimento dello Ior negli scandali italiani è quasi comico rispetto ai precedenti e riguarda Calciopoli. Secondo i magistrati romani Palamara e Palaia, i fondi neri della Gea, la società di mediazione presieduta dal figlio di Moggi, sarebbero custoditi nella banca vaticana. Attraverso i buoni uffici di un altro dei banchieri di fiducia della Santa Sede dalla fedina penale non immacolata, Cesare Geronzi, padre dell’azionista di maggioranza della Gea. Nel caveau dello Ior sarebbe custodito anche il "tesoretto" personale di Luciano Moggi, stimato in 150 milioni di euro. Al solito, rogatorie e verifiche sono impossibili. Ma è certo che Moggi gode di grande considerazione in Vaticano. Difeso dalla stampa cattolica sempre, accolto nei pellegrinaggi a Lourdes dalla corte di Ruini, Moggi è da poco diventato titolare di una rubrica di "etica e sport" su Petrus, il quotidiano on-line vicino a papa Benedetto XVI, da dove l’ex dirigente juventino rinviato a giudizio ha subito cominciato a scagliare le prime pietre contro la corruzione (altrui).
Con l’immagine di Luciano Moggi maestro di morale cattolica si chiude l’ultima puntata dell’inchiesta sui soldi della Chiesa. I segreti dello Ior rimarranno custoditi forse per sempre nella torre-scrigno. L’epoca Marcinkus è archiviata ma l’opacità che circonda la banca della Santa Sede è ben lontana dallo sciogliersi in acque trasparenti. Si sa soltanto che le casse e il caveau dello Ior non sono mai state tanto pingui e i depositi continuano ad affluire, incoraggiati da interessi del 12 per cento annuo e perfino superiori. Fornire cifre precise è, come detto, impossibile. Le poche accertate sono queste. Con oltre 407 mila dollari di prodotto interno lordo pro capite, la città del Vaticano è di gran lunga lo «stato più ricco del mondo», come si leggeva nella bella inchiesta di Marina Marinetti su Panorama Economy. Secondo le stime della Fed del 2002, frutto dell’unica inchiesta di un’autorità internazionale sulla finanza vaticana e riferita soltanto agli interessi su suolo americano, la chiesa cattolica possedeva negli Stati Uniti 298 milioni di dollari in titoli, 195 milioni in azioni, 102 in obbligazioni a lungo termine, più jointventure con partner Usa per 273 milioni.
Nessuna autorità italiana ha mai avviato un’inchiesta per stabilire il peso economico del Vaticano nel paese che lo ospita. Un potere enorme, diretto e indiretto. Negli ultimi decenni il mondo cattolico ha espugnato la roccaforte tradizionale delle minoranze laiche e liberali italiane, la finanza. Dal tramonto di Enrico Cuccia, il vecchio azionista gran nemico di Sindona, di Calvi e dello Ior, la «finanza bianca» ha conquistato posizioni su posizioni. La definizione è certo generica e comprende personaggi assai distanti tra loro. Ma tutti in relazione stretta con le gerarchie ecclesiastiche, con le associazioni cattoliche e con la prelatura dell’Opus Dei. In un’Italia dove la politica conta ormai meno della finanza, la chiesa cattolica ha più potere e influenza sulle banche di quanta ne avesse ai tempi della Democrazia Cristiana.
(Gli altri articoli dell’inchiesta, che il Card. Bertone, Segretario di Stato del Vaticano, ha invano chiesto di bloccare, si trovano all’indirizzo http://www.repubblica.it/speciale/2007/curzio_maltese/index.html?ref=hppro )
Lo straordinario business dei pellegrinaggi cresce del 20% all’anno. Aerei selezionati
conventi a 5 stelle. E l’extraterritorialità consente guadagni esentasse
Turisti nel nome di Dio
un affare da 5 miliardi
di CURZIO MALTESE *
DAL BLOG di papa Ratzinger, ufficioso ma benedetto dal Santo Padre, si legge: "Nell’era del low cost, l’Opera Romana Pellegrinaggi si adegua". La ricerca di Dio si affida a voli rigorosamente a basso costo. Il Boeing 707-200 della flotta Mistral, fondata nel 1981 dall’attore Bud Spencer, e ora targato Orp, è decollato il 27 agosto da Roma con destinazione Lourdes. I pellegrini, 148 fra i quali l’invitato Luciano Moggi, hanno intrapreso il viaggio spirituale supportati da una guida d’eccellenza: il cardinale Camillo Ruini. Il rettore della Pontificia Università Lateranense ha elargito la sua benedizione ai devoti. All’ingresso, le hostess in completo giallo e blu, spilla del Vaticano e fazzoletto giallo al collo, accolgono i passeggeri e li accompagno al posto. Sul poggiatesta si legge: "Cerco il tuo volto Signore".
