Benedetto XVI ha scritto alle autorità del Trentino Alto Adige
Il papa non vuole la rana in croce
Ma la direttrice del museo difende l’opera. E oggi verrà costretta alle dimissioni
BOLZANO. La Rana Crocifissa è stata scomunicata dal papa in persona. Reduce da nove giorni di sciopero della fame anti-blasfemia, con i diavoli tentatori che gli organizzavano sotto il naso la sagra del canederlo, ieri mattina il presidente del consiglio regionale del Trentino-Alto Adige, Franz Pahl, ha divulgato un passo della lettera che Benedetto XVI gli ha inviato mentre si trovava in vacanza a Bressanone.
La Rana di Martin Kippenberger, esposta al museo di arte moderna di Bolzano, «ha ferito il sentimento religioso di tante persone che nella croce vedono il simbolo dell’amore di Dio e della nostra salvezza, che merita riconoscimento e devozione religiosa», scrive Ratzinger.
Forti dell’appoggio papale - sollecitato anche da manifestazioni in piazza degli Schutzen - i fautori dell’allontanamento della Rana hanno deciso ora di giocarsi il tutto per tutto, convocando per questa mattina il consiglio della Fondazione Museion, a soli tre mesi dall’inaugurazione dello scintillante museo nel centro di Bolzano, che ha avuto finora 26mila visitatori. I componenti di nomina provinciale, che sono la maggioranza, hanno già fatto sapere che voteranno contro la Rana, sconfessando la direttrice, Corinne Diserens. Che risponde: «La Rana resterà suo posto».
Probabile, quindi, il braccio di ferro, con le dimissioni della direttrice e del comitato artistico del Museion. Nonostante il motivo del contendere sia ormai solo di principio: la statua raffigurante una rana crocifissa che stringe in una zampa un boccale di birra e nell’altra un uovo, opera dello scomparso artista tedesco Martin Kippenberger, se ne sarebbe comunque tornata a casa sua, in Svizzera (una collezione privata), il 21 settembre, quando si concluderà la mostra «Sguardo periferico e corpo collettivo».
La contesa può apparire surreale, ma sono ormai tre mesi che in Alto Adige ci si accapiglia intorno all’opera di Kippenberger, che voleva simboleggiare l’ipocrisia di una società la quale, corrotta nel suo profondo, mantiene un’immagine irreprensibile all’esterno. La chiave sta tutta nelle prossime elezioni provinciali di fine ottobre, con il partito di maggioranza assoluta, la Svp, che teme di perdere la decennale supremazia e cerca di riacquistare credibilità nelle frange integraliste.
L’eroe della lotta contro la Rana è l’esponente riconosciuto di questa frazione della Svp, Franz Pahl, che in realtà dovrebbe baciare il ranocchio, perché potrebbe tramutarsi in un bel gruzzolo di voti.
Dalla sua parte il sindaco di Bolzano, il presidente della Provincia Durnwalder, il Pdl, il vescovo Wilhelm Egger. A favore della Rana in croce la direzione del Museion e i partiti di sinistra. A inizio giugno le prime bordate: «La Rana deve essere inserita in un costruttivo dialogo socio-politico. L’opera non deve essere estrapolata dal contesto», suggerisce l’assessore alla Cultura, Kasslatter Mur.
Pahl inizia lo sciopero della fame. Il museo reagisce fornendo ai visitatori dépliant informativi sull’opera di Kippenberger. Il 28 luglio arriva in Alto Adige il Pontefice e immediatamente il vescovo gli espone la «questione». Il senatore centrista Gubert annuncia un esposto in procura, mentre la stampa locale - soprattutto quella di lingua tedesca - attacca ad alzo zero l’opera «blasfema».
Il museo fa una piccola, ma non sufficiente ritirata: sposta la statua al terzo piano, accanto a opere dello stesso artista, e la copre in parte con gli articoli di giornale usciti in quei giorni. Pahl interrompe lo sciopero della fame, ma promette: «La mia battaglia non è conclusa». E quando ha in mano la lettera del Papa, scatena l’ultima offensiva.
