Lettera al papa di un sacerdote "reduce dalla missione"
Da Adista n 50 del 2001
DOC-1097. ROMA-ADISTA. Si autodefinisce un "reduce dalla missione" e scrive una lettera al papa per chiedergli: "ma quei preti sono proprio dei mostruosi stupratori o a loro volta vittime violentate?". Il tema è dunque quello della violenza perpetrata da alcuni sacerdoti su giovani suore e novizie, denunciata alle autorità vaticane e alla dirigenza della Unione dei Superiori Generali a partire dal 1994 (v. Adista nn. 24, 26 e 30/01). L’autore della lettera - di cui omettiamo il nome perché in essa racconta la sua esperienza personale - intende leggere "il fenomeno in tutta la sua complessità", non per "giustificare l’ingiustificabile", ma per "misurare le colpe istituzionali (qualora vi fossero) e le responsabilità personali (qualora provate), chiamare per nome "situazioni" che danno occasione o favoriscono tali abusi, smascherare aberrazioni religiose e culturali".
Sulla vicenda delle suore abusate si continuano a registrare reazioni (v. anche il "fuoritesto" in questo stesso numero). Qui di seguito, oltre alla lettera del "reduce dalla missione", trova spazio la presa di posizione delle religiose colombiane (Commissione Donna-Chiesa della Conferenza nazionale) che si chiedono: "fino a che punto si deve esigere una pratica celibataria da uomini la cui situazione, formazione e vocazione non li dispone a questo? Fino a che punto si deve permettere che accedano alla vita religiosa donne la cui giovinezza, immaturità e poca formazione non permette loro un’opposizione radicale e una denuncia pubblica e immediata verso questo tipo di fatti?".
"ME LA PRENDO CON VOI, GESTORI DELLA FEDE, ..."
Lettera al papa di un sacerdote "reduce dalla missione"
Caro Papa,
hai letto bene Adista (n. 36/2001)? "Il Parlamento europeo intima: Arrestate quei preti!". Ed io ti invito ad applaudire, perché il "braccio secolare" ti esorta a collaborare con la giustizia di 23 Paesi per rendere l’onore delle armi alle suore vittime dei soprusi sessuali dei preti. A te, paladino della verità, vorrei rivolgere una domanda inquietante: ma quei preti sono proprio da considerare dei mostruosi violentatori, degli stupratori o a loro volta sono "vittime violentate" da un sistema ecclesiastico che ha imposto loro dei "pesi insopportabili"?
Lungi da me giustificare l’ingiustificabile! Vorrei solo insinuare che il fenomeno va visto in tutta la sua complessità. Solo così si potranno misurare le colpe istituzionali (qualora vi fossero) e le responsabilità personali (qualora provate), chiamare per nome "situazioni" che danno occasione o favoriscono tali abusi, smascherare aberrazioni religiose e culturali. Per non rimanere nell’astratto, ti racconto la mia piccola storia, una come tante.
Sono stato inviato in una parrocchia dove nessun missionario voleva andare. Su e giù per la foresta, 60 villaggi nel raggio di 250 km, dentro e fuori tuguri e uomini ridotti a macerie. Sempre in viaggio tra contraddizioni e paradossi non previsti nei libri di testo. Nei manuali non trovo istruzioni per l’uso: come maneggiare i non-uomini? Come impastare sacramenti e liturgie, teologie e culture occidentali in situazione di calamità sociale? Come farci stare nel Vangelo tanta emergenza? Cosa annunciare alle vittime? Se tu, depositario ed interprete autorevole della fede, ti trovassi su una zattera alla deriva, quale buon annuncio ti vorresti sentire annunciare? Un piatto di sana dottrina o di ostie? Se il Cristo si è identificato con le vittime ("Ero Io in loro", Mt 25), l’andare ad evangelizzarle non sarebbe pretendere di predicare il Cristo al Cristo stesso?