È nato insomma con un lancio pubblicitario in grande stile l’accordo fra il Vaticano e la Mistral nel settore del turismo della fede. Per una "ricerca di Dio con voli rigorosamente a basso costo", la Chiesa si affida al testimonial Luciano Moggi, all’epoca già rinviato a giudizio, e alla chiacchierata compagnia delle Poste Italiane. La Mistral, fondata da Bud Spencer e salvata durante il governo Berlusconi con un’operazione giudicata fuori mercato perfino da alcuni parlamentari della destra e ancora oggi avvolta nel mistero.
Un’interrogazione del deputato di An Vincenzo Nespoli sul perché le Poste sborsavano fino a quindici volte il valore nominale delle azioni Mistral, per fare oltrettutto concorrenza all’Alitalia in crisi, non ebbe mai risposta dal governo. Il patto fra Mistral e Opera Romana Pellegrinaggi per trasportare il primo anno 50 mila pellegrini italiani verso i santuari d’Europa e Terra Santa, con la previsione di arrivare a 150 mila nel 2008 (centocinquantesimo anniversario dell’apparizione di Fatima) non è che la punta dell’iceberg di un affare gigantesco: il turismo religioso. Quasi sempre esentasse.
Il turismo è il primo settore commerciale del mondo per espansione, terzo per margini di profitti dietro il petrolio e il traffico di armi. In Italia, una delle principali mete del pianeta, la chiesa cattolica è di gran lunga il dominus del settore. Secondo l’indagine Trademark la chiesa cattolica controlla ogni anno un traffico di 40 milioni di presenze, 19 milioni di pernottamenti, 250 mila posti letto in quasi 4 mila strutture. Il volume d’affari supera i 5 miliardi di euro all’anno, il triplo del fatturato dell’Alpitour, primo tour operator italiano. In cima alla piramide organizzativa del turismo cattolico sta l’Opera Romana Pellegrinaggi, che ha convenzioni con 2500 agenzie e una rete con migliaia di referenti sul territorio.
L’Opr è presieduta da Camillo Ruini, Vicario di Roma, con Liberio Andreatta già amministratore delegato e ora vice presidente, alle dirette dipendenze della Santa Sede. A fianco dell’Opr svolge un ruolo importante l’Apsa, l’amministrazione patrimoniale della Santa sede, che gestisce gli immobili della Chiesa e spesso gli utili alberghieri. Entrambe le società hanno sede nella Città del Vaticano, godono dunque di un regime di extraterritorialità che significa in pratica non dover presentare bilanci e sfuggire alle leggi italiane in materia fiscale, di igiene, prevenzione eccetera.
In più, in tutte le convenzioni fra l’Orp e i clienti, esiste un comma (16) che rimanda "per tutte le eventiali controversie" alla "legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano". E qual è la legge fondamentale della Città del Vaticano? Questa, che su qualsiasi controversia legale, civile o penale, l’ultima parola spetta al Papa. Il turista cattolico o no, ma in ogni caso al novanta per cento cittadino italiano, che volesse reclamare contro il servizio offerto, dovrebbe dunque aspettare la parola definitiva del Santo Padre. Nonostante questo, lo Stato italiano favorisce in vari modi l’Orp, patrocinata anche dal ministero delle Comunicazioni.
L’extraterritorialità del resto è una regola piuttosto diffusa per le attività commerciali della Chiesa, come nella sanità privata. L’ospedale pediatrico romano del Bambin Gesù, per fare un esempio, notissimo ai genitori della capitale, riceve numerosi finanziamenti statali e della Regione Lazio. Ma né l’amministrazione statale né quella regionale hanno il potere di rivedere gli accordi col Bambin Gesù perché ogni modifica deve essere trattata direttamente dal ministro degli Esteri con il Vaticano.
In un settore ricco e in forte espansione come il turismo, l’extraterritorialità si traduce in un formidabile ombrello fiscale. Non si tratta soltanto dell’Ici non pagata per alberghi, ristoranti, bar di proprietà degli enti ecclesiastici. Ma anche del mancato gettito di Irpef, Ires, Irap e altre imposte. Su questo lungo elenco di privilegi fiscali, non soltanto sull’Ici, la commissione europea ha chiesto da tempo chiarimenti al governo italiano. I lavoratori delle "case religiose", sempre più spesso veri e propri alberghi rintracciabili sul circuito commerciale normale, sono spesso suore o preti o volontari o legati da contratti anomali di collaborazione. Quindi la Chiesa non deve pagare le imposte sul lavoro dipendente.
