Religio

Suore abusate da preti: "errore di sistema" - "ME LA PRENDO CON VOI, GESTORI DELLA FEDE, ..." - a cura di Federico La Sala

venerdì 10 febbraio 2006.
 

Lettera al papa di un sacerdote "reduce dalla missione"

Da Adista n 50 del 2001

DOC-1097. ROMA-ADISTA. Si autodefinisce un "reduce dalla missione" e scrive una lettera al papa per chiedergli: "ma quei preti sono proprio dei mostruosi stupratori o a loro volta vittime violentate?". Il tema è dunque quello della violenza perpetrata da alcuni sacerdoti su giovani suore e novizie, denunciata alle autorità vaticane e alla dirigenza della Unione dei Superiori Generali a partire dal 1994 (v. Adista nn. 24, 26 e 30/01). L’autore della lettera - di cui omettiamo il nome perché in essa racconta la sua esperienza personale - intende leggere "il fenomeno in tutta la sua complessità", non per "giustificare l’ingiustificabile", ma per "misurare le colpe istituzionali (qualora vi fossero) e le responsabilità personali (qualora provate), chiamare per nome "situazioni" che danno occasione o favoriscono tali abusi, smascherare aberrazioni religiose e culturali".

Sulla vicenda delle suore abusate si continuano a registrare reazioni (v. anche il "fuoritesto" in questo stesso numero). Qui di seguito, oltre alla lettera del "reduce dalla missione", trova spazio la presa di posizione delle religiose colombiane (Commissione Donna-Chiesa della Conferenza nazionale) che si chiedono: "fino a che punto si deve esigere una pratica celibataria da uomini la cui situazione, formazione e vocazione non li dispone a questo? Fino a che punto si deve permettere che accedano alla vita religiosa donne la cui giovinezza, immaturità e poca formazione non permette loro un’opposizione radicale e una denuncia pubblica e immediata verso questo tipo di fatti?".

"ME LA PRENDO CON VOI, GESTORI DELLA FEDE, ..."

Lettera al papa di un sacerdote "reduce dalla missione"

Caro Papa,

hai letto bene Adista (n. 36/2001)? "Il Parlamento europeo intima: Arrestate quei preti!". Ed io ti invito ad applaudire, perché il "braccio secolare" ti esorta a collaborare con la giustizia di 23 Paesi per rendere l’onore delle armi alle suore vittime dei soprusi sessuali dei preti. A te, paladino della verità, vorrei rivolgere una domanda inquietante: ma quei preti sono proprio da considerare dei mostruosi violentatori, degli stupratori o a loro volta sono "vittime violentate" da un sistema ecclesiastico che ha imposto loro dei "pesi insopportabili"?

Lungi da me giustificare l’ingiustificabile! Vorrei solo insinuare che il fenomeno va visto in tutta la sua complessità. Solo così si potranno misurare le colpe istituzionali (qualora vi fossero) e le responsabilità personali (qualora provate), chiamare per nome "situazioni" che danno occasione o favoriscono tali abusi, smascherare aberrazioni religiose e culturali. Per non rimanere nell’astratto, ti racconto la mia piccola storia, una come tante.

Sono stato inviato in una parrocchia dove nessun missionario voleva andare. Su e giù per la foresta, 60 villaggi nel raggio di 250 km, dentro e fuori tuguri e uomini ridotti a macerie. Sempre in viaggio tra contraddizioni e paradossi non previsti nei libri di testo. Nei manuali non trovo istruzioni per l’uso: come maneggiare i non-uomini? Come impastare sacramenti e liturgie, teologie e culture occidentali in situazione di calamità sociale? Come farci stare nel Vangelo tanta emergenza? Cosa annunciare alle vittime? Se tu, depositario ed interprete autorevole della fede, ti trovassi su una zattera alla deriva, quale buon annuncio ti vorresti sentire annunciare? Un piatto di sana dottrina o di ostie? Se il Cristo si è identificato con le vittime ("Ero Io in loro", Mt 25), l’andare ad evangelizzarle non sarebbe pretendere di predicare il Cristo al Cristo stesso?

La mia presunzione d’essere cristiano va in crisi. Io, educato ad avere la risposta in tasca per ogni quesito, non so rispondere ai bisogni primari di questi uomini, di nessuno. Il mio ricettario contempla le malattie spirituali, qui ho a che fare con le malattie più banali del mondo, prima fra tutte, la fame. Amministrare "segni di salvezza" (sacramenti) a chi affonda nell’indecenza, nella necessità biologica ed ha bisogno di essere salvato da "segni di giustizia", non è troppo paradossale? Come costruire il cristiano laddove non c’è l’uomo?

