Una nota da:
La mente accogliente.
Tracce per una svolta antropologica
di Federico La Sala *
[...] E infine arriviamo al punto-chiave - alla Figura. *
Di recente le truppe edipiche del Vaticano, la burocrazia pontificia - incredibilmente - nello sforzo di cacciare i ragni (si pensi alla lotta di Bacone per il Novum Organum del sapere) dal buco non ha più visto cosa faceva, tanta era la polvere che si era accumulata e tante erano le ragnatele che coprivano tutto, e, disperata, ha ripulito il calendario di un bel numero di santi e, nei posti vuoti, ha lasciato subito insediare le formiche.
Tra le sante, chi è stata tolta? Proprio lei: Filomena - Colei che è amata - e ama, accoglie e protegge.
Evidentemente i "saggissimi" del Vaticano, che - come Carducci - sanno di greco e di latino e scrivono "odi barbare" sui temi più scottanti del nostro tempo, avranno pensato: questa santa non sarà mai esistita, non ha nemmeno un vero nome, il suo nome è semplicemente un aggettivo, il participio di un verbo, cancelliamola dall’albo - "e quolibet calendario espungatur" (nota: L’Instructio de calendariis della Sacra Congregazione dei Riti ha preso tale decisione nel 1961, cfr. voce: Filomena, in Biblioteca Sanctorum, Roma, Città Nuova Editrice, 1965, pp. 796-800). E, infatti, è il modo infinitivo che partecipa del nome e del verbo. Ma quale verbo? Quello decisivo, naturalmente! Filein - Amare: filéo - amo. Filomena: Colei che è amata - e ama, accoglie, assiste, tratta con tenerezza (o, altrimenti, Filousa), dimostra affetto con atti (o, altrimenti, Glyko-filousa) - semplicemente, Maria.
E’, in generale, la dimensione accogliente della mente, e, insieme, della coppia (padre e madre) verso il figlio, innanzitutto. Dentro come fuori, all’interno come all’esterno - dinamicamente [...].
* Cit. da Federico La Sala, La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica, Antonio Pellicani editore, Roma 1991, pp. 178-179.
Su un’altra decisiva spia linguistica, nel sito, si cfr.:
NONOSTANTE GIOVANNI XXIII E GIOVANNI PAOLO II,
SAN GIUSEPPE E’ ANCORA UN "GOJ", UNO STRANIERO. Luigi Pirandello insegna. LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO" E FA IL SANTO "PADRINO".... CON "MAMMASANTISSIMA".
Sugli altri temi collegati, in rete e nel sito, si cfr. anche
Santa FILOMENA di Roma martire
Il Curato d’Ars e santa Filomena
Filomena martire cristiana?
di Vatican-News*
Il culto di Santa Filomena e anche tutti gli interrogativi sulla sua identità hanno origine a Roma il 25 maggio del 1802 durante gli scavi nella Catacomba di Priscilla sulla via Salaria, quando vengono scoperte le ossa di una giovane di tredici o quattordici anni e un vasetto contenente un liquido ritenuto sangue della Santa. Il loculo era chiuso da tre tegole di terracotta su cui era inciso: “LUMENA PAX TE CUM FI”. Si credette che, per inavvertenza, fosse stato invertito l’ordine dei tre frammenti risalenti tra il III e il IV sec d.C. e che si dovesse leggere: "PAX TE / CUM FI / LUMENA” cioé: "La pace sia con te, Filomena". I diversi segni decorativi intorno al nome inoltre - soprattutto la palma e le lance - portarono ad attribuire queste ossa ad una martire cristiana dei primi secoli. All’epoca, infatti, si riteneva che la maggior parte dei corpi presenti nelle Catacombe risalissero alle persecuzioni dell’epoca apostolica.
Le reliquie e i prodigi a Mugnano del Cardinale
Furono queste reliquie ad essere in seguito portate, per richiesta del sacerdote nolano Francesco De Lucia, a Mugnano del Cardinale, in provincia di Avellino, nella chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie, dove sono tuttora. Qui i primi miracoli raccontati proprio da mons. De Lucia. Attirato da quanto succedeva Papa Leone XII concesse al Santuario la lapide originaria che Pio VII aveva fatto trasferire nel lapidario Vaticano. Nel 1833, in questo contesto, si inserì la "Rivelazione" di suor Maria Luisa di Gesù che contribuì a diffondere il culto di Santa Filomena in Europa e in America. Personaggi noti come Paolina Jaricot, fondatrice dell’Opera della Propagazione della Fede e del Rosario vivente, e il santo Curato d’Ars ricevettero la guarigione completa dei loro mali per intercessione della santa e ne divennero ferventi devoti.
La biografia secondo Suor M. Luisa di Gesù
E’ proprio il racconto di suor Maria Luisa a svelare la storia della Santa. La suora affermò che la vita di Filomena le era stata narrata per “rivelazione” dalla santa stessa. Filomena sarebbe stata figlia di un re della Grecia convertitosi al cristianesimo e per questo divenuto padre. A 13 anni consacrò a Dio con voto la sua castità verginale. Fu allora che l’imperatore Diocleziano dichiarò guerra a suo padre: la famiglia si vide costretta allora a trasferirsi a Roma per trattare la pace. L’imperatore si innamorò della fanciulla, ma al suo rifiuto la sottopose ad una serie di tormenti da cui sempre fu salvata fino alla definitiva decapitazione. Due ancore, tre frecce, una palma e un fiore sono i simboli, raffigurati sulle tegole del cimitero di Priscilla, che furono interpretati come simboli del martirio. Ma uno studio più approfondito dei reperti archeologici attestò l’assenza della scritta martyr e fece decadere la possibilità della morte per martirio; inoltre nell’ampolla trovata accanto ai resti si provò che non vi fosse sangue ma profumi tipici delle sepolture dei primi cristiani. In definitiva il corpo era di una fanciulla morta nel IV secolo sul cui sepolcro erano state utilizzate tegole con iscrizioni di un precedente sepolcro. La Sacra Congregazione dei Riti nella Riforma Liturgica degli anni ’60 tolse allora dal calendario il nome di Filomena. Ma il culto rimase.
La Devozione resta
La “Santina” del Curato D’Ars, come molti chiamano Santa Filomena, fu venerata in particolare da San Pio da Pietrelcina sin da bambino. La chiamava “la principessina del Paradiso” e a chi osava mettere in discussione la sua esistenza, rispondeva che i dubbi erano frutto del demonio e ripeteva: “Può pure darsi che non si chiami Filomena! Ma questa Santa ha fatto dei miracoli e non è stato il nome che li ha fatti!”. Tutt’oggi Filomena intercede per molte anime e numerosi fedeli si recano a pregare davanti alle sue spoglie. E’ considerata la protettrice degli afflitti e dei giovani sposi e molte volte ha donato la gioia della maternità a madri sterili.