Nel sito della Cei, a questo proposito, si legge negli ultimi tempi una ricorrente lamentela per il fatto che, visti gli indici di crescita, la catena turistica religiosa deve ricorrere sempre più spesso al personale "esterno". "Il personale esterno non garantisce le stesse prestazioni" di suore e preti, pretende di essere pagato per gli straordinari e cerca di introdurre tutele sindacali. Sia pure con i limiti enormi di libertà imposti dalla giurisdizione pontificia. I privilegi fiscali della Chiesa si traducono in un vantaggio sulla concorrenza e nella possibilità di praticare prezzi fuori mercato.
Se il settore turistico cresce ovunque in Italia, l’espansione di quello religioso ha tratti spettacolari, con un aumento di quasi il venti per cento all’anno.
Nel volgere di quattro o cinque anni il volume d’affari potrebbe sfondare il tetto dei 10 miliardi di euro. Non si tratta soltanto di turismo "povero" o "low cost". "Sono ormai un centinaio i monasteri-alberghi entrati nei network Condè-Nast, Relais & Chateaux o Leading Hotel of the world" scrive il Sole 24 Ore. Ma si tratti di due, tre, quattro o cinque stelle, i prezzi sono sempre inferiori alla concorrenza, grazie alle minori spese.
Abbiamo parlato nelle puntate scorse dell’hotel delle Brigidine, 190 euro a notte, ma in una zona dove un quattro o cinque stelle costa quasi il doppio. I casi soltanto nella capitale sono decine. Dai Carmelitani di Castel Sant’Angelo, che offrono camere con frigobar, tv satellitare e aria condizionata a 120 euro, fino ai "tre stelle" a 60 o 70 euro. La spendida abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano costa 300 euro, ma è un cinque stelle a tutti gli effetti. Lo stesso vale per le celebri Orsoline di Cortina e per il monastero di Camaldoli nell’aretino, mete di turismo intellettuale, culturale e politico d’alto bordo.
Se si scende al livello del turismo di massa, i prezzi calano ma il fatturato esplode. E lo stato italiano favorisce in ogni modo. Con le esenzioni e con i finanziamenti diretti. I 3.500 miliardi di lire versati dall’erario alla Chiesa per il Giubileo sono serviti in buona parte a riorgazzare la rete di accoglienza turistica. Ma quella pioggia di soldi non si è mai davvero fermata. In varie forme, governo ed enti locali continuano a sovvenzionare la rete alberghiera religiosa. Per il rilancio dell’antica Via Francigena, che nel medioevo collegava Roma a Canterbury, l’ultimo finanziamento statale è stato di 10 milioni di euro.
Ma bisogna aggiungere le centinaia di contributi degli enti locali. Visto il successo, l’Orp ha deciso di rilanciare anche altri pellegrinaggi: il Commino di Sigerico, da Milano a Roma; la Via dell’Est, che da Venezia attraversa Romagna e Umbria; l’antico cammino del Sud da Roma a Otranto. L’ultimo con un passaggio d’obbligo al santuario di San Giovanni Rotondo, il cui boom turistico ha messo di gran lunga in secondo piano le recenti rivelazioni sui dubbi di Giovanni Paolo XXIII a proposito della santità di Padre Pio, i suoi rapporti con le fedeli e l’origine reale delle stimmate.
In tutti questi progetti non c’è stato comune o provincia o regione o comunità montane, governata da destra o da sinistra, che non si sia accollata finanziamenti, agevolazioni fiscali, oneri di ristrutturazione. Non stupisce insomma che l’Opera Romana Pellegrinaggi allarghi di settimana in settimana il raggio d’azione. Il 2007 è stato l’anno dei voli della fede in Europa e Terra Santa. Il 2008 sarà l’anno dello sbarco nel mercato americano con il progetto "Christian World Tour". "Fra il 2008 e il 2009 - dichiara l’amministratore delegato dell’Orp, padre Cesare Atuire - i progetti saranno estesi all’America Latina e all’Oriente, in particolare Cina, India e Filippine". Tutto "rigorosamente low cost".
