25 Giugno: salviamo la Costituzione e la Repubblica che è in noi.
di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)
Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.
Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...
Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).
Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!
Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?
O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!
Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” [Amore - Charitas] e “Mammona” [Caro-Prezzo - Caritas] o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!
Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!
Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore Charitas dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...
Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!
Federico La Sala
Monsignor Bagnasco, aprendo i lavori del Consiglio permanente della Cei attacca chi critica il Papa da "cattedre discutibilissime". E cita aborto, eutanasia e messa in latino
Duro affondo dei vescovi italiani
"Un paese spaesato e in crisi morale" *
CITTA’ DEL VATICANO - I vescovi italiani sono vicini al Papa, messo sotto accusa da "cattedre discutibilissime", in un paese "spaesato e in crisi morale". E lo difendono su tutti i temi più scottanti: dalla battaglia contro l’eutanasia al ripristino della messa in latino. A ribadirlo è stato oggi il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, che ha aperto i lavori del Consiglio Episcopale Permanente assicurando a Benedetto XVI, a nome di tutti, "pronta e incondizionata collaborazione sempre, e in modo particolare quando emergono nell’opinione pubblica voci critiche e discordanti".
Italia in crisi morale. Secondo Bagnasco, "il Paese è un paese spaesato e sta attraversando una grave crisi morale, in cui sono diffusi comportamenti criminali che non trovano soluzione ed è illusorio sperare in un improvviso quanto miracolistico rinsavimento". C’è invece bisogno di "una ricentratura profonda dei singoli soggetti e degli organismi sociali, sul senso e sulla ragione dello stare insieme come comunità di destini e di intenti". Tra i problemi, citato anche "il dramma recente e crescente degli incendi boschivi, provocati dall’uomo che in quest’ultima estate hanno messo in ginocchio intere zone del Paese".
Ethos condiviso. La Chiesa non vuole in nessun modo proporre una sorta di Stato etico e tuttavia s’interroga sul fatto che esista o meno "una modalità, compatibile con la democrazia, grazie alla quale nutrire un ethos collettivo partecipato e ad un tempo capace di resistere e sopravanzare rispetto alla dissipazione dei costumi".
Critiche ad Amnesty. Bagnasco ha attaccato duramente la scelta di Amnesty International di includere l’aborto per le donne che hanno subito violenze sessuali fra i diritti umani, "magari anche solo nei casi di violenza compiuta sulla donna". Si tratta di "derive - ha proseguito- che ci rendono ulteriormente avvertiti del pericoloso sgretolamento a cui sono sottoposte le consapevolezze umane anche più evidenti, e della necessità quindi di una presenza qualificata a contrastare simili esiti".
Contro l’eutanasia. Fra i capisaldi della storia italiana e del "nostro popolo", il primo posto va "al valore della persona e della vita umana, vita che deve essere accolta e accudita fin dal suo sorgere, ed amorevolmente accompagnata fino al suo naturale tramonto". Poi aggiunge: "L’aborto non è un diritto".
Messa in latino. Per Bagnasco, Benedetto XVI non l’ha promossa per una sorta di "ricerca di un proprio lusso estetico, slegato dalla comunità, e magari in opposizione ad altri", ma per la "volontà di includersi sempre di più nel mistero della Chiesa che prega e celebra, senza escludere alcuno e senza preclusione ostativa verso altre forme liturgiche o nei confronti del Concilio Vaticano II". Insomma, nessuna forma di contrapposizione.
* la Repubblica, 17 settembre 2007.
Dal presidente della Cei Angelo Bagnasco un forte appello perché si nutra un ethos collettivo, «capace di resistere e sopravanzare rispetto alle dissipazioni del costume» per una «società aperta e capace di futuro» A partire dalla componente sana della società, «ancora maggioritaria». Ne parlano due autorevoli studiosi
«Amare l’Italia? Grande e nobile compito»
Di Giorgio Ferrari; Di Paolo Viana (Avvenire, 18.09.2007)
Nella prolusione del presidente della Cei al Consiglio permanente spicca, tra l’altro, un ampio capitolo dedicato alla situazione sociale del Paese. In essa monsignor Bagnasco rileva, da una parte, segnali preoccupanti legati a «un atteggiamento di resa che contrassegna tanta prassi», dove prevalgono «divismo, divertimento spinto a oltranza, disimpegno nichilista»; dall’altra, invece, rimarca i valori ancora condivisi «dalla maggioranza sana». Di qui l’interrogativo sulla «modalità, compatibile con la democrazia, grazie alla quale nutrire un ethos collettivo partecipato e a un tempo capace di resistere e sopravanzare rispetto alle dissipazioni del costume». E quello sul ruolo dello Stato, mero regolatore delle spinte comportamentali che emergono dal corpo sociale, o promotore di un’idea di bene comune. Con l’esortazione finale: «L’Italia merita un amore più grande».
lo storico Galli della Loggia
«Ripartiamo dai grandi valori universali per combattere i
tanti piccoli egoismi»
«Gli italiani sono molto sensibili alla piccola patria, quella locale, e hanno sicuramente un rapporto naturale e aperto con gli alti principi. Manca la cosa di mezzo, lo Stato, ma nell’ethos elementare dell’italiano c’è un forte fondo cristiano»
La prolusione di monsignor Bagnasco tocca, fra i tanti, i temi dell’ethos e del bene comune, del legame che deve esserci fra il cittadino e lo Stato e del ruolo che quest’ultimo assume nei confronti della moltitudine dei cittadini.
Ma, ci si domanda, allora lo Stato è soltanto un notaio, un registratore di comportamenti e di spinte sociali o potrebbe e dovrebbe anche promuovere il bene comune? Lo chiediamo (con un pizzico di provocazione) allo storico Ernesto Galli della Loggia, studioso dell’"identità italiana".
Evidentemente no, basterebbe dare una scorsa alla Costituzione italiana: i primi 50 articoli sono tutti un invito al bene comune: lo Stato si carica di compiti, di ethos collettivi, come l ’uguaglianza, il diritto alla salute, al lavoro, compresa anche la sicurezza, la pace sociale, l’amministrazione della giustizia. La polemica nasce quando da questi beni si passa alle scelte etiche, morali e personali.
Il fantasma dello Stato etico...
Già, ma cos’è lo "Stato etico"? Nell’accezione gentiliana era il culto dello Stato in quanto ethos lo Stato stesso. Ma se uno dice - per fare un esempio - che ci deve essere una legge che vieta l’aborto, questo non è lo Stato etico: lo Stato in astratto non esiste, lo Stato sono i cittadini. Credo piuttosto sia vero il fatto che è diventato friabile il vincolo sociale.
Cioè?
La forza delle cose che ci tengono insieme. La componente sana della società, a quanto sembra, è ancora maggioritaria. Ci sono però alcuni fenomeni che macchiano questa Italia.
Quali?
C’è una componente che sana non è, nel senso che pratica forme di individualismo egoistico, asociale, illegale a vari livelli, che non va a lavorare, che froda e raggira la funzione pubblica. Questi comportamenti sono molto forti in Italia. E questa non a caso è una delle espressioni dell’indebolimento del vincolo sociale.
È un fenomeno nuovo?
È un fenomeno storico, ma ora accanto a questa friabilità che c’è sempre stata si è aggiunta la friabilità del vincolo politico, la crisi verticale delle istituzioni, della società.
Che una volta non c’era...
Un tempo la scarsa coesione sociale era controbilanciata da una dimensione forte della politica. Forte e coesa: fra i vari partiti c’era una sostanziale omogeneità e compartecipazione. Oggi non c’è più, c’è disintegrazione del vincolo politico, e dunque un vuoto.
Si parla giustamente di "bene comune", ma secondo lei in Italia è mai stato compreso, percorso, alimentato quello che la filosofia anglosassone chiama "Common Good"?
Nel nostro Paese non c’è mai stato.
Perché?
Perché laddove è fortissimo il vincolo familiare , familistico e di clan è difficile che si diffonda un’idea di bene comune. Così come dove è fortissimo il campanilismo, il bene comune diventa labile. Forse anche la cultura cattolica dovrebbe su questo punto riaprire un esame del suo ruolo storico. La sua diffidenza verso la Stato nazionale qualche peso lo ha avuto. Certamente il bene comune non può essere la cultura della Lombardia o della cooperativa di Soresina, è qualcosa di più e di meglio.
Questa mancanza di sensibilità all’ethos collettivo è una questione di latitudine, di etnia, di qualcos’altro?
È una questione di Storia.
Nella prolusione si parla con sincera convinzione di senso di appartenenza, di società, di casa aperta, forse alludendo a quella che i tedeschi chiamano "Heimat", cioè la casa comune, quella che il cuore riconosce.
Io penso che questa casa esista. Gli italiani sono molto sensibili alla piccola patria, quella locale, ed hanno sicuramente un rapporto naturale e aperto con i grandi valori universali. Gli manca la cosa di mezzo, lo Stato, ma di fronte alla sofferenza, al male, negli italiani scatta un naturale senso di compartecipazione, di apertura. Pensi all’atteggiamento nei confronti degli immigrati, che non è mai pregiudizialmente ostile: lo può diventare in seguito, ma il primo impulso è quello dell’accoglimento. Nell’ethos elementare dell’italiano c’è questo fondo cristiano.
Che cosa manca allora a una visione armonica del bene comune?
L’Italia ha una forte cultura dell’universalismo etico e contemporaneamente del localismo personale. Peccato gli manchi la parte di mezzo, il raccordo rappresentato dal bene comune nazionale.
Una visione un po’ pessimistica...
Io cerco di essere ottimista. Della prolusione di monsignor Bagnasco mi ha colpito questa una frase: «L’Italia merita un amore più grande». È una frase inconsueta, coraggiosa. Amare l’Italia non è facile, perché spesso è poco amabile. Ma è una frase importante, nuova. Rileggend ola, mi vien da essere ottimista e rinunciare per una volta al mio naturale pessimismo.
il sociologo De Rita
«Servono azioni concrete e organizzate Bene concentrarsi su educazione e Sud»
«Giusto ammonimento a non ascoltare le voci dell’arroganza, dell’apparire e dell’avere; dopo serve un messaggio di presenza nel sociale Se si chiama a una personalizzazione della proposta, essa va sviluppata nel sociale»
La personalizzazione del messaggio cristiano è un ottimo antidoto alle derive della nostra società "a coriandoli", come la definisce Giuseppe De Rita, ma bisogna lavorare molto, declinare i valori in un’etica chiara e offrire coordinate precise all’impegno sociale: è questo il commento a caldo del sociologo, segretario generale del Censis, di fronte alla prolusione di monsignor Bagnasco al Consiglio permanente della Cei.
A quali condizioni la "società a coriandoli" potrebbe nutrirsi del nuovo ethos di cui parla il presidente dei vescovi?
Quello che è importante è il discorso sulle realtà singole e intermedie. In tal senso, mi è piaciuto molto il richiamo a Loreto, dove si dice che il Papa ha puntato a personalizzare la proposta: quel «ciascuno di voi è importante, se resta unito a Cristo può compiere grandi cose» dà un senso forte a milioni di persone. Giusto l’ammonimento a non ascoltare le voci dell’arroganza, della prepotenza, del successo, dell’apparire e dell’avere; dopo serve un messaggio di presenza nel sociale. Se si chiama a una personalizzazione della proposta e dell’impegno, esso deve svilupparsi nel sociale, integrando la dimensione dell’essere, che attiene alla coscienza e al rapporto con Dio.
Eppure Loreto dimostra che la forza della proposta cristiana si regge proprio sull’essere.
La Chiesa mobilita milioni di ragazzi, è vero, e giustamente bisogna personalizzare questa dimensione della proposta. È necessario poi precisare alcune coordinate nello spazio pubblico, linee di azione nel sociale.
Non le pare che i cattolici già lo sappiano, almeno a giudicare dall’imponenza delle opere che traducono questo "essere" in gesti di solidarietà?
Monsignor Bagnasco nel suo discorso cita il viaggio del Papa in Austria. Ebbene, quel viaggio ha avuto il suo punto più alto proprio nel dialogo con il volontariato, con quest’impegno dei singoli, giovani e vecchi, che fanno qualcosa di concreto a partire dalla coltivazione del proprio essere. È un punto cruciale per i cristiani: proprio perché noi abbiamo un Dio personale e avvertiamo la spinta a valorizzare la persona, nel momento in cui parte quest’appello bisogna individuare quelle "grandi cose" che si possono fare insieme.