La mia presunzione d’essere cristiano va in crisi. Io, educato ad avere la risposta in tasca per ogni quesito, non so rispondere ai bisogni primari di questi uomini, di nessuno. Il mio ricettario contempla le malattie spirituali, qui ho a che fare con le malattie più banali del mondo, prima fra tutte, la fame. Amministrare "segni di salvezza" (sacramenti) a chi affonda nell’indecenza, nella necessità biologica ed ha bisogno di essere salvato da "segni di giustizia", non è troppo paradossale? Come costruire il cristiano laddove non c’è l’uomo?
L’impotenza è la prima esperienza di croce: ne aiuti dieci, ne arrivano cento; ne aiuti cento, accorrono mille... Quando è una società intera in situazione di emergenza e chi sta a galla è l’eccezione, che fai? Ogni giorno che passa mi butta in braccio un bambino, che battezzo per spedirlo in paradiso. Ogni delitto (quasi sempre frutto di un regime di miseria istituzionalizzato) che sono chiamato a "vedere" (3-4 al giorno) mi ributta nella esasperazione dell’impotenza: da dove partire per ricostruire l’uomo? Come sopravvivere in un cimitero di condannati a vivere? Sai cosa si prova a vedere gli altri morire e tu sei costretto a vivere tuo malgrado?
Eppure la parrocchia funziona a meraviglia: battesimi, matrimoni, sacramenti a volontà! L’unica cosa che mi permetto di sperperare. Poi, la sera, l’amaro in bocca: anche oggi ho cacciato in paradiso delle anime... ma i loro corpi? Che stridore parlare di resurrezione ai poveracci!"Padre, per favore, non mi parlare più di vita eterna... non mi prendere in giro. Non ho già sofferto tutta una vita?".
Il mio patrimonio di fede è impari di fronte a tanta tragedia. La mia strumentazione di bordo non è in grado di rispondere ai bisogni dell’uomo. Senso di inganno, frustrazione, vuoto interiore. Io sono un esperto in anime e qui ho a che fare con corpi che affondano nel niente. Sento il loro odore, il sudore forte, il respiro breve. La compagna più fedele, la morte. Amica, confidente, liberatrice. Mi riduco a fare il becchino: attendo in canonica i bambini, che hanno avuto il torto di nascere nella culla della morte. Che cosa celebrare di loro? La fretta di attraversare il corridoio della vita? O le loro mamme ridotte a Pietà in carne ed ossa?
Ti do atto: i missionari si sono sempre interessati anche dei corpi con dispensari, ospedali, scuole. Ma che ne dici delle conversioni del riso, dei nuovi sacri baratti? "Ti do cibo, salute, istruzione e tu mi dai, se non la conversione, almeno la possibilità di fare del bene, di accumulare meriti per il Paradiso...".
Oggi, dopo tanti martiri laici e sacre lotte per i diritti umani, non si può non andare "oltre" l’assistenzialismo. Chi non sa che in caso di emergenza ci vuole il pronto soccorso, l’aiuto straordinario, la Croce Rossa? Ma non abbiamo ridotto a regola ciò che dovrebbe essere eccezione? La beneficenza troppo spesso è stata usata come un alibi per evitare la giustizia. Dopotutto, non è funzionale "alle strutture di peccato"? È sempre stata praticata e le cose non hanno fatto che peggiorare.
Vivo come una colpa l’essere diverso per cultura, potere economico e, soprattutto, per privilegio clericale. Le notti insonni, l’incubo dei morticini, la morte ingiusta ed onnipresente. Infine raccolgo la sfida: voglio tentare di essere come loro. Se loro non possono andare dal dottore, comprare una medicina, permettersi il lusso di vivere; se muoiono come mosche, perché non devo morire anch’io? M’ero stancato d’essere uno straniero nell’universo dei poveri.
Ho girato il mondo e a malincuore devo confessare che di missionari disposti "a dare" ne ho trovati tanti, ma pronti a "condividere" ben pochi. La tendenza ufficiale è di andare a portare cose, religione, civiltà, ecc. Ci hanno educato a stare al di sopra o al di sotto, mai alla pari. Tra chi dà e chi riceve non ci sarà mai parità. Mi ripugnava fare da benefattore. Fino a quando si dà si è su di un piedistallo, che ci impedisce l’esperienza più umana: "alla pari". Tra amici ci si aiuta, tra fratelli si condivide. Ed io volevo dare prova a me stesso di essere come loro. (Alla fine dovrò ammettere che noi saremo sempre dei diversi, perché ricchi sfondati di cultura, storia, amici, religione. Non maneggiamo Dio stesso?).