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)
L’otto per mille, le scuole, gli ospedali, gli insegnanti di religione e i grandi eventi
Ogni anno, dallo Stato, arrivano alle strutture ecclesiastiche circa 4 miliardi di euro
I conti della Chiesa ecco quanto ci costa
di CURZIO MALTESE *
"Quando sono arrivato alla Cei, nel 1986, si trovavano a malapena i soldi per pagare gli stipendi di quattro impiegati". Camillo Ruini non esagera. A metà anni Ottanta le finanze vaticane sono una scatola vuota e nera. Un anno dopo l’arrivo di Ruini alla Cei, soltanto il passaporto vaticano salva il presidente dello Ior, monsignor Paul Marcinkus, dall’arresto per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. La crisi economica è la ragione per cui Giovanni Paolo II chiama a Roma il giovane vescovo di Reggio Emilia, allora noto alle cronache solo per aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi, ma dotato di talento manageriale. Poche scelte si riveleranno più azzeccate. Nel "ventennio Ruini", segretario dall’86 e presidente dal ’91, la Cei si è trasformata in una potenza economica, quindi mediatica e politica. In parallelo, il presidente dei vescovi ha assunto un ruolo centrale nel dibattito pubblico italiano e all’interno del Vaticano, come mai era avvenuto con i predecessori, fino a diventare il grande elettore di Benedetto XVI. Le ragioni dell’ascesa di Ruini sono legate all’intelligenza, alla ferrea volontà e alle straordinarie qualità di organizzatore del personaggio. Ma un’altra chiave per leggerne la parabola si chiama "otto per mille". Un fiume di soldi che comincia a fluire nelle casse della Cei dalla primavera del 1990, quando entra a regime il prelievo diretto sull’Irpef, e sfocia ormai nel mare di un miliardo di euro all’anno. Ruini ne è il dominus incontrastato. Tolte le spese automatiche come gli stipendi dei preti, è il presidente della conferenza episcopale, attraverso pochi fidati collaboratori, ad avere l’ultima parola su ogni singola spesa, dalla riparazione di una canonica alla costruzione di una missione in Africa agli investimenti immobiliari e finanziari.
Dall’otto per mille, la voce più nota, parte l’inchiesta di Repubblica sul costo della chiesa cattolica per gli italiani. Il calcolo non è semplice, oltre che poco di moda. Assai meno di moda delle furenti diatribe sul costo della politica. Il "prezzo della casta" è ormai calcolato in quattro miliardi di euro all’anno. "Una mezza finanziaria" per "far mangiare il ceto politico". "L’equivalente di un Ponte sullo Stretto o di un Mose all’anno".
Alla cifra dello scandalo, sbattuta in copertina da Il Mondo e altri giornali, sulla scia di La Casta di Rizzo e Stella e Il costo della democrazia di Salvi e Villone, si arriva sommando gli stipendi di 150 mila eletti dal popolo, dai parlamentari europei all’ultimo consigliere di comunità montane, più i compensi dei quasi trecentomila consulenti, le spese per il funzionamento dei ministeri, le pensioni dei politici, i rimborsi elettorali, i finanziamenti ai giornali di partito, le auto blu e altri privilegi, compresi buvette e barbiere di Montecitorio.
Per la par condicio bisognerebbe adottare al "costo della Chiesa" la stessa larghezza di vedute. Ma si arriverebbe a cifre faraoniche quanto approssimative, del genere strombazzato nei libelli e in certi siti anticlericali.
Con più prudenza e realismo si può stabilire che la Chiesa cattolica costa in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro all’anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell’otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell’ora di religione ("Un vecchio relitto concordatario che sarebbe da abolire", nell’opinione dello scrittore cattolico Vittorio Messori), altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c’è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all’ultimo raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell’ultimo decennio, di 250 milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di un’inchiesta dell’Unione Europea per "aiuti di Stato". L’elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l’Ici (stime "non di mercato" dell’associazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini. Il totale supera i quattro miliardi all’anno, dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose all’anno, più qualche decina di milioni.
La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici, costa agli italiani come il sistema politico. Soltanto agli italiani, almeno in queste dimensioni. Non ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli americani, che pure pagano come noi il "costo della democrazia", magari con migliori risultati.
Si può obiettare che gli italiani sono più contenti di dare i soldi ai preti che non ai politici, infatti se ne lamentano assai meno. In parte perché forse non lo sanno. Il meccanismo dell’otto per mille sull’Irpef, studiato a metà anni Ottanta da un fiscalista all’epoca "di sinistra" come Giulio Tremonti, consulente del governo Craxi, assegna alla Chiesa cattolica anche le donazioni non espresse, su base percentuale. Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce "otto per mille" ma grazie al 35 per cento che indica "Chiesa cattolica" fra le scelte ammesse (le altre sono Stato, Valdesi, Avventisti, Assemblee di Dio, Ebrei e Luterani), la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale. Una mostruosità giuridica la definì già nell’84 sul Sole 24 Ore lo storico Piero Bellini.
