LODO IMMUNITA’, IL CDM DA’ IL VIA LIBERA AL DDL
ROMA - Il Consiglio dei ministri ha dato via libera al disegno di legge sull’immunità delle più alte cariche istituzionali, il cosiddetto ’lodo Schifani bis’. Lo si apprende da fonti governative.
Ansa» 2008-06-27 09:47. Per aggiornamenti, cliccare sul rosso.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
SENZA PIU’ PAROLA E SENZA PIU’ CARTA D’IDENTITA’. Alla ricerca della dignità perduta...
Le idee. Per una biopolitica illuminista
L’ultima lezione di Stefano Rodotà
di Roberto Esposito (la Repubblica, 31.03.2018)
«Per vivere occorre un’identità, ossia una dignità. Senza dignità l’identità è povera, diventa ambigua, può essere manipolata». Il nuovo libro, postumo, di Stefano Rodotà, Vivere la democrazia, appena pubblicato da Laterza, può essere letto come un ampio e appassionato commento a questa frase di Primo Levi. Tutti e tre i termini evocati da Levi - identità, dignità e vita - s’incrociano in una riflessione aperta ma anche problematica, che ha fatto di Rodotà uno dei maggiori analisti del nostro tempo.
Composto da saggi non tutti rivisti dall’autore, scomparso lo scorso giugno nel pieno del suo lavoro, il libro ci restituisce il nucleo profondo di una ricerca che definire giuridica è allo stesso tempo esatto e riduttivo. Esatto perché il diritto costituisce l’orizzonte all’interno del quale Rodotà ha collocato il proprio lavoro. Riduttivo perché ha sempre riempito la propria elaborazione giuridica di contenuti storici, filosofici, antropologici che ne eccedono il linguaggio. Rodotà ha posto il diritto, da altri irrigidito in formulazioni astratte, a contatto diretto con la vita. E non con la vita in generale, ma con ciò che è diventato oggi la vita umana nel tempo di una tecnica dispiegata al punto da penetrare al suo interno, modificandone profilo e contorni.
Ma cominciamo dalle tre parole prima evocate, a partire dall’identità. Come è noto a chi si occupa di filosofia, l’interrogazione sul significato della nostra identità attraversa l’intera storia del pensiero, trovando un punto di coagulo decisivo nell’opera di John Locke.
Cosa fa sì che il vecchio riconosca sé stesso nel ragazzo, e poi nell’adulto, che è stato nonostante i tanti cambiamenti che ne hanno segnato l’aspetto e il carattere? La risposta di Locke è che a consentire alla coscienza di sperimentarsi identica a se stessa in diversi momenti dell’esistenza è la memoria. Ma tale risposta bastava in una stagione in cui natura, storia e tecnica costituivano sfere distinte e reciprocamente autonome. Una condizione oggi venuta meno. Nel momento in cui politica e tecnica hanno assunto il corpo umano a oggetto del proprio operato tutto è cambiato. Sfidata dalle biotecnologie e immersa nel cyberspazio, l’identità umana si è andata dislocando su piani molteplici, scomponendosi e ricomponendosi in maniera inedita.
È precisamente a questa mutazione antropologica che Rodotà rivolge uno sguardo acuminato. A chi appartiene il nostro futuro? - egli si chiede con Jaron Lanier (La dignità ai tempi di internet, Il Saggiatore) - quando l’identità non è più forgiata da noi stessi, ma modificata, e anche manipolata, da altri? Si pensi a come è cambiato il ruolo del corpo in rapporto alla nostra identificazione. Dopo essere stato centrale, al punto che sulla carta d’identità comparivano, insieme alla foto, colore di occhi e capelli, il corpo è stato in qualche modo soppiantato dalle tecnologie informatiche - password, codici, algoritmi. Per poi tornare, una volta tecnologizzato, come oggetto di attenzione da parte delle agenzie di controllo.
Impronte digitali, geometrie della mano, iride, retina, per non parlare del dna.
Tutto ciò quando la chirurgia plastica è in grado di cambiare i nostri connotati.
E qui entra in gioco il secondo termine del libro, la dignità, assunta non in maniera generica, ma come un vero principio giuridico. Che ha già trovato spazio nella nostra Costituzione e poi nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ma ciò non basta, se si vuol passare dal tempo dell’homo aequalis a quello dell’homo dignus. Il richiamo alla dignità, che è stato un lascito importante del costituzionalismo del Dopoguerra diventa, per Rodotà, un elemento costitutivo dell’identità personale.
Naturalmente a patto che il concetto stesso di “persona” spezzi il guscio giuridico di matrice romana, per incarnarsi nel corpo vivente di ogni essere umano, senza distinzione di etnia, religione, provenienza.
Anche la questione, largamente discussa, dei beni comuni va inquadrata in questo orizzonte storico, misurata alle drastiche trasformazioni che stiamo vivendo. Solo in questo modo anche il terzo termine in gioco - la vita - può diventare oggetto di una biopolitica affermativa. Rodotà ne offre un esempio illuminante.