Ho durato su questa linea alcuni mesi. Poi mi sono trovato sull’orlo del precipizio. Il vuoto, dentro, era diventato voragine. La disperazione avanzava a divorare tutto di me. In balia di una specie di inanizione. "Il male è più forte di me, mi dicevo. Dio, perché mi fai venire in odio la vita?". Una di quelle sere di vuoto spinto ho Chiesto ad un’agente di pastorale, con la quale avevo già condiviso anni di lavoro, di volermi bene. Ero scoppiato. M’ero nutrito di troppa morte e questo fenomeno, di riflesso, faceva sprigionare in me, all’improvviso, la voglia di vivere, di comunicare la vita. Buon senso ed istinto di conservazione avevano avuto il sopravvento. Di notte mi ritrovavo a gridare, nel silenzio dell’anima: "Voglio vivere, voglio vivere". Sognavo, deliravo? So soltanto che dal mio essere erompeva una forza nuova: quella di fare esperienza di un amore che non avevo mai conosciuto e del quale, per la prima volta, sentivo imperioso il bisogno. Era la vita, in me, che prendeva la rivincita sulla morte? Dall’amicizia siamo passati all’amore. Per una voglia spasmodica di vivere, oppure era il bambino che era in me che voleva rifugiarsi di nuovo nel ventre della donna-madre, la culla che m’ha generato?
I principi? Sono sacrosanti. E la mia voglia di vivere, acutizzata, "estremizzata" da una "situazione di morte", non è altrettanto sacrosanta?
Lo sai meglio di me: il fariseismo è un peccato di tutti i tempi, cui sono esposti specialmente i benpensanti, i pii cattolici. Che ne sapete voi di cosa si prova nel Terzo mondo? Possibile che tutti i preti che si sposano siano dei maniaci sessuali, degli schiavi degli organi genitali? Li avete mai ascoltati fino in fondo?
E che ne dici di quei vescovi che inducono i preti con figlio (è la prassi normale) ad abbandonare sia la madre che il piccolo, assicurando il loro mantenimento economico pur che il colpevole prenda il largo? In nome di quale vangelo si può dispensare da precisi obblighi di giustizia, riducendo madre e figlio a dei corpi da nutrire? Dove sono contemplati questi delitti nella legislazione canonica? Avete anteposto una legge umana alla legge naturale della paternità... E pretendete di essere ritenuti i "migliori amici dell’uomo", coloro che tutelano i diritti umani anche a costo della vita? I tuoi collaboratori, che stanno nei sacri palazzi, hanno mai meditato davanti ad un bambino affamato? Te l’assicuro: è un crocifisso che fa tremare la fede più ancora che un crocifisso adulto! Non so se riuscirai a credermi: ho amato per non morire. Solo l’istinto della sopravvivenza mi ha dato la forza di vincere l’istinto del nulla. Uno può resistere a sentire sul collo il fiato della m orte per un anno, due , tre... ma una vita? È umanamente possibile?
Non citarmi i luoghi comuni della "mancanza di fede", per carità, o che "basta pregare e tutto va a posto"! Rispondi a loro, invece: "Che gusto si può provare ad essere figlio di Dio col pancione pieno di vermi? E tu, Dio, ti piace così tanto avere per figli dei sacchi pieni di vermi...? Certo Tu, Dio, vorrai sapere cosa provano verso di noi miserabili i nostri fratelli che si fanno chiamare "padri", vero?". Si muore di fame, ma anche di solitudine, di impotenza, di disperazione d’amore.
