LETTERA DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER L’INDIZIONE DELL’ANNO SACERDOTALE
IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO
DEL "DIES NATALIS" DI GIOVANNI MARIA VIANNEY *
[...] gli insegnamenti e gli esempi di san Giovanni Maria Vianney possono offrire a tutti un significativo punto di riferimento: il Curato d’Ars era umilissimo, ma consapevole, in quanto prete, d’essere un dono immenso per la sua gente: “Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina”.[3]
Parlava del sacerdozio come se non riuscisse a capacitarsi della grandezza del dono e del compito affidati ad una creatura umana: “Oh come il prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe... Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia...”.[4]
E spiegando ai suoi fedeli l’importanza dei sacramenti diceva: “Tolto il sacramento dell’Ordine, noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest’anima viene a morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote... Dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo”.[5]
Queste affermazioni, nate dal cuore sacerdotale del santo parroco, possono apparire eccessive. In esse, tuttavia, si rivela l’altissima considerazione in cui egli teneva il sacramento del sacerdozio. Sembrava sopraffatto da uno sconfinato senso di responsabilità: “Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore... Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a niente. È il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra... Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoi beni... Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie... Il prete non è prete per sé, lo è per voi”.[...]
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MESSAGGIO EV-ANGELICO E SANTO PADRE?! ABUSO DEL TITOLO E MENZOGNA. L’ERRORE DI RATZINGER.
ALLA DOTTA BOLOGNA, NELLA CATTEDRALE DI SAN PIETRO, LA "DEUS CARITAS EST" (UN FALSO FILOLOGICO E TEOLOGICO).
letteratura
Ritorna «Sotto il sole di Satana», il romanzo che negli anni Venti fece dell’autore francese uno scrittore di successo Ispirato al parroco di Ars, ha due protagonisti, che incarnano il Male e la Grazia. Una storia
Santo e debole: l’«altro» curato di Bernanos
DI FULVIO PANZERI *
Libri che rappresentano la nascita di un grande scrittore, di una forza che non cessa, ma sembra consolidarsi più il tempo passa, non sono frequenti. È una delle prime considerazioni che si ha rileggendo un romanzo che ha più di settant’anni e non li dimostra. Parliamo di Sotto il sole di Satana di Georges Bernanos, il libro che lo impone all’attenzione del pubblico e fa di un autore, che nel 1926 ha 36 anni e si è dedicato ad altri lavori fino ad allora nella vita, uno scrittore di successo. Infatti il suo romanzo, inaspettatamente, diventa subito quello che oggi chiameremmo un best-seller, con centomila copie vendute. Ora ritorna in una nuova edizione, introdotta da Elio Guerriero, anche come contributo alla riflessione sulla figura del prete.
Scrive Guerriero: « Sotto il sole di Satana viene riproposto ai lettori nell’anno che Benedetto XVI ha voluto dedicare al sacerdote. L’intento non è certo quello di opporre un modello sacerdotale alternativo ai preti dei nostri tempi. Si vuole evidenziare , invece, l’attualità di alcune tematiche care a Bernanos: il peso del male sulla scena del mondo e nella storia di ogni uomo; l’ansia di liberarsene fino all’autodistruzione; il desiderio della confessione; la ricerca incessante di Dio che ai fedeli, più ancora dei non credenti, non dà tregua».
Protagonisti sono due persone che vivono un loro paradosso nell’intuire gli opposti di cielo e terra, di bene e di male, di finito e di infinito. Il male non è solo condanna, ma una sorta di prova per Bernanos. E per raccontarci la forza e il percorso della redenzione sceglie due figure che non si dimenticano tanto facilmente, una ragazzina di 16 anni, Mouchette, che sceglie, deliberatamente, di scendere all’inferno, di sporcarsi le mani con il male, lasciando che il suo giovane corpo venga violato e mercificato, diventando un’assassina, e un giovane curato di campagna, un po’ rozzo, per niente istruito, forse per molti nemmeno tanto portato per il sacerdozio.