Nel 2013 la Corte suprema dell’India ha stabilito che il diritto di una casa farmaceutica di fissare liberamente il prezzo di un farmaco di largo consumo è subordinato al diritto fondamentale alla salute di chi ne ha bisogno. Che prevale sull’interesse proprietario.
Come è noto, a partire dall’entrata in vigore del Codice civile napoleonico, il principio della proprietà è stato sostituito a quello, rivoluzionario, di fraternità, anteponendo la figura del proprietario a quella del cittadino. Che non sia arrivato il momento di riattivare la fraternità ricucendo il filo, spezzato dell’uguaglianza?
Sul tema, nel sito, si cfr.:
FILOSOFIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO
MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIU’ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIU’ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!!
Federico La Sala
Antonio Tabucchi denunciato da Schifani Anno Zero 5 febbraio 2009
appello di esponenti della cultura
internazionale
Sosteniamo Antonio Tabucchi
in “Le Monde” del 19 novembre 2009 (traduzione: www.finesettimana.org)
Le democrazie vive hanno bisogno di individui liberi. Di individui coraggiosi, indisciplinati, creativi. Che osano, che provocano, che disturbano. Così è degli scrittori la cui libertà di espressione è indissociabile dall’idea stessa di democrazia.
Da Voltaire e Hugo a Camus e Sartre passando per Zola e Mauriac, la Francia e le sue libertà sanno ciò che devono al libero esercizio del loro diritto a guardare e a mettere in allerta di fronte all’opacità, alle menzogne e alle imposture dei poteri. E l’Europa democratica, da quando si costruisce, non ha smesso di sostenere questa libertà degli scrittori contro tutti gli abusi di potere e le ragioni di Stato.
Ma ecco che in Italia questa libertà è messa in pericolo dall’attacco esagerato di cui è oggetto Antonio Tabucchi.
Il presidente del Senato italiano, Renato Schifani, gli chiede in giustizia la somma esorbitante di 1,3 milioni di euro per un articolo pubblicato su l’Unità, giornale che tuttavia non è perseguito.
Il crimine di Antonio Tabucchi è di aver interpellato Schifani, personaggio centrale del potere berlusconiano, sul suo passato, sulle sue relazioni d’affari e le sue dubbie frequentazioni - tutte domande a cui l’interpellato evita di rispondere. Informarsi sul percorso, la carriera e la biografia di un alto responsabile pubblico fa tuttavia parte del necessario interrogarsi e delle legittime curiosità della vita democratica.
Attraverso la scelta particolare del bersaglio - uno scrittore che non ha rinunciato ad esercitare la sua libertà - e la somma reclamata - un ammontare astronomico per un affare di stampa -, l’obiettivo perseguito è quello di intimidire una coscienza critica e, attraverso essa, di far tacere tutti gli altri.
Dai recenti attacchi contro la stampa di opposizione a questo processo ad uno scrittore europeo, noi non possiamo restare indifferenti e passivi davanti all’offensiva del potere italiano contro la libertà di giudizio, di critica e di interrogazione.
Per questo motivo noi ci dichiariamo solidali con Antonio Tabucchi e vi invitiamo ad unirvi a noi, firmando in massa questo appello.
Laure Adler, giornalista e scrittrice;
Théo Angelopoulos cineasta;
Homero Aridjis scrittore, ambasciatore del Messico presso l’Unesco;
Michel Braudeau, scrittore ed editore;
Andrea Camilleri, scrittore;
Patrick Chamoiseau, scrittore;
Alain Corneau, cineasta;
Constantin Costa-Gavras, cineasta;
Antoine Gallimard, PDG delle Editions Gallimard ;
Edouard Glissant, scrittore;
Tony Judt,storico e scrittore;
Jean-Marie Laclavetine, éditore e scrittore;
Claude Lanzmann, cineasta e scrittore;
Antonio Lobo Antunes, scrittore;
Claudio Magris, scrittore;
Antonio Munoz Molina, scrittore;
Marie Ndiaye, scrittore, Premio Goncourt 2009;
Orhan Pamuk, scrittore, Premio Nobel di letteratura;
Daniel Pennac, scrittore;
Philip Roth, scrittore;
Boualem Sansal, scrittore;
Fernando Savater, scrittore e filosofo;
Jorge Semprun, scrittore;
Mario Soares, uomo politico;
Philippe Sollers, scrittore;
Serge Toubiana, direttore della Cinémathèque française;
Nadine Trintignant, attrice;
François Vitrani, direttore della Maison de l’Amérique latine.
Su Lemonde.fr La liste completa dei firmatari
Il cavaliere illegalista
IL COMMENTO
di FRANCO CORDERO
Due secoli fa il malato d’Europa era l’Impero ottomano, guarito attraverso radicali terapie laiche. La prognosi è severa nel caso clinico Italia 2009: malattia organica, ormai conta trent’anni, da quando governi corrotti aprono l’etere al pirata venuto dalla P2, covo d’una pericolosa criminalità eversiva in colletto bianco.