* la Repubblica 28.08.2008
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
Romeo Castellucci «Nel mio Cristo niente di provocatorio»
di Francesca De Sanctis (l’Unità, 17 gennaio 2012)
Lettera aperta di Romeo Castellucci alle redazioni: «Sul Concetto di volto nel figlio di Dio e una riflessione sul decadimento della bellezza, sul mistero della fine - scrive il regista e fondatore della Societas Raffaello Sanzio - . Gli escrementi di cui si sporca il vecchio padre incontinente non sono altro che la metafora del martirio umano come condizione ultima e reale. Non c’è niente di provocatorio».
È una lunga lettera quella di Castellucci, costretto a scrivere, anche se l’arte, libera per definizione, non dovrebbe spiegare proprio nulla. Ma gli attacchi e le polemiche, dopo il dissenso dimostrato apertamente dai cattolici francesi a Parigi, cominciano a farsi sentire anche in Italia, a Milano, soprattutto, dove lo spettacolo - che lo scorso anno andò in scena a Roma senza provocare offese o risentimenti - debutterà il prossimo 24 gennaio al Franco Parenti. l’esposto
Una decina di cittadini hanno depositato un esposto alla Procura di Milano affinché intervenga «per vigilare che non siano commessi reati» previsti dal primo e dal secondo comma dell’articolo 404 del Codice penale, che prevede una multa fino a 5mila euro «per l’offesa arrecata in un luogo di culto, in un luogo pubblico o aperto al pubblico a una confessione religiosa».
Ma che cos’è che dà tanto fastidio nello spettacolo di Castellucci? «L’azione teatrale vuole essere una riflessione sulla difficoltà del 4˚ comandamento se preso alla lettera. Onora il padre e la madre. Un figlio, nonostante tutto, si prende cura del proprio padre, del suo crollo fisico e morale. Crede in questo comandamento e fino in fondo il figlio sopporta quella che sembra essere l’unica eredità del proprio padre. Le sue feci. E così come il padre anche il figlio sembra svuotarsi del proprio essere e della propria dignità».
E ancora: «Per questo spettacolo ho scelto il dipinto di Antonello a causa dello sguardo di Gesù che è in grado di fissare direttamente negli occhi ciascuno spettatore con una dolcezza indicibile. Lo spettatore guarda lo svolgersi della scena ma è a sua volta continuamente guardato dal volto. Il Figlio dell’uomo, messo a nudo dagli uomini, mette a nudo noi, ora. Quando le condizioni tecniche lo rendono possibile, è previsto l’ingresso di un gruppo di bambini che svuotano i loro zainetti del loro contenuto: si tratta di granate giocattolo. Uno ad uno lanciano queste bombe sul ritratto. È un gesto innocente portato da innocenti. L’intenzione è quella del bambino che vuole tutta l’attenzione per sé del genitore distratto. A Milano non è stato possibile includere questa scena non certo per un’autocensura!».
La pièce mostra, nel suo finale, dell’inchiostro nero di china che sgorga dal ritratto del Cristo: «È tutto l’inchiostro delle sacre scritture che qui pare sciogliersi di colpo. Devo denunciare qui le intollerabili menzogne circa il fatto che si getterebbero feci sul ritratto di Gesù. Che idea! Niente di più falso, di cattivo, di tendenzioso».
A placare gli animi interviene perfino la Curia milanese: «Raccogliendo le parole della regista e direttrice del teatro Parenti di Milano Andrée Ruth Shammah a nostra volta domandiamo che sia riconosciuta e rispettata la sensibilità di quanti, cittadini milanesi, e non sono certo pochi, vedono nel Volto di Cristo l’Incarnazione di Dio, la pienezza dell’umano e la ragione della propria esistenza». E Andrée Ruth Sahammah ringrazia a sua volta: «Siamo i primi a credere che la libertà di espressione non debba prevalere sul rispetto delle idee e delle identità - spiega -. Proprio per questo, abbiamo continuato a rispondere ai tanti che ci hanno scritto in queste settimane, ribadendo che lo spettacolo non ha alcun contenuto offensivo».