Monsignor Bagnasco individua priorità concretissime: l’educazione, ad esempio, è un’emergenza per la società a coriandoli?
A livello intermedio si può socializzare la personalizzazione e la Cei promette una riflessione articolata sull’educazione: bene, perché l’educazione è davvero la grande emergenza. In quel campo non c’è solo il problema della trasmissione dei valori, ma anche di una creazione in comune di valori. La via giusta è prendere questo tema intermedio, che non riguarda la singola persona ma neppure il bene comune, e lavorarci sopra. Analogamente, i vescovi tornano a interessarsi del Mezzogiorno; hanno perfettamente compreso di non poter stare tra persona e Stato, tra persona e bene comune, ma di dover parlare di realtà intermedie. E queste due promesse - Mezzogiorno e educazione - danno il senso che in questo momento i vescovi "ci stanno" nella società italiana.
Chi sembra "starci" poco è lo Stato, che si limita a regolare le "spinte comportamentali" e non riesce a offrire un’idea di bene comune.
Nel mondo laico c’è ancora l’ambizione di costruire uno Stato che "costituisce" il cittadino, uno Stato che fa opera di civiltà. Che poi magari pensa di realizzarla con l’eutanasia o la legge 40... C’è ancora un residuo di "bene comune" da Stato hegeliano, rispetto al quale noi cattolici rischiamo di apparir e deboli se parliamo di bene comune e non sappiamo declinare il nostro concetto di bene comune, ad esempio in accettazione dell’altro, responsabilità... Se non sapremo declinare questo concetto, saremo in difficoltà con personaggi che ti cucinano la laicità come l’unica etica vera. E, se non lo faremo, il comportamento dei singoli cittadini non rifletterà i nostri valori, ma andrà nella direzione di questi laici, perché quella è la direzione della libertà e dell’autonomia, oltre che della sopraffazione.
Monsignor Bagnasco conclude la sua prolusione con un appello a dare all’Italia «un amore più grande». Come si ama una società a coriandoli?
Bisogna dire qual è oggi l’ipotesi organizzativa su cui una società può camminare. I coriandoli vanno organizzati, messi insieme agli altri, gestiti organizzativamente. È un aspetto sul quale mi permetto di sollecitare l’attenzione dei vescovi: oggi si salva chi ha una buona organizzazione e esprime un’appartenenza a una buona organizzazione. I cristiani sono ancora una forza vera in Italia perché sentono di appartenere a un’organizzazione.
la realtà e l’impegno
Costruiamo un Paese meno spaesato
di Francesco D’Agostino (Avvenire, 18.09.2007)
La prolusione che l’arcivescovo Bagnasco ha tenuto ieri davanti al Consiglio permanente della Cei ha il suo centro in una constatazione amara, ma lucida: nell’Italia di oggi l’unità della persona appare frantumata e smarrita, carente di criteri di interpretazione e di sintesi; la stanca, ma martellante insistenza sul nostro essere lontani dalla verità produce un’estenuazione «che vorrebbe rendere patetico qualunque richiamo alla coerenza». Il secolarismo, che ama presentarsi come il valore fondante la modernità, anziché rafforzare le persone le «sfilaccia», esaltando la frantumazione dei «punti di vista», e le abbandona in definitiva ad un vuoto esistenziale che è arduo colmare. È un’analisi ruvida, forse addirittura troppo poco ruvida nei confronti di una realtà che sta sotto gli occhi di tutti. Ma non si tratta di un’analisi genericamente deprecatoria, di quelle che si compiacciono di descrivere il presente come un cumulo di macerie. Si tratta al contrario della premessa per un’indicazione estremamente costruttiva, sulla quale ci si augura che la nostra classe politica trovi il tempo di riflettere seriamente.
L’effetto più plateale della crisi antropologica che caratterizza in modo così vistoso l’Italia di oggi è - per usare un’espressione che non compare nel testo di Bagnasco - quello dell’«antipolitica». Le svariate e il più delle volte rozze e volgarissime forme nelle quali si sta manifestando il sentimento antipolitico della gente va di pari passo con la crisi del nostro Stato, sempre meno percepito come quel soggetto pubblico che deve «farsi promotore e garante del bene comune». Non solo oggi è in crisi l’idea che esista un imprescindibile dovere di tutti i cittadini di ubbidire allo Stato, ma è in crisi anche l’idea che questo dovere abbia profonde radici morali, perché il tema stesso del bene comune appare ormai problematico, come la stessa idea di persona.
Tutto questo non avviene per caso: il laicismo dominante (ne siano o no consapevoli i laic isti) non riesce più né a vedere né a proteggere la persona come centro di valori, ma è in grado tutt’al più di percepire solo gli individui: e gli individui, a loro volta, non riescono a farsi l’idea di un bene che sia comune, perché in quanto meri individui sono solo portatori di interessi egoistici e autoreferenziali. Gli interessi individuali possono sommarsi o escludersi a vicenda, ma non possono mai riuscire, per loro natura, a fondersi in quell’ unico interesse che è di tutti e che non esclude nessuno, che chiamiamo appunto bene comune.
Nella lucida analisi di monsignor Bagnasco, in una società che si vede composta solo di individui, che non riescono a riconoscersi vicendevolmente come persone, i vincoli sociali non possono che indebolirsi e allentarsi, fino a scomparire. Non illudiamoci: questi vincoli non si riattiveranno attraverso forme di «improvviso quanto miracolistico rinsavimento morale». Essi potranno essere ricostruiti solo se si saprà operare una «ricentratura profonda», che torni ad individuare il senso e le ragioni del nostro stare insieme, che torni ad attivare «quel tipo di solidarietà su cui una comunità strutturata deve fare affidamento, se vuole essere un Paese-non-spaesato».
Con un accenno molto rapido, il presidente della Cei allude al contributo che la religione e «la considerazione ad essa riservata» possono dare a tale «ricentratura»: un contributo per il bene comune, non per il bene della Chiesa. C’è da augurarsi che i soliti, vecchi laicisti, anziché storcere il naso o stracciarsi le vesti per questo accenno (ma speriamo che, comunque, ne apprezzino la delicatezza), ne sappiano cogliere la saggezza: nessuna comunità può sopravvivere e costruire in modo umano il proprio futuro, se i suoi membri non sono in grado di percepire la loro reciproca solidarietà come personale, cioè come fraterna.
Sul tema, nel sito, si cfr:
LAICI E CATTOLICI. UNA LETTERA DEL 2002.
DEUS CARITAS EST: LA VERITA’ RECINTATA
LA TRAPPOLA DEL DOPPIO LEGAME. Un intervento di Gustavo Zagrebelsky
Mobilitazione vaticana. PORTARE L’ATTACCO AL CUORE DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 20 maggio 2013)
Agitatori comunisti si aggirano per il Paese all’insaputa di Berlusconi. Spargono voci tendenziose sul “sangue di quanti escono di casa per andare al lavoro e non vi fanno più ritorno”, aizzano contro i governi che “salvano le banche, mentre c’è chi muore di fame”, denunciano il “sistema che subordina il lavoro al capitale”. Verdini, Brunetta, Gasparri e Santachè non sono ancora riusciti a scovare i loro nascondigli, benché gli agitatori stiano acquattati solo a qualche chilometro da Montecitorio e Palazzo Chigi. Il fatto è che astutamente sono annidati in Vaticano e nella sede della conferenza episcopale italiana.
Sembra un paradosso. Ma mentre un vasto arco di forze politiche ed economiche continuano a presentare il precariato di massa e l’impoverimento drammatico dei ceti medi e popolari come una sorta di condizione “naturale” del mercato in attesa che parta un mitologico “meccanismo di sviluppo”, la Chiesa di papa Francesco accentua sempre di più la denuncia degli aspetti innaturali e violenti dell’attuale situazione, dove chi occupa posizioni economiche di forza, al riparo del balbettio degli schieramenti politici, segue la sua strada senza curarsi degli effetti sociali.
Il cambio di pontificato ha portato a toni più netti. È papa Francesco a rimarcare di fronte alla cancelliera Merkel, ricevuta sabato scorso, che “per la crisi si salvano le banche mentre c’è chi muore di fame” e che “se cadono gli investimenti è una tragedia, ma se le famiglie non hanno da mangiare, allora non fa niente!”. È il segretario della Cei, mons. Mariano Crociata, a lanciare l’allarme per i “troppi operai che sul lavoro muoiono”.
Oggi si apre l’assemblea annuale dell’episcopato italiano e nella relazione del cardinale presidente Bagnasco sarà alta l’attenzione sulla crisi della famiglie, la disoccupazione, l’instabilità permanente delle giovani generazioni soggette al precariato. La questione del lavoro, ha anticipato Bagnasco, è la “lama più penetrante e tagliente nella carne della gente di oggi”.
Giorni fa - alla presentazione del “Rapporti sul Lavoro” (ed.Laterza) curato da un’equipe del Comitato Cei del Progetto culturale, sotto la guida del cardinale Ruini - Bagnasco ha manifestato in uno scritto il malessere della Chiesa per come la crisi attuale è gestita. Con un linguaggio molto lontano dal politichese dei capipartito in auge alla Tv il porporato ha descritto una “disoccupazione a livelli patologici... e un sempre più diffuso precariato” che provocano “enormi riflessi sulla vita delle persone, collocandole in un alveo di insicurezza e instabilità che minano la progettualità sul proprio futuro”. Ha parlato di un “asservimento della persona alle leggi del mercato”, denunciando la situazione squilibrata a favore di “capitale e finanza... chiusi in un processo di autoreferenzialità”. Per concludere seccamente che ci si trova dinanzi ad un “sistema che subordina il lavoro al capitale... più preoccupato di accumulare che di investire”, nel quadro di un panorama sociale in cui tanti sacrificano la crescita per puntare su un guadagno facile e immediato.
Il presidente della Cei - per restare nell’ambito pratico e non dei principi generali - esorta anche a contrastare decisamente ed eliminare le “condizioni lavorative non degne della persona e tutte le situazioni di sfruttamento”. Parole oggettive e crude che sono del tutto sparite dal lessico politico contemporaneo e che paradossalmente oggi uno deve andare a cercare realisticamente nell’ambito della dottrina sociale della Chiesa.
Appare evidente che il nuovo pontificato incoraggia anche la Cei ad essere sempre più decisa nelle due denunce. D’altronde papa Francesco sin dai primi giorni dopo la sua elezione ha condannato le tensioni economiche che “colpiscono chi è più debole” e il 1.maggio ha resuscitato una parola antica e drammatica, richiamo a condizioni che nelle società contemporanee si vogliono edulcorare e rimuovere. “Quante persone - ha detto - sono vittime di questo tipo di schiavitù, in cui è la persona che serve il lavoro , mentre deve essere il lavoro ad offrire un servizio alle persone perché abbiano dignità”.
Più chiaramente parlano oggi pontefici e vescovi più imbarazzante diventa però il silenzio delle forze politiche ed economiche. Certamente non è un bel segno per la politica il fatto che tre seri rapporti su educazione, demografia e lavoro siano stati elaborati in questi anni nelle stanze della Cei, sotto il coordinamento di Ruini, e non negli uffici studi dei partiti.
La scuola come dio vuole
di Luca Kocci (il manifesto, 4 maggio 2013)
Il programma per la scuola che il cardinal Bagnasco consegna al governo Letta-Alfano appena insediato si articola in un unico punto: più soldi alle scuole cattoliche. Con buona pace della Costituzione che, è vero, stabilisce che i soggetti privati possano aprire delle scuole a condizione che non vi siano «oneri per lo Stato»; ma in realtà, sostiene il presidente della Conferenza episcopale italiana nella sua interpretazione revisionista dell’articolo 33 della Carta, i padri costituenti non volevano intendere che lo Stato non dovesse finanziarie le scuole private. Quindi, conclude Bagnasco, è «pretestuoso» invocare la Costituzione per difendere la scuola statale e criticare il sostegno economico a quella paritaria. Come sta facendo, per esempio, il Comitato bolognese “Articolo 33”, che ha promosso un referendum consultivo - si voterà il prossimo 26 maggio - per bloccare i finanziamenti del Comune di Bologna alle scuole dell’infanzia paritarie private e destinarli interamente a quelle comunali e statali.