E s’insedia, monopolista d’una televisione con cui disgrega i neuroni collettivi; tre volte occupa Palazzo Chigi adoperando i mangiatori dell’erba televisiva quale massa elettorale. Mentre istupidiva l’audience rastrellando pubblicità, allungava i tentacoli negli affari: editoria, banca, finanza, commercio, cinematografo, assicurazioni e via seguitando; ogni atto del governo in materia economica tocca interessi suoi (in quale misura gli riesce comodo lo scudo fiscale?); nessuno lo vede eroico asceta. Chiamarlo illegalista è eufemismo: edifica l’impero mediante corruzione, frode, plagio; vince le cause comprando chi giudica. Le guerre da corsa implicano dei rischi. Sinora li ha elusi, aiutato da oppositori imbelli o quasi complici: saliti due volte al governo, chiudono gli occhi sul conflitto d’interessi che trasforma l’Italia in una signoria privata indefinibile secondo le categorie politiche; ha tante pendenze e se ne disfa mutando le norme penali (vedi falso in bilancio) o attraverso partite defatigatorie, finché il tempo estingua i delitti; diabolicamente fortunato, esce indenne dal caso monstre perché, a causa d’una svista legislativa poi corretta, la pena inasprita non gli risulta applicabile e la meno grave, graziosamente addolcita dalle attenuanti cosiddette generiche, sta nei limiti in cui opera la prescrizione del reato.
Salvo per il rotto della cuffia, ma Dio sa quanta materia pericolosa nasconda un sottosuolo blindato da scatole cinesi e paradisi fiscali. Gli serviva un’immunità: gliela votano, invalida, ma nel dichiararla tale (gennaio 2003), la Corte scioglie questioni collaterali; risalito al governo, la pretende, minacciando misure devastanti quale sarebbe la sospensione dei processi (almeno due su tre), incluso il suo, dove l’accusa, congeniale ai precedenti, è d’avere corrotto l’avvocato inglese testimone (il lupo non perde i vizi); in lingua anglosassone, bill of indemnity, così nei cinque anni seguenti nessun pubblico ministero gli viene tra i piedi; poi scalerà il Quirinale, padrone d’una Repubblica ridisegnata sulle sue molto anomale misure. Vengono utili le metafore inglesi: affollate da asini che dicono sì muovendo la testa (nodding ass), le Camere votano; il Capo dello Stato non obietta; l’indecoroso bill diventa legge ma obiettano i giudici chiamati ad applicarla e gli atti finiscono alla Consulta.
Cominciamo dalla prospettiva: questioni simili sono definibili in vacuo, fuori d’ogni riferimento all’attuale realtà italiana, come fossimo sulla luna tra spiriti disincarnati? No, il controllo delle leggi cade in spazi storicamente determinati: la Corte le vaglia, caso mai fossero passibili d’uso perverso, contro i fini dell’ordinamento definiti dalla Carta; e sappiamo lo sfondo. Eccolo, l’Italia invasa dal plutocrate populista, pifferaio, re delle lanterne: non sa un acca dell’ars gubernandi occidentale, coltiva gl’interessi suoi, converte il pubblico in privato, odia i poteri separati e non vede l’ora d’abolirli in una regressione al dominio prepolitico; perciò l’Europa trattiene il fiato davanti allo scempio italiano.
Non sto chiedendo scelte in odio al tiranno: sarebbe decisione politica; idem se santificasse il fatto (monopolista dei poteri esecutivo, legislativo, mediatico, economico, s’impadronirà anche del giudiziario); e sottintendeva logiche d’un quietismo padronale l’argomento addotto dall’Avvocatura dello Stato (una sentenza ostile al famigerato lodo indebolirebbe il governo, ergo lasciamo le cose come stanno). La politica non c’entra. Va stabilito se nell’Italia 2009 le norme fondamentali tollerino un capo del governo immune: i tre contitolari hanno la funzione delle finestre dipinte, salvano la simmetria; l’interessato è lui; e notiamo en passant come sia l’unico, mancando ogni termine analogo (Europa, Usa, ogni Stato evoluto).
Nel merito la questione è presto risolta. Gli avvocati della corona d’Arcore ventilano un’immunità compatibile con l’art. 3 (i cittadini eguali davanti alla legge): l’art. 24 Cost., c. 2, garantisce la difesa, diritto inviolabile; e come può difendersi l’augusta persona, dedita alla res publica? Fossi in loro, non insisterei: Sua Maestà esercita una napoleonica capacità d’attenzione sincrona dividendosi tra gli affari suoi e le cose pubbliche, talvolta mischiandoli; e le cronache dicono quanto tempo gli resti da spendere nel rituale serotino. Suona futile anche il sèguito, che la gestione della res publica esiga uno scenario psichico quieto: sapersi imputato glielo disturba, con danni ai sudditi. La versatilità dell’homo in fabula scongiura ogni pericolo. Anche quest’argomento, poi, riesce pericoloso dove tira in ballo i pregi del lavoro tra palazzo e ville: non merita tutela l’interesse dei cittadini ad avere governanti seri?; lo sarebbe un barattiere cronico?