* Fonte: Vatican-News, 13 agosto 2020.
PER IL DIALOGO A TUTTI I LIVELLI - GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE...
GESU’, GIUSEPPE, SACRA FAMIGLIA?! RESTITUIRE L’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE... E ANNUNCIARE LA BUONA NOTIZIA!!! PER LA CHIESA CATTOLICA, SAN GIUSEPPE E’ ANCORA UN "GOJ", UNO STRANIERO. La ’buona’ novella di Luigi Pirandello
PER UNA NUOVA TEOLOGIA-POLITICA E PER UNA NUOVA CHIESA. L’INDICAZIONE DI GIOVANNI XXIII E DI GIOVANNI PAOLO II: LA RESTITUZIONE DELL’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE.
MESSAGGIO EVANGELICO E SANTO PADRE?! ABUSO DEL TITOLO E MENZOGNA. L’ERRORE DI RATZINGER (E DI TUTTI I PAPI).
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
Federico La Sala
IL SANTO DEL GIORNO: GIOACCHINO E ANNA
Gioacchino e Anna.
I volti dell’umanità che sa aprirsi all’eterno
di Matteo Liut (Avvenire, giovedì 26 luglio 2018)
Non è solo il giorno in cui la Chiesa ricorda i nonni di Gesù, i genitori di Maria, ma l’occasione per ricordare che ogni essere umano "è" una storia, è il frutto di un cammino, l’emergere di un senso condiviso, partecipato da chi l’ha preceduto e offerto a chi verrà. I santi Gioacchino e Anna, la cui storia è narrata nei Vangeli apocrifi, rappresentano l’intimità custodita nella vicenda del Dio che si fa uomo: Gesù ha una famiglia, segnata dalle stesse difficoltà delle altre famiglie, ma capace di aprirsi all’eterno. Allo stesso tempo i due nonni santi sono il volto della maestosità dell’annuncio cristiano: nel Risorto si riconciliano le generazioni e si realizza il vero Regno dell’amore che riguarda l’universo intero.
La devozione per Gioacchino e Anna - celebrati nello stesso giorno solo dal 1584 - si è diffusa prima in Oriente per giungere in Occidente alla fine del primo millennio.
Altri santi. Sant’Austindo, vescovo (XI sec.); San Giorgio Preca, sacerdote (1880-1962).
Letture. Es 16,1-5.9-15; Sal 77; Mt 13,1-9.
Ambrosiano. Gdc 2,18-3,6; Sal 105; Lc 9,51-56.
IL SANTO DEL GIORNO: GIOACCHINO E ANNA
Gioacchino e Anna.
Mamma e papà di Maria modello per i genitori
di Matteo Liut (Avvenire, mercoledì 26 luglio 2017)
L’annuncio della nascita di Maria fu per i suoi genitori, Gioacchino e Anna, come la prima goccia che nell’arsura anticipa la pioggia benefica. E quella pioggia è diventata, anche grazie a loro, la speranza di una vita nuova per l’intera umanità. Oggi la Chiesa ricorda così i nonni di Gesù: avanti con gli anni ricevettero dal Cielo il dono di una figlia, aprendosi con saggezza e umiltà a quella novità. "Maria", ovvero "amata da Dio", è il nome che scelsero, un nome nel quale oggi milioni di fedeli si riconoscono e trovano rifugio.
L’esempio di Gioacchino (il cui nome significa "Dio solleva") e Anna (nome che vuol dire "grazia"), invece, è da sempre indicato come un modello per tutti i genitori, chiamati a guardare ai loro figli come degli autentici doni gratuiti di Dio. -La memoria liturgica dei santi Gioacchino e Anna è stata unificata nel 1584.
Altri santi. Sant’Austindo, vescovo (XI sec.); San Giorgio Preca, sacerdote (1880-1962). Letture. Es 16,1-5.9-15; Sal 77; Mt 13,1-9. Ambrosiano. Gdc 2,18-3,6; Sal 105; Lc 9,51-56.
Philomena è un film del 2013 diretto da Stephen Frears.
Il film, avente come protagonista Judi Dench, è basato sul romanzo The Lost Child of Philomena Lee di Martin Sixsmith.
È stato presentato in anteprima il 31 agosto 2013 all’interno del concorso ufficiale della 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Premio Osella per la migliore sceneggiatura e altri premi ufficiali collaterali come il Premio Signis e il Premio P. Nazareno Taddei.
Trama
Philomena Lee, una donna irlandese viene costretta ad abbandonare suo figlio per andare in convento. Molti anni dopo, la donna, assieme al giornalista Martin Sixsmith, si mette alla ricerca del figlio, nel frattempo affidato a una famiglia americana. (WIKIPEDIA- Ripresa parziale).
IO RESTO IN ITALIA - FILOMENA
Un filmato dalla parte delle donne *
Care amiche, cari amici,
vi proponiamo il piccolo video che Filomena, la Rete delle Donne ha ideato dopo aver constatato il vuoto informativo sul ruolo che le donne hanno giocato e tuttora giocano nella storia e nella realtà quotidiana di questo paese.
Abbiamo sentito l’esigenza di estrarre dal silenzio una piccola sequenza di figure femminili, del passato e del presente, per farle tornare in superficie in una narrazione più accurata sulla realtà dell’Italia.
E’ stato un esercizio difficile, il nostro. Molte, moltissime altre sono state sacrificate all’esigenza di brevità che il mezzo scelto comporta.
Ci auguriamo tuttavia che il messaggio che Filomena intende veicolare con il nostro piccolo intervento risulti chiaro. Vi chiediamo di far circolare quanto più possibile questo video. Di farlo rimbalzare da un computer all’altro, mettendoci in grado di consegnare alle donne la visibilità che meritano.
Pensiamo che sia opportuno cominciare da un gesto come questo, di ascolto e di diffusione, per riscrivere il necessario racconto sull’Italia.
Paese senza donne, in apparenza. In realtà, paese che da sempre sul lavoro e la fatica delle donne poggia.
Grazie per il sostegno che vorrete darci.