Io non credo alla favola del celibato volontario. Quando uno fin dalla tenera età è plagiato con la storiella della "bella virtù"; quando per anni gli viene inculcato che se viene meno è peggio di Giuda; quando per 15-20 anni non sente l’odore di un bambino, non se ne parla di un profumo di donna, la quale è dichiarata "una tentazione" (come minimo); quando uno è tagliato fuori dalla convivenza naturale della famiglia, come fai a dire che non è un "violentato", uno al quale è stato imposto un regime di segregazione tale che lo deforma psicologicamente? Che cosa è successo nel suo mondo interiore, a livello di emozioni, di sentimenti umani? Il Padreterno avrebbe sprecato tempo e fantasia ad inventare fiori, bimbi e fanciulle? Avrebbe buttato là queste bellezze perché in seminario ci insegnino a sputarci sopra? Chi non c’è stato non può immaginare a che cosa viene ridotto un uomo che passa attraverso il trita-cuori del seminario. Non solo ti sterilizza il cuore, ma ti rende eunuca l’anima. Un santo prete era contro la formazione dei seminari: "Ambienti artificiali, contro natura, perché Dio ha inventato la famiglia, un ambiente che scalda cuore ed anima insieme". Senza dicotomie, manicheismi e spiritualismi evanescenti. La donna, il sesso, la famiglia l’ha forse inventata il diavolo? Quando mai la Chiesa ha apprezzato la vita coniugale, la corporeità, la sfera delle pulsioni? Dove sono gli esempi, le proposte positive? Anche vescovi e papi sono nati da un amplesso coniugale, non dagli angeli. Quanti i santi coniugati? Una beffa! Ed una sfida: impossibile farsi santi anche con la carne? Avrebbe sbagliato Dio a darci uno strumento inadeguato per il mestiere dell’uomo? Ti accenno queste piccolezze per tentare di farti capire le caverne psicologiche che lascia dietro di sé il seminario. Non può essere per caso che il numero dei preti alcolizzati o pedofili o gay o stupratori di suore è in aumento. Sì, ci sono situazioni storiche e culturali nuove, debolezze, cedimenti. Ci sono anche ottimi sacerdoti convinti, votati, che hanno sublimato, ecc. ecc. Ma prendo troppo sul serio il celibato per considerarlo una cosa banale. Una scelta troppo personale per istituzionalizzarla. Un carisma specialissimo. Me la prendo con voi, gestori della fede, perché condizionate il sacerdozio al fenomeno celibatario. Ma avete mai conteggiato tutti i disastri, le vittime che produce? Me la prendo con i capi, perché mi pare che certe frustrazioni, sfasature, aberrazioni sono più imputabili a loro, ai loro sistemi diseducativi, che alle povere vittime della loro beata incoscienza! Non corrono il rischio di "indurre in tentazione di stupro" tanti generosi? Non è temerarietà mandare allo sbaraglio senza l’equipaggiamento necessario? Come costringere ad andare in aereo senza paracadute. Quali strumenti di bordo, quali mezzi m’avete fornito per le alte quote e, ancor più, per le basse quote, le depressioni in umanità a sud del mondo? Tra i poveri, per esempio, si convive insieme, giorno e notte, senza nessun problema; per dormire basta appendere l’amaca o stendere una stuoia e ci si sistema tutti nella stessa capanna, nella quale non sono previste stanze riservate per celibi e nubili. Che cos’ha il povero da mettere sottochiave? Anche la privac’ è un lusso! Ma se non si è mai stati attrezzati di quella serenità ed equilibrio psicologico indispensabili per affrontare queste situazioni, che succederà? Come buttare uno nel fuoco e pretendere che non si bruci.
Caro Papa, non t’offenda il mio tono, cerca tra le righe il cuore dei tuoi preti buttati prima allo sbaraglio e poi abbandonati a se stessi. Che ne dici di uno che, in età avanzata, è costretto a "lasciare" e si trova sulla strada con moglie e figli, senza lavoro, senza pensione? Anche questa è carità cristiana? Eppure pare che preti e suore navighino nell’abbondanza e non sarebbe troppo gravoso dare una mano a chi, fino ad ieri, chiamavano "fratello" o "sorella".