Ma pur considerando il meccanismo "facilitante" dell’otto per mille, rimane diffusa la convinzione che i soldi alla Chiesa siano ben destinati, con un ampio "ritorno sociale". Una mezza finanziaria, d’accordo, ma utile a ripagare il prezioso lavoro svolto dai sacerdoti sul territorio, la fatica quotidiana delle parrocchie nel tappare le falle sempre più evidenti del welfare, senza contare l’impegno nel Terzo Mondo. Tutti argomenti veri. Ma "quanto" veri?
Fare i conti in tasca al Vaticano è impresa disperata. Ma per capire dove finiscono i soldi degli italiani sarà pur lecito citare come fonte insospettabile la stessa Cei e il suo bilancio annuo sull’otto per mille. Su cinque euro versati dai contribuenti, la conferenza dei vescovi dichiara di spenderne uno per interventi di carità in Italia e all’estero (rispettivamente 12 e 8 per cento del totale). Gli altri quattro euro servono all’autofinanziamento. Prelevato il 35 per cento del totale per pagare gli stipendi ai circa 39 mila sacerdoti italiani, rimane ogni anno mezzo miliardo di euro che il vertice Cei distribuisce all’interno della Chiesa a suo insindacabile parere e senza alcun serio controllo, sotto voci generiche come "esigenze di culto", "spese di catechesi", attività finanziarie e immobiliari. Senza contare l’altro paradosso: se al "voto" dell’otto per mille fosse applicato il quorum della metà, la Chiesa non vedrebbe mai un euro.
Nella cultura cattolica, in misura ben maggiore che nelle timidissime culture liberali e di sinistra, è in corso da anni un coraggioso, doloroso e censuratissimo dibattito sul "come" le gerarchie vaticane usano il danaro dell’otto per mille "per troncare e sopire il dissenso nella Chiesa". Una delle testimonianze migliori è il pamphlet "Chiesa padrona" di Roberto Beretta, scrittore e giornalista dell’Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Al capitolo "L’altra faccia dell’otto per mille", Beretta osserva: "Chi gestisce i danari dell’otto per mille ha conquistato un enorme potere, che pure ha importantissimi risvolti ecclesiali e teologici". Continua: "Quale vescovo per esempio - sapendo che poi dovrà ricorrere alla Cei per i soldi necessari a sistemare un seminario o a riparare la cattedrale - alzerà mai la mano in assemblea generale per contestare le posizioni della presidenza?". "E infatti - conclude l’autore - i soli che in Italia si permettono di parlare schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in pensione, che non hanno più niente da perdere...".
A scorrere i resoconti dei convegni culturali e le pagine di "Chiesa padrona", rifiutato in blocco dall’editoria cattolica e non pervenuto nelle librerie religiose, si capisce che la critica al "dirigismo" e all’uso "ideologico" dell’otto per mille non è affatto nell’universo dei credenti. Non mancano naturalmente i "vescovi in pensione", da Carlo Maria Martini, ormai esiliato volontario a Gerusalemme, a Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, che descrive così il nuovo corso: "I vescovi non parlano più, aspettano l’input dai vertici... Quando fanno le nomine vescovili consultano tutti, laici, preti, monsignori, e poi fanno quello che vogliono loro, cioè chiunque salvo il nome che è stato indicato". Il già citato Vittorio Messori ha lamentato più volte "il dirigismo", "il centralismo" e "lo strapotere raggiunto dalla burocrazia nella Chiesa". Alfredo Carlo Moro, giurista e fratello di Aldo, in uno degli ultimi interventi pubblici ha lanciato una sofferta accusa: "Assistiamo ormai a una carenza gravissima di discussione nella Chiesa, a un impressionante e clamoroso silenzio; delle riunioni della Cei si sa solo ciò che dichiara in principio il presidente; i teologi parlano solo quando sono perfettamente in linea, altrimenti tacciono".