È una figura che Bernanos disegna reinventando i tratti del Santo Curato d’Ars, al quale s’ispira, in questa parabola che lo porta a riconoscere il male, ad intraprendere una lotta ardua contro il Maligno, quel Diavolo che per Bernanos è presenza reale nei nostri giorni. Tanto che aveva dichiarato: «Al romanzo moderno manca Dio, ma gli manca anche il diavolo. Posso capire che un materialista non ami sentire parlare di Satana perché non vuole vedere nella vita interiore altro che lo squallido campo di battaglia degli istinti. Una volta introdotto il diavolo, è difficile fare a meno della Grazia per spiegare l’uomo».
È questo il punto nodale che Sotto il sole di Satana riporta alla nostra attenzione: come il male non possa essere nascosto, ma sia parte della natura umana e come l’uomo si lasci agire attraverso il Maligno nella perdita della sua dignità, una discesa nell’abisso degli inferi, simile a quella di Gesù Cristo, durante la Passione sulla Croce, necessaria per ritrovare il senso dell’assoluto, la necessità della Redenzione, là dove la Grazia giunge a cambiare l’uomo.
È ancora Bernanos che ci spiega le ragioni di questo paradosso, come un atto di moralità nei confronti del lettore: «Se io forzo il lettore a scendere in fondo alla propria coscienza, se gli mostro, con ogni evidenza, che l’umana debolezza non spiega tutto, che essa è alimentata, sfruttata da una sorta di genio feroce e cupo, quale altra scelta gli resterebbe che gettarsi in ginocchio, se non per amore almeno per terrore, e invocare Dio?». È ciò che accade ai nostri protagonisti: ognuno ha bisogno dell’imperfezione, secondo Bernanos, per giungere alla verità della Grazia.
Il suo prete Donissan è un santo «fuori dagli schemi»: non è il modello di perfezione, ma proprio in questa connotazione ha più valore e forza il suo percorso di redenzione. Bernanos lo definisce «un santo vulnerabile », «un’anima forsennata», con le sue debolezze di cui Satana approfitta per braccarlo. In questo suo essere messo alla prova dal suo nemico, dalla sofferenza di questa condizione, trova la salvezza. Giustamente Guerriero in questo libro, attraversato dalle tempeste dell’anima, ritrova «un inno di riconoscenza ai sacerdoti, più o meno deboli, più o meno santi».
Georges Bernanos
SOTTO IL SOLE DI SATANA
San Paolo. Pagine 208. Euro 15,00
Il Santo Curato degli zingari
AD ARS L’ANNUALE GIUBILEO DEI GITANI «MEMORIA» DELL’AMICIZIA CON VIANNEY
DAL NOSTRO INVIATO AD ARS SALVATORE MAZZA (Avvenire, 19.08.2009)
Arrivi ad Ars, ed è quello che non ti aspetti. O come non credi sia possibile, che non è esattamente la stessa cosa. A guardarla dal poggio appena scollinati sulla vecchia strada dell’Ain, lo stesso dal quale si affacciò per la prima volta Giovanni Maria Vianney il 13 febbraio del 1818, quasi invisibile immersa com’è nel verde, si capisce perché il giovane curato dovette chiedere al piccolo Antoine Givre se fosse quella la direzione giusta. Uno spruzzo di case nella campagna francese subito sotto le Alpi. Duecentoquaranta abitanti allora, poco più di mille oggi. Nella difficile Francia postrivoluzionaria, destinazione ideale per un giovane prete considerato non troppo brillante, entrato in seminario da analfabeta. Il classico posto dove di danni, più di tanti, non se ne possono fare. «Tu mi hai mostrato il cammino per Ars - disse quel giorno al piccolo Antoine - io ti mostrerò quello per il cielo». Il suo programma pastorale era tracciato. Essenziale, semplice. Immutato lungo quarant’anni. L’inizio del miracolo.