*
FILOMENA, la rete delle donne
www.filomenainrete.com
http://www.youtube.com/watch?v=mQcAkCKp2Nw
per informazioni:
Annarita Budelli
333 3542632
filomenainrete@gmail.com
fb: Filomena Inrete
Udienza generale di Giovanni Paolo II
"LA PIENA DI GRAZIA"
Mercoledì, 8 maggio 1996
1. Nel racconto dell’Annunciazione, la prima parola del saluto angelico: "Rallegrati", costituisce un invito alla gioia che richiama gli oracoli dell’Antico Testamento rivolti alla "figlia di Sion". Lo abbiamo rilevato nella precedente catechesi, enucleando anche i motivi su cui tale invito si fonda: la presenza di Dio in mezzo al suo popolo, la venuta del re messianico e la fecondità materna. Questi motivi trovano in Maria pieno compimento. L’angelo Gabriele, rivolgendosi alla Vergine di Nazaret, dopo il saluto chaire, "rallegrati", la chiama kecharitoméne, "piena di grazia". Le parole del testo greco chaire e kecharitoméne presentano tra loro una profonda connessione: Maria è invitata a gioire soprattutto perché Dio l’ama e l’ha colmata di grazia in vista della divina maternità! La fede della Chiesa e l’esperienza dei santi insegnano che la grazia è fonte di gioia e che la vera gioia viene da Dio. In Maria, come nei cristiani, il dono divino genera una profonda letizia.
2. Kecharitoméne: questo termine rivolto a Maria appare come una qualifica propria della donna destinata a diventare la madre di Gesù. Lo ricorda opportunamente la Lumen gentium, quando afferma: "La Vergine di Nazaret è, per ordine di Dio, salutata dall’angelo nunziante quale "piena di grazia"" (LG 56). Il fatto che il messaggero celeste la chiami così conferisce al saluto angelico un valore più alto: è manifestazione del misterioso piano salvifico di Dio nei riguardi di Maria. Come ho scritto nell’Enciclica Redemptoris Mater: "La pienezza di grazia indica tutta l’elargizione soprannaturale, di cui Maria beneficia in relazione al fatto che è stata scelta e destinata ad essere Madre di Cristo" (n. 9). "Piena di grazia", è il nome che Maria possiede agli occhi di Dio. L’angelo, infatti, secondo il racconto dell’evangelista Luca, lo usa ancor prima di pronunciare il nome di "Maria", ponendo così in evidenza l’aspetto prevalente che il Signore coglie nella personalità della Vergine di Nazaret.
L’espressione "piena di grazia" traduce la parola greca kecharitoméne, la quale è un participio passivo. Per rendere con più esattezza la sfumatura del termine greco, non si dovrebbe quindi dire semplicemente "piena di grazia", bensì "resa piena di grazia" oppure "colmata di grazia", il che indicherebbe chiaramente che si tratta di un dono fatto da Dio alla Vergine. Il termine, nella forma di participio perfetto, accredita l’immagine di una grazia perfetta e duratura che implica pienezza. Lo stesso verbo, nel significato di "dotare di grazia", è adoperato nella Lettera agli Efesini per indicare l’abbondanza di grazia, concessa a noi dal Padre nel suo Figlio diletto (Ef 1,6). Maria la riceve come primizia della redenzione (cf. Redemptoris Mater, 10).
3. Nel caso della Vergine l’azione di Dio appare certo sorprendente. Maria non possiede alcun titolo umano per ricevere l’annuncio della venuta del Messia. Ella non è il sommo sacerdote, rappresentante ufficiale della religione ebraica, e neppure un uomo, ma una giovane donna priva d’influsso nella società del suo tempo. Per di più, è originaria di Nazaret, villaggio mai citato nell’Antico Testamento. Esso non doveva godere di buona fama, come traspare dalle parole di Natanaele riportate dal vangelo di Giovanni: "Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?" (Gv 1,46).
Il carattere straordinario e gratuito dell’intervento di Dio risulta ancora più evidente dal raffronto con il testo lucano, che riferisce la vicenda di Zaccaria. Di questi è messa infatti in evidenza la condizione sacerdotale, come pure l’esemplarità della vita che rende lui e la moglie Elisabetta modelli dei giusti dell’Antico Testamento: essi "osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore" (Lc 1,6). L’origine di Maria, invece, non viene neppure indicata: l’espressione "della casa di Davide" (Lc 1,27) si riferisce, infatti, soltanto a Giuseppe. Non si fa cenno poi del comportamento di Maria. Con tale scelta letteraria, Luca evidenzia che in lei tutto deriva da una grazia sovrana. Quanto le è concesso non proviene da nessun titolo di merito, ma unicamente dalla libera e gratuita predilezione divina.
4. Così facendo, l’evangelista non intende certo ridimensionare l’eccelso valore personale della Santa Vergine. Vuole piuttosto presentare Maria come puro frutto della benevolenza di Dio, il quale ha preso talmente possesso di lei da renderla, secondo l’appellativo usato dall’Angelo, "piena di grazia". Proprio l’abbondanza di grazia fonda la nascosta ricchezza spirituale in Maria. Nell’Antico Testamento Jahweh manifesta la sovrabbondanza del suo amore in molti modi e in tante circostanze. In Maria, all’alba del Nuovo Testamento, la gratuità della divina misericordia raggiunge il grado supremo. In lei la predilezione di Dio testimoniata al popolo eletto, ed in particolare agli umili e ai poveri, raggiunge il suo culmine. Alimentata dalla Parola del Signore e dall’esperienza dei santi, la Chiesa esorta i credenti a tenere lo sguardo rivolto verso la Madre del Redentore e a sentirsi come lei amati da Dio. Li invita a condividerne l’umiltà e la povertà affinché, seguendo il suo esempio e grazie alla sua intercessione, possano perseverare nella grazia divina che santifica e trasforma i cuori.
* http://digilander.libero.it/domingo7/gp2.htm
L’Immacolata e la nostra umanità
Nemica del male amata per sempre
di Ermes Ronchi (Avvenire, 08.12.2009)
«Vergine, se tu non riappari / anche Dio sarà triste» (Turoldo). Se tu non riappari come alfabeto di speranza, come modello d’umano, il cristianesimo si fa triste, impoverito di tutta la dimensione gioiosa e danzante del Magnificat, della dimensione gratuita e festosa del vino di Cana, di un Dio che privilegia non lo sforzo, ma il dono. Si impoverisce del primo annuncio dell’angelo a Maria: «Kaire, sii lieta, sii felice, tu sei colmata di grazia».
Questa parola mai risuonata prima nella Bibbia, quel nome inaudito - Piena di grazia -, che ha il potere di stupire Maria perché nulla di simile aveva mai letto nel Libro, significa: tutto l’amore di Dio è su di te; significa: il tuo nome è "amata per sempre".