La Chiesa di vent’anni fa, quella in cui Camillo Ruini comincia la sua scalata, non ha i soldi per pagare gli impiegati della Cei, con le finanze scosse dagli scandali e svuotate dal sostegno a Solidarnosc. La cultura cattolica si sente derisa dall’egemonia di sinistra, ignorata dai giornali laici, espulsa dall’universo edonista delle tv commerciali, perfino ridotta in minoranza nella Rai riformata. Eppure è una Chiesa ancora viva, anzi vitalissima. Tanto pluralista da ospitare nel suo seno mille voci, dai teologi della liberazione agli ultra tradizionalisti seguaci di monsignor Lefebrve. Capace di riconoscere movimenti di massa, come Comunione e Liberazione, e di "scoprire" l’antimafia, con le omelie del cardinale Pappalardo, il lavoro di don Puglisi a Brancaccio, l’impegno di don Italo Calabrò contro la ’ndrangheta. Dopo vent’anni di "cura Ruini" la Chiesa all’apparenza scoppia di salute. È assai più ricca e potente e ascoltata a Palazzo, governa l’agenda dei media e influisce sull’intero quadro politico, da An a Rifondazione, non più soltanto su uno. Nelle apparizioni televisive il clero è secondo soltanto al ceto politico. Si vantano folle oceaniche ai raduni cattolici, la moltiplicazione dei santi e dei santuari, i record di audience delle fiction di tema religioso. Le voci di dissenso sono sparite. Eppure le chiese e le sagrestie si svuotano, la crisi di vocazioni ha ridotto in vent’anni i preti da 60 a 39 mila, i sacramenti religiosi come il matrimonio e il battesimo sono in diminuzione.
Il clero è vittima dell’illusoria equazione mediatica "visibilità uguale consenso", come il suo gemello separato, il ceto politico. Nella vita reale rischia d’inverarsi la terribile profezia lanciata trent’anni fa da un teologo progressista: "La Chiesa sta divenendo per molti l’ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo". Quel teologo si chiamava Joseph Ratzinger.
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)
* la Repubblica, 28 settembre 2007
Messa del Pontefice a Velletri: "Incrementa la sproporzione tra poveri e ricchi, come pure un rovinoso sfruttamento del pianeta"
Papa: "Condivisione, non profitto
è come Dio contro Satana" *
CITTA’ DEL VATICANO - "La logica del profitto, se prevalente, - ammonisce il Papa - incrementa la sproporzione tra poveri e ricchi, come pure un rovinoso sfruttamento del pianeta". "Quando invece - commenta - prevale la logica della condivisione e della solidarietà, è possibile correggere la rotta e orientarla verso uno sviluppo equo, per il bene comune di tutti". "In fondo - per il Papa - si tratta della decisione tra egoismo e amore, tra giustizia e disonestà, in definitiva tra Dio e Satana".
Benedetto XVI lo ha detto nell’omelia della messa celebrata a Velletri, sua sede titolare prima di essere eletto Papa, dove si trova per una breve visita. "Mi sento a casa tra voi - ha detto prima di cominciare la messa".
"Se amare Cristo e i fratelli non va considerato come qualcosa di accessorio e di superficiale, ma piuttosto lo scopo vero e ultimo di tutta la nostra esistenza, - ha aggiunto - occorre saper operare scelte di fondo, essere disposti a radicali rinunce, se necessario al martirio. Oggi, come ieri, la vita del cristiano esige il coraggio di andare contro corrente, di amare come Gesù".
E se d’altra parte "si trova gente pronta ad ogni tipo di disonestà pur di assicurarsi un benessere materiale pur sempre aleatorio quanto più noi cristiani dovremmo preoccuparci di provvedere alla nostra eterna felicità con i beni di questa terra" ha osservato ancora papa Ratzinger, rilevando che "l’unica maniera di far fruttificare per l’eternità le nostre doti e capacità personali come pure le ricchezze che possediamo è di condividerle con i fratelli".
Il Papa ha poi ricordato che la Bibbia "stigmatizza uno stile di vita tipico di chi si lascia assorbire da una egoistica ricerca del profitto in tutti i modi possibili e che si traduce in una sete di guadagno, in un disprezzo dei poveri e in uno sfruttamento della loro situazione a proprio vantaggio".
"Il cristiano - ha rimarcato - deve respingere con energia tutto questo, aprendo il cuore, al contrario, a sentimenti di autentica generosità". Per giungere a questo, il Papa ha invitato alla preghiera e ha ricordato che già san Paolo nella prima lettera a Timoteo "invita in primo luogo a pregare per quelli che rivestono compiti di responsabilità nella comunità civile, perchè, egli spiega, dalle loro decisioni, se tese al bene comune, derivano conseguenze positive, assicurando la pace e ’una vita calma e tranquilla con tutta pieta’ e dignita" per tutti".
* la Repubblica, 23 settembre 2007.
"lettere dal palazzo"
Date a Cesare.........
di Lidia Menapace
26 agosto 2007 *
Dopo una tiratina d’orecchi ricevuta da Prodi sul dovere di pagare le tasse poco raccomandata dalla Chiesa e addirittura sul passo di san Paolo, che chiede soggezione ai dirigenti politici perfino se un po’ "lazzaroni" (traduce felicemente Prodi il testo che dice "discoli") e si riferisce ai dirigenti uno stato invasore ed imperialista come era Roma in Palestina allora: in un’occasione solenne del meeting di Rimini Comunione e Liberazione, e da parte di un personaggio illustrissimo, cioè il cardinale segretario di stato, la Chiesa dice che bisogna pagare le tasse giuste, per fare il bene dei poveri. Nobile suggerimento che Prodi giustamente incassa.