Da notare come il bill of indemnity sia assoluto: copre ogni delitto comune, fosse anche enorme (prassi mafiosa, narcotraffico planetario, Spectre); chiunque abbia la testa sul collo ammetterà che sia un privilegio eccessivo. Importa poco che le Camere obbedienti non l’abbiano votato come legge costituzionale (mancava il tempo, incombendo la decisione nella maledetta causa milanese): nascerebbe altrettanto invalido sotto tale forma, perché vigono delle priorità tra gl’interessi tutelati dalle norme fondamentali; e qui è in gioco niente meno che la divisione dei poteri. Concedergli l’immunità significa ungerlo monarca assoluto, in figure reminiscenti della scalata hitleriana 1933-34. Mancano solo la legge dei pieni poteri e il cumulo cancellierato-presidenza della Repubblica, fusi nel nome mistico "Führer".
C’è poco da stare allegri, anzi cade l’umore: una volta nascevano dei giuristi; che salto da Bartolo, Baldo, Alciato ad Angiolino Alfano, ma siamo equanimi. Chi l’aveva preceduto nell’ultimo governo soi-disant centrosinistro? Clemente Mastella, attuale europarlamentare berlusconiano.
© la Repubblica, 7 ottobre 2009
Il dolo Berlusconi
di Marco Travaglio *
Quando il Lodo Schifani-bis, anzi il Lodo Alfano, anzi il Dolo Berlusconi sarà sulla Gazzetta Ufficiale, l’Italia sarà l’unica democrazia al mondo in cui quattro cittadini sono «più uguali degli altri» di fronte alla legge. Un privilegio che George Orwell, nella «Fattoria degli animali», riservava non a caso ai maiali. E che, nell’Italia del 2008, diventa appannaggio dei presidenti della Repubblica, del Senato (lo stesso Schifani), della Camera e soprattutto del Consiglio. I massimi rappresentanti delle istituzioni, che nelle altre democrazie devono dare il buon esempio e dunque mostrarsi più trasparenti degli altri, in Italia diventano immuni da qualunque processo penale durante tutto il mandato, qualunque reato commettano dopo averlo assunto o abbiano commesso prima di assumerlo.
Compresi i reati comuni, "extrafunzionali", cioè svincolati dalla carica e persino dall’attività politica. Anche strangolare la moglie, anche arrotare con l’auto un pedone sulle strisce, anche stuprare la colf o molestare una segretaria. O magari corrompere un testimone perché menta sotto giuramento in tribunale facendo assolvere un colpevole. Che poi è proprio il caso nostro, anzi Suo. Come scrisse il grande Claudio Rinaldi sull’"Espresso" a proposito del primo Lodo, «un’autorizzazione a delinquere».
La suprema porcata cancella, con legge ordinaria - votata in un paio di minuti dal collegio difensivo allargato del premier imputato, che ha nome "Consiglio dei ministri" - l’articolo 3 della Costituzione repubblicana. Che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali...».
La questione è tutta qui. Le chiacchiere, come si dice a Roma, stanno a zero. Se tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, non ne possono esistere quattro che non rispondono in nessun caso alla legge per un certo numero di anni in base alle loro "condizioni personali e sociali", cioè alle cariche che occupano. Se la Costituzione dice una cosa e una legge ordinaria dice il contrario, la legge ordinaria è incostituzionale.
A meno, si capisce, di sostenere che è incostituzionale la Costituzione (magari prima o poi si arriverà anche a questo). Ora, quando in una democrazia governo e parlamento varano una legge incostituzionale, a parte farsi un’idea della qualità del governo e del parlamento che hanno eletto, i cittadini non si preoccupano. Sanno, infatti, che le leggi incostituzionali sono come le bugie: hanno le gambe corte. Il capo dello Stato non le firma, il governo e il parlamento le ritirano oppure, se non accade nessuna delle due cose, la Corte costituzionale le spazza via.
Ma purtroppo siamo in Italia, dove le leggi incostituzionali, come le bugie, hanno gambe lunghissime. Non è affatto scontato che il presidente della Repubblica o la Consulta se la sentano di bocciare il Lodo-bis. A furia di strappi, minacce, ricatti, vere e proprie estorsioni politiche, il terrore serpeggia nelle alte sfere (che preferiscono chiamarlo "dialogo"). E anche la Costituzione è divenuta flessibile, anzi trattabile. Un mese fa è passata con tutte le firme e le controfirme una legge razziale (per solennizzare il 60° anniversario di quelle mussoliniane) denominata "decreto sicurezza": quella che istituisce un’aggravante speciale per gli immigrati irregolari. Se fai una rapina e sei di razza ariana e di cittadinanza italiana, ti becchi X anni; se fai una rapina e sei extracomunitario, ti becchi X+Y anni. Vuoi mettere, infatti, la soddisfazione di essere rapinato da un italiano anziché da uno straniero.