L’annuncio dell’angelo si estende da Maria a ogni credente: gioisci, il tuo nome è "amato per sempre, amato mistero di peccato e di bellezza". In un mondo di disgrazia è possibile ancora trovare grazia, anzi è la grazia che trova noi.
Questo nodo di ombra e di luce che compone la nostra umanità profonda, è affiorato alla coscienza della storia in molti modi, ad esempio nella architettura del romanico pisano e senese: sulle facciate, sulle fiancate, sui pilastri, sugli archi di queste chiese si alternano linee di pietre bianche e linee dal colore dell’ombra: verde scuro o nero. Questa alternanza di luce e di notte è la trascrizione sapiente della profonda conoscenza dell’uomo che il grande Medioevo conservava. Il bianco e il nero che si alternano in ogni persona umana, il bene e il male che intrecciano profondamente le loro radici nel cuore, spesso in modo inestricabile, in Maria non ci sono, lei è l’inizio dell’umanità finalmente riuscita.
«Non temere, Maria», aggiunge l’angelo. Lei è la donna senza paura. La paura entra nel mondo dopo il peccato. Nel paradiso terrestre Adamo parla con Dio e con il serpente, e non ha paura. Poi volta le spalle a Dio, e la prima emozione che prova è la paura: mi sono nascosto, ho avuto paura. Gli occhi della paura, la percezione di pericolo nascono con il male, perché il peccato è minaccia per la vita, è l’anti-vita.
Prima della caduta niente e nessuno era pericoloso per la vita, niente minaccioso. Il peccato porta il suo triste corteo di paure, perché in qualche modo percepiamo che è pericoloso per la vita, è diminuzione d’umano, sottrazione di esistenza.
Tuttavia Immacolata non significa preservata dalla lotta. Anche Lei ha lottato con il serpente, ha conosciuto la fatica del credere, la crescita nella fede, la noia del quotidiano, il dolore lacerante e poi l’abbraccio pacificante.
Immacolata non significa senza tentazioni o senza fatica del cuore. Anche Eva era immacolata, eppure è caduta, con il cuore diviso.
I dogmi che si riferiscono a Maria riguardano anche noi, sono la grammatica per capire l’umanità, per parlare la lingua di ogni uomo, perché il suo destino è il nostro. Celebriamo con l’Immacolata la festa di tutta la luce sepolta in noi e che dobbiamo liberare. Festa delle radici sante e profezia del nostro destino: "amati e santi", santi perché amati (Rom 1,7).
Piena di grazia la dice l’angelo, Immacolata la proclama il popolo cristiano ed è la stessa cosa. È bello risentire oggi, da Dio e dal suo angelo, i due nomi di Maria e, in Eva, di ogni creatura: nemica del male e amata per sempre. E ascoltare, in pagine piene di ali e di fessure sull’eterno, l’inedito: una donna che parla con Dio e con gli angeli come un profeta o un patriarca. E per la prima volta, nei dialoghi con il cielo, è a una creatura della terra che spetta l’ultima parola.
Ermes Rocnhi
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"BRUCEREM IL VATICAN...."
di Angela Azzarro *
COME FAR ARRIVARE LA VOCE DEL GAY PRIDE AI MEDIA? COSA PENSA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI CIÒ CHE I SUOI ELETTORI, NON QUELLI DELLA DESTRA, GLI HANNO CHIESTO? FARÀ LA LEGGE SULLE UNIONI CIVILI E QUELLA CONTRO LE DISCRIMINAZIONI OMOFOBICHE? DIRÀ CHE LE OFFESE DA PARTE DEL VATICANO CONTRO GAY, LESBICHE, TRANS NON SONO PIÙ ACCETTABILI IN UNO STATO LAICO? *
Ventiquattro ore dopo il Family day i più grandi giornali e telegiornali italiani non avevano avuto dubbi: il titolo di apertura era stato dedicato - nella stampa scritta, a caratteri cubitali - al presunto milione che aveva occupato piazza San Giovanni in difesa dei valori tradizionali. I giorni successivi la litania non era cambiata: tutto un susseguirsi di dichiarazioni e servizi per dire che quella manifestazione chiedeva, pretendeva una risposta da parte della politica.
Il giorno dopo il Pride, con un milione di donne e uomini in piazza per chiedere l’estensione dei diritti a tutte e tutti, la stampa e i tg non hanno avuto lo stesso riguardo. Portare tante persone, gay, lesbiche, trans, non è bastato per conquistare i titoli di apertura, né per sperare che il lunedì fosse dedicato alle reazioni della politica. Che cosa farà da oggi il governo Prodi? Cosa pensa il presidente del Consiglio di ciò che i suoi elettori, non quelli della destra, gli hanno chiesto? Farà la legge sulle unioni civili e quella contro le discriminazioni omofobiche? Dirà che le offese da parte del Vaticano contro gay, lesbiche, trans non sono più accettabili in uno Stato laico?
Silenzio. Un assordante silenzio, con Prodi che preferisce denunciare «la brutta aria» che c’è nel Paese, riferendosi alla destra che blocca le decisioni. Insomma, per parafrasare la sua dichiarazione: aria fritta. La distanza tra i cittadini, le cittadine e la politica, anche e soprattutto quella fatta dai media, non era mai stata così ampia. Drammatica. La crisi della politica e della rappresentanza così pesante e disarmante. Se il Papa parla e offende gay, lesbiche o trans accusandoli di essere pedofili e perversi le prime pagine sono assicurate, blindate. Si riempiono subito di titoli cubitali. Poche le proteste. Poche le voci di editorialisti che si sollevano per dire che così cresce l’odio, la violenza contro gli omosessuali. Poche voci si sollevano dal pulpito dei grandi quotidiani per dire che non approvare una legge sulle unioni civili è un fatto grave, che lede l’uguaglianza sancita dalla Costituzione.
A questo punto resta la domanda: che cosa fare per conquistare spazio, visibilità alle ragioni della civiltà e della laicità? Non è bastato, nel silenzio degli organi di informazione, portare un milione di persone in piazza. Non è bastato riempire piazza San Giovanni con una manifestazione rabbiosa, ma pacifica, dura ma anche orgogliosa. No, non è bastato. Bisogna forse arrivare a gesti eclatanti davanti al Vaticano o al Parlamento, bruciarsi come gesto disperato, come un ultimo tentativo di vedersi riconosciuto un diritto? Certo è che così non si può andare avanti. La totale impermeabilità tra media e politica da una parte e società civile dall’altra è talmente alta che non si può stare più indifferenti.