La Ars di oggi è poco più grande del villaggio che quasi due secoli fa, sonnolento e scettico, accolse le nouveau jeune curé . Più case, è ovvio, ma la struttura di base è ancora la stessa che si può riconoscere dal plastico che riproduce il borgo com’era allora, proprio all’ingresso del piccolo museo del Santuario, nato attorno alla vecchia parrocchia. Museo dove entri per scoprire la povertà estrema che accompagnò per quarantuno anni la vita di un sacerdote che si consumò nella catechesi e dentro il confessionale, passandoci dentro fino a sedici ore al giorno. E che, quasi senza rendersi conto di quel che attraverso lui stava accadendo in un paesino così minuscolo, quasi senza la consapevolezza di cosa fosse ad attirare lì decine di migliaia di persone da tutta la Francia, pregò ogni giorno il Signore di mandare qualcuno più degno di lui ad accudire il suo gregge. E per quattro volte provò anche a scappare, oppresso dal senso della propria inadeguatezza. Ogni volta inseguito dal suo gregge, che sempre lo convinse a tornare.
Conoscere Giovanni Maria Vianney significa, sempre, stupirsi. Anche pensandolo, come del resto qualcuno lo racconta, come un sempliciotto, trasandato, non certo un’aquila di cultura, figurarsi della teologia. Preghiera. Catechesi. Confessioni. Accoglienza dei poveri. ’Solo’ questo. Del resto «è vero, lui era molto semplice, molto umile. Erano gli anni della rivoluzione, non aveva mai studiato perché, per il padre, studiare non serviva a niente, e quando entrò in seminario, a diciassette anni, non sapeva né leggere né scrivere. Ma, nel suo amore infinito per Cristo, è stato un modello di santità e di dono personale. Povero, molto buono, molto amato dai suoi parrocchiani». Jean Philippe Nault, rettore del santuario, con i suoi - pochi - collaboratori ha davvero parecchio da fare. In 150 anni i pellegrini sono quadruplicati, arrivando a circa quattrocentomila all’anno, e nei prossimi mesi, con l’Anno Sacerdotale appena iniziato, si prevede che arriveranno facilmente al mezzo milione. «Soprattutto preti - osserva Nault - com’è naturale». I numeri più consistenti sono, e prevedibilmente saranno anche quest’anno, quelli dei pellegrini provenienti dalla Francia, ovviamente, e dalla Germania, dalla Polonia. Negli ultimi anni stanno però crescendo anche gli arrivi dall’Italia per un «pellegrinaggio - spiega il rettore - che è molto semplice, e fondamentalmente centrato sulla confessione». Molti, comunque, anche i laici, che nel registro posto su un altarino della «cappella del cuore», dov’è esposta la reliquia del Curato, scrivono il nome del proprio parroco, o di un prete che conoscono, affidandolo così alla preghiera del santo.
Entrando ad Ars eravamo stati colpiti dallo sterminato numero di roulottes parcheggiate all’ingresso dei paesino. Erano degli zingari che, come ogni anno, venivano qui per il loro giubileo, un pellegrinaggio di cinque giorni ormai secolare «perché il curato d’Ars - spiega sempre Nault - era l’unico che a suo tempo, in Francia, accoglieva i gitani, che nessuno voleva e tutti cacciavano sempre via». Quella a cui assistiamo è una festa sobria, sentita, senza alcun cedimento al folclore. Un momento riconoscente verso chi seppe essere capace di dimostrare amore a queste persone.
Mentre si segue la celebrazione, arriva la domanda. Banale. Forse anche un po’ stupida, però concreta: ma chi non ha una roulotte, dove dorme ad Ars? Mezzo milione di persone non sono uno scherzo, e di strutture ricettive adeguate non se ne vedono molte, anche sapendo che molti pellegrinaggi sono di un giorno solo. La risposta la troviamo all’ingresso della sagrestia della chiesa, dove un questionario, regolarmente distribuito a tutti gli abitanti del posto, chiede a ciascuna famiglia quante persone hanno la possibilità di ospitare, e quanto a lungo, e in che periodi dell’anno. Le risposte, regolarmente arrivano. E come succedeva ai tempi di Giovanni Maria Vianney, quando i pellegrini che arrivavano da ogni parte trovavano un tetto nelle povere case del villaggio, trasformato dall’amore di un uomo senza sapienza, forse, ma con un cuore grande come il mondo, totalmente consegnato a Dio. Il miracolo continua.