Sembrava aver cominciato bene il suo intervento di ieri, Bagnasco, al convegno “La Chiesa per la scuola”, promosso dalla Cei e in corso fino a questa mattina all’Hotel Ergife di Roma, a due passi dalla sede centrale dei vescovi italiani. «Una società che non investa energie economiche e umane nella scuola, nella formazione e nell’innovazione, finisce per subordinare l’uomo al lavoro e al denaro, come appare in modo drammatico nella finanziarizzazione dell’economia e nella conseguente subordinazione del lavoro alla finanza», aveva detto il presidente della Cei, lamentando anche «l’insufficiente sostegno delle istituzioni, come mostrano non da ultimo i tagli al personale e ai fondi stanziati per le attività e la strumentazione. Da qui il disagio vissuto da tanta parte degli insegnanti, spesso scoraggiati e disillusi perché scarsamente valorizzati e non pienamente riconosciuti nel loro importante e delicato compito formativo».
Poi però è risultato chiaro a chi e a cosa si riferiva: alla scuola «paritaria» cattolica, penalizzata, secondo Bagnasco, dalle scarse risorse che lo Stato le destinerebbe, in spregio del «principio di sussidiarietà». La Costituzione «riconosce alla famiglia il dovere e il diritto di educare e istruire i figli secondo una linea educativa liberamente scelta», sostiene il presidente della Cei. «Si tratta di una grave manipolazione perché questa affermazione non è affatto contenuta nella Costituzione», rileva Antonia Sani, coordinatrice dell’associazione “Per la scuola della Repubblica”.
Da qui discenderebbe il diritto per i genitori di mandare i propri figli nelle scuole cattoliche, mantenute dallo Stato. La stampella normativa - e su questo punto è difficile dar torto a Bagnasco - è la legge 62 del 2000, fortemente voluta dall’allora ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer, la quale stabilì che «il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali». Nonostante queste disposizioni, protesta Bagnasco, «permangono svariate difficoltà applicative della legge» per quanto riguarda «l’incertezza della disponibilità finanziaria» e «la lentezza nell’erogazione dei fondi». La parità, chiede il cardinale, «deve divenire effettiva». Quindi lo Stato deve allentare i cordoni della borsa. Del resto Bagnasco parla ad un governo amico, zeppo di cultori della sussidiarietà - dai ciellini Lupi e Mauro allo stesso Letta -, per incoraggiarlo ad essere più generoso del precedente, che pure nella legge di stabilità riuscì a trovare 223 milioni di euro per le scuole paritarie, tagliandone contestualmente 700 milioni alla statale.
«Senza oneri per lo Stato è l’unico punto fermo della Costituzione, sagacemente previsto dai nostri padri costituenti, che va ribadito», spiega Antonia Sani. «Se fosse integralmente rispettato, e non calpestato dalle convenzioni e dalla legge istitutiva delle scuole private paritarie, si potrebbe rispondere alle esigenze di tutti quei cittadini che oggi si vedono costretti a frequentare scuole private, spesso a indirizzo religioso, a causa dell’insufficienza e dell’inadeguatezza di tanti edifici pubblici».
La pari dignità dei figli di Dio
di Vito Mancuso (la Repubblica, 05.02.2013)
Nella sua prima conferenza stampa da responsabile vaticano per la famiglia monsignor Vincenzo Paglia ha infatti pronunciato parole che, in Vaticano, sull’argomento spinosissimo dei diritti civili delle coppie gay, io non ricordo siano mai state pronunciate.
Naturalmente, nelle sue parole al primo posto non poteva non esserci la difesa del primato della famiglia tradizionale, come è giusto che sia nell’impostazione cattolica e non solo cattolica, visto che il primato della famiglia tradizionale è un’impostazione condivisa da tutte le grandi tradizioni spirituali dell’umanità, sia religiose sia filosofiche, che non hanno mai conosciuto un matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Ma non può non sorprendere il fatto che monsignor Paglia abbia parlato di un necessario riconoscimento dei diritti civili delle coppie di fatto, includendo esplicitamente tra queste, oltre alle coppie eterosessuali, anche quelle omosessuali. «I diritti individuali vanno garantiti », ha detto, aggiungendo che vanno trovate «soluzioni di diritto privato», «all’interno del codice di diritto privato», per tenere conto anche degli aspetti «patrimoniali ».
È la prima volta che un ministro vaticano riconosce esplicitamente e pubblicamente l’esistenza delle coppie omosessuali rendendole soggetto di diritti? A me pare di sì, e non posso non salutare questa affermazione come un significativo passo in avanti.
Ricordo infatti che la Santa Sede si è espressa sempre in modo contrario rispetto alla tutela delle coppie omosessuali anche a livello di diritto privato: in Italia tutti ricordano la ferma opposizione contro il progetto del governo Prodi a proposito dei cosiddetti “dico”, mentre nel 2008 l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, monsignor Celestino Migliore, si espresse contro un progetto della Francia che chiedeva la depenalizzazione universale dell’omosessualità, contrarietà ribadita nel 2011 dall’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio dell’Onu a Ginevra monsignor Silvano Tomasi.
Ieri invece, in Vaticano, monsignor Paglia ha dichiarato che «un conto è il tema del matrimonio gay, sul quale è nota la nostra posizione, un altro sono le discriminazioni. Nel mondo ci sono forse 25 Paesi dove l’omosessualità è reato. Mi augurerei che come Chiesa combatteremo tutto questo».
Una sterzata abbastanza netta rispetto all’intransigenza esibita finora, anche in considerazione del fatto che alla fine del 2012 papa Benedetto XVI in un’udienza pubblica aveva ricevuto una politica ugandese di nome Rebecca Kadaga, promotrice di azioni legislative particolarmente dure contro la convivenza degli omosessuali. Monsignor Paglia ha detto invece che occorre riaffermare «la pari dignità di tutti i figli di Dio, tutti in questo senso sono santi, perché hanno il sigillo di Dio, nessuno non ce l’ha; e dunque tutti sono intoccabili », parole che hanno fatto risentire un po’ di profumo evangelico nelle sale del potere vaticano.
Il cardinal Martini aveva espresso una posizione analoga. Dopo aver sottolineato che «Dio ci ha creati uomo e donna, e perciò la dottrina morale tradizionale conserva delle buone ragioni» di modo che «la coppia omosessuale in quanto tale non potrà mai essere equiparata in tutto al matrimonio», aveva aggiunto: «Sono pronto ad ammettere il valore di un’amicizia duratura e fedele tra due persone dello stesso sesso », quindi «non è male che due persone abbiano una certa stabilità e in questo lo Stato potrebbe anche favorirli; non condivido la posizione di chi, nella Chiesa, se la prende con le unioni civili».
Fino a ieri la posizione di chi se la prende con le unioni civili era ampiamente maggioritaria nella Chiesa cattolica. Dopo le aperture del nuovo Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia le cose sono cambiate?
I diktat vaticani e la finestra di Ratzinger
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2013)
Basterebbe poco. Che Benedetto XVI si affacciasse domenica su piazza San Pietro ed esclamasse: “Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino. La dignità propria di ogni persona dev’essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni”.
Lo ha scritto da cardinale, come prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Ripeterlo da Papa, ricordando - come nel 1986 - che ogni mancanza di rispetto verso i gay è “lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile”, significherebbe rompere con l’antica ideologia omofoba della gerarchia ecclesiastica.
Perché se è vero che l’omofobia ha radici lontane, culturali oltre che religiose, e non appartiene ad una sola confessione, è altrettanto vero che in Italia il Vaticano alza da anni ossessivamente le barricate contro i diritti dei gay. Contro l’accettazione del libero orientamento sessuale, contro una legge sulle coppie di fatto, contro una legge che contrasti l’omofobia.
Al punto che prima di Natale papa Ratzinger ha definito aspramente la legalizzazione dei matrimoni omosessuali “una ferita grave contro la giustizia e la pace”. Frase sentita come offesa da milioni di uomini e donne, gay ed eterosessuali. Né ha aiutato l’accoglienza cordiale del Papa - in udienza generale - alla presidente del Parlamento ugandese, Rebecca Kadiga, esaltata fautrice di una legge che prevede la pena di morte per i gay (respinta peraltro dai vescovi cattolici dell’Uganda).
Il nuovo ministro per la Famiglia vaticano, mons. Vincenzo Paglia, ha aperto nei giorni scorsi con coraggio una finestra sull’esigenza di riconoscere i diritti delle coppie di fatto, gay ed eterosessuali. Ma ora tocca al Papa sancire questo nuovo corso.
La piena acquisizione dei diritti da parte degli omosessuali è la frontiera di civiltà del XXI secolo. O si sta di qua o di là. Vale anche per le forze politiche. Sarebbe ora che i parlamentari di centro-destra si ribellassero all’acquiescenza ai vecchi diktat vaticani. E i neo-centristi Monti, Riccardi e Casini battessero un colpo
Cosa accadrebbe se Napolitano affermasse che il dramma è la castità ecclesiastica?
di Alessandro Consonni *
Con la scusa dell’etica morale, non passa giorno che il Vaticano interferisca nella politica del nostro Paese!
L’Italia è condizionata dai Cattolici e dal Vaticano in ogni sua scelta LAICA!
L’integralismo Cattolico è tale e quale quello Islamico!
Francia: primo sì alla legge sulla nozze gay.
Bagnasco: vicini al baratro, Italia non imiti Parigi
Un voto, quello francese, accolto con tono drammatici dal presidente della Conferenza episcopale in Italia:
“Siamo vicini al baratro”, ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, “l’Italia non deve prendere esempio da queste situazioni che hanno esiti estremamente pericolosi.
Non seguiamone le orme”.
E ancora: “L’Europa ha dimenticato le proprie radici cristiane, le radici della propria cultura e della propria civiltà.
Volendo sistematicamente eliminare la religione dal proprio orizzonte crede di conquistare delle libertà nuove.
Molti paesi europei hanno varato leggi sbagliate su vita, famiglia, libertà, non crescono in civiltà più umana e solidale, semmai più individualista e più regressiva”.
Mi chiedo cosa accadrebbe se un giorno Giorgio Napolitano o l’attuale Presidente del Consiglio Mario facessero una affermazione di questo tipo:
Troviamo drammatico e estremamente pericoloso per l’equilibrio psicologico dei sacerdoti e delle suore la castità!
Cosa accadrebbe se lo Stato Italiano in un guizzo di LIBERTA’ LAICA affermasse che un fondamento del Cristianesimo Cattolico come la Castità è un pericoloso DRAMMA?
Perché ogni giorno il Vaticano interferisce nelle scelte LAICHE italiane e NESSUNO della politica Italiana si RIBELLA?
Cari Amici, semplicemente perché nel nostro Paese Governa il Vaticano!
La prova dimostrativa?
Cari Amici, nel nostro Paese tutti gli schieramenti politici in questi giorni rincorrono i 700.000 VOTI delle coppie di fatto e gay!
Omosessuali e coppie di fatto saranno l’ago della bilancia dei risultati elettorali e fanno gola a destra tanto quanto a sinistra!
Tutti gli schieramenti politici di destra come di sinistra promettono e si impegnano a REGOLARIZZARE le unioni di fatto e gay!
Questo chiaramente è un DRAMMA e un BARATRO per chi come Bagnasco ha nel proprio DNA l’integralismo religioso!
Cari Amici, il DRAMMA e il BARATRO sono l’integralismo Cattolico e il BIGOTTISMO IPOCRITA che rende il nostro Paese medioevale come lo Stato di Santa Romana Chiesa!
* reset-italia.net, 03.02.2013
«Politica senza visione, è rimasto il vuoto»
di intervista a Gianfranco Ravasi,
a cura di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 01.02.2013)
«Vede, c’è una frase dal Diario di Søren Kierkegaard che amo citare: "La nave è ormai in mano al cuoco di bordo", scrive il filosofo danese, "e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani"». Il cardinale Gianfranco Ravasi abbozza un sorriso un po’ mesto, il presidente del Pontificio consiglio per la cultura ha appena presentato l’assemblea che il dicastero vaticano dedicherà dal 6 al 9 febbraio ai giovani, aperta da un’udienza con Benedetto XVI, e risposto pure alle domande dei ragazzi che gli arrivavano via Twitter, un senso diffuso di estraneità e desolazione, la «tristezza» dei tagli alla cultura, una campagna elettorale che esclude i giovani.