Fa bene Aurelio Mancuso, presidente dell’Arcigay, a lanciare lo sciopero fiscale e a invitare lesbiche, gay, trans a restituire le tessere elettorali. In Italia le persone non eterosessuali sono considerate cittadine di serie B, non godono degli stessi diritti. Tanto vale allora non assumersi neanche i doveri oppure esasperare lo scollamento privandosi della possibilità di decidere chi votare e chi no. Forse così i politici capirebbero, forse così capirebbe anche la Chiesa che dei contributi Irpef vive. Lo capirebbero anche le cosiddette famiglie tradizionali al cui welfare contribuiscono quegli uomini e quelle donne che, oggi, non possono avere una relazione riconosciuta e tutelata, oppure come single non possono sperare in nessuna facilitazione.
Il Pride di sabato è riuscito perché ha parlato un linguaggio che coinvolge tutte e tutti. Non riguarda solo gay, lesbiche e trans. Lo ha dimostrato l’ampia partecipazione in maniera organizzata del movimento femminista e l’ampia presenza di eterosessuali. E’ importante che quel coinvolgimento continui e che le associazioni omosessuali non siamo lasciate sole in questo momento, forse il più delicato, quello più duro da digerire. Non si aspetti l’ennesima esternazione del Papa per risollevare la richiesta delle unioni civili. Deve essere un sentire comune, una richiesta continua, condivisa, in ogni sede, in ogni occasione. Ma prima di tutto bisogna affrontare il rapporto con l’informazione, metterlo al centro dell’azione politica. Oggi sicuramente i giornali daranno molto più spazio alle polemiche sullo spettacolo annullato a Bologna "La Madonna piange sperma", perché considerato blasfemo, che alle richieste di un milione di persone.
TESTIMONI DEL VANGELO
Con la nuova edizione viene diffuso un sussidio liturgico, pastorale e storico. Falco (Cei):«Così aiutiamo le nostre comunità a scoprire e vivere che tutti siamo chiamati alla santità»
In un libro tutti i santi, giorno per giorno
Pubblicata la traduzione italiana del «Martirologio Romano»
Da Roma Vincenzo Grienti (Avvenire, 07.06.2007)
Un "libro liturgico" per celebrare la santità di Dio che si manifesta nella vita degli uomini e delle donne di ogni tempo. Questo il significato profondo del Martirologio, cioè la lista degli anniversari giornalieri dei martiri e per estensione dei santi e delle sante, delle memorie dei misteri e degli eventi della storia della salvezza (come ad esempio Natale e Pasqua) che la Chiesa giorno per giorno celebra nel contesto più generale dell’anno liturgico.
Nei giorni del quarto Convegno ecclesiale nazionale di Verona venne presentata la traduzione italiana della seconda edizione del Martirologio Romano, approvato da Giovanni Paolo II e promulgato dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti il 29 giugno 2004, e oggi edito dalla Libreria editrice vaticana. «L’Ufficio liturgico già nel 2005 aveva dedicato una delle sue Consulte nazionali alla presentazione e allo studio del Martirologio Romano - spiega monsignor Domenico Falco, direttore dell’Ufficio liturgico Cei -. Ora, in coincidenza con la sua pubblicazione, si è ritenuto opportuno offrire alle nostre comunità alcune indicazioni ed orientamenti per suggerire un utilizzo effettivo e corretto del nuovo libro, per non correre il rischio di ridurlo ad una enciclopedia agiografica da consultare come un libro da biblioteca».
Per questo l’Ufficio liturgico nazionale ha preparato un numero speciale del Notiziario che di solito viene inviato ai responsabili degli uffici diocesani per la liturgia e sarà disponibile nel sito internet www.chiesacattolica.it. «Il contributo offerto dal nostro sussidio attraverso riflessioni di carattere storico, pastorale e liturgico, ha come unico obiettivo quello di aiutare le nostre comunità ad un corretto uso del Martirologio Romano - prosegue Falco -. Ma questo dipenderà molto anche dallo spirito con cui, coloro che dovranno proporre l’utilizzo alle loro comunità, apriranno le pagine di questo libro».
La presenza e la testimonianza di beati e di santi hanno accompagnato sempre il cammino della Chiesa. Nella loro vita, ha ribadito Benedetto XVI, la Chiesa «ne riconosce i suoi tratti caratteristici, e proprio in loro assapora la sua gioia più profonda». Il Martirologio, mentre offre la testimonianza di quanti il Signore ci ha donato come «amici e modelli di vita», nel contempo «conferma che in ogni condizione di vita è possibile vivere il Vangelo nella fedeltà al proprio Battesimo», aggiunge Falco nella presentazione del Sussidio, così come afferma la Lumen gentium: «Tutti nella Chiesa, sia che appartengono alla gerarchia, sia che da essa siano guidati, sono chiamati alla santità».
Il Martirologio nasce dall’uso di commemorare liturgicamente l’anniversario dei martiri, un uso attestato con certezza dalla metà del II secolo, a Smirne. Tra le testimonianze più antiche della diffusione dell’uso di ricordare il giorno della morte dei «santi», figura il Cronografo del 354 redatto da Fulvio Dionisio Filocalo. Il più antico Martirologio nel significato del libro liturgico, quasi un "archivio" della memoria dei santi nella vita della Chiesa è un testo siriano copiato ad Emessa nel 411 e conservato al British Museum, traduzione riadattata di un martirologio in greco composto a Nicomedia verso il 362. L’iniziatore del Martirologio "storico" con illustrazione o "elogi" della vita dei martiri e dei santi è Beda il Venerabile (672-735). Nella sua scia si moltiplicano le raccolte da leggersi ogni giorno all’interno dell’Ufficio liturgico. Con l’avvento della stampa il Martirologio in latino è oggetto di numerose edizioni e di correzioni periodiche e precisazioni storiche fino all’ultima edizione del 1960.
IL VOLUME
Lo storico Fusco: fin dalle origini la Chiesa promuove il culto dei santi Memorie locali e orizzonte universale vi confluiscono Dal Vaticano II la grande spinta alla revisione del Martirologio
Pagine che rinnovano una devozione antica
Vincenzo Grienti (Avvenire, 07.06.2007)
«Del Martirologio si ha traccia in Oriente già a partire dal II secolo e in Occidente a partire dall’età della prima apologetica», spiega lo storico Roberto Fusco. «Fu, tuttavia, soltanto dopo il Concilio di Nicea (325) che questa devozione conobbe ovunque nella Chiesa uno sviluppo più deciso e che la venerazione dei fedeli si rivolse in modo sempre più cospicuo, oltre che alla miriade di figure minori collegate a un contesto strettamente locale, anche ai martiri più illustri di Paesi lontani, le cui gesta e il cui insegnamento trovavano a pieno titolo rango nell’immaginario di un cristianesimo divenuto ormai di respiro universale».