QUANTI AUTORI ISPIRATI DAL SANTO FRANCESE Jean-Marie-Baptiste Vianney non è soltanto un modello di fedeltà eroica al sacerdozio e di devozione cristiana per pii fedeli: il mistero della sua vita, le sue dure penitenze e le lotte col demonio hanno intrigato in due secoli decine di romanzieri, nemmeno tutti credenti
Il Curato d’Ars ovvero il curato dell’Arte
Bernanos lo tratteggia nel suo capolavoro, ne parlano Bruce Marshall e don De Luca, lo citano Fogazzaro e Flaubert, l’amava Simone Weil, Cristina Campo ne leggeva la biografia. E oggi? Da un dramma di Parazzoli al poeta Follain, la sua figura non è tramontata
di Marco Roncalli (Avvenire, 28.06.2009)
Rivisitato in chiave agiografica in una valanga di libri che a partire dai « grandi vecchi » come l’abbé Alfred Monnin - suo commensale - o monsignor François Trochu arriva ai nostri giorni, il racconto della vita di Jean- Marie- Baptiste Vianney, nel corso del tempo, non ha solo consumato gli occhi di torme di devoti, generazioni di seminaristi, donne pie, ma ha suscitato anche pagine di buona letteratura. Talvolta nate dalla penna di autori celebri, talvolta da quella di nomi dimenticati magari per ragioni politiche, non per giudizi sulla qualità delle loro opere.
Il primo può essere il caso di Henri Ghéon che nei tre volumi del suo Les jeux de l’enfer et du ciel edito da Flammarion nel 1929 vede come personaggio onnipresente della narrazione proprio il santo curato che il gruppo di curiosi descritto raggiunge ad Ars. Il secondo è di certo il caso di Jean de La Varende, uno dei maggiori novellisti francesi del XX secolo che tra gli oltre 200 titoli annovera anche Le Curé d’Ars et sa passion apparso con i tipi di Bloud et Gay nel 1958 ( alla vigilia del centenario della morte del santo curato), oppure - sulla stessa onda - il caso di un altro scrittore cattolico tradizionalista come Michel de Saint Pierre, una vita dedicata alla letteratura, autore dentro un’abbondante bibliografia anche della Vie prodigieuse du Curé d’Ars, uscita nel 1961 dall’editore Gallimard.
Di un certo valore anche le pagine tessute da Daniel Pézeril, già cappellano del Centro cattolico degli intellettuali, già vescovo ausiliare di Parigi, nel suo Pauvre et Saint Curé d’Ars, tradotto in Italia dalla Morcelliana nel 1960. E proprio l’amicizia di Pézeril con Georges Bernanos ( che accompagnò sino alla morte) ci porta alla presenza di don Vianney nella stessa opera bernanosiana: dal Diario di un parroco di campagna dove troviamo una sorta di « secondo Curato d’Ars » nel prete protagonista del romanzo Sotto il sole di Satana.
Come dimenticare poi il filosofo e critico Ernst Hello che dedica l’ultimo capitolo del suo libro Le siècle al celebre sacerdote? Che dire poi del medaglione del prolifico Bruce Marshall nel suo Saints for Now, edito da Clare Boothe Luce nel 1952?
E oggi? A voi il giudizio sul critico e saggista Rémy Soulié per Le Curé d’Ars ( Pygmalion, 2003), o sul giornalista scrittore JeanJacques Antier per La vie du curé d’Ars ( Perrin 2000), oppure ancora sulla biografia spirituale scritta dal noto poeta francese Jean Follain ( Grand Prix de poésie de l’Académie Française) nel 1970, recentemente tradotta come Curato d’Ars. Quando un uomo semplice confonde i sapienti ( San Paolo 2008). Se poi state attenti, ecco il nostro affacciarsi ospite su pagine dove non lo si attenderebbe ( ma a torto); è il caso del dramma metafisico Adesso viene la notte di Ferruccio Parazzoli ( Mondadori) che ha come baricentro la lotta di Paolo VI col demonio nei momenti del sequestro Moro, ma anche il diabolico degrado del nostro tempo ( « Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars. Sono passati duecento anni, eppure mi sembra ieri. Fu molto divertente, anche se alla fine rimasi con un palmo di naso. Ma questa volta non sarà così. I tempi sono cambiati. Basta guardarsi attorno... » ).