Lettera del Vaticano sullo spettacolo di Castellucci
IL CONTROVERSO SPETTACOLO DI CASTELLUCCI
La Segreteria di Stato risponde all’appello di padre Cavalcoli: «Il Papa auspica che ogni mancanza di rispetto incontri la reazione ferma e composta della comunità cristiana»
ANDREA TORNIELLI (La Stampa, 19/01/2012)
CITTÀ DEL VATICANO
Il Papa, « auspica che ogni mancanza di rispetto verso Dio, i santi e i simboli religiosi incontri la reazione ferma e composta della comunità cristiana, illuminata e guidata dai suoi pastori». Lo scrive la Segreteria di Stato in una lettera indirizzata al domenicano padre Giovanni Cavalcoli, del convento bolognese di San Domenico, che l’8 gennaio aveva inviato al Pontefice una missiva parlando dello spettacolo «Il concetto del volto del Figlio di Dio» di Romeo Castellucci, in programma al Teatro Parenti di Milano la prossima settimana. La lettera vaticana, datata 16 gennaio, è firmata dall’assessore della Segreteria di Stato, lo statunitense Brian B. Wells.
Padre Calavalcoli, nella lettera inviata a Benedetto XVI, scriveva a nome di un gruppo di fedeli definendo «indegno e blasfemo» lo spettacolo di Castellucci, un’opera «gravemente offensiva della persona del nostro Divin Salvatore Gesù Cristo». «Ci addolora inoltre in modo particolare - continuava il teologo domenicano - la consapevolezza che questo inqualificabile atto di empietà colpisca pure, benché indirettamente, la venerabile e da noi amata persona di vostra Santità», in quanto vicario di Cristo. Padre Cavalcoli osservava che l’avvenimento non rappresenta «un fenomeno casuale, isolato e senza radici», ma si inserisce in «una crescente ostilità nei confronti del cristianesimo che si sta diffondendo nel mondo, nonché di un sintomo ed effetto di un disagio e di una crisi spirituali profondi e diffusi ormai da decenni anche in Italia, in parte anche per una mancata o malintesa applicazione del Concilio Vaticano II».
Dopo aver citato le forze che dentro la Chiesa «remano contro» il Papa, Cavalcoli afferma che episodi come quello del controverso spettacolo di Castellucci «sono resi possibili non solo dagli attacchi della cosiddetta “cristianofobia”, ma anche da gravi vuoti e carenze dottrinali ed educative non dovutamente eliminati da parte di chi di dovere. Pensiamo in modo particolare - scrive il domenicano, riferendosi ai casi di pedofilia del clero - allo scandalo subito dai bambini, nei confronti del quale il Signore ha parole di estrema severità». «Siamo preoccupati - conclude Cavalcoli - per coloro che, come il Castellucci, cercano di trarre vantaggio da una situazione nella quale si fa desiderare una maggiore vigilanza da parte delle autorità civili ed ecclesiastiche».
Otto giorni dopo l’invio, dunque a stretto giro di posta, ecco la risposta della Segreteria di Stato, nella quale, citando la lettera del frate domenicano, si parla dell’opera teatrale «che risulta offensiva nei confronti del Signore nostro Gesù Cristo e dei cristiani». «Sua Santità - continua la missiva vaticana firmata dall’assessore Wells - ringrazia vivamente per questo segno di spirituale vicinanza e, mentre auspica che ogni mancanza di rispetto verso Dio, i santi e i simboli religiosi incontri la reazione ferma e composta della comunità cristiana, illuminata e guidata dai suoi pastori, le augura ogni bene per il ministero e invia di cuore l’implorata benedizione apostolica». La riproduzione originale della lettera della Segreteria di Stato è messa online da padre Cavalcoli sul sito Riscossa Cristiana e dal comitato San Carlo Borromeo.