E il principio di uguaglianza? Caduto in prescrizione. Stavolta è ancora peggio, perché non è in ballo il destino di qualche vuccumpra’, ma l’incolumità giudiziaria del noto tangentaro (vedi ultima sentenza della Cassazione sul caso Sme-Ariosto) che siede a Palazzo Chigi. Infatti è già tutto un distinguo, a destra come nella cosiddetta opposizione, sulle differenze che farebbero del Lodo-bis una versione "migliore" del Lodo primigenio.
Il ministro ad personam Angelino Jolie assicura che, bontà sua, «la sospensione dei processi non impedisce al giudice l’assunzione delle prove non rinviabili, la prescrizione è sospesa, l’imputato vi può rinunciare. La sospensione non è reiterabile e la parte civile può trasferire in sede civile la propria pretesa». Il che, ad avviso suo e di tutti i turiferari arcoriani sparsi nei palazzi, nelle tv e nei giornali, basterebbe a rendere costituzionale la porcata.
Noi, che non siamo costituzionalisti, preferiamo affidarci a chi lo è davvero (con tutto il rispetto per Angelino e il suo gemellino Ostellino), e cioè all’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida. Il quale, interpellato il 18 giugno da Liana Milella su "la Repubblica", ha spiegato come e qualmente chi cita la sentenza della Consulta che nel 2004 bocciò il primo Lodo e sostiene che questo secondo la recepisce, non ha capito nulla: «La prerogativa di rendere temporaneamente improcedibili i giudizi per i reati commessi al di fuori dalle funzioni istituzionali dai titolari delle più alte cariche potrebbe eventualmente essere introdotta solo con una legge costituzionale, proprio come quelle che riguardano parlamentari e ministri... La bocciatura del vecchio lodo nel 2004 da parte della Consulta è motivata dalla violazione del principio di uguaglianza dei cittadini quanto alla sottoposizione alla giurisdizione penale».
L’unica soluzione per derogare all’articolo 3 è modificare eventualmente la Costituzione (con doppia lettura alla Camera e doppia lettura al Senato, e referendum confermativo in mancanza di una maggioranza dei due terzi). E non con una legge che sospenda automaticamente i processi alle alte cariche: sarebbe troppo. Ma, al massimo, con una norma che spiega Onida - «introduca una forma di autorizzazione a procedere che consentirebbe di valutare la concretezza dei singoli casi. Ragiono su ipotesi, perché gli ‘scudi’ sono da guardare sempre con molta prudenza... La sospensione non dovrebbe essere automatica, ma conseguire al diniego di una autorizzazione a procedere. E comunque la legge costituzionale resta imprescindibile». Insomma, quando Angelino Jolie sbandiera la «piena coincidenza del Lodo con le indicazioni della Consulta», non sa quel che dice.
La rinunciabilità del Lodo non significa nulla (comunque Berlusconi, l’unico ad averne bisogno, non vi rinuncerà mai: altrimenti non l’avrebbe fatto). E la possibilità della vittima di ricorrere subito in sede civile contro l’alta carica che le ha causato il danno, se non fosse tragica, sarebbe ridicola: uno dei quattro presidenti si mette a violentare ragazze o a sparare all’impazzata, ma i giudici non lo possono arrestare (nemmeno in flagranza di reato), nè destituire dall’incarico fino al termine della legislatura; in compenso le vittime, se sopravvivono, possono andare dal giudice civile a chiedere qualche euro di risarcimento... Che cos’è: uno scherzo? L’unica differenza sostanziale tra il vecchio e il nuovo Lodo è che stavolta vale per una sola legislatura: non per un premier che viene rieletto, nè per un premier (uno a caso) che passa da Palazzo Chigi al Quirinale. Ma ciò vale fino al termine di questa legislatura. Dopodiché Berlusconi, una volta rieletto o asceso al Colle, potrà agevolmente far emendare il Lodo, sempre per legge ordinaria, e concedersi un’altra proroga di 5 o di 7 anni.
A questo punto si spera che il capo dello Stato non voglia cacciarsi nell’imbarazzante situazione in cui si trovò nel 2004 Carlo Azeglio Ciampi: il quale firmò (e secondo alcuni addirittura ispirò tramite l’amico Antonio Maccanico) il Lodo, e sei mesi dopo fu platealmente smentito dalla Corte costituzionale. Uno smacco che, se si dovesse ripetere, danneggerebbe la credibilità di una delle pochissime istituzioni ancora riconosciute dai cittadini: quella del Garante della Costituzione. Quando una legge è manifestamente, ictu oculi, illegittima, il capo dello Stato ha non solo la possibilità, ma il dovere di rinviarla al mittente prima che lo faccia la Consulta.