L’elenco potrebbe continuare dando conto di rapidi richiami in opere celebri come il romanzo Leila di Antonio Fogazzaro ( « Paragonò , con trepide riserve, suo cognato al Curato d’Ars e don Emanuele a sant’Alfonso. Lelia non intese una sola di tante parole... » ); o come Bouvard e Pécuchet di Gustave Flaubert ( « Un anello al mignolo racchiudeva alcuni capelli del Curato d’Ars...) e via dicendo ( bellissime le pennellate di don Giuseppe De Luca nell’Annuario del Parroco che dice di lui: « Faceva parere Lamartine e Lacordaire due poveri strumenti » ).
Ma preferiamo chiudere con un rimando a Cristina Campo dedicato al prete tanto amato da Simone Weil. Si legge in una sua lettera a Margherita Pieracci Harwell vergata domenica in palmis 1966 ( edita nell’epistolario Lettere a Mita pubblicato da Adelphi): « L’altra sera ho preso in mano i Taccuini del dottor Cechov, un libro che fino a due anni fa era la mia delizia, e dopo 10 minuti l’ho riposato. Una volgarità impalpabile, sottile, la volgarità del laico, dell’incredulo, evaporava da certe piccole osservazioni di quell’uomo per tanti versi adorabile. Così, per rallegrarmi senza la minima ombra di noia ( la volgarità è veramente di una noia desertica), ripresi una grande biografia del Curato d’Ars. Si muore di paura, a leggerla, ma di noia - oh di noia no certo. È il solito caso del Santo deformato dalla demoniaca perversità del secolo in bravo piccolo parroco di villaggio, tutto nature, ignorante quanto basta e santamente puerile. Mentre si tratta di una terribile aquila che ti rapisce nel suo forte becco ad altezze spaventose e poi, come l’uccello Roc che trasportava Sindbad, ti lascia cadere con la massima indifferenza; e peggio per te se non sai volare. Non mi stupisce che Simone lo amasse tanto » .
IL CASO
Quel film dimenticato ispirò « L’esorcista »?
Prima o poi, ne siamo certi, anche la sua vita arriverà al cinema o sul piccolo schermo. Non sarebbe in ogni caso la prima volta. Il paese senza Dio, con questo titolo il racconto biografico del santo curato d’Ars passò sugli schermi italiani sessant’anni fa, giunto da oltralpe dov’era uscito nel 1948 con il titolo originale Le sorcier du ciel e la regia Marcel Blistène ( lo stesso che nel 1953 ha diretto Il fuoco sotto la pelle e più tardi Edith Piaf nel film Etoile sans lumière). La sceneggiatura era stata scritta da René Jolivet piuttosto concentrato sul modello del sacerdote ottocentesco che riporta alla fede atei e anticlericali del villaggio dove è stato mandato, oltre che sul duello con Satana. Ad interpretare Jean- Marie Vianney l’attore Georges Rollin ( che prima di iniziare le riprese si era chiuso in una casa per esercizi spirituali presso i gesuiti). Con lui nel cast: Dora Doll, Marie Daems, Alfred Adam, Alexandre Reignault. Una pagina di cinema variamente discussa e giudicata ieri come oggi fra gli addetti ai lavori. Secondo alcuni commentatori l’aspetto artistico prevalse in ogni caso sulle esigenze di cassetta, secondo altri il santo curato ne uscì alquanto maltrattato fatte salve le qualità dell’interpretazione di Rollin e le buone intenzioni del regista inconsapevole profanatore. Bondieuserie illustrata o pezzo agiografico tout court, esito di fraintendimenti di non poco conto almeno a sentire gli esperti della vera santità del Vianney, applaudito anche dalle gerarchie ecclesiastiche e apprezzato negli anni Cinquanta, il film ( presente anche ’ fuori concorso’ ad una lontana Biennale di Venezia), secondo attenti osservatori prefigura già in nuce la pellicola L’esorcista. ( M. Ronc.)