Già il livello del dibattito spesso non aiuta, ma il fatto è che «non possiamo avere una politica che sia esclusivamente di tipo economico, per quanto importanti siano quei temi», sospira il cardinale. «La pólis greca aveva anche la presenza di sapienti. Perché una società ha bisogno di questo respiro, delle grandi prospettive. C’è anche un Pil del benessere, della felicità. E invece ciò che manca alla politica - come peraltro, penso, qualche volta anche alla Chiesa - è proprio la capacità di presentare visioni globali vere e proprie: visioni globali della persona, della società e del mondo».
Manca la classica Weltanschauung, si direbbe, una visione del mondo, e meno male che ci si era rallegrati della morte delle ideologie... «Sì, è vero, ne hanno celebrato i funerali ed erano tutti contenti perché erano state sepolte, le ideologie. Risultato: è rimasta una piattaforma sabbiosa e arida, certe volte il vuoto. Non c’è neppure più l’assenza di qualcosa».
In che senso, eminenza? «Lo scrittore Georges Bernanos distingueva tra vuoto e assenza. Perché parlare di assenza significa almeno avvertire che qualcosa manca. Ma il momento peggiore è questo: quando non ne avverti più neppure il bisogno. L’indifferenza. Tutto uguale, tutto irrilevante».
Il grande biblista ricorda che «otto secoli prima di Cristo, quando vuole esprimere che siamo arrivati al disastro, Isaia dice: "Guardai in giro e non c’era più nessuno da interrogare per avere una risposta". Si dovrà tornare a dare quelle risposte che ormai non risuonano più, nella cultura contemporanea».
Mentre presentava l’assemblea sulle «Culture giovanili emergenti», il cardinale Ravasi ha citato le parole di San Paolo a Timoteo: «Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii tu di esempio...». Bisognerebbe «prestare più attenzione ai giovani anche nella Chiesa, dove dovrebbero poter accedere anche a incarichi di responsabilità», ha spiegato. E ora sorride: «E Timoteo era un vescovo!». Ma il discorso, chiaro, è più ampio e riguarda la società in generale, «la classe dirigente», la politica. Che fa, sostiene la cosiddetta rottamazione? Il «ministro» vaticano della Cultura scuote la testa divertito: «Immaginavo saltasse fuori ma no, la cosa è più complessa.
È necessario dire a quelli che si sono insediati brutalmente che è ora di fare intervenire anche i giovani, aprire a un nuovo vento. E i giovani devono cominciare a prendersi le loro responsabilità e a entrare in scena, tenendo conto però del fatto che non si comincia mai da zero.
La rottamazione, se considerata come demolizione, è pericolosa. È vero quello che Giovanni di Salisbury attribuisce a Bernardo di Chartres, nel XII secolo: "Siamo nani sulle spalle dei giganti". Significa che riusciamo a vedere più lontano perché facciamo tesoro del passato».
Qui sta l’«ingenuità della rottamazione», riflette: «È la pretesa di dire: alziamoci, tocca a noi. Ma per vedere più lontano bisogna avere un passato. E una delle crisi della società contemporanea è di essere smemorata, o di non voler memoria. Chi non ricorda, però, non vive».
Così Ravasi si rivolge ai giovani e alle loro domande, consapevole dello scarto. «Mi sono persino esposto all’ascolto di un cd di Amy Winehouse per averne la prova immediata», ha scherzato.
«Eppure in quei testi così lacerati musicalmente e tematicamente emerge una domanda di senso comune a tutti». Quei ragazzi che sono consapevoli «della media, del grigio, della mucillagine». Ha ragione Pascal, conclude il cardinale: «"L’uomo supera infinitamente l’uomo". Non si accontenta. Lascialo pure così, fallo stupido, consideralo stupido, però alla fine, soprattutto se giovane, andrà oltre».
La struttura segreta del Vaticano
Immobili a Londra con i soldi di Mussolini
Una società off-shore custodisce un patrimonio da circa 650 milioni di euro. Per conto della Santa Sede, che ha raggranellato prestigiosi locali ed edifici nella capitale britannica. Grazie ai soldi che Mussolini diede al papato con i Patti Lateranensi
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI *
LONDRA - A chi appartiene il locale che ospita la gioielleria Bulgari a Bond street, più esclusiva via dello shopping nella capitale britannica? E di chi è l’edificio in cui ha sede la Altium Capital, una delle più ricche banche di investimenti di Londra, all’angolo super chic tra St. James Square e Pall Mall, la strada dei club per gentiluomini?
La risposta alle due domande è la stessa: il proprietario è il Vaticano. Ma nessuno lo sa, perché i due investimenti fanno parte di un segretissimo impero immobiliare costruito nel corso del tempo dalla Santa Sede, attualmente nascosto dietro un’anonima società off-shore che rifiuta di identificare il vero possessore di un portfolio da 500 milioni di sterline, circa 650 milioni di euro. E come è nata questa attività commerciale dello Stato della Chiesa? Con i soldi che Benito Mussolini diede in contanti al papato, in cambio del riconoscimento del suo regime fascista, nel 1929, con i Patti Lateranensi.
A rivelare questo storia è il Guardian, con uno scoop che oggi occupa l’intera terza pagina. Il quotidiano londinese ha messo tre reporter sulle tracce di questo tesoro immobiliare del Vaticano ed è rimasto sorpreso, nel corso della sua inchiesta, dallo sforzo fatto dalla Santa Sede per mantenere l’assoluta segretezza sui suoi legami con la British Grolux Investment Ltd, la società formalmente titolare di tale cospicuo investimento internazionale. Due autorevoli banchieri inglesi, entrambi cattolici, John Varley e Robin Herbert, hanno rifiutato di divulgare alcunché e di rispondere alle domande del giornale in merito al vero intestatario della società.
Ma il Guardian è riuscito a scoprirlo lo stesso attraverso ricerche negli archivi di Stato, da cui è emerso non solo il legame con il Vaticano ma anche una storia più torbida che affonda nel passato. Il controllo della società inglese è di un’altra società, chiamata Profima, con sede presso la banca JP Morgan a New York e formata in Svizzera.
I documenti d’archivio rivelano che la Profima appartiene al Vaticano sin dalla seconda guerra mondiale, quando i servizi segreti britannici la accusarono di "attività contrarie agli interessi degli Alleati". In particolare le accuse erano rivolte al finanziere del papa, Bernardino Nogara, l’uomo che aveva preso il controllo di un capitale di 65 milioni di euro (al valore attuale) ottenuto dalla Santa Sede in contanti, da parte di Mussolini, come contraccambio per il riconoscimento dello stato fascista, fin dai primi anni Trenta. Il Guardian ha chiesto commenti sulle sue rivelazioni all’ufficio del Nunzio Apostolico a Londra, ma ha ottenuto soltanto un "no comment" da un portavoce.
Cattolici e B, cambia il vento
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 11.12.2012)
Con allarme e orrore la Chiesa registra l’irrompere di Berlusconi sulla scena politica. Con insolita durezza il cardinale Bagnasco commenta: “Non si possono mandare in malora tutti i sacrifici fatti dai cittadini”. É qualcosa di radicalmente nuovo per il Cavaliere. Nelle sue battaglie non potrà più invocare le zie suore per accattivarsi la comunità cattolica. Per la prima volta gli viene a mancare l’appoggio della gerarchia ecclesiastica, che tanto gli ha giovato in passato.
Nei venti anni trascorsi Vaticano e Cei puntellavano sempre i suoi arbitrii, permettendogli di scardinare le regole istituzionali. L’intervento di Bagnasco, per i suoi toni espliciti, segna in questo senso una discontinuità netta rispetto al “ruinismo” (sebbene il cardinal Ruini oggi non plaudirebbe al ritorno berlusconiano). Ogni parola dell’intervista del presidente della Cei al Corriere della Sera - pur non nominandolo mai - segna un attacco preciso all’ex premier. “Lascia sbigottiti l’irresponsabilità di quanti pensano a sistemarsi mentre la casa sta ancora bruciando”. Monti ha contribuito “in modo rigoroso e competente” alla credibilità del’Italia. Ha messo al riparo il Paese da “capitolazioni umilianti... evitando di scivolare verso l’irreparabile”.
La mossa del presidente dell’episcopato è stata preceduta da un fuoco di sbarramento dei media cattolici nei confronti di Berlusconi. TV2000, la televisione dei vescovi guidata dall’ex direttore di Avvenire Dino Boffo (massacrato dalla campagna del Giornale berlusconiano con l’uso di falsi documenti) ha messo subito il dito sulla piaga: “Un epilogo miope per non dire meschino”. Un’avventura, quella di Berlusconi, segnata dal “sospetto che si tratti di un’azione volta a garantirsi nel prossimo Parlamento un manipolo di sostenitori ad personam per proteggere interessi più o meno personali”.
L’Avvenire ha ricordato per bocca del direttore Marco Tarquinio il “fallimento” del governo Berlusconi nel 2011 e ha dato ampio spazio ai dissidenti del Pdl. Da Giuliano Cazzola, che predice la sconfitta del “pifferaio magico”, all’eurodeputato ciellino Mario Mauro, che denuncia le “derive populiste” e antieuropeiste dell’ultimo Berlusconi, indicando l’obiettivo di unire i cittadini italiani che si riconoscono nel programma del Partito popolare europeo.
Ma è soprattutto dalla rete di aderenti a Comunione e liberazione, che sembrano preannunciarsi novità. Già Formigoni è in profondo disaccordo con la candidatura del leader leghista Maroni a governatore della Lombardia. Candidatura espressamente sponsorizzata da Berlusconi. Ma uno degli ideologi più attivi del movimento ciellino, il direttore della rivista Tempi Luigi Amicone, va molto più in là. Lunedì mattina ha predicato su RadioTre la necessità di un “conflitto aperto” con Berlusconi, con l’obiettivo di “spaccare il Pdl”. Il ritorno del Cavaliere, ha scandito, “è grottesco”. Con Bersani, probabile vincitore delle elezioni, bisognerà “collaborare” per affrontare le sfide che attendono il Paese.
É evidente che la “decisione dirompente e senza vero motivo” (così testualmente l’Avvenire), con cui Berlusconi è tornato in campo, è avvertita con enorme irritazione dalle gerarchie ecclesiastiche, perché ha strappato la tela che i gruppi cattolici di centro stavano tessendo per riportare Monti, totalmente gradito alla Chiesa e a Benedetto XVI, alla presidenza del Consiglio in primavera. Lavoro paziente che implicava il coinvolgimento di Alfano e di un Pdl de-berlusconizzato. Ora tutto è in frantumi e non è detto che Monti voglia giocare il suo prestigio in una lista tendenzialmente minoritaria.
Ma la Chiesa e il Centro cattolico sembrano nutrire la speranza di provocare uno smottamento nell’area parlamentare del Pdl, sperando di mostrare che re Berlusca (almeno parzialmente) è “nudo”. Si spiega così la titolazione aggressiva del quotidiano di vescovi, solitamente molto prudente, che domenica sparava in pagina: “Nel Pdl cresce la fronda anti-Berlusconi”. La speranza è che la decina di parlamentari azzurri - che nei giorni scorsi ha appoggiato con il voto il governo, dissociandosi dal voltafaccia del Cavaliere - possa ulteriormente crescere, coinvolgendo figure note del catto-berlusconismo: Sacconi, Quagliarello, la Roccella. Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc, propone un rassemblement: “Sediamoci a una tavolo e discutiamo. C’è da fare una lista in cui convergano partiti, associazioni, gruppi e movimenti. Per salvare l’Italia”. L’obiettivo di creare una specie di Ppe italiano è il traguardo che l’istituzione ecclesiastica e i post-democristiani hanno cominciato a sognare dal momento in cui Berlusconi ha rassegnato le dimissioni un anno fa. Appare e scompare come una fata morgana.
In questa situazione, diventata improvvisamente più liquida e caotica, ci sono per i centristi cattolici due nodi da sciogliere. Il primo è quello programmatico: se le encicliche sociali di Benedetto XVI e papa Wojtyla sono molto più avanti dell’evanescente agenda finora messa in campo dall’Udc e da Montezemolo, i conti non tornano. Bagnasco stesso batte sul tasto della “drammatica questione del lavoro”.