L’impotenza è la prima esperienza di croce: ne aiuti dieci, ne arrivano cento; ne aiuti cento, accorrono mille... Quando è una società intera in situazione di emergenza e chi sta a galla è l’eccezione, che fai? Ogni giorno che passa mi butta in braccio un bambino, che battezzo per spedirlo in paradiso. Ogni delitto (quasi sempre frutto di un regime di miseria istituzionalizzato) che sono chiamato a "vedere" (3-4 al giorno) mi ributta nella esasperazione dell’impotenza: da dove partire per ricostruire l’uomo? Come sopravvivere in un cimitero di condannati a vivere? Sai cosa si prova a vedere gli altri morire e tu sei costretto a vivere tuo malgrado?

Eppure la parrocchia funziona a meraviglia: battesimi, matrimoni, sacramenti a volontà! L’unica cosa che mi permetto di sperperare. Poi, la sera, l’amaro in bocca: anche oggi ho cacciato in paradiso delle anime... ma i loro corpi? Che stridore parlare di resurrezione ai poveracci!"Padre, per favore, non mi parlare più di vita eterna... non mi prendere in giro. Non ho già sofferto tutta una vita?".

Il mio patrimonio di fede è impari di fronte a tanta tragedia. La mia strumentazione di bordo non è in grado di rispondere ai bisogni dell’uomo. Senso di inganno, frustrazione, vuoto interiore. Io sono un esperto in anime e qui ho a che fare con corpi che affondano nel niente. Sento il loro odore, il sudore forte, il respiro breve. La compagna più fedele, la morte. Amica, confidente, liberatrice. Mi riduco a fare il becchino: attendo in canonica i bambini, che hanno avuto il torto di nascere nella culla della morte. Che cosa celebrare di loro? La fretta di attraversare il corridoio della vita? O le loro mamme ridotte a Pietà in carne ed ossa?

Ti do atto: i missionari si sono sempre interessati anche dei corpi con dispensari, ospedali, scuole. Ma che ne dici delle conversioni del riso, dei nuovi sacri baratti? "Ti do cibo, salute, istruzione e tu mi dai, se non la conversione, almeno la possibilità di fare del bene, di accumulare meriti per il Paradiso...".

Oggi, dopo tanti martiri laici e sacre lotte per i diritti umani, non si può non andare "oltre" l’assistenzialismo. Chi non sa che in caso di emergenza ci vuole il pronto soccorso, l’aiuto straordinario, la Croce Rossa? Ma non abbiamo ridotto a regola ciò che dovrebbe essere eccezione? La beneficenza troppo spesso è stata usata come un alibi per evitare la giustizia. Dopotutto, non è funzionale "alle strutture di peccato"? È sempre stata praticata e le cose non hanno fatto che peggiorare.

Vivo come una colpa l’essere diverso per cultura, potere economico e, soprattutto, per privilegio clericale. Le notti insonni, l’incubo dei morticini, la morte ingiusta ed onnipresente. Infine raccolgo la sfida: voglio tentare di essere come loro. Se loro non possono andare dal dottore, comprare una medicina, permettersi il lusso di vivere; se muoiono come mosche, perché non devo morire anch’io? M’ero stancato d’essere uno straniero nell’universo dei poveri.

Ho girato il mondo e a malincuore devo confessare che di missionari disposti "a dare" ne ho trovati tanti, ma pronti a "condividere" ben pochi. La tendenza ufficiale è di andare a portare cose, religione, civiltà, ecc. Ci hanno educato a stare al di sopra o al di sotto, mai alla pari. Tra chi dà e chi riceve non ci sarà mai parità. Mi ripugnava fare da benefattore. Fino a quando si dà si è su di un piedistallo, che ci impedisce l’esperienza più umana: "alla pari". Tra amici ci si aiuta, tra fratelli si condivide. Ed io volevo dare prova a me stesso di essere come loro. (Alla fine dovrò ammettere che noi saremo sempre dei diversi, perché ricchi sfondati di cultura, storia, amici, religione. Non maneggiamo Dio stesso?).