In ogni caso, oltre al doppio filtro del Quirinale e della Consulta, c’è anche quello dei cittadini. Che, tanto per cominciare, scenderanno in piazza a Roma l’8 luglio contro questa e le altre leggi-canaglia. Dopodiché potranno raderle al suolo con un referendum, già preannunciato da Grillo e Di Pietro. Si spera che anche il Pd se non gli eletti, almeno gli elettori vi aderirà. Secondo Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, «il Lodo deve valere dalla prossima legislatura». Forse non ha pensato che così il Caimano si porterebbe dietro lo scudo spaziale anche al Quirinale.
* l’Unità, Pubblicato il: 28.06.08, Modificato il: 28.06.08 alle ore 8.28
Lodo Schifani bis, il governo
approva il disegno di legge
ROMA - Il Consiglio dei ministri ha dato via libera al disegno di legge sull’immunità delle più alte cariche istituzionali, il cosiddetto "lodo Schifani bis". Lo si apprende da fonti governative.
Il provvedimento - presentato dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano - esonera per tutta la durata dell’incarico le prime quattro cariche dello Stato (presidente della Repubblica, presidente del Consiglio, presidenti del Senato e Camera) da tutti i ’’reati extrafunzionali’’, non commessi cioè nell’esercizio delle loro funzioni. Un provvedimento che molti esponenti dell’opposizione giudicano "ad personam", fatto apposta per concedere immunità giudiziaria a Silvio Berlusconi.
La prima versione del "lodo Schifani", presentata durante il precedente governo del Cavaliere, non superò il vaglio della Corte costituzionale.
La proposta del ministro dell’Interno Maroni: prendere le impronte digitali ai nomadi
Jacques Barrot, commissario alla Giustizia ricorda che Bruxelles vigila sui diritti umani
.L’Ue boccia le impronte ai rom ."Mai successo prima in Europa"
Ma la Commissione puntualizza: "commenteremo solo la legge quando approvata"
BRUSSELLES - La Commissione Ue si espressa sulla schedatura dei residenti dei campi nomadi in Italia: prendere le impronte ai rom viola le norme della Comunità europea.
’’Una cosa del genere non è mai successa fino ad ora’’ in uno Stato membro dell’Ue. Così Pietro Petrucci, portavoce del Commissario europeo alla giustizia Jacques Barrot, rispondendo ad una domanda nel corso del briefing quotidiano, ha commentato la proposta del ministro dell’Interno Roberto Maroni di prendere le impronte digitali ai Rom, compresi i minori. ’’La Commissione non può commentare dichiarazioni rese da politici di Stati membri, ma solo leggi approvate dal Parlamento’’, ha tuttavia precisato il portavoce aggiungendo che il braccio esecutivo dell’Ue ’’non ha ricevuto informazioni dirette o indirette dalle autorità italiane’’ sul tema.
Il portavoce ha poi ricordato che Bruxelles dà grande importanza al rispetto dei diritti umani e dei valori fondamentali e alla lotta contro la discriminazione.
* la Repubblica, 27 giugno 2008.
«Impronte? Ma no, faremo solo foto segnaletiche ai bimbi rom»
Bruxelles avverte: mai più in Europa
«Siamo indignati dal fatto che un’etnia venga presa sotto tiro, soprattutto a partire dai bambini». Così la segretaria confederale della Cgil, Morena Piccinini, stigmatizza la proposta del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, per la creazione di una banca dati con le impronte digitali dei Rom. «Idea - aggiunge la Piccinini - peraltro bocciata oggi dall’Unione europea». «È una schedatura etnica non degna di nessun paese civile - continua la sindacalista - tanto basta che le segnalazioni di etnie sono avvenute sempre e solo dove ci sono stati dei regimi totalitari: non a caso anche le persecuzioni del nazifascismo cominciarono proprio dalla schedatura dei bambini ebrei». «Ancora una volta - aggiunge la sindacalista - invece di investire sui diritti dei bambini si interviene con reprimende». «Chiediamo pertanto al governo e al ministro - conclude - di rientrare nell’Europa libera e democratica ritirando i provvedimenti annunciati».
«La proposta del ministro Maroni di prendere le impronte digitali a tutti i bambini rom nel nostro paese è una espressione di governo odiosa e intollerabile, carica di pregiudizi e dettata da incultura -afferma Luciana Sbarbati - capogruppo nella commissione bicamerale infanzia del Pd. In nessun paese civile esistono simili iniziative anche se le condizioni della sicurezza sono più precarie. Non pensa il Premier che tutto ciò cozza contro la sua sedicente proclamata cultura liberaldemocratica? - continua Sbarbati. Da buon cattolico e da statista democratico è Suo dovere cancellare subito questa norma ma soprattutto insegnare al ministro dell’interno che comunque, anche in caso di diversità di razza, le colpe dei padri, reali o presunte, non possono ricadere sui figli, in questo caso minori. Luciana Sbarbati afferma poi che i deputati e senatori del Pd chiederanno la convocazione straordinaria della commissione infanzia per valutare la gravità politica, culturale e morale dell’iniziativa del ministro dell’interno».