Il secondo punto da risolvere riguarda il premierato. Nei paesi a democrazia europea è pacifico che premier diventi il leader della forza vincente. L’Italia non può sempre pensare di inventare la bicicletta a tre ruote. É ora che Chiesa e centristi così innamorati di Monti accettino questa regola elementare. Quanto prima, sarà meglio per il Paese.
Bagnasco senza fondo
di Luca Kocci (il manifesto, 1 dicembre 2012)
Il governo prova ad introdurre il pagamento dell’Imu anche per le scuole cattoliche paritarie e private a partire dal 2013, e la Conferenza episcopale italiana si affretta ad esprimere rumorosamente tutto il proprio disappunto: «Le scuole cattoliche si trovano in grandissima difficoltà. Sarebbe molto grave se dovessero chiudere, sia per i genitori, sia per l’intero sistema scolastico», ha detto ieri il presidente della Cei, il cardinal Angelo Bagnasco, a margine dell’avvio dell’XI Forum del progetto culturale della Chiesa italiana, paventando quindi che l’Imu - da cui gli immobili non commerciali di proprietà ecclesiastica sono esenti - possa essere il colpo di grazia per gli istituti scolastici cattolici.
Il ministro dell’Istruzione Profumo, che già pochi giorni fa si era mostrato sensibile alle rimostranze dei vertici delle associazioni delle scuole cattoliche («le scuole paritarie sotto il giogo dell’Imu», aveva gridato la Fidae; «chiuderemo e licenzieremo 200mila persone», aveva rincarato l’Agidae) e dei genitori che mandano i figli negli istituti dei religiosi («rimarranno aperte solo scuole paritarie per ricchi», profetizza l’Agesc), recepisce il messaggio e annuncia che si farà paladino delle scuole cattoliche in Consiglio dei ministri.
Eppure il regolamento attuativo per l’Imu sugli immobili commerciali di proprietà ecclesiastica, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 23 novembre, è meno netto di quanto appaia, tanto che lo stesso Consiglio di Stato - a cui il governo ha dovuto chiedere un parere non vincolante - non esclude che possa subire un altolà da parte dell’Unione europea proprio perché troppo ambiguo e «di manica larga». A pagare l’Imu, secondo il regolamento del governo, saranno tutti gli immobili tranne quelli in cui si svolgono attività «a titolo gratuito o con corrispettivo simbolico sottocosto». Mentre l’Europa adotta una definizione più rigida di attività commerciale: «beni e servizi offerti in un mercato», al di là del costo elevato, irrisorio o «simbolico». Il rischio è una multa all’Italia di tre miliardi e mezzo di euro per l’Ici prima e l’Imu ora non versato dagli enti ecclesiastici dal 2006 ad oggi.
Non c’è solo l’Imu da pagare nei pensieri di Bagnasco, ma anche nuovi finanziamenti statali per la scuola cattolica. «C’è preoccupazione soprattutto - ha detto ancora il presidente della Cei - per la mancanza di contributi» che «lo Stato sarebbe giusto riconoscesse non tanto agli istituti scolastici, quanto alle famiglie, che hanno diritto a scegliere per i propri figli l’istruzione che ritengono più idonea», secondo la filosofia del «buono scuola» da anni in vigore nella Regione Lombardia dell’ormai ex governatore ciellino Formigoni. «Data la mancanza di questo contributo alle famiglie - aggiunge Bagnasco -, le scuole cattoliche si trovano in grandissima difficoltà» e potrebbero chiudere. Eppure solo pochi giorni fa, nella legge di stabilità che ha tagliato 700 milioni alla scuola statale, sono stati trovati 223 milioni di euro per le scuole paritarie, in deroga a tutte le esigenze di bilancio.
«In Italia si assiste a un oltraggio perenne di quel «senza oneri per lo Stato» proclamato dalla Costituzione associato al riconoscimento della libertà di iniziativa dei privati di istituire scuole di tendenza che vengono poi finanziate dallo Stato», dichiara all’agenzia Adista Antonia Sani, coordinatrice nazionale dell’Associazione «Per la Scuola della Repubblica». «Si giunge a vette parossistiche: con la questione Imu lo Stato rischia di pagare una forte multa all’Ue e a incoraggiare il lavoro nero pur di compiacere il Vaticano. Questa dell’attività didattica ’gratuita’ o con ’corrispettivo simbolico’ è l’ultima perla per sottrarlo all’Imu: significa anche invito all’evasione, o sfruttamento autorizzato nei confronti dei docenti».
DON PAOLO FARINELLA - Laziogate, le colpe del Vaticano *
Come ho scritto tante volte, negli anni scorsi e a ridosso del cambio di guardia del governo italiano, imposto dall’Europa, il fallimento su tutta la linea dell’usurpatore Berlusconi non ha significato la fine delle disgrazie italiane. Anzi, adesso vengono allo scoperto con più veemenza perché è l’inizio di una fine tragica che durerà a lungo. Ho scritto, in epoca non sospetta, cioè anni addietro su questi «pacchetti» che il «berlusconismo» come virus infettivo ha inficiato il tessuto vitale del nostro Paese e saranno necessari decenni (dicevo 70 anni) di disintossicazione per cominciare a respirare aria salubre.
I fatti sono davanti a noi. Quando c’erano Pci e Dc, c’erano anche processi di selezione politica, aberranti se si vuole, come la supremazia del partito e il clericalismo raccomandatizio, che fungeva da deterrenza e c’erano «scuole di formazione politica» che preparavano alla responsabilità pubblica. Da quando Berlusconi ha sdoganato l’indecenza e i fascisti, facendo accettare il suo conflitto d’interessi come «sacrificio personale per la patria», la politica è stata invasa dalle cavallette senza testa e senza anima: predoni e prostitute, ladri e corrotti, mafiosi e malavitosi ... tutti hanno avuto accesso indiscriminato alla tavola della politica, trasformata in una mangiatoia a prescindere.
Il deserto è davanti a noi. Vent’anni di berlusconismo ed ecco il risultato: il Lazio, la Lombardia, la Calabria, il Molise e a continuare. Certo, quelli del Pd non scherzano nemmeno e pare che ce la mettano tutta per fare a gara nel tentativo di superare la destra, ma nonostante si sforzino non ci riescono perché la base è onesta, sana, lavoratrice, vive del proprio stipendio, onora gli impegni. La destra no, non può per essenza propria: la base è profittatrice, raccomandata, tendente al furto costitutivo, vuole essere furba, ricca e anche cattolica con l’imprimatur vaticano.
Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, sabato 22 settembre 2012 riporta: «Oggi anche il presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco, è intervenuto sulla vicenda. Gli sprechi di cui si sente parlare in questi giorni “sono una cosa vergognosa”, ha detto l’arcivescovo di Genova. “Le ristrettezze devono farci stringere gli uni agli altri con maggiore bontà”, ha aggiunto: “pensare solo a noi stessi sarebbe egoista e miope”». L’Avvenire ha la memoria corta e non può fermarsi ad un cenno senza dire il dritto e il rovescio di come stanno le cose, perché se lo fa diventa immoralmente complice. Proviamo a chiarire per noi, che di solito seppelliamo la memoria passata e dimentichiamo, quasi fossimo affetti da alzheimer politico.
Aprendo i lavori del consiglio di presidenza della Cei, il giorno 22 settembre 2012, il cardinale di Genova e presidente della stessa Cei, Angelo Bagnasco, ha parlato di «un reticolo di corruttele e di scandali» per cui «è l’ora di una lotta penetrante e inesorabile alla corruzione». Ottima risposta in tempo reale. In verità mi sarei anche aspettato un vero atto di contrizione e di pentimento, le scuse dei vescovi a tutto il popolo italiano per avere sostenuto per 18 anni la fucina della corruzione, Silvio Berlusconi e il suo sistema di ladrocinio. Alle elezioni regionali laziali, la Cei appoggiò a spada tratta la candidatura di Renata Polverini alla presidenza della regione Lazio con tutte le forze «cattoliche». Bisogna ricordare cosa avvenne, altrimenti non si capisce cosa stia succedendo oggi.
Alle elezioni regionali del Lazio (28-29 marzo 2010), nel deserto della politica decaduta come un piombo nel vuoto, si candidò Emma Bonino, sostenuta dai radicali e dopo un po’ di torcicollo, anche da quella che eufemisticamente veniva chiamata «sinistra» (dal Pd a Sel). Emma Bonino, che era stata Commissario europeo stimatissima ed era vice presidente del Senato, aveva ufficialmente due handicap: era radicale e abortista. La sua vera colpa, però, fu l’impegno, se fosse stata eletta, a mettere drasticamente mano alla riforma della sanità regionale totalmente in mano privata: cliniche e servizi di istituti religiosi e privati affaristi. Se ciò si fosse realizzato, sarebbe finita la cuccagna dell’allegra compagnia.
Per evitare l’affronto di questa prospettiva che avrebbe visto una «abortista» e laica a capo della Regione Lazio, la «regione del papa» (!!!), l’ex presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini, il 10 gennaio 2010, nella sede del Seminario Romano, dove risiedeva, invitò a colazione il presidente del consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi e il suo reggi-oscenità e ombra complice, il nobiluomo di S. Santità Giovanni Letta, sottosegretario alla presidenza del consiglio, per mettere a punto insieme una strategia per scongiurare la vittoria di Emma Bonino che tutti i sondaggi davano per scontata.
I tre moschettieri si coalizzarono sulla candidatura di Renata Polverini, voluta da Berlusconi e Fini, donna insignificante, fascista e segretaria dello sparuto sindacato destrorso Ugl, da contrapporre all’altra donna con tutta la potenza di fuoco di una vera macchina da guerra agguerrita: l’influenza della gerarchia cattolica, le tv, i giornali e i rotocalchi di proprietà del capo banda e l’arte sottile del nobiluomo si mise in moto per convincere l’Udc di Pierferdinando Casini a fare parte della compagnia massonica. Non andarono tanto per il sottile, mettendo in moto ogni strumento lecito e illecito, sturando senza remore la fogna della corruzione, pur di fare vincere la destra. Era questione di vita o di morte per Berlusconi a livello governativo e per la Cei e il Vaticano a livello d’immagine e d’influenza. Il Vaticano era terrorizzato dalla vittoria di Emma Bonino perché, in caso di vittoria, il papa avrebbe dovuto riceverla e certamente non poteva prevedere i discorsi che avrebbe fatto «davanti al papa».
Per farla breve vennero eletti «i rappresentanti del malaffare» come Fiorito e compagni di merenda, Er Batman de Anagni. Quando nel V secolo in Italia scesero i vandali, furono più generosi e non si papparono tutto. Questi famelici e idrovore non hanno avuto rispetto per alcuno. La Polverini ha tagliato i sussidi ai disabili, ha ridotto alla fame la povera gente, ma ha approvato con la sua giunta e il suo consiglio leggi per distribuire soldi pubblici ai gruppi regionali e ai singoli consiglieri: 100.000,00 euro (diconsi cen-to-mi-la-eu-ro). Senza l’appoggio dei sedicenti cattolici e della gerarchia cattolica Polverini & C. non sarebbero stati eletti, ai disabili non sarebbero stati tolti 150 milioni di aiuti e oggi il presidente della Cei non si scandalizzerebbe a buon mercato.
Il 25 giugno 2012 parlando agli assistenti delle associazioni cattoliche, fu lo stesso segretario del cardinale Angelo Bagnasco, mons. Mariano Crociata a dire con disarmante ingenuità: «E’ impressionante come tanta nostra gente (leggi: cattolici che appoggiamo e di cui ci serviamo, ndr) sia parte integrante di quella folla ... di corrotti e corruttori, di evasori e parassiti, di profittatori e fautori di illegalità diffusa, difensori sistematici della rivendicazione dei diritti nell’ignoranza, se non nella denigrazione, dei doveri».