"Sul concetto di volto nel Figlio di Dio" andrà in scena, non sprechiamo un’occasione per riflettere
di Antonio Audino (Il Sole-23 Ore, 20 gennaio 2012)
Lo spettacolo si farà. E anzi sarà l’occasione per capire esattamente cosa accade in scena, sperando che anche i cattolici che si ritengono offesi da questa produzione si ricredano. Già, perché ha ragione Romeo Castellucci, regista del tanto discusso "Sul concetto del volto di Dio" quando afferma che chi accusa di blasfemia quest’opera certamente non l’ha vista. Lo spettacolo ha girato in Italia e in Europa suscitando accese discussioni di carattere filosofico e culturale, trattandosi del lavoro di un creatore dal pensiero complesso e spesso impervio . Ma le repliche a Parigi hanno dovuto fronteggiare gli attacchi di alcuni gruppi di integralisti religiosi, convinti che lo scopo della messa in scena fosse l’idea di insozzare e vituperare un’immagine del Cristo. Ed è proprio l’eco di quelle proteste a riemergere in questi giorni in occasione del debutto milanese fissato per il 23 al Teatro Franco Parenti di Milano. Qui il livello di fuoco si alza, non solo interviene la curia meneghina, ma le fa eco addirittura la segreteria di Stato vaticana, che invita a una reazione «ferma e composta» rispetto a questo atto ritenuto offensivo per chi crede.
Davvero strano, eppure chi lo aveva visto a Roma o ad Avignone aveva percepito tutt’altro, si era trovato immerso in un’ acutissima riflessione sul sacro, sui nostri momenti di fragilità e di miseria umana, sul nostro bisogno di dialogo con un entità superiore, simboleggiata in scena dalla gigantografia di un Cristo umanissimo e dolente di Antonello da Messina.
Ora le iperboli visive e immaginative messe in gioco da Castellucci sono senza dubbio complesse e lasciano allo spettatore ogni possibilità di lettura. Ma certo quel padre continuamente sporco di feci, quel figlio amorevole che lo soccorre, davanti allo sguardo di quell’ecce homo, suggeriscono riflessioni umanissime, rovesciano il rapporto tra padre e figlio, facendolo rimbalzare su una triangolazione divina. Ora, qualunque cosa avesse fatto Castellucci o un altro artista ci sarebbe da chiedersi quanto oggi sia legittimo un intervento censorio da parte di chiunque. Ma il paradosso è che le cose non stanno affatto così.
Le feci sul volto di Cristo? Niente affatto: una colata di liquido nero copre alla fine l’immagine, preludendo allo spettacolo successivo del regista in cui un pastore protestante si cala un crespo nero sugli occhi fino alla morte, magari rimandando a un pensiero tutto cristiano sul Dio nascosto. E poi chi conosce il lavoro di Castellucci sa che il regista è un vero e proprio filosofo della scena, e forse l’unico regista internazionale davvero interessato a un livello di riflessione profonda. Resta da chiedersi il perché di tanto rumore per nulla. Ma evidentemente le gerarchie vaticane amano ancora far sentire la propria voce in termini censori e lanciare anatemi per ribadire il loro sguardo vigile sulla nostra società, così come gruppuscoli minoritari alzano la voce solo per far capire che ci sono. Intanto un appello in difesa dello spettacolo viene stilato da alcuni importanti critici di teatro (www.teatroecritica.net) E la lista delle adesioni si allunga di minuto in minuto.