Attenzione! I preti sposati possono essere vittime di una istituzione, che ostinatamente continua ad ignorare le loro ragioni, continua a mettere il sabato prima dell’uomo. Di quali altri disastri avete bisogno per riuscire a vedere delle vittime, che, a loro volta e loro malgrado, fanno altre vittime? Bisogna proprio che un’istituzione civile come il Parlamento Europeo ci dia una lezione di giustizia? O dobbiamo aspettare che ci denunci per violazione dei diritti umani? Bisogna pur dargli una risposta: chi denunciare per i reati sessuali commessi dai preti ai danni delle suore? Ricorda, caro papa: non basta un ulteriore, innocuo "mea culpa" di fronte alla storia. Quando c’è di mezzo la violazione della giustizia non esiste perdono se non c’è la riparazione del danno causato, la restituzione di quanto è stato negato.
E, dulcis in fundo, ti cito la saggezza tutta sapienziale di un sacerdote dal cuore grande: "Non capisco perché quando un prete sbaglia tutti gli danno addosso. Al fronte uno è spedito in prima linea in zona di alto rischio ed è più esposto degli altri al fuoco nemico. Se rimane ferito e perde una gamba, a guerra finita vanno tutti in piazza, suonano la fanfara, tanta festa. È chiamato sul palco: onori militari e medaglia d’oro sul petto. Il povero prete è mandato nei luoghi più lontani, sui monti, isolato... si ferisce al cuore. Perché non gli date la medaglia d’oro che si merita?". Chi ha orecchie per intendere, intenda.
Fonte: Adista n. 50 del 2001
(www.ildialogo.org/Ratzinger, Mercoledì, 08 febbraio 2006)
Suore stuprate da preti
Da Diario del mese - n.6 del 2006 (20-10-2006) dedicato allo STUPRO Pagg.72/74
Riprendiamo dalla Mailing List di Noi Siamo Chiesa questo testo trascritto da Ornella Marcato, pubblicato su Diario del mese - n.6 del 2006 (20-10-2006) dedicato allo STUPRO Pagg.72/74 *
LAURA E LE SUE SORELLE
Oltre il muro di molti conventi in Africa, la vita per le suore non è per niente serena. Soprattutto quando i pericoli arrivano da sacerdoti e vescovi. E la Chiesa preferisce chiudere un occhio, quando non addirittura due di Emanuele Quaranta Questa è la storia di Laura e delle sue tante, abusate, sorelle. Una storia triste e violenta, avvenuta per lunghi anni nel più tetro silenzio, in quel buio fitto in cui le vittime non hanno mai avuto voce. E quando hanno tentato di riprendersela e di alzarla, protestando e denunciando i crimini cui sono state sottoposte, non sono state ascoltate da chi avrebbe dovuto proteggerle.
Laura aveva 17 anni quando si è fatta suora. Ne aveva 27 quando è stata violentata da un prete. E ne aveva qualcuno più di 30 quando ha avuto il coraggio, per la prima volta, di parlare pubblicamente di ciò che le era successo, sconvolgendole - anzi distruggendole - la vita. Laura è un nome fittizio, ma il resto del suo racconto è oro colato. La sua storia ha come fondale un paese dell’Africa occidentale sconvolto dalla pandemia dell’Aids, forse la Nigeria o il Ghana o la Sierra Leone, o chissà quale altro. E ha come contesto una Chiesa cattolica che, in quel continente, non ha mai nascosto troppo bene la sua indifferenza verso uno dei precetti morali che in Vaticano ritengono obbligatori: il voto di castità e l’obbligo del celibato sacerdotale. Il coming out di Laura è avvenuto nell’aprile 2001, quando ha rilasciato una lunga intervista al settimanale americano National Catholic Reporter. Ma per una Laura che riesce finalmente a liberarsi dalla paura e a denunciare il fenomeno sulla stampa, ce ne sono altre cento, mille, che rimangono in un muto terrore e continuano a subire le violenze e le molestie sessuali di sacerdoti e vescovi.