Tutti costoro fanno a gara per farsi fotografare col papa e con i cardinali, i quali non disdegnano, anzi «posano» beati e beoti con poco e nulla discernimento. Da mesi non si parla che dell’abisso in cui è caduta Comunione e Liberazione, rappresentata dal «povero, vergine e ubbidente» Roberto Formigoni che di corruttela ha intessuto la gestione della Regione lombarda, vendendo morale e religiosità a chi pagava meglio a suon di milioni, a spese della collettività. Non dovevano essere i custodi gelosi del bene comune e della dignità della persona? Il Celeste melmoso ha avuto anche il coraggio di dire al Meeting di Rimini che il papa gli ha fatto sapere che «prega per lui», con ciò volendo dire che stava sotto l’ascella papalina. Se ci stava comodo, lui! Da parte vaticana non c’è stata alcuna smentita, quindi? L’inferno esiste e si è spalancato davanti a noi. Purtroppo non fa distinzione e sta inghiottendo tutto e tutti.
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Bagnasco fa testamento
di Luca Kocci (il manifesto, 25 settembre 2012)
Il riconoscimento delle unioni di fatto avrebbe «conseguenze nefaste»: l’intera società andrebbe «al collasso». Era previsto che il cardinal Bagnasco, dando ieri il via ai lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana - in corso a Roma fino a giovedì prossimo - sarebbe intervenuto sulla questione dei registri comunali delle unioni di fatto, avviati da diverse amministrazioni comunali, fra cui quella milanese di Pisapia. Ma i toni e le parole usate dal presidente dei vescovi italiani sono state particolarmente, e inusualmente, dure.
Del resto le elezioni si avvicinano, gli schieramenti si agitano, ed è bene fissare preventivamente i paletti, come pure aveva fatto Ratzinger sabato scorso, ricevendo a Castel Gandolfo Pieferdinando Casini e i rappresentanti dell’Internazionale democristiana.
C’è la crisi, ma si perde tempo a «parlare d’altro», cioè di unioni civili, lamenta Bagnasco. In questo modo non si vuole «dare risposta a problemi reali», ma «affermare ad ogni costo un principio ideologico, creando dei nuovi istituti giuridici che vanno automaticamente ad indebolire la famiglia». Idea sbagliata e anche inutile, aggiunge il cardinale, che fa finta di non capire: c’è già il matrimonio civile, che basta e avanza, ma gli interessati vi si «sottraggono» - ovviamente le coppie omosessuali non sono minimamente contemplate -, perché «ci si vuol assicurare gli stessi diritti della famiglia fondata sul matrimonio, senza l’aggravio dei suoi doveri». Se il legislatore riconoscesse le unioni di fatto, «il significato proprio dell’istituzione matrimoniale» sarebbe modificato e «il pensare sociale» verrebbe «pesantemente segnato».
Quindi l’attacco diretto ai fautori del riconoscimento delle unioni: «Quando si vuole ridefinire la famiglia esclusivamente come una rete di amore, dove c’è amore c’è famiglia si dice, disancorata dal dato oggettivo della natura umana, un uomo e una donna, e dalla universale esperienza di essa, la società deve chiedersi seriamente a che cosa porterebbe tale riduzione, a quali nuclei plurimi e compositi, non solo sul versante numerico, ma anche su quello affettivo ed educativo».
Ma la risposta già c’è: «La società, come già si profila in altri Paesi, andrebbe al collasso». La strada, quindi, va percorsa nella direzione opposta, tanto più «nell’attuale congiuntura», in cui la famiglia è l’unico ammortizzatore sociale solido, e quindi va «sostenuta concretamente con provvedimenti sul fronte politico ed economico». È uno dei «principi irrinunciabili, e per questo non in discussione», a cui i politici cattolici devono adeguarsi, senza mercanteggiare «ciò che non è mercanteggiabile». Ricordando sempre, profetizza il presidente della Cei, che «la gente non perdonerà la poca considerazione verso la famiglia così come la conosciamo».
Sul fronte dei «principi non negoziabili» c’è un secondo punto: il testamento biologico. Bagnasco chiede «il varo definitivo, da parte del Senato, del provvedimento relativo al fine vita». Un testo più che controverso - e anche per questo fatto scivolare nelle sabbie mobili di Palazzo Madama - che però per il capo dei vescovi è frutto di «un grande e proficuo lavoro svolto a difesa della vita umana». E così il programma politico della Cei in vista delle prossime elezioni è pronto: chiunque voglia evitare scomuniche dall’alto sa cosa deve e non deve fare.
Chi invece appare già scomunicata è Renata Polverini, sebbene, come è prassi, non venga nominata esplicitamente, ma solo evocata. «Dispiace molto che anche dalle Regioni stia emergendo un reticolo di corruttele e di scandali», dice Bagnasco. «Che l’immoralità e il malaffare siano al centro come in periferia non è una consolazione, ma un motivo di rafforzata indignazione». È necessario che i cittadini, «insieme al diritto di scelta dei propri governanti, esercitino un più penetrante discernimento, per non cadere in tranelli mortificanti la stessa democrazia». Un discernimento che però dovrebbero praticare anche i vescovi, che tre anni fa, durante la campagna elettorale per le regionali del Lazio, quando c’era da sconfiggere il «mostro laicista» Bonino, alla Polverini impartirono solenni benedizioni.
«Stringere i ranghi per amore all’Italia» *
Il cardinale Bagnasco ha aperto questo pomeriggio i lavori del Consiglio permanente della Cei, che proseguiranno fino a giovedì. In mattinata il presidente della Cei è stato ricevuto dal Papa, in udienza nel palazzo apostolico di Castelgandolfo. Nella Prolusione, il cardinale affronta subito il tema più drammatico di questi mesi, la crisi economica, che "interroga" i vescovi.
UN POPOLO TENACE, NON SCORAGGIAMOCI Occorre reagire alla tentazione dello scoraggiamento - dice Bagnasco riecheggiando le parole del Papa -, ma c’è una carenza di una visione globale, capace di tenere insieme i diversi aspetti dei problemi. "Il nostro popolo tiene, resiste, non si arrende e vuol reagire, esige la nuda verità delle cose". Gli italiani sono capaci di sacrifici ma non più a occhi chiusi.
TESTIMONI ATTENDIBILI DELLA SALVEZZA Il cardinale spiega che non si può essere "indifferenti alla sorte di chi è più sfortunato di noi", e cita i testimoni forti del nostro tempo: don Ivano Martini, il parroco morto nel terremoto dell’Emilia, il cardinale Martini, mons. Maffeo Ducoli, vescovo emerito di Belluno, deceduto di recente e poi i coraggiosi sacerdoti e vescovi del Sud, impegnati a riscattare la loro terra.
CHIESA UNITA INTORNO A PIETRO Bagnasco rimanda poi alla figura di Benedetto XVI, "nitida e disarmante". Ed ecco il grido di orgoglio: "La Chiesa non è moribonda, ma è forse l’unica a lottare per i diritti veri dei bambini, degli anziani e deglia mmalati, della famiglia, mentre la cultura dominante vorrebbe isolare e sterilizzare ciò che di umano resta nella nostra civiltà".
UN ANNO PASTORALE BENEDETTO All’avvio dell’anno pastorale nelle comunità cristiane, un pensiero va all’appuntamento di ottobre con il Sinodo mondiale dei vescovi sulla Nuova evangelizzazione e sul successivo Anno della fede. L’invito a di sviluppare al massimo le potenzialità delle comunità, per "bussare a ogni porta e a offrirci alla libertà di ogni famiglia".
PORTA DELLA FEDE E SGUARDO SUL MONDO Il cardinale volge lo sguardo ai "fantasmi anti-religiosi" che fanno la loro comparsa anche in Europa e ai cristiani perseguitati in troppe parti del mondo, nella "sostanziale indifferenza della comunità internazionale", e invoca il rispetto e la libertà religiosa.
SACERDOTI ENTUSIASTI, LAICI COERENTI Un capitolo della prolusione è dedicati a ruolo del clero e al laicato. In un’epoca di forte crisi delle vocazioni, "le anime cercano preti entusiasti, con una chiara identità, che li renda presenti nel mondo senza che siano del mondo". Quanto al laicato, serve un nuovo slancio e di una nuova generazione di politici cristianamente ispirati, capaci di dire una parola chiara e coraggiosa.
L’ITALIA ESCA DAL VICOLO CIECO Dato il momento particolarmente serio, la Chiesa fa appello alla responsabilità della società, perché "è necessario stringere i ranghi per amore al Paese": è l’ora di una "solidarietà lungimirante" - dice Bagnasco - che si concentri sui problemi dell’economia, del lavoro, della rifondazione dei partiti, delle procedure partecipative ed elettive, di una lotta inesorabile alla corruzione. "Dispiace molto che anche dalle Regioni stia emergendo un reticolo di corruttele e di scandali, inducendo a pensare che il sospirato decentramento dello Stato in non pochi casi coincide con una zavorra inaccettabile. Che l’immoralità e il malaffare siano al centro come in periferia non è una consolazione, ma un motivo di rafforzata indignazione, che la classe politica continua a sottovalutare. Ed è motivo di disagio e di rabbia per gli onesti. Possibile che l’arruolamento nelle file della politica sia ormai così degradato? Si parla di austerità e di tagli, eppure continuamente si scopre che ovunque si annidano cespiti di spesa assurdi e incontrollati".
Alla luce di questo, occorre prepararsi con rigore e intelligenza alle prossime elezioni, per un rinnovamento reale delle formazioni politiche.
POVERTA’ CRESCENTE, ASSILLO PER I GIOVANI La crisi morde ed è l’ora della "solidarietà lungimirante". Il clientelismo ha creato nel tempo situazioni oggi insostenibili e i giovani sono il nostro maggiore assillo, con le piaghe del precariato, che sta diventando anche una "malattia dell’anima". "Siamo con questi giovani - scandisce Bagnasco - perché è intollerabile lo sperpero antropologico di cui, lo malgrado, sono attori.
FAMIGLIA E VITA, IMPEGNO ANCHE LAICISSIMO "La gente non perdonerà la poca considerazione verso la famiglia così come la conosciamo", dice il presidente della Cei. "Specialmente in tempo di crisi si finisce per parlare d’altro, per esempio si discute di unioni civli che sono sostanzialmente un’imposizione simbolica, tanto poco in genere vi si è fatto ricorso là dove il registro è stato approvato". Si parla di libertà di scelta, osserva il cardinale, ma si vogliono assicurare gli stessi diritti della famiglia fondata sul matrimonio, senza l’aggravio dei suoi doveri. "Si modifica così il significato proprio del matrimonio, segnando il pensare sociale e l’educazione dei figli". Riconoscere le unioni di fatto non è neutrale, pur non obbligando alcuni, è fortemente condizionante per tutti. "Perché non si vuol vedere? Non si vuole riconoscere le conseguenze nefaste di queste apparenti avanguardie?". Bagnasco poi invoca sostegni per la famiglia, come luogo privilegiato su cui si fonda una società. "Un impegno sacrosanto e insieme laicissimo".
Nello stesso modo, si attende il varo definitivo, da parte del Senato, del provedimento relativo al fine vita (Dat). "Rimane un ultimo passo da compiere, se non si vuole che un’altra legislatura si chiuda con un nulla di fatto". La Chiesa è ugualmente impegnato nella salvaguardia della dignità degli embrioni, così come dei migranti che varcano il mare alla ricerca di una vita migliore.
* Avvenire, 24 settembre 2012
Anche la Chiesa s’indigna
di Marco Politi
in “il Fatto Quotidiano” del 25 settembre 2012
Sulle macerie d’Italia il cardinale Bagnasco si schiera dalla parte della “rabbia degli onesti” contro la corruzione e gli scandali esplosi nelle Regioni. Immoralità e malaffare al centro e in periferia - scandisce - provocano “indignazione” mentre la classe politica “continua a sottovalutare” il marcio.
“Possibile che l’arruolamento nelle file della politica sia ormai così degradato?”, esclama. Sono parole forti quelle del presidente della Cei ad apertura dei lavori del Consiglio permanente, ma pronunciate come se la Chiesa istituzionale in questi vent’anni fosse stata super partes, inesorabile nel combattere malapolitica e malaffare.
Ma non è così. Nella lunga stagione berlusconiana, la Cei è stata alla finestra mentre si stravolgeva la legalità, si approvava la “modica quantità” di falso in bilancio, si aggredivano i giudici, si approvava il “Porcellum” e ninfette labbra-a-canotto calavano tra i “rappresentanti del popolo”.