La prima redazione di calendari e martirologi, aggiunge Fusco «rispondeva al bisogno sempre crescente nel corso del secolo IV di fissare all’interno di pratiche liste di consultazione i nomi di martiri e santi venerati, localmente o su più vasta scala, nel mondo cristiano, che lasciavano confluire in sé tradizioni multiformi ed esigenze di culto legate alla specificità di ciascuna chiesa. Tra la seconda metà del IV e il primo trentennio del VI secolo datano i primi tentativi di fondere tali tradizioni cultuali eterogenee in un corpus unico con un obiettivo di autentica universalità».
Col passare dei secoli vedono la luce repertori martirologici sempre più completi: dal Martyrologium hieronymianum ai cosiddetti martirologi «storici» dell’VIII-IX secolo, da quello di Beda inserito in calce alla Historia ecclesiastica gentis Anglorum, a quelli d’area franco-carolingia dell’anonimo chierico lionese dell’806, di Floro, Adone e Usuardo, redatti tra l’825 e l’859.
«Papa Gregorio XIII, nel quadro del generale clima riformistico che caratterizzò l’epoca tridentina, in aggiunta agli altri libri liturgici di cui il Concilio aveva già stabilito la revisione, espresse il desiderio di provvedere anche il martirologio di una edizione ufficialmente approvata - racconta ancora lo storico -. Sotto queste spinte nacque il libro liturgico che va sotto il nome di Martyrologium Romanum. Il XX secolo segna, di fatto, un grande recupero di interessi intorno alla materia agiografica e l’impegno di eccellenti energie intellettuali intorno al progetto di revisione del Martirologio Romano. Riflesso di tale fervore, fu il suo inserimento nell’ámbito dell’ampio progetto di revisione dei libri liturgici previsto dalla Costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium, destinato a divenire nella storia di questo libro liturgico l’ultimo ed efficace impulso alla revisione e all’aggiornamento del testo. Elaborata in un percorso più che trentennale, l’attuale edizione del Martirologio risponde appieno all’esigenza primaria affermata dal Concilio di incoraggiare una riforma generale dei libri liturgici secondo un criterio di esame teologico, storico e pastorale (SC, n. 23), di ripristinare il culto dei santi nella sua più genuina autenticità per offrire ai fedeli opportuna exempla imitanda (SC, n. 111) e di promuovere la verità storica (SC, n. 92, c)».
IL CASO
Lo studioso ebreo citato nel «Gesù di Nazaret» di Ratzinger ha pubblicato un articolo sul «Jerusalem Post». Elogiando il Pontefice
Il rabbino sta col Papa
Neusner: «Col suo libro le dispute ebraico-cristiane entrano in una nuova era. Possiamo incontrarci in un promettente esercizio di ragione e di critica»«Negli ultimi due secoli ci siamo parlati per fare riconciliazione sociale; ora finalmente si torna a confrontarsi sulla questione della verità»
di Giorgio Bernardelli (Avvenire, 01.06.2007)
«Benedetto XVI è un cercatore della verità. Quelli che stiamo vivendo sono tempi interessanti». Parola di Jacob Neusner, il rabbino newyorkese ampiamente citato dal Papa nel suo libro Gesù di Nazaret. Parola resa ancora più significativa dall’uditorio ebraico cui è stata rivolta. Si tratti infatti del passaggio finale di un lungo articolo di Neusner pubblicato l’altro giorno sul quotidiano israeliano Jerusalem Post. Un testo in cui il rabbino ripercorre la storia dei suoi studi e il suo rapporto con Ratzinger. «Immaginate il mio stupore quanto mi è stato detto che una risposta cristiana al mio libro A Rabbi Talks with Jesus era contenuta nel capitolo quarto del libro di Benedetto XVI», scrive. Ma soprattutto l’articolo di Neusner è un invito a considerare il volume di Joseph Ratzinger come l’apertura di una pagina nuova nel rapporto tra ebrei e cristiani. Prende le mosse da lontano, l’autore. «Nel Medio Evo - scrive - i rabbini erano costretti a impegnarsi, davanti a re e cardinali, in dispute con i sacerdoti su quale fosse la vera religione, l’ebraismo o il cristianesimo. Il risultato era scontato: i cristiani vincevano perché avevano la spada. Poi nell’era del secondo dopoguerra le dispute hanno lasciato il posto alla convinzione che le due religioni dicano la stessa cosa; le differenze sono state perciò ridotte a questioni secondarie. Ora invece è iniziato un nuovo tipo di disputa, nel quale è la verità delle due religioni a essere al centro del dibattito». È la prospettiva scelta da Neusner in A Rabbi Talks with Jesus, il suo libro pubblicato nel 1993 (in italiano Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, Piemme 1996). «Negli ultimi due secoli il dialogo ebraico-cristiano è servito come un mezzo per politiche di riconciliazione sociale - spiega l’autore -, non è stato più un’indagine religiosa sulle convinzioni dell’altro. Il negoziato ha preso il posto del dibattito, e si è pensato che la pretesa di verità della propria religione violasse le regole di buona c ondotta. Nel mio libro invece ho preso sul serio l’affermazione di Gesù secondo cui in lui la Torah trova compimento e ho messo a confronto questa affermazione con gli insegnamenti di altri rabbini, in una sorta di colloquio tra maestri della Torah. Spiego in una maniera lucida e niente affatto apologetica perché, se fossi vissuto nella Terra di Israele del primo secolo e fossi stato presente al Discorso della Montagna, non mi sarei unito al gruppo dei discepoli di Gesù. Avrei detto no (anche se in maniera cortese) e sono sicuro di avere dalla mia parte solide ragioni e fatti». È una prospettiva - precisa il rabbino - che non indebolisce il dialogo, ma all’opposto lo rafforza. «Per molto tempo - si legge ancora nell’articolo apparso sul Jerusalem Post - gli ebrei hanno lodato Gesù come rabbino, un ebreo veramente come noi; ma per la fede cristiana in Gesù Cristo questa affermazione è assolutamente irrilevante. D’altra parte i cristiani hanno lodato l’ebraismo come la religione da cui è venuto Gesù, ma per noi questo è difficilmente un vero complimento. Io - aggiunge ancora Neusner - sottolineo le scelte diverse che sia l’ebraismo sia il cristianesimo compiono davanti alle Scritture che condividono. I cristiani capiranno meglio il cristianesimo se saranno consapevoli delle scelte che hanno compiuto; e lo stesso vale anche per gli ebrei rispetto all’ebraismo. Voglio spiegare ai cristiani perché io credo all’ebraismo; e questo dovrebbe aiutare loro a identificare quali sono le convinzioni che invece li portano in chiesa ogni domenica». Un compito sul quale ora Benedetto XVI rilancia. «Quando il mio editore mi chiese di consigliargli a quali colleghi chiedere di presentare il mio libro - scrive -, suggerii il rabbino capo Jonathan Sacks e il cardinale Joseph Ratzinger. Avevo ammirato gli scritti del cardinale Ratzinger sul Gesù della storia e gli avevo scritto per dirglielo. Lui mi aveva risposto e ci eravamo scambiati scritti e libri. La sua volontà di confrontarsi co n la questione della verità e non solo con le politiche della dottrina, mi era sembrata coraggiosa e costruttiva. Ora però Sua Santità ha compiuto un passo ulteriore e ha risposto alla mia critica con un esercizio di esegesi e teologia. Col suo Gesù di Nazaret le dispute ebraico-cristiane entrano in una nuova era. Siamo in grado di incontrarci l’un l’altro in un promettente esercizio di ragione e critica. Le parole del Monte Sinai ci portano insieme a rinnovare una tradizione lunga duemila anni di dibattito teologico al servizio della verità di Dio».