La storia di Laura è semplice e, a suo modo, sui generis. Perché lei è una ragazza ingenua e piena di fede, ma anche più colta e di posizione sociale più elevata rispetto a tante sue consorelle. Appena entrata in convento comincia a subire le richieste pressanti di preti e religiosi cattolici, che magari dovrebbero essere padri spirituali e confessori, perché ceda loro le sue grazie. Forte di una non comune solidità di carattere, rifiuta e rifiuta ancora. E la cosa non è affatto semplice: le piccole congregazioni femminili come la sua, in Africa, dipendono totalmente - economicamente e spiritualmente - dal vescovo e dai sacerdoti delle diocesi. Senza la loro benevolenza, non ci sono soldi, non ci sono incarichi pastorali, non c’è neppure la possibilità di spostarsi da un luogo all’altro, dato che le automobili sono merce troppo costosa per un modesto convento di suore.
Molte sue consorelle cedono. Anche perché in Africa il prete è quasi un Dio: un capo religioso indiscutibile, un uomo colto e potente, a cui è quasi impossibile dire di no. Ma Laura, nonostante tutto, non molla. Fino a che il caso non la mette nelle mani del suo carnefice: un viaggio verso un piccolo villaggio rurale insieme a un sacerdote; la pioggia che li costringe a fare tappa in un luogo isolato; infine lo stupro, contro cui Laura si ribella e combatte con tutte le sue forze, ma che egualmente non gli evita il suo destino.
Una volta rientrata al convento, Laura denuncia l’accaduto, ne parla con i superiori e il vescovo. Ma ottiene l’opposto del risultato sperato: viene emarginata, derisa, messa lei stessa sul banco degli accusati. Fino a che, esasperata e sull’orlo di una crisi nervosa, viene tratta in salvo dalla sua facoltosa famiglia, che la manda a studiare negli Stati Uniti. Dove infine raccoglie le forze, riuscendo a lasciare la sua congregazione religiosa e a ricostruire i pezzi della sua vita.
Esistono diversi rapporti, più o meno segreti, che fotografano "il problema degli abusi"
La vicenda di Laura potrebbe sembrare, agli occhi di tanti bravi fedeli cattolici italiani, una storia orrenda, ma certo non comune, un caso isolato, un raro fenomeno di devianza all’interno di un generale e consolidato rispetto della norma. Invece no, decisamente no. E a testimoniarlo sono una serie di rapporti e di indagini svolte, ai massimi livelli, dalle stesse congregazioni religiose a livello internazionale e dal Vaticano stesso.
Rapporti segreti stilati in un arco di tempo che va dal 1994 al 2000, presentati da suor Maura O’ Donohue, medico e missionaria, che per sei anni ha svolto indagini sul tema dei religiosi e l’Aids in Africa, e da padre Robert Vitillo, direttore della Caritas internazionale, che durante un seminario a porte chiuse con esperti e leader religiosi cattolici di tutto il mondo al Boston College ha tenuto una dettagliata relazione su Le sfide teologiche poste dalla pandemia dell’Aids.
Il terzo rapporto segreto risale al 1998, si intitola Il problema di abusi sessuali di religiose africane in Africa e a Roma e viene presentato da suor Marie Mc Donald in occasione di un incontro del consiglio dei 16, un organismo che riunisce periodicamente i rappresentanti dei superiori generali delle congregazioni religiose maschili, di quelle femminili, e della Congregazione vaticana che controlla e supervisiona la vita degli ordini religiosi cattolici.
L’ultimo documento, infine, è del 2000 e ne è autrice una monaca che è anche psicologa, suor Esther Fangman, che lo illustra con dovizia di particolari al congresso internazionale dei 250 abati e badesse benedettine di tutto il mondo. Tutti e quattro i documenti, venuti alla luce grazie al National Catholic Reporter e all’agenzia di stampa italiana Adista, sono di una concretezza e di una sincerità da far accapponare la pelle. Vi vengono documentati migliaia di stupri, violenze e molestie sessuali subite da suore e per mano di sacerdoti. Ventitré paesi toccati da casi del genere, in tutti e cinque i continenti. Tristemente, però, è l’Africa l’area in cui si registra il maggior numero di abusi.