Sì, a volte qualche bacchettata cardinalizia colpiva le indecenze più eccessive, richiamando i comandamenti della Costituzione, ma appena si doveva dire “basta” sul serio - Boffo ci provò sul giornale dei vescovi tre anni fa - il direttore dell’Avvenire fu lasciato decapitare da Feltri e la gerarchia ecclesiastica si è riallineata nel tacito appoggio al Cavaliere. La spina è stata staccata solo quando l’Europa ha deciso.
Anche ora il “cattolico impegnato in politica” Formigoni può mentire agli elettori su vacanze pagate dai lobbisti (si è mai visto qualcuno rimborsare un amico per migliaia di euro, tirando rotoli di banconote dalla tasca, senza usare un assegno o una carta di credito?) e sostenere con impudenza che il Papa prega per lui, mentre i vertici della Chiesa tacciono su questo strano credente.
Manca nella relazione al Consiglio permanente una riflessione autocritica. Certo, i cittadini sanno, come Bagnasco, che in alto si parla di austerità e tagli e poi “si scopre che ovunque si annidano cespiti di spesa assurdi e incontrollati”.
Però quanti vescovi nelle realtà locali hanno ignorato le malversazioni di fameliche classi dirigenti, cercando di ottenere qualche sussidio per le proprie opere? Ai cittadini il presidente della Cei chiede di vigilare sui propri governanti con un “più penetrante discernimento, per non cadere in tranelli mortificanti la stessa democrazia”. Si può dire che la gerarchia ecclesiastica questo discernimento lo ha sempre esercitato verso i governi passati? Non è poi trascorso tanto tempo da quando il cardinale Ruini premeva su Casini perché tornasse ad appoggiare il Berlusconi degli scandali.
E tuttavia l’intervento di Bagnasco rivela la grande preoccupazione che la Chiesa nel suo complesso
fatta di preti, parrocchie, suore, diocesi, associazioni e anche vescovi e singoli fedeli - nutre per la
crisi attuale. Undici milioni di euro sono stati raccolti per realizzare una ventina di Centri di
comunità nelle zone terremotate dell’Emilia. Le Caritas regionali sono in azione. C’è allarme per i
giovani immersi in un eterno precariato, allarme per la disoccupazione e l’inoccupazione e la
“supremazia arbitraria della finanza” sulla viva società. C’è angoscia per il crescere della povertà.
Bagnasco ribadisce l’importanza della “lotta inesorabile alla corruzione”.
Sul piano delle prospettive politiche la Cei si muove con cautela. Chi pensa che sarà neutrale alle elezioni, si sbaglia. La strategia è di rafforzare il Nuovo Centro di Casini e andare a un Monti-Bis o almeno una riedizione della grande coalizione (come risulta dall’indagine Ipsos/Acli sull’elettorato cattolico). Perciò la relazione insiste sulla necessità che il Governo continui il suo lavoro e “metta il Paese al riparo definitivo” da rischi e capitolazioni. Bagnasco esorta i politici a “non bruciare alcun ponte” e si spende per “competenza e autorevolezza” riconosciute internazionalmente.
Durissimo l’attacco del presidente della Cei all’ipotesi di una legge sulle coppie di fatto (implicitamente anche all’adozione di figli da parte di coppie gay) e all’autodeterminazione del paziente nel testamento biologico rudemente ricompresa nell’etichetta di “eutanasia”. Con toni da pre-campagna elettorale Bagnasco lancia l’allarme sulle “conseguenze nefaste di apparenti avanguardie?”. É un avvertimento pesante al centro-sinistra. Alle elezioni la Cei ci sarà eccome, e il Consiglio permanente di gennaio darà il là.
PER IL CONVEGNO “CHIESA DI TUTTI, CHIESA DEI POVERI” DEL 15 SETTEMBRE 2012 A ROMA
NOTE A MARGINE
di Federico La Sala *
1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).
2. DIO E’ VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).
3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E’ IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!
4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!
5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!
Federico La Sala
Dio chiese un Martini e si presentò padre Carlo Maria
di Paolo Farinella, prete *
Genova 05-09-2012. - Padre Carlo Maria Martini è morto. Padre Carlo Maria Martini vive più che mai. Il fatto saliente della settimana e dell’anno è la figura di questo nuovo Ambrogio che ha segnato non solo la diocesi di Milano, ma la Chiesa tutta e anche il mondo lontano da essa. La folla silenziosa di credenti e non credenti che, davanti a lui, morto, scorre come un fiume tranquillo, è il «segno dei tempi» di cui parla il Vangelo (Mt 16,3) che fu lampada e luce ai passi del padre Carlo. Abbiamo visto, abbiamo contemplato come ha vissuto e come è morto. Anzi, come ha voluto morire. La coerenza nella verità della sua vita sono stati esemplari fino all’ultimo ed è vero che si muore come si vive.
Lo sfondo sul cielo nuvoloso di Milano era di contrasto. Da una parte il popolo che coglie il cuore del Padre e voleva testimoniare che le sue parole, sigillo autentico della Parola, sono arrivate anche là dove forse nessuno immaginava. Il padre Martini è per tutti il sacramento del «Dio fuori del campo», che ha superato per sempre i confini della Chiesa che cerca di imprigionarlo per andare alla ricerca degli uomini e delle donne di buona volontà, ma anche quelli senza alcuna volontà. Dio non è cattolico, ora lo sappiamo, perché egli è alla fine di ogni percorso di vita, di amore, di giustizia. Dio è il desiderio.
Dall’altra parte c’è la gerarchia ufficiale che subisce la morte del cardinale Martini e, se avesse potuto, ne avrebbe fatto a meno. Come restare inerti di fronte alla affermazione del padre che in punto di morte, quasi come un grido testamentario sibila senza più voce e con sofferenza che «la Chiesa è indietro di due secoli»? Quale Chiesa? Quella che è su Marte o Mercurio o quella di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, il papa pauroso che teme l’irruzione del Dio della Storia? E’ stata dura per gli ecclesiastici corazzieri della «chiesa a loro immagine e somiglianza» apprendere che il Padre, consapevole della morte e lucido di cuore e di fede, abbia rifiutato ogni accanimento come forse avrebbero voluto e imposto i pasdaran difensori a oltranza della vita di Eluana Englaro (tanto non era lo loro!), con tubi, tubicini, sonde e macchine di ogni genere per allungare la parvenza di vita disumana e la sofferenza gratuita. Padre Carlo Maria ha chiesto di morire in modo naturale, cioè in maniera umana, salvaguardando la dignità sua e delle persone che lo accudivano.
Imponente nella sua persona, alta e slanciata, era timido e sempre consapevole della sua inadeguatezza di fronte alla coscienza di ciascuno che egli vedeva come un gigante. Quando lo incontravo a Gerusalemme e parlavamo di studi biblici, osservando i miei lavori sulla grammatica greca a confronto con la sintassi ebraica, mi diceva: «Sono queste le cose che dobbiamo fare: creare strumenti perché gli altri possano leggere sempre più intimamente la Bibbia». Non si preoccupava dell’integrità dell’ortodossia, ma di offrire strumenti scientifici, cioè altamente spirituali, perché ognuno fosse in grado di lavorare con la propria testa e con il proprio cuore.
Muore il Padre Martini al compimento del 50° anniversario del concilio Vaticano II, che egli amò, difese e protesse anche davanti al papa, anche davanti alla curia romana che tutto fece e tutto sta facendo per evirarlo di ogni sprazzo di vita. Egli è speculare a Giovanni XXIII e lo dimostra la folla che assiepa il suo letto di morte e di vita. Come il 3 giugno del 1963, il popolo romano e del mondo si raccolse radunandosi spontaneamente in piazza San Pietro per «adorare, amare e tacere» davanti al vecchio profeta che volle il concilio; allo stesos modo il 3 settembre 2012 «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (Ap 7.9) assiepava il duomo amborsiano davanti all’uomo che era stato per tutti «il testimone di Dio».
Egli nel 1999 durante un sinodo Padre carlo Maria chiese la convocazione di un nuovo concilio e fu messo a tacere in modo sbrigativo e perentorio. L’imposizione del silenzio gli venne dall’arcivescovo Dionigi Tettamanzi, segretario della Cei, a cui il papa Giovanni Paolo II aveva dato ordine di metterlo a tacere. Grande fu la sofferenza del discepolo che dovette per obbedienza riprendere il maestro. Grande fu la statura del maestro che seppe tacere, sapendo che il seme era gettato. L’idea infatti non morì e oggi è molto più avanti di quanto non si creda.
I papi e le curie possono rallentare il cammino della Chiesa, ma non possono fermare la Storia, né tanto meno imbrigliare lo Spirito che sempre e comunque soffia dove vuole (cf Gv 3,8). Il papa nell’Angelus di domenica 2 settembre 2012, vigilia della liturgia dell’arriverderci a Padre Martini, non lo ha nominato nemmeno per sbaglio e il Vaticano e la Cei si sono affrettati a precisare che la scelta di Martini di rifiutare l’accanimento terapeutico era in linea con la dottrina della Chiesa. Ilsistema cercherà con ogni mezzo di annettere Padre Martini, santificandolo (senza esagerare) per svuotarlo di senso e del suo carisma. Illusi, i profeti non pososno essere spenti perché brillano di luce non propria.
E’ l’operazione consueta dell’Istituzione pagana con i profeti che crocifigge da vivi e osanna da morti. Così va il mondo, così va la chiesula mondana di cui il mondo e noi facciamo volentieri a meno. E’ strano, anzi è normale, che il popolo colga l’essenza del Vangelo, mentre i clericali ecclesiastici, spesso accuratamente paganeggianti, si sentano smarriti e non capiscano il senso delle parole del Signore:
«Ma egli rispose loro: “Quando si fa sera, voi dite: ‘Bel tempo, perché il cielo rosseggia’;e al mattino: ‘Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo’. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?”» (Mt 16,2-3)
Abbiamo visto morire il Padre Martini e ora sappiamo che non dobbiamo piangere perché è tornato «al principio», ma che dobbiamo ringraziare Dio perché ci ha ritenuti degni di conoscerlo, ascoltarlo, amarlo e vivere la sua vita e la sua morte risorta di «Giusto di Dio».
Padre Martini è morto nel pomeriggio di venerdì 31 agosto 2012, «erano circa le quattro del pomeriggio», l’ora della ricerca della dimora del Signore e della conoscenza di «dove» abita il Maestro (Gv 1,35-39). Il Padre è andato a vedere, è entrato ed è rimasto ad attendere noi che lo abbiamo amato. Intanto per gli Ebrei iniziava lo Yom Shabàt, il Giorno di Sabato e nelle sinaghoghe, tutti in piedi rivolti alla porta d’ingresso, cantavano «Lekà Dodì -Vieni Amore mio», l’inno al sabato che entra come una sposa adorna per il suo Sposo. Nella stessa ora, mentre nel tempio di Gerusalemme, alle quattro del pomeriggio il sommo sacerdote scannava l’agnello per il sacrificio «tamid - perpetuo», padre Carlo entrava nella «città santa, Gerusalemme ... [dove non è] alcun tempio perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio ... e le sue porte non sono mai chiuse durante il giorno, perché non vi sarà più notte». (Ap 21,10.22-25). Tutto torna, tutto è Grazia. Tutto è Dono. Anche noi brindiamo con Dio con un Martini alla salute del Regno che viene, anche per i meriti di Padre Carlo Maria Martini.
* Il Dialogo, Venerdì 07 Settembre,2012 (ripresa aprziale).