Messaggio per la 44° Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali
«I sacerdoti siano animatori del Web»
di Benedetto XVI (Avvenire, 23 Gennaio 2010)
Cari fratelli e sorelle,
il tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali - "Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola" -, si inserisce felicemente nel cammino dell’Anno sacerdotale, e pone in primo piano la riflessione su un ambito pastorale vasto e delicato come quello della comunicazione e del mondo digitale, nel quale vengono offerte al Sacerdote nuove possibilità di esercitare il proprio servizio alla Parola e della Parola. I moderni mezzi di comunicazione sono entrati da tempo a far parte degli strumenti ordinari, attraverso i quali le comunità ecclesiali si esprimono, entrando in contatto con il proprio territorio ed instaurando, molto spesso, forme di dialogo a più vasto raggio, ma la loro recente e pervasiva diffusione e il loro notevole influsso ne rendono sempre più importante ed utile l’uso nel ministero sacerdotale.
Compito primario del Sacerdote è quello di annunciare Cristo, la Parola di Dio fatta carne, e comunicare la multiforme grazia divina apportatrice di salvezza mediante i Sacramenti. Convocata dalla Parola, la Chiesa si pone come segno e strumento della comunione che Dio realizza con l’uomo e che ogni Sacerdote è chiamato a edificare in Lui e con Lui. Sta qui l’altissima dignità e bellezza della missione sacerdotale, in cui viene ad attuarsi in maniera privilegiata quanto afferma l’apostolo Paolo: "Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso ... Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati?" (Rm 10,11.13-15).
Per dare risposte adeguate a queste domande all’interno dei grandi cambiamenti culturali, particolarmente avvertiti nel mondo giovanile, le vie di comunicazione aperte dalle conquiste tecnologiche sono ormai uno strumento indispensabile. Infatti, il mondo digitale, ponendo a disposizione mezzi che consentono una capacità di espressione pressoché illimitata, apre notevoli prospettive ed attualizzazioni all’esortazione paolina: "Guai a me se non annuncio il Vangelo!" (1 Cor 9,16). Con la loro diffusione, pertanto, la responsabilità dell’annuncio non solo aumenta, ma si fa più impellente e reclama un impegno più motivato ed efficace. Al riguardo, il Sacerdote viene a trovarsi come all’inizio di una "storia nuova", perché, quanto più le moderne tecnologie creeranno relazioni sempre più intense e il mondo digitale amplierà i suoi confini, tanto più egli sarà chiamato a occuparsene pastoralmente, moltiplicando il proprio impegno, per porre i media al servizio della Parola.
Tuttavia, la diffusa multimedialità e la variegata "tastiera di funzioni" della medesima comunicazione possono comportare il rischio di un’utilizzazione dettata principalmente dalla mera esigenza di rendersi presente, e di considerare erroneamente il web solo come uno spazio da occupare. Ai Presbiteri, invece, è richiesta la capacità di essere presenti nel mondo digitale nella costante fedeltà al messaggio evangelico, per esercitare il proprio ruolo di animatori di comunità che si esprimono ormai, sempre più spesso, attraverso le tante "voci" scaturite dal mondo digitale, ed annunciare il Vangelo avvalendosi, accanto agli strumenti tradizionali, dell’apporto di quella nuova generazione di audiovisivi (foto, video, animazioni, blog, siti web), che rappresentano inedite occasioni di dialogo e utili mezzi anche per l’evangelizzazione e la catechesi.
Attraverso i moderni mezzi di comunicazione, il Sacerdote potrà far conoscere la vita della Chiesa e aiutare gli uomini di oggi a scoprire il volto di Cristo, coniugando l’uso opportuno e competente di tali strumenti, acquisito anche nel periodo di formazione, con una solida preparazione teologica e una spiccata spiritualità sacerdotale, alimentata dal continuo colloquio con il Signore. Più che la mano dell’operatore dei media, il Presbitero nell’impatto con il mondo digitale deve far trasparire il suo cuore di consacrato, per dare un’anima non solo al proprio impegno pastorale, ma anche all’ininterrotto flusso comunicativo della "rete".
Anche nel mondo digitale deve emergere che l’attenzione amorevole di Dio in Cristo per noi non è una cosa del passato e neppure una teoria erudita, ma una realtà del tutto concreta e attuale. La pastorale nel mondo digitale, infatti, deve poter mostrare agli uomini del nostro tempo, e all’umanità smarrita di oggi, che "Dio è vicino; che in Cristo tutti ci apparteniamo a vicenda" (Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana per la presentazione degli auguri natalizi: L’Osservatore Romano, 21-22 dicembre 2009, p. 6).