Ma, a voler essere rigorosi, è un suggerimento rivolto alla struttura di gestione, piuttosto che una definizione generale di principio come è contenuta nel noto passo detto del "tributo della moneta". Che sostiene esplicitamente di esistere"ciò che è di Cesare" (cioè appartiene senza ulteriori determinazioni allo stato) e "ciò che è di Dio". Senza voler entrare ora nelle attribuzioni di confini, esame di materie miste e lotta per le investiture che già afflisse i nostri anni giovanili a scuola, sembra comunque chiaro che si fa riferimento esplicito ad una positività in sé, che è lo stato. E non si tratta di una astrazione filosofica, né di una forma arcaica e tribale, bensì dello stato romano già ben sviluppato, con un sistema giuridico ed una struttura fiscale ben nota: Matteo evangelista di mestiere faceva il gabelliere, cioè il raccoglitore di tasse per conto dello stato.
La teoria della positività dello stato è sviluppata soprattutto da Tommaso, il quale definisce lo stato, come la chiesa, "societas perfecta", cioè una istituzione che ha dei fini e tutti i mezzi per adempierli. Qual è dunque il fine dello stato?Non la beneficenza, bensì il "bene comune" fatto di adeguamenti e soddisfacimenti differenziati tra ceti e soggetti, non una semplice sommatoria di tutti i beni desiderati da ciascuno. Il fisco è lo strumento principale perché lo stato possa adempiere il proprio fine principale e non tocca ad altri decidere se esso è eseguito in modo soddisfacente o no, se non ai cittadini di quello stato, nelle forme stabilite storicamente.
Agostino ha una idea meno positiva dello stato e lo considera solo pallido rispecchiamento della Città di Dio, platonicamente, e - come sempre - è molto più reazionario di Tommaso, essendo molto pessimista. Si sa che Benedetto XVI è filoagostiniano, ma ciò è solo una notizia sulle sue preferenze culturali: in ordine alla forma dello stato, non è né dogma né dottrina prevalente della Chiesa cattolica. Se lo stato è dunque il titolare della definizione e realizzazione di bene comune, lo si vedrà da un sistema fiscale via via più giusto, capace di soddisfare via via più diritti per più persone, fino allo stato sociale, la forma di stato che vede i bisogni diventare diritti e da soddisfare universalmente attraverso il sistema fiscale.
O no? Siamo dunque ancora alla beneficenza, cioè per la storia italiana al 1880? Anche in quel caso però c’era già stata Porta Pia e lo stato italiano poteva decidere quale beneficenza pubblica fare. A Paolo Cento che rimprovera la curia di fruire di molte esenzioni fiscali, questa piccata replica di applicare solo il Concordato. Vero: ma nulla vieterebbe che in un momento difficile della storia italiana, la chiesa rinunciasse dalla sua parte a qualche pingue esenzione.
Il Pontefice approva un testo dove Roma viene posta al di sopra
Lo strale più forte contro i protestanti, "carenze" per gli ortodossi
Documento voluto da papa Ratzinger
"L’unica chiesa di Cristo è quella cattolica" *
CITTA’ DEL VATICANO - Roma contro Lutero e la Riforma per affermare il primato del Papa e della chiesa cattolica sulle altre. Perché Cristo ha costituito "sulla terra un’unica Chiesa", che si identifica "pienamente" solo nella Chiesa cattolica e non nelle altre comunità cristiane. E’ quanto afferma il documento "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa" redatto dalla Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede, diffuso oggi dalla Santa Sede e approvato dal Papa che ne ha ordinato la pubblicazione.
Il testo è firmato dal Prefetto della Congregazione, il cardinale William Levada, e dal segretario, monsignor Angelo Amato e porta la data del 29 giugno, solennità dei santi Pietro e Paolo, scelta, evidentemente, non a caso. Come non a caso arriva una precisazione sul Concilio Vaticano II: "Nel periodo postconciliare - dice l’articolo - la dottrina del Vaticano II è stata oggetto, e continua ad esserlo, di interpretazioni fuorvianti e in discontinuità con la dottrina cattolica tradizionale sulla natura della Chiesa: se, da una parte, si vedeva in essa una ’svolta copernicana’, dall’altra, ci si è concentrati su taluni aspetti considerati quasi in contrapposizione con altri. In realtà - spiega la congregazione - l’intenzione profonda del Concilio Vaticano II era chiaramente di inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio".