Questo, spiegano i redattori dei diversi rapporti, per due motivi: in primo luogo perché nella Chiesa cattolica locale - e dunque anche nel clero autoctono - celibato e castità non sono sentiti come un valore, anzi contrastano con la concezione tipicamente africana che unisce saldamente l’autorevolezza del maschio con la sua fecondità sessuale. Il secondo fattore è l’enorme diffusione del virus dell’Aids, che nel continente sta sterminando un’intera generazione. A causa del terrore del contagio, i sacerdoti attivi sessualmente - la grande maggioranza, stando agli estensori dei documenti riservati - se in precedenza si rivolgevano per lo più alle prostitute, con il tempo sono andati alla ricerca di face di popolazione femminile "non a rischio", in particolare ragazze giovanissime, ma soprattutto suore e monache.
Suor Maura O’ Donohue, nel 1995, ha l’occasione di illustrare il suo rapporto direttamente al cardinale Martinez Somalo, prefetto della Congregazione per i religiosi. E non gli risparmia i particolari. Racconta, ad esempio, di un caso eclatante avvenuto in Malawi: il vescovo di una diocesi costringe alle dimissioni le superiori locali perché queste si erano rivolte a lui per denunciare che 29 suore dei loro conventi erano state messe incinte da un gruppo di preti. Oppure racconta di quell’altra tragedia nella quale un prete violenta una suora, la mette incinta e poi la costringe ad abortire. Durante l’intervento, piuttosto artigianale, la religiosa muore e, qualche giorno dopo, il sacerdote ne celebra la messa funebre. Insomma, spiega dal canto suo suor Mc Donald nel suo rapporto, "le molestie sessuali e anche lo stupro di suore da parte di preti e vescovi è - a quanto ci risulta - evento comune. E talvolta, quando una religiosa resta incinta, il prete insiste perché abortisc a". Se il fatto viene alla luce, aggiunge suor Mc Donald, la donna che ne è vittima "viene punita con l’espulsione dall’ordine, mentre il prete per lo più viene soltanto trasferito in un’altra parrocchia oppure inviato all’estero a studiare".
Anche la relazione di padre Vitillo è assai esplicita e coraggiosa nella denuncia. "Alcuni preti", afferma, "raccomandano alle suore di assumere anticoncezionali, e approfittano della loro ingenuità facendo loro credere che la pillola impedisce la trasmissione del virus dell’Hiv. Altri hanno incoraggiato le suore con cui hanno avuto relazioni ad abortire. Alcuni medici che lavorano in ospedali cattolici locali mi hanno raccontato di aver ricevuto forti pressioni da parte di sacerdoti perché facessero abortire delle suore". Per decenni, su questo tragico fenomeno, "c’è stata una cospirazione del silenzio", afferma suor Mc Donald nel suo rapporto, "Ma soltanto se cominceremo a guardare in faccia la realtà onestamente, saremo in grado di trovare delle soluzioni". Eppure, nonostante la forza di tali denunce, poco o niente è stato fatto. Nel 2001, quando quei quattro documenti su cui era stampigliato strettamente confidenziale arrivarono sulla stampa, il Vaticano - tramite la sala stampa - si trincerò dietro un asciutto "no comment". Soltanto un "officiale" della Congregazione per i religiosi, nascosto dietro l’anonimato, si concesse la libertà di dichiarare a un giornale che "la vicenda è a conoscenza della Santa Sede, che sta prendendo le misure del caso".
Eppure, nessun documento ufficiale, nessuna direttiva pubblica è stata emanata nel frattempo. Stessa inazione e disattenzione è stata manifestata in Africa, dalle Conferenze episcopali nazionali. In Nigeria, la reazione alla pubblicazione dei documenti riservati da parte di religiosi e vescovi furono molto irritate. L’Amecea, l’organismo che riunisce gli episcopati dell’Africa orientale, arrivò ad accusare gli estensori dei rapporti di "slealtà". Soltanto la Conferenza episcopale sudafricana, grazie all’impegno del cardinale Wilfried Napier della diocesi di Durban, pubblicò un documento pastorale in cui ammetteva che "le autorità ecclesiastiche sono in difficoltà quando si tratta di affrontare simili casi" e istituiva un protocollo di comportamento, nonché una serie di misure per punire i sacerdoti rei di simili crimini.
A distanza di cinque anni dallo scandalo che la pubblicazione dei quattro documenti riservati aveva prodotto nell’opinione pubblica cattolica a livello mondiale, la vicenda delle suore stuprate dai sacerdoti - in Africa e anche altrove - è tornata nel dimenticatoio.