Ahi Costantin di quanto mal fu madre
di EUGENIO SCALFARI *
Tra le tante questioni che affliggono il nostro paese, insolute da molti anni e alcune risalenti addirittura alla fondazione dello Stato unitario, c’è anche quella cattolica. Probabilmente la più difficile da risolvere. Personalmente penso anzi che resterà per lungo tempo aperta, almeno per l’arco di anni che riguardano le tre o quattro generazioni a venire. Roma e l’Italia sono luoghi di residenza millenaria della Sede apostolica e perciò si trovano in una situazione anomala rispetto a tutte le altre democrazie occidentali. Se guardiamo agli spazi mediatici che la Santa Sede, il Papa, la Conferenza episcopale hanno nelle televisioni e nei giornali ci rendiamo conto a prima vista che niente di simile accade in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, in Olanda, in Scandinavia e neppure nelle cattolicissime Spagna e Portogallo per non parlare degli Usa, del Canada e dell’America Latina dove pure la popolazione cattolica ha raggiunto il livello di maggiore densità.
Da noi le reti ammiraglie di Rai e di Mediaset trasmettono sistematicamente ogni intervento del Papa e dei Vescovi. L’"Angelus" è un appuntamento fisso. Le iniziative e le dichiarazioni dei cattolici politicamente impegnati ingombrano i giornali, il presidente della Repubblica, appena nominato, sente il bisogno di inviare un messaggio di "presentazione" al Pontefice, cui segue a breve distanza la visita ufficiale. Tutto ciò va evidentemente al di là d’una normale regola di rispetto e dipende dal fatto che in Italia il Vaticano è una potenza politica oltre che religiosa. Ciò spiega anche la dimensione dei finanziamenti e dei privilegi fiscali dei quali gode il Vaticano, la Santa Sede e gli enti ecclesiastici; anche questi senza riscontro alcuno negli altri paesi.
Infine il rapporto di magistero che la gerarchia ecclesiastica esercita sulle istituzioni ovunque vi sia una rappresentanza di cattolici militanti e la funzione di guida politica che di fatto orienta i partiti di ispirazione cattolica e quindi cospicui settori del Parlamento.
La questione cattolica è dunque quella che spiega più d’ogni altra la diversità italiana. Spiega perché noi non saremo mai un "paese normale". Perché una parte rilevante dell’opinione pubblica, della classe politica, dei mezzi di comunicazione, delle stesse istituzioni rappresentative, sono etero-diretti, fanno capo cioè e sono profondamente influenzati da un potere "altro". Quello è il vero potere forte che perdura anche in tempi in cui la secolarizzazione dei costumi ha ridotto i cattolici praticanti ad una minoranza. "Ahi Costantin, di quanto mal fu madre...".
La questione cattolica ha attraversato varie fasi che non è questa la sede per ripercorrere. Basti dire che si sono alternate fasi di latenza durante le quali sembrava sopita, e di vivace ed aspra riacutizzazione.
Il mezzo secolo della Prima Repubblica, politicamente dominato dalla Democrazia cristiana, fu paradossalmente una fase di latenza. La maggioranza era etero-diretta dal Vaticano e dagli Stati Uniti, il Pci era etero-diretto dall’Unione Sovietica. Entrambi i protagonisti accettavano questo stato di cose, insultandosi sulle piazze e dai pulpiti, ma assicurando, ciascuno per la sua parte, un sostanziale equilibrio. Quando qualcuno sgarrava, veniva prontamente corretto.
Ma la fase attuale non è affatto tranquilla, la questione cattolica si è riacutizzata per varie ragioni, la prima delle quali è l’emergere sulla scena politica dei temi bioetici con tutto ciò che comportano.
La seconda ragione deriva dalla linea assunta da Benedetto XVI che ritiene di spingere il più avanti possibile le forme di protettorato politico-religioso che il Vaticano esercita in Italia, per farne la base di una "reconquista" in altri paesi a cominciare dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Baviera, dall’Austria e da alcuni paesi cattolici dell’America meridionale. Le capacità finanziarie dell’episcopato italiano forniscono munizioni non trascurabili per sostenere questo disegno che ha come obiettivo l’esportazione del modello italiano laddove ne esistano le condizioni di partenza.
A fronte di quest’offensiva le "difese laiche" appaiono deboli e soprattutto scoordinate. Si va da forme d’intransigenza che sfiorano l’anticlericalismo ad aperture dialoganti ma a volte eccessivamente permissive verso i diritti accampati dalla "gerarchia". Infine permane il sostanziale disinteresse della sinistra radicale, che conserva verso il laicismo l’antica diffidenza di togliattiana memoria.
Si direbbe che il solo dato positivo, dal punto di vista laico, sia una più acuta sensibilità autonomistica che ha conquistato una parte dei cattolici impegnati nel centrosinistra. Ma si tratta di autonomia a corrente variabile, oggi rimesso in discussione dalla nascita del Partito democratico e dai vari posizionamenti che essa comporta per i cattolici che ne fanno parte. Con un’avvertenza di non trascurabile peso: secondo recenti sondaggi nell’ultimo decennio i cattolici schierati nel centrosinistra sarebbero discesi dal 42 al 26 per cento. Fenomeno spiegabile poiché gran parte dell’elettorato ex Dc si trasferì fin dal 1994 su Forza Italia; ma che certamente negli ultimi tempi ha accelerato la sua tendenza.