Nel testo si legge anche che il Vaticano riconosce nelle altre comunità cristiane non cattoliche, in particolare nella Chiesa ortodossa, l’esistenza "numerosi elementi di santificazione e di verità". Ma vi sono anche - indica il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicato oggi - "carenze", in quanto tali confessioni non riconoscono "il primato di Pietro", ovvero del Papa di Roma. Tale primato - avverte tuttavia la nota - "non deve essere inteso in modo estraneo o concorrente nei confronti dei vescovi delle Chiese particolari".
Sì al dialogo anche con le chiese "particolari" ma, afferma l’ex Sant’Uffizio, "perché il dialogo possa veramente essere costruttivo, oltre all’apertura agli interlocutori, è necessaria la fedeltà alla identità della fede cattolica". Le comunità protestanti, nate dalla riforma luterana del XVI secolo, non possono essere considerate, dalla dottrina cattolica, "chiese in senso proprio", in quanto non contemplano il sacerdozio e non conservano più in modo sostanziale il sacramento dell’Eucarestia.
"L’identificazione della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica - è quanto afferma in un’intervista monsignor Angelo Amato - non è da intendersi come se al di fuori della chiesa cattolica ci fosse un ’vuoto ecclesiale’, dal momento che nelle chiese e comunità ecclesiali separate si danno importanti ’elementa ecclesiae’". "Il volto nuovo della Chiesa - aggiunge - non implica rottura ma armonia in una comprensione sempre più adeguata della sua unità e della sua unicità".
Il segretario della Congregazione spiega anche perché sia stato scelto, nel documento, lo stile delle domande con risposte. "E’ un genere - osserva - che non implica argomentazioni diffuse e molto articolate, proprie ad esempio delle Istruzioni o delle Note dottrinali. Nel nostro caso invece si tratta di alcune brevi risposte a dubbi relativi alla corretta interpretazione del Concilio".
* la Repubblica, 10 luglio 2007
Ansa» 2007-08-12 12:08
PAPA: SULLA TERRA SIAMO DI PASSAGGIO, TENDIAMO VERSO L’ALTO *
CASTEL GANDOLFO (ROMA) - "Sulla terra siamo tutti di passaggio". E’ il monito che oggi, all’Angelus pronunciato nella residenza di Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha rivolto ai fedeli. "Un invito - ha detto commentando le odierne letture bibliche - a spendere la nostra esistenza in modo saggio e previdente, a considerare attentamente il nostro destino, e cioé quelle realtà che noi chiamiamo ultime: la morte: il giudizio finale, l’eternità, l’inferno e il paradiso". In particolare il contenuto della pagina evangelica, secondo il Papa, oggi, "proseguendo il messaggio di domenica scorsa, invita i cristiani a distaccarsi dai beni materiali in gran parte illusori, e a compiere fedelmente il proprio dovere con una costante tensione verso l’alto".
Anche l’altra lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, accennando all’aspirazione alla meta del "paradiso", indica che "la primitiva comunità cristiana si considerava quaggiù ’forestiera’" e che "i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo". Da qui l’esortazione di Benedetto XVI a pensare "alla vita del mondo che verrà" e a "non dimenticare che qui, sulla terra, siamo solo di passaggio". Se viviamo "in modo saggio e previdente", considerando le realtà ultime come "il giudizio finale", "l’inferno e il paradiso", allora - ha aggiunto il Papa parlando ’a braccio’ - "proprio così viviamo in responsabilità e costruiamo un mondo migliore".
Un appello alla comunità internazionale affinché aiuti "tempestivamente e generosamente" le popolazioni colpite dalle inondazioni nel Sud-Est asiatico è stato pronunciato oggi da Benedetto XVI subito dopo la recita dell’Angelus dalla residenza di Castel Gandolfo. Il Papa ha ricordato dapprima le "numerose vittime" e i "milioni di senza tetto" causati dalle "gravi inondazioni" che nei giorni scorsi "hanno devastato vari Paesi del Sud-Est asiatico". "Nell’esprimere la mia profonda partecipazione al dolore delle popolazioni colpite - ha proseguito -, esorto le comunità ecclesiali a pregare per le vittime e a sostenere quelle iniziative di solidarietà promosse per alleviare le sofferenze di tante persone duramente provate". "Non manchi a questi nostri fratelli e sorelle - ha quindi aggiunto - l’aiuto tempestivo e generoso della comunità internazionale!".