Ho durato su questa linea alcuni mesi. Poi mi sono trovato sull’orlo del precipizio. Il vuoto, dentro, era diventato voragine. La disperazione avanzava a divorare tutto di me. In balia di una specie di inanizione. "Il male è più forte di me, mi dicevo. Dio, perché mi fai venire in odio la vita?". Una di quelle sere di vuoto spinto ho Chiesto ad un’agente di pastorale, con la quale avevo già condiviso anni di lavoro, di volermi bene. Ero scoppiato. M’ero nutrito di troppa morte e questo fenomeno, di riflesso, faceva sprigionare in me, all’improvviso, la voglia di vivere, di comunicare la vita. Buon senso ed istinto di conservazione avevano avuto il sopravvento. Di notte mi ritrovavo a gridare, nel silenzio dell’anima: "Voglio vivere, voglio vivere". Sognavo, deliravo? So soltanto che dal mio essere erompeva una forza nuova: quella di fare esperienza di un amore che non avevo mai conosciuto e del quale, per la prima volta, sentivo imperioso il bisogno. Era la vita, in me, che prendeva la rivincita sulla morte? Dall’amicizia siamo passati all’amore. Per una voglia spasmodica di vivere, oppure era il bambino che era in me che voleva rifugiarsi di nuovo nel ventre della donna-madre, la culla che m’ha generato?

I principi? Sono sacrosanti. E la mia voglia di vivere, acutizzata, "estremizzata" da una "situazione di morte", non è altrettanto sacrosanta?

Lo sai meglio di me: il fariseismo è un peccato di tutti i tempi, cui sono esposti specialmente i benpensanti, i pii cattolici. Che ne sapete voi di cosa si prova nel Terzo mondo? Possibile che tutti i preti che si sposano siano dei maniaci sessuali, degli schiavi degli organi genitali? Li avete mai ascoltati fino in fondo?

E che ne dici di quei vescovi che inducono i preti con figlio (è la prassi normale) ad abbandonare sia la madre che il piccolo, assicurando il loro mantenimento economico pur che il colpevole prenda il largo? In nome di quale vangelo si può dispensare da precisi obblighi di giustizia, riducendo madre e figlio a dei corpi da nutrire? Dove sono contemplati questi delitti nella legislazione canonica? Avete anteposto una legge umana alla legge naturale della paternità... E pretendete di essere ritenuti i "migliori amici dell’uomo", coloro che tutelano i diritti umani anche a costo della vita? I tuoi collaboratori, che stanno nei sacri palazzi, hanno mai meditato davanti ad un bambino affamato? Te l’assicuro: è un crocifisso che fa tremare la fede più ancora che un crocifisso adulto! Non so se riuscirai a credermi: ho amato per non morire. Solo l’istinto della sopravvivenza mi ha dato la forza di vincere l’istinto del nulla. Uno può resistere a sentire sul collo il fiato della m orte per un anno, due , tre... ma una vita? È umanamente possibile?

Non citarmi i luoghi comuni della "mancanza di fede", per carità, o che "basta pregare e tutto va a posto"! Rispondi a loro, invece: "Che gusto si può provare ad essere figlio di Dio col pancione pieno di vermi? E tu, Dio, ti piace così tanto avere per figli dei sacchi pieni di vermi...? Certo Tu, Dio, vorrai sapere cosa provano verso di noi miserabili i nostri fratelli che si fanno chiamare "padri", vero?". Si muore di fame, ma anche di solitudine, di impotenza, di disperazione d’amore.