A difendere il provvedimento annunciato da Maroni e sottoposto all’altolà di Bruxelles è invece il prefetto di Milano, nominato da Palazzo Chigi commissario per l’emergenza rom, Gian Valerio Lombardi. Secondo il prefetto con la nuova ordinanza del ministero degli Interni per il censimento dei nomadi, «non ci sono novità», perchè «le norme già in vigore consentono il fotosegnalamento per chi non riesce a dimostrare la propria identità, siano anche minori». Il prefetto fa riferimento ad una legge del ’41- in tarda epoca fascista, dunque -che prevede che chi non è in grado di dimostrare la propria identità possa essere fotosegnalato.
Si tratta della legge 633 del 22 aprile 1941 che riguarda soprattutto le censure e i diritti d’autore di riproduzioni fotografiche, poi servita anche per integrare in questo campo il famigerato Codice Rocco. E usata per organizzare le «fotosegnalazioni» di categorie di persone mal accette al regime o oppositori politici, come anarchici e comunisti.
Secondo il prefetto Lombardi l’intento di ricorrere a queste norme del Ventennio è buono: «Ci si è posti un problema, che è quello di bambini che vengono mandati, nella maggior parte dei casi da genitori che restano in Romania, a rubare in zone della città e vengono picchiati se non portano il minimo garantito. Di questi bambini non sappiamo nulla, non sappiamo chi sono e quindi - continua il prefetto - si pensa di identificarli con il fotosegnalamento che è una estrema ratio, perchè non ci sono altri strumenti, ma viene fatto anche a loro tutela». Quindi niente impronte, sostiene Lombardi, solo una comoda seduta in commissariato davanti al flash per una bella foto segnaletica, come se fossero tutti criminali. O potenziali tali.
Il ministro Roberto Maroni «non ci sarà nessuna schedatura». L’obiettivo è fare «un censimento di chi c’è» nei campi nomadi. E «la Croce Rossa italiana - ha detto sempre Maroni a Otto e Mezzo su La7 - accompagnerà la Polizia nei campi proprio perché siano rispettati i diritti di tutti». Addirittura il censimento dei campi nomadi sarebbe fatto proprio «per tutelare i bambini. Parlare di leggi razziali è una stupidaggine».
Mentre per eurodeputato Gianni Pittella, presidente della delegazione italiana nel gruppo del Pse al Parlamento Europeo, «anche se ancora non si tratta di un pronunciamento ufficiale», è molto importante la reazione della Commissione Europea all’annuncio del ministro Maroni di costituire una banca dati con le impronte digitali dei rom perchè, come ha detto il portavoce della Commissione, una misura di questo tipo comporta una grave violazione del principio di parità di trattamento di tutti i cittadini presenti nei Paesi membri, a prescindere dalla loro nazionalità od origine etnica. Secondo l’eurodeputato Pd la misura proposta da Maroni, «è anche del tutto inefficace, sia ad affrontare i problemi di sicurezza che incombono su molte nostre città, sia per la promozione di serie politiche di inclusione, che sono le uniche di cui il governo Berlusconi non si occupa e che l’Europa reclama con sempre maggiore insistenza».
* l’Unità, Pubblicato il: 27.06.08, Modificato il: 27.06.08 alle ore 17.29
INTERCETTAZIONI: DI PIETRO, BERLUSCONI MAGNACCIA
CAMPOBASSO - Prima l’attacco a Berlusconi sulla vicenda delle telefonate con Agostino Saccà. "L’allora aspirante capo del governo - ha detto il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro - mi sembra facesse un lavoro più da magnaccia per piazzare questa o quella velina". Poi la promessa di una linea di condotta sempre più dura: "Il nostro compito è quello di fare un’opposizione - ha continuato Di Pietro nel corso di una conferenza stampa stamattina a Campobasso - responsabile, che non ha gli occhi chiusi, che conoscendo chi c’é dall’altra parte sa che se lo si lascia fare ci porterà a essere più sudditi e meno cittadini".
"Berlusconi sta utilizzando tutto questo tempo in parlamento per farsi le leggi che servono a lui, soprattutto una legge che gli permette di non essere più processato, fosse manco il Padreterno", sottolinea Di Pietro sul nuovo "lodo Schifani" sull’immunità alle alte cariche dello Stato. "Noi dell’Idv - ha confermato l’ex ministro - faremo un referendum per permettere ai cittadini di abrogare questa legge in modo che anche lui sia uguale agli altri".