Non ci sono tracce che un fenomeno descritto come "comune" sia stato affrontato con decisione e incisività. La congiura del silenzio sembra averla avuta vinta. Chissà che cosa ne è stato di Laura? Se è riuscita a trovare la sua serenità, dopo quella terribile violenza; se è riuscita a conservare la fede, nonostante lo schifo per le persone che, di quella fede, avrebbero dovuto esserle maestri. E chissà che cosa ne è stato delle sue tante, abusate, sorelle.
* www.ildialogo.org, Domenica, 29 ottobre 2006
Marco Marzano
Professore ordinario di Sociologia all’Università di Bergamo *
Ho l’impressione che siano pochi i preti italiani che si attengono fedelmente alla norma celibataria. Un buon numero di loro, qualcuno dice addirittura i tre quarti del totale, è omosessuale e usa il celibato come uno splendido alibi per non dover fornire giustificazioni del desiderio di non avere relazioni sentimentali con le donne e di non sposarsi. Tra gli eterosessuali ve ne sono molti che hanno relazioni regolari e durature, anche con figli. Molti altri hanno solo relazioni occasionali, più o meno numerose. Una vita di assoluta castità non è comunque, anche per quei pochi under settanta che la praticano, sintomo di serenità spirituale o di pace interiore. Perché spesso dà luogo a fenomeni patologici, come l’alcolismo (molto diffuso) o altre forme di dipendenza, e si accompagna ad uno stato depressivo e di profonda infelicità.
In ogni caso, una condotta sessuale attiva può essere vissuta dai preti in modi molto diversi: talvolta con terrificanti sensi di colpa, talaltra con la serenità di chi invece ha compreso di aver diritto a una vita affettiva autonoma dalle imposizioni dell’istituzione. E questo non dipende dagli orientamenti sessuali. Ho intervistato qualche tempo fa un prete gay che mi rivelò il desiderio di vivere il suo amore alla luce del sole. Oggi ha lasciato anche lui. L’idea che il celibato sia lo strumento principale per avere dei presbiteri completamente devoti alla loro comunità e che questa loro devozione soddisfi i bisogni affettivi dei sacerdoti, che li gratifichi come li gratificherebbe l’amore di una compagna o di un compagno e di una famiglia, è una menzogna assoluta.
Il celibato è in realtà la “regola di ingaggio” che consente alla Chiesa di disporre di funzionari a tempo pieno ad essa pienamente dedicati e ricattabili. Semplificando all’estremo, è come se l’istituzione dicesse al suo funzionario: “Tu sapevi quando hai accettato l’ingaggio che c’era questa regola. La puoi violare, ma ti sentirai in colpa e sarai comunque costretto a nasconderti. Perché, quando non rispetti il celibato, sentirai di aver tradito la fiducia del tuo gregge, al quale noi istituzione (con il tuo concorso!) abbiamo insegnato che tu devi essere puro e casto. Noi ti perdoneremo quando ignorerai il divieto. E ti copriremo anche se serve, ad esempio trasferendoti in un altro luogo se hai una donna che ti insegue o mandandoti in clinica invece di denunciarti se hai commesso qualche crimine legato alla sessualità.”
Il celibato diventa la premessa della sacralizzazione della figura asessuata del prete, la condizione della sua superiorità rispetto agli altri fedeli, il segno più tangibile che egli è più puro di loro e che la sua vita coincide con il suo ruolo pubblico. In questa metamorfosi egli si disumanizza, riducendosi a mero simbolo, privato del diritto ad avere una vita privata. Per qualche prete questo regime psichico è la premessa di un narcisismo incontenibile, della convinzione di essere più simile a Gesù che ai propri simili. E di avere un naturale diritto a comandare. Per altri è una terribile camicia di forza che spinge verso il dolore e la morte interiore.
Di seguito pubblico la lettera di una lettrice:
Perché il problema grosso secondo me è proprio questo!
*
Il FattoQuotidiano.it / BLOG /di Marco Marzano | 24 settembre 2015