Bolzano
Sei componenti votano a favore dell’opera del tedesco Kippenberger, tre contro
Sfida del museo: la rana crocifissa resta
Verdetto a sorpresa nonostante la condanna del Papa. Cda diviso
MILANO - La «rana crocifissa» resta dov’è. Le proteste, i sit in, le invocazioni alle massime autorità, la lettera di Benedetto XVI, non hanno piegato il Consiglio di Amministrazione del Museion di Bolzano. La decisione è stata assunta a maggioranza: 6 contro 3. Dunque, l’opera dell’artista tedesco Martin Kippenberger (guarda), contestata duramente secondo logiche incrociate - spirito religioso al limite del fanatismo e convenienze politiche - rimarrà esposta fino alla scadenza naturale. Cioè il prossimo 21 settembre, quando chiuderà la mostra «Sguardo periferico e corpo collettivo». E la direttrice del Museion, Corinne Diserens, che ha difeso a spada tratta la scultura, non è stata sconfessata. Le sue dimissioni paventate non ci saranno. Al contrario, Franz Pahl, presidente del Consiglio regionale del Trentino Alto Adige, non ha raccolto i frutti di 9 giorni di sciopero della fame anti-blasfemia, uscendo sconfitto.
LE OPERE DI MARTIN KIPPENBERGER
Il fatto è che il verdetto favorevole alla rana non era scontato. Anzi. La composizione del Cda del Museion lasciava prevedere altri comportamenti. I membri sono 9 in tutto; 5 dei quali a nomina provinciale, 4 nominati dall’Associazione Museion. Questi, come da previsioni, hanno votato a favore della permanenza dell’opera. La sorpresa è arrivata dalla spaccatura dei 5 «provinciali», in odore di compatta adesione alla linea del Consiglio. Non è stato così. Due di loro - il museologo Dieter Bogner e l’imprenditore Heinrich Gasser - si sono smarcati. Fatto sta che il clamoroso 6 a 3 ha dimostrato che l’arte può battere la politica. Al di là del valore intrinseco della statua raffigurante una rana crocifissa che stringe in una zampa un boccale di birra e nell’altra un uovo. Kippenberger, scomparso nel 1997 a soli 44 anni, sosteneva di voler combattere l’ipocrisia di chi bada più all’apparenza che all’essenza delle cose. Questo era, secondo lui, il significato profondo della sua rana messa in croce.
Ma a Bolzano l’effetto è stato di segno diverso. Anche se, dietro la contestazione dell’opera, emerge una prosaica battaglia elettorale. Sono indette per fine ottobre le elezioni provinciali, e il clima appare incerto. La Svp, partito di maggioranza assoluta, teme di perdere voti. Allora anche la «rana» da sfrattare può far gioco nel recupero dei consensi tra i cattolici-integralisti. Contro l’opera «blasfema» si sono schierati il sindaco, il presidente della Provincia Durnwalder e il vescovo Wilhem Egger. A favore della scultura di Kippenberger, invece, si sono pronunciati la Direzione del Museion e i partiti di sinistra.
M. Fu.
Cara Maria
a mio modesto parere, devo dire che fai molta confusione e cancelli la differenza - i cristiani e le cristiane ridono e sorridono illuminati dalla ’amore e dalla grazia di "Dio" (CHARITAS), i cattolici romani e le cattoliche romane cercano di nascondersi in sepolcri imbiancati e fanno finta di giocare al cristianesimo, ma il loro è un semplice cattolicismo (come il comunismo, il fascismo, il nazismo... il bushismo e il berlusconismo).
Cara Maria
cerca di rimettere al tuo fianco GIUSEPPE e cerca di amare bene (eu-angelicamente) GESU’.
Segui FRANCESCO con CHIARA MENTE... e pensa con la tua testa, e NON con quella dei cultori del Dio MAMMONA (Deus caritas est) dell’Accademia platonico-costantiniana, cattolico-romana. PACE E BENE....
Per la Redazione
Federico La Sala
L’AQUILA
La Bolla dell’eremita del Morrone
Per la celebrazione detta della Perdonanza.