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Un fenomeno degno di interesse è quello del recente associazionismo delle famiglie. Non nuovo, ma fortemente rilanciato e unificato dal "forum" che scelse come organizzatore politico e portavoce Savino Pezzotta, da poco reduce dalla lunga leadership della Cisl e riportato alla ribalta nazionale dal "Family Day" che promosse qualche mese fa in piazza San Giovanni il raduno delle famiglie cattoliche.
Da allora Pezzotta sta lavorando per trasformare il "forum" in un movimento politico. "Non un partito" ha precisato in una recente intervista "ma un quasi-partito; insomma un movimento autonomo che potrà eventualmente appoggiare qualche partito di ispirazione cristiana che si batta per realizzare gli obiettivi delle famiglie. Sia nei valori che sono ad esse intrinseci sia per i concreti sostegni necessari a realizzare quei valori".
L’obiettivo è ambizioso e fa gola ai partiti di impronta cattolica, ma Pezzotta amministra con molta prudenza la sigla di cui è diventato titolare. Dico sigla perché al momento non sappiamo quale sia la sua realtà organizzativa e la sua effettiva spendibilità politica.
Sembra difficile che il nascituro movimento delle famiglie possa praticare una sorta di collateralismo rispetto ai settori cattolici militanti nel Partito democratico: la piazza di San Giovanni non sembrava molto riformista, le voci che l’hanno interpretata battevano soprattutto su rivendicazioni economiche ma non basterà riconoscergliele per acquistarne il consenso e il voto. A torto o a ragione le famiglie e le sigle che le rappresentano ritengono che quanto chiedono sia loro dovuto. Il voto elettorale è un’altra cosa e non sarà Pezzotta a guidarlo. Ancor meno i vari Bindi, Binetti, Bobba nelle loro differenze. Voteranno come a loro piacerà, seguendo altre motivazioni e inclinazioni, influenzate soprattutto dai luoghi in cui vivono e dai ceti sociali e professionali ai quali appartengono.
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Un elemento decisivo della questione cattolica e dell’anomalia che essa rappresenta è costituito dalla dimensione degli interessi economici della Santa Sede e degli enti ecclesiastici, del loro "status" giuridico e addirittura costituzionale (il Trattato del Laterano è stato recepito in blocco con l’articolo 7 della nostra Costituzione) e dei privilegi fiscali, sovvenzioni, immunità che fanno nel loro insieme un sistema di fatto inattaccabile. Basti pensare che la Santa Sede rappresenta il vertice di un’organizzazione religiosa mondiale e fruisce ovviamente d’un insediamento altrettanto mondiale attraverso la presenza dei Vescovi, delle parrocchie, degli Ordini religiosi, delle Missioni. Ma, intrecciata ad essa c’è uno Stato - sia pure in miniatura - che gode d’un tipo di immunità e di poteri propri di uno Stato e quindi di una soggettività diplomatica gestita attraverso i "nunzi" regolarmente accreditati presso tutti gli altri Stati e presso le organizzazioni internazionali.
Questa doppia elica non esiste in nessun’altra delle Chiese cristiane ed è la conseguenza della struttura piramidale di quella cattolica e della base territoriale da cui trasse origine lo Stato vaticano e il potere temporale dei Papi. Non scomoderemo Machiavelli e Guicciardini, Paolo Sarpi e Pietro Giannone per ricordare quali problemi ha sempre creato il potere temporale nella storia della nazione italiana, nell’impossibilità di realizzare l’unità nazionale quando gli altri paesi europei avevano già da secoli raggiunto la loro ed infine lo scarso senso dello Stato che gli italiani hanno avuto da sempre e continuano abbondantemente a dimostrare. Sarebbe storicamente scorretto attribuire unicamente al potere temporale dei Papi questo deficit di maturità civile degli italiani, ma certo esso ne costituisce uno dei principali elementi.
Purtroppo il temporalismo è una tentazione sempre risorgente all’interno della Chiesa; sotto forme diverse assistiamo oggi ad un tentativo di resuscitarlo che si esprime attraverso la presenza politica diretta dell’episcopato nelle materie "sensibili" il cui ventaglio si sta progressivamente ampliando.
Negli scorsi giorni l’atmosfera si è ulteriormente riscaldata a causa di una frase di Prodi che esortava i sacerdoti a sostenere la campagna del governo contro le evasioni fiscali e lamentava lo scarso contributo della Chiesa ad un tema così rilevante.
Credo che Prodi, da buon cattolico, abbia pronunciato quella frase in perfetta buonafede ma, mi permetto di dire, con una dose di sprovveduta ingenuità. Lo Stato non rappresenta un tema importante per i sacerdoti e per la Chiesa. Ancorché i preti e i Vescovi siano cittadini italiani a tutti gli effetti e con tutti i diritti e i doveri dei cittadini italiani, essi sentono di far parte di quel sistema politico-religioso che a causa della sua struttura è totalizzante. La cittadinanza diventa così un fatto marginale e puramente anagrafico; salvo eccezioni individuali, il clero si sente e di fatto risulta una comunità extraterritoriale. Pensare che una delle preoccupazioni di una siffatta comunità sia quella di esortare gli italiani a pagare le tasse è un pensiero peregrino. Li esorta - questo sì - a mettere la barra nella casella che destina l’otto per mille del reddito alla Chiesa. Un miliardo di euro ha fruttato all’episcopato italiano quell’otto per mille nel 2006. Ma esso, come sappiamo, è solo una parte del sostegno dello Stato alla gerarchia, alle diocesi, alle scuole, alle opere di assistenza.
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Come si vede la pressione cattolica sullo Stato "laico" italiano è crescente, si vale di molti mezzi, si manifesta in una pluralità di modi assai difficili da controllare e da arginare.
Le difese laiche - si è già detto - sono deboli e poco efficaci: affidate a posizioni individuali o di gruppi minoritari ed elitari contro i quali si ergono "lobbies" agguerrite e perfettamente coordinate da una strategia pensata altrove e capillarmente ramificata. Quanto al grosso dell’opinione pubblica, essa è sostanzialmente indifferente. La questione cattolica non fa parte delle sue priorità. La gente ne ha altre, di priorità. È genericamente religiosa per tradizione battesimale; la grande maggioranza non pratica o pratica distrattamente; i precetti morali della predicazione vengono seguiti se non entrano in conflitto con i propri interessi e con la propria "felicità". In quel caso vengono deposti senza traumi particolari.
Perciò sperare che la democrazia possa diventare l’"habitus" degli italiani è arduo. Gli italiani non sono cristiani, sono cattolici anche se irreligiosi. Questo fa la differenza.
* la Repubblica, 5 agosto 2007