Chi meglio di un uomo di Dio può sviluppare e mettere in pratica, attraverso le proprie competenze nell’ambito dei nuovi mezzi digitali, una pastorale che renda vivo e attuale Dio nella realtà di oggi e presenti la sapienza religiosa del passato come ricchezza cui attingere per vivere degnamente l’oggi e costruire adeguatamente il futuro? Compito di chi, da consacrato, opera nei media è quello di spianare la strada a nuovi incontri, assicurando sempre la qualità del contatto umano e l’attenzione alle persone e ai loro veri bisogni spirituali; offrendo agli uomini che vivono questo nostro tempo "digitale" i segni necessari per riconoscere il Signore; donando l’opportunità di educarsi all’attesa e alla speranza e di accostarsi alla Parola di Dio, che salva e favorisce lo sviluppo umano integrale. Questa potrà così prendere il largo tra gli innumerevoli crocevia creati dal fitto intreccio delle autostrade che solcano il cyberspazio e affermare il diritto di cittadinanza di Dio in ogni epoca, affinché, attraverso le nuove forme di comunicazione, Egli possa avanzare lungo le vie delle città e fermarsi davanti alle soglie delle case e dei cuori per dire ancora: "Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3,20).
Nel Messaggio dello scorso anno ho incoraggiato i responsabili dei processi comunicativi a promuovere una cultura di rispetto per la dignità e il valore della persona umana. E’ questa una delle strade nelle quali la Chiesa è chiamata ad esercitare una "diaconia della cultura" nell’odierno "continente digitale". Con il Vangelo nelle mani e nel cuore, occorre ribadire che è tempo anche di continuare a preparare cammini che conducono alla Parola di Dio, senza trascurare di dedicare un’attenzione particolare a chi si trova nella condizione di ricerca, anzi procurando di tenerla desta come primo passo dell’evangelizzazione. Una pastorale nel mondo digitale, infatti, è chiamata a tener conto anche di quanti non credono, sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche, dal momento che i nuovi mezzi consentono di entrare in contatto con credenti di ogni religione, con non credenti e persone di ogni cultura. Come il profeta Isaia arrivò a immaginare una casa di preghiera per tutti i popoli (cfr Is 56,7), è forse possibile ipotizzare che il web possa fare spazio - come il "cortile dei gentili" del Tempio di Gerusalemme - anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto?
Lo sviluppo delle nuove tecnologie e, nella sua dimensione complessiva, tutto il mondo digitale rappresentano una grande risorsa per l’umanità nel suo insieme e per l’uomo nella singolarità del suo essere e uno stimolo per il confronto e il dialogo. Ma essi si pongono, altresì, come una grande opportunità per i credenti. Nessuna strada, infatti, può e deve essere preclusa a chi, nel nome del Cristo risorto, si impegna a farsi sempre più prossimo all’uomo. I nuovi media, pertanto, offrono innanzitutto ai Presbiteri prospettive sempre nuove e pastoralmente sconfinate, che li sollecitano a valorizzare la dimensione universale della Chiesa, per una comunione vasta e concreta; ad essere testimoni, nel mondo d’oggi, della vita sempre nuova, generata dall’ascolto del Vangelo di Gesù, il Figlio eterno venuto fra noi per salvarci. Non bisogna dimenticare, però, che la fecondità del ministero sacerdotale deriva innanzitutto dal Cristo incontrato e ascoltato nella preghiera; annunciato con la predicazione e la testimonianza della vita; conosciuto, amato e celebrato nei Sacramenti, soprattutto della Santissima Eucaristia e della Riconciliazione.
A voi, carissimi Sacerdoti, rinnovo l’invito a cogliere con saggezza le singolari opportunità offerte dalla moderna comunicazione. Il Signore vi renda annunciatori appassionati della buona novella anche nella nuova "agorà" posta in essere dagli attuali mezzi di comunicazione. Con tali voti, invoco su di voi la protezione della Madre di Dio e del Santo Curato d’Ars e con affetto imparto a ciascuno la Benedizione Apostolica.