"L’azione politica di questo governo mi sembra piduista e non so fino a che punto - ha aggiunto Di Pietro - la volontà sia solo di Berlusconi. Il Parlamento è stato svuotato dalle sue funzioni, si fanno solo decreti legge. Ieri il Csm ha espresso un parere su una legge che hanno fatto e loro hanno detto: cambiamo il Csm".
Ma a tenere banco sono sempre le dichiarazioni sulle intercettazioni tra Berlusconi e Saccà: "Le intercettazioni - ha poi insistito Di Pietro - offrono uno spaccato di questa classe dirigente italiana che ci fa vergognare, e dicono anche che non si devono pubblicare le intercettazioni". "Per un giochetto a Clinton gliene hanno fatte e dette di tutti i colori, qui se senti le intercettazioni telefoniche... voglio dire: vendevano parti di film piuttosto che di fiction e quant’altro utilizzando i soldi della Rai, soldi nostri, soldi del canone. In cambio di che cosa? Quella è bona, quella è bella, quella c’ha le tette grosse. Ma insomma, abbiate pazienza, fate gli statisti o i magnaccia?", ha concluso Di Pietro.
La maggioranza richiesta era di 273
Via libera dalla Camera al Lodo Alfano
I sì sono stati 309, i no 236, 30 gli astenuti. La norma, che prevede l’immunità per le 4 massime cariche dello Stato, dovrebbe essere votata in Senato prima della pausa estiva. Passa un emendamento del Pd sulla ’’non reiterabilità’’. Soddisfatto il Guardasigilli: ’’Testo migliorato’’. Ma Veltroni attacca: ’’Leggi ad personam’’. D’Alema: ’’Berlusconi rinunci e affronti il giudizio a testa alta’’. Caso Mills, da Csm risoluzione a tutela dei magistrati citati dal premier
Roma, 10 lug. (Adnkronos/Ign) - Sì della Camera al ’Lodo Alfano’. Arriva il primo via libera al provvedimento che consente la sospensione dei procedimenti giudiziari a carico delle quattro alte cariche dello Stato. Scontato il sì del centrodestra, si astiene l’Udc, votano contro il Partito democratico e l’Idv. Alla fine 309 sì, 236 no, 30 astenuti. Ora il testo andrà all’esame del Senato e dovrebbe essere votato prima della pausa estiva, mentre l’Assemblea di Montecitorio da domani si prepara ad affrontare il decreto legge sicurezza e c’è attesa per conoscere il destino della cosiddetta norma ’blocca processi’, che a questo punto dovrebbe essere radicalmente modificata.
"Siamo contenti, crediamo di aver fatto un buon lavoro", commenta soddisfatto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano. "Abbiamo migliorato il testo che era venuto fuori dal Consiglio dei ministri - aggiunge il Guardasigilli - accettando un emendamento dell’opposizione che era già nella lettera della legge, ovvero il fatto che dopo la legislatura di copertura e di tutela delle alte cariche, non vi potesse essere un ulteriore utilizzo della medesima norma anche in caso passaggio ad un’altra funzione. Questo emendamento lo ha specificato meglio e noi lo abbiamo accolto".
Alfano ha poi ripetuto che il lodo non è un provvedimento ad personam, tagliato a misura per Silvio Berlusconi, ma "risponde alle esigenze del Paese e riteniamo possa rispondere alle esigenze di far svolgere serenamente il proprio lavoro alle alte cariche dello Stato". Berlusconi, "dopo aver brillantemente vinto le elezioni, merita di governare serenamente questo Paese e il Paese ha bisogno di essere governato. Siamo molto soddisfatti".
Ma dall’opposizione il leader del Pd Walter Veltroni attacca, parlando in aula alla Camera, il governo Berlusconi : "Siamo tornati al passato come ci fosse una maledizione". Veltroni critica sia le forzature con cui sta procedendo, sia i provvedimenti che, come il ’lodo Alfano’ e prima il ’salva Rete4’ , sono "obiettivamente leggi per una persona". Il segretario del Pd denuncia che la politica italiana di oggi sembra destinata a "replicare il passato, potremmo essere nel 2001, nel 2004 o nel 1998".
Da parte sua, Massimo D’Alema ha invitato con un ’’consiglio amichevole’’, il presidente del Consiglio a ’’rinunciare e affrontare il giudizio a testa alta’’. L’ex vicepremier, pur apprezzando ’’la rinuncia a una misura come l’emendamento blocca processi, che per bloccare un processo ne avrebbe fermati molti’’, definisce il lodo una ’’soluzione pasticciata e confusa’’ e chiede che il Parlamento torni a discutere di un tema delicato come la giustizia su cui il ’’confronto è stato compromesso da scelte frettolose e arbitrarie’’. ’’Ritengo che in definitiva questa leggina rappresenti un errore politico’’, spiega.
La giornata era iniziata con il no dell’aula di Montecitorio (296 voti contrari) alle due pregiudiziali di costituzionalità presentate dal Pd, quindi si era passati all’esame i 283 emendamenti al disegno di legge.