Bagnasco confermato alla guida della Cei: strapotere del capitale, serve più politica
di Roberto Monteforte (l’Unità, 08 marzo 2012
È arrivata ieri la conferma. Per altri cinque anni l’arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco resterà alla guida dei vescovi italiani. Papa Benedetto XVI gli ha rinnovato la sua piena fiducia. Arriva così l’atteso avallo alla linea dell’allievo del cardinale Siri, nominato come successore del cardinale Ruini il 7 marzo 2007. Ringrazia il pontefice il cardinale Bagnasco e rinnova l’impegno suo e dei vescovi italiani a «rafforzare la missione e la testimonianza cristiana in una società che, per quanto segnata da una profonda crisi culturale ed economica, non cessa di sperare in un futuro migliore». Lo festeggiano i vertici della conferenza episcopale italiana. Il segretario generale monsignor Crociata ne ha sottolineato «lo stile rigoroso e l’autorevolezza crescente della sua presidenza, in anni nei quali le nostre Chiese hanno affrontato sfide impegnative e condiviso la fatica del Paese, segnato da una profonda crisi economica e valoriale». Vi è un pizzico d’orgoglio da parte della Cei. In un quadro politico e sociale segnato dall’incertezza e dallo smarrimento, la Chiesa si presenta come un riferimento autorevole, radicato nel paese e vicino alle difficoltà e alle emergenze vissute dalle famiglie.
ora più forte
Nel corso degli anni l’autorevolezza del porporato genovese è cresciuta. Guida ferma nella definizione dei principi, attenta alle problematiche sociali, ma fortemente ancorata alla tradizione teologica e pastorale. Anche i non facili rapporti dei vertici della Chiesa italiana con la segreteria di Stato, paiono aver trovato un punto di equilibrio. Ci sarebbe sintonia dopo l’aperta polemica dei vescovi italiani con il cardinale Tarcisio Bertone che aveva avocato a sé i rapporti con il mondo politico italiano. O lo scontro per il controllo della Fondazione Toniolo - formalmente legata alla curia ambrosiana - da cui dipende l’Università Cattolica, il policlinico Gemelli e la casa editrice Scienza e Pensiero. Come pure il naufragato tentativo di Bertone di salvare l’istituto san Raffaele di don Verzé per costituire un «polo sanitario cattolico» sotto il controllo dalla Santa Sede.
un punto di equilibrio
In un quadro difficile esce rafforzata la figura del cardinale confermato alla guida della Cei. Ieri gli sono giunti riconoscimenti e felicitazioni da parte di esponenti dei diversi schieramenti politici e sindacali. Nella situazione di grave crisi sociale, economica e politica che attraversa il paese Bagnasco è considerato un riferimento solido e un punto di equilibrio. Ha parlato chiaro sull’emergenza sociale, sul diritto al lavoro e al futuro soprattutto per le giovani generazioni. Quando è esploso il caso Ruby che ha coinvolto l’allora premier Berlusconi, non ha fatto mancare il suo monito sulla questione morale e sull’esigenza che la politica recuperasse credibilità e autorevolezza. È stato un interlocutore esigente del laicato cattolico, chiamato insistentemente a ridefinire il proprio impegno sociale e politico al «servizio del bene comune». Ma nel rispetto dei valori «non negoziabili » a partire dal diritto alla vita.
Proprio ieri, nel giorno della sua riconferma, Bagnasco è tornato a parlare al mondo politico. In una prolusione rivolta ai parlamentari, tenuta all’università Santa Croce affronta il nodo della difesa della dignità dell’uomo. In polemica con le concezioni materialistiche e consumistiche, ha richiamato gli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa. Compresa l’apertura alla trascendenza che «andrebbe tutelata e difesa dallo Stato laico come segno di libertà». Polemizza con l’ateismo pratico, con l’individualismo e con le concezioni «contrattualistiche» che «portano al disimpegno, all’ingiustizia e all’indifferenza per la cosa pubblica e per l’altro». Così spiega l’evasione fiscale, la corruzione e l’indifferenza verso i poveri. Insiste sul primato della politica, quella al servizio del bene comune. Deve recuperare una sua centralità sulla tecnica e sulla stessa economia. Troppi i silenzi di fronte «allo strapotere del capitalismo finanziario».
Cei, i vescovi in assemblea ad Assisi
Bagnasco: "Basta odio, serve disarmo"
ASSISI - Basta con un clima di odio "pericoloso" per l’Italia, basta con una "conflittualità sistematica" che abbandona i cittadini a se stessi e li porta a disaffezionarsi verso la loro nazione: con un forte appello al "disarmo" nella vita pubblica il presidente dei vescovi italiani, cardinal Angelo Bagnasco, ha aperto stasera ad Assisi la sessantesima assemblea generale della Cei. A tutti gli schieramenti ha chiesto "onestà intellettuale", "buona volonta" e il superamento di "matrici ideologiche" che sembrano "rigurgitare da un passato che non vuole realmente passare".
Clima politico. "E’ necessario e urgente svelenire il clima generale, perché da una conflittualità sistematica, perseguita con ogni mezzo e a qualunque costo, si passi subito ad un confronto leale per il bene dei cittadini e del Paese intero", dice il presidente Cei. "Ci piacerebbe - spiega il presidente dei vescovi italiani - che, nel riconoscimento di una sana, per quanto vivace, dialettica, inseparabile dal costume democratico, si arrivasse ad una sorta di disarmo rispetto alla prassi più bellicosa, che è anche la più inconcludente".
Scuole cattoliche. L’auspicio che i fondi destinati al sistema dell’istruzione non statale, cioè alla scuola libera non siano tagliati nella prossima Finanziaria è stato formulato dal cardinal Bagnasco. "Ci si augura - ha detto il presidente della Cei - che le cifre inizialmente previste con decurtazioni consistenti, possano essere prontamente reintegrate in modo da consentire agli enti erogatori dei servizi di mantenere gli impegni già assunti".
Crisi economica. L’Italia "oggi come non mai" dovrebbe rivelarsi "scattante" per "cogliere al balzo i cenni di uscita dalla crisi e potenziarli, così da accorciare le sofferenze che la situazione dell’economia mondiale ha finito per scaricare sulle categorie più deboli, specialmente sul fronte del posto del lavoro", sottolinea Bagnasco. "Il Paese - osserva il porporato - deve tornare a crescere, perché questa è la condizione fondamentale per una giustizia sociale che migliori le condizioni del nostro Meridione, dei giovani senza garanzie, delle famiglie monoreddito".
Imprenditori. Nella sua prolusione, Bagnasco incoraggia poi l’imprenditoria italiana a farsi onore anche all’estero. "Una creatività operosa, una collaudata professionalità, una generosità solidale qualificano solitamente - rileva il presidente della Cei - l’apporto italiano ovunque si esplichi nel mondo, ben oltre gli stereotipi ingenerosi".
Immigrati. "Il nostro Paese, con la sua esposizione geografica, quasi a ponte tra Nord e Sud del mondo, è chiamato a rinvigorire la propria tradizionale apertura ai popoli africani, aiutandoli anzitutto a promuovere il loro sviluppo interno", afferma il presidente della Cei. Bagnasco esorta a trovare "le formule più adeguate per un partenariato in grado di onorare la nostra e altrui dignità".
Africa. Dopo aver fortemente rimproverato in più occasioni le manipolazioni delle parole del Papa riguardo all’Aids e i preservativi, Bagnasco, torna a lamentare che nuovi interventi di Benedetto XVI sull’Africa, in particolare in occasione del Sinodo, "hanno avuto un ascolto debole, anche per il rilancio troppo flebile che i media internazionali hanno riservato a questo appuntamento". L’Italia, auspica il presidente della Cei, è chiamata a "rinvigorire la propria tradizionale apertura ai paesi africani" in un partenariato "in grado di onorare la nostra e altrui dignità":
Sudan. "Anche il nostro è tempo di martiri, per quanto ai popoli della libertà talora sprecata possa sembrare incredibile, e quasi impossibile", afferma Bagnasco. Il presidente della Cei rileva la "risonanza" che ha avuto nelle settimane scorse, "ma assai di più ne avrebbe meritato", l’annuncio "choccante" che sette cristiani sono stati orribilmente uccisi nel Sudan meridionale "in una macabra parodia della crocifissione".
L’Aquila e Messina. Le tragedie per cause naturali che "ciclicamente colpiscono il territorio nazionale", come quelle verificatesi all’Abruzzo e a Messina, dice Bagnasco, "invocano una disponibilità da parte di tutte le forze politiche a scelte risolutive sulle annose questioni che rendono debole il sistema-Italia".
Media. Nel rapporto tra la Chiesa e i media "si annidano alcuni motivi di sofferenza". "Non di rado - denuncia il presidente della Cei - c’è, da una parte, una sottovalutazione del concreto-essenziale nella vita della Chiesa, di ciò che le consente di essere nonostante tutte le resistenze e le avversità, e - dall’altra - la tendenza a far figurare preponderante ciò che non lo è". Secondo Bagansco, "quando si trascura o si ignora il quadro delle priorità nel quale si collocano i singoli eventi o pronunciamenti del Pontefice e dell’Episcopato diventa difficile evitare rappresentazioni parziali o fuorvianti, critiche ideologiche e finanche preconcette, letture volte ad attribuire intenzioni o parole che non hanno motivo di esserci in quei termini".
"In ogni singola circostanza - spiega con le parole del Papa - alla Chiesa preme, in nome del Vangelo, partecipare alla vita del Paese, e portare il proprio contributo nel libero dibattito culturale e sociale lieta e grata di essere raccontata dai media per gli argomenti che ella attinge dalla fede come dalla ragione". Bagnasco sottolinea che "nel corso dei lavori assembleari" i vescovi parleranno dell’immagine della Chiesa "nella sua proiezione mediatica", ma nella prolusione si astiene dal "fare anticipazioni". E così i nomi dei successori di Dino Boffo alla guida di Avvenire, Sat 2000e Radio In Blu restano ancora sconosciuti.
Crocifisso. Di fronte alla ’’surreale’’ sentenza emessa dalla Corte europea di Strasburgo a proposito della presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche italiane, ’’bene ha fatto il Governo ad annunciare ricorso’’. Dice Bagnasco che parla di una sentenza ’’sorprendente’’ e ’’alquanto surreale’’. "Un’impostura" di minoranze esigue che rischiano di far allontanare l’Europa dalla gente.
Il Muro di Berlino. A vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, l’Europa, afferma il presidente della Cei "ha ripreso a respirare con entrambi i suoi polmoni". Ma mentre "cambiamenti vorticosi si sono succeduti" purtroppo "difficoltà inedite sono affiorate ad Ovest come ad Est, dove l’elemento della secolarizzazione ha finito con l’imporsi quale denominatore comune più rapidamente di quanto si sia radicato il costume democratico". "Sappiamo - spiega - che alla base del cammino europeo non vi possono essere solo strategie politiche o strutture burocratiche, perchè le une e le altre, pur necessarie, non sono sufficienti per scaldare i cuori dei singoli e dei popoli in ordine a quel senso di cordiale appartenenza che è indispensabile per sentirsi comunità"
Islam e ora di religione. La Cei ribadisce le proprie riserve sull’ora di religione islamica. "Non è in discussione - ha spiegato Bagnasco - la libertà religiosa di chicchessia, ma la peculiarità della scuola e le sue specifiche finalità che, in uno stato positivamente laico, sono di ordine culturale ed educativo". Il porporato, aprendo stasera ad Assisi l’assemblea generale della Cei, ha ribadito che l’insegnamento della religione cattolica "non è un’ora di catechismo" ma una occasione di conoscenza di una fede che fa parte del "patrimonio storico del popolo italiano".
Ru 486. Dopo la registrazione della Ru 486 da parte dell’Aifa "non si potrà non riconoscere, come già fa la legge 194, la possibilità dell’obiezione di coscienza agli operatori sanitari, compresi i farmacisti e i farmacisti ospedalieri, che non intendono collaborare direttamente o indirettamente ad un atto grave", afferma il cardinale.
Cattolicesimo. "La nostra Chiesa - afferma Bagnasco - non si riconosce in una ’religione civile’ a servizio di qualche potere, ma si identifica nella missione che le è stata affidata, quella di annunciare a tutti il mistero di Cristo con le implicazioni che ne conseguono sul piano antropologico, etico, cosmologico e sociale".
Il nuovo rito delle esequie. La nuova edizione italiana del rito delle esequie, dice il presule, sarà pubblicata dai vescovi italiani "con l’intendimento di volerne esplicitare le virtualità di annuncio rispetto alla novità portata da Cristo Gesù dinanzi al mistero della morte".
Morte, giudizio, Inferno. "Morte, giudizio, inferno e paradiso sono termini non ignoti, non silenziati, non spiegati secondo categorie falsamente buoniste o erroneamente crudeli. Rappresentano invece il traguardo da lumeggiare con la Parola risanatrice di Dio, senza fatalismi o sotterfugi scaramantici", dice Bagnasco. Il cardinale ha poi proseguito spiegando che morte, giudizio, inferno e paradiso, "sono tappe di una vita che va oltre la morte e sfocia nella vita eterna. Ciò che saremo non sappiamo descriverlo, ma esiste".