Io non credo alla favola del celibato volontario. Quando uno fin dalla tenera età è plagiato con la storiella della "bella virtù"; quando per anni gli viene inculcato che se viene meno è peggio di Giuda; quando per 15-20 anni non sente l’odore di un bambino, non se ne parla di un profumo di donna, la quale è dichiarata "una tentazione" (come minimo); quando uno è tagliato fuori dalla convivenza naturale della famiglia, come fai a dire che non è un "violentato", uno al quale è stato imposto un regime di segregazione tale che lo deforma psicologicamente? Che cosa è successo nel suo mondo interiore, a livello di emozioni, di sentimenti umani? Il Padreterno avrebbe sprecato tempo e fantasia ad inventare fiori, bimbi e fanciulle? Avrebbe buttato là queste bellezze perché in seminario ci insegnino a sputarci sopra? Chi non c’è stato non può immaginare a che cosa viene ridotto un uomo che passa attraverso il trita-cuori del seminario. Non solo ti sterilizza il cuore, ma ti rende eunuca l’anima. Un santo prete era contro la formazione dei seminari: "Ambienti artificiali, contro natura, perché Dio ha inventato la famiglia, un ambiente che scalda cuore ed anima insieme". Senza dicotomie, manicheismi e spiritualismi evanescenti. La donna, il sesso, la famiglia l’ha forse inventata il diavolo? Quando mai la Chiesa ha apprezzato la vita coniugale, la corporeità, la sfera delle pulsioni? Dove sono gli esempi, le proposte positive? Anche vescovi e papi sono nati da un amplesso coniugale, non dagli angeli. Quanti i santi coniugati? Una beffa! Ed una sfida: impossibile farsi santi anche con la carne? Avrebbe sbagliato Dio a darci uno strumento inadeguato per il mestiere dell’uomo? Ti accenno queste piccolezze per tentare di farti capire le caverne psicologiche che lascia dietro di sé il seminario. Non può essere per caso che il numero dei preti alcolizzati o pedofili o gay o stupratori di suore è in aumento. Sì, ci sono situazioni storiche e culturali nuove, debolezze, cedimenti. Ci sono anche ottimi sacerdoti convinti, votati, che hanno sublimato, ecc. ecc. Ma prendo troppo sul serio il celibato per considerarlo una cosa banale. Una scelta troppo personale per istituzionalizzarla. Un carisma specialissimo. Me la prendo con voi, gestori della fede, perché condizionate il sacerdozio al fenomeno celibatario. Ma avete mai conteggiato tutti i disastri, le vittime che produce? Me la prendo con i capi, perché mi pare che certe frustrazioni, sfasature, aberrazioni sono più imputabili a loro, ai loro sistemi diseducativi, che alle povere vittime della loro beata incoscienza! Non corrono il rischio di "indurre in tentazione di stupro" tanti generosi? Non è temerarietà mandare allo sbaraglio senza l’equipaggiamento necessario? Come costringere ad andare in aereo senza paracadute. Quali strumenti di bordo, quali mezzi m’avete fornito per le alte quote e, ancor più, per le basse quote, le depressioni in umanità a sud del mondo? Tra i poveri, per esempio, si convive insieme, giorno e notte, senza nessun problema; per dormire basta appendere l’amaca o stendere una stuoia e ci si sistema tutti nella stessa capanna, nella quale non sono previste stanze riservate per celibi e nubili. Che cos’ha il povero da mettere sottochiave? Anche la privac’ è un lusso! Ma se non si è mai stati attrezzati di quella serenità ed equilibrio psicologico indispensabili per affrontare queste situazioni, che succederà? Come buttare uno nel fuoco e pretendere che non si bruci.

Caro Papa, non t’offenda il mio tono, cerca tra le righe il cuore dei tuoi preti buttati prima allo sbaraglio e poi abbandonati a se stessi. Che ne dici di uno che, in età avanzata, è costretto a "lasciare" e si trova sulla strada con moglie e figli, senza lavoro, senza pensione? Anche questa è carità cristiana? Eppure pare che preti e suore navighino nell’abbondanza e non sarebbe troppo gravoso dare una mano a chi, fino ad ieri, chiamavano "fratello" o "sorella".

Attenzione! I preti sposati possono essere vittime di una istituzione, che ostinatamente continua ad ignorare le loro ragioni, continua a mettere il sabato prima dell’uomo. Di quali altri disastri avete bisogno per riuscire a vedere delle vittime, che, a loro volta e loro malgrado, fanno altre vittime? Bisogna proprio che un’istituzione civile come il Parlamento Europeo ci dia una lezione di giustizia? O dobbiamo aspettare che ci denunci per violazione dei diritti umani? Bisogna pur dargli una risposta: chi denunciare per i reati sessuali commessi dai preti ai danni delle suore? Ricorda, caro papa: non basta un ulteriore, innocuo "mea culpa" di fronte alla storia. Quando c’è di mezzo la violazione della giustizia non esiste perdono se non c’è la riparazione del danno causato, la restituzione di quanto è stato negato.

E, dulcis in fundo, ti cito la saggezza tutta sapienziale di un sacerdote dal cuore grande: "Non capisco perché quando un prete sbaglia tutti gli danno addosso. Al fronte uno è spedito in prima linea in zona di alto rischio ed è più esposto degli altri al fuoco nemico. Se rimane ferito e perde una gamba, a guerra finita vanno tutti in piazza, suonano la fanfara, tanta festa. È chiamato sul palco: onori militari e medaglia d’oro sul petto. Il povero prete è mandato nei luoghi più lontani, sui monti, isolato... si ferisce al cuore. Perché non gli date la medaglia d’oro che si merita?". Chi ha orecchie per intendere, intenda.

Fonte: Adista n. 50 del 2001

(www.ildialogo.org/Ratzinger, Mercoledì, 08 febbraio 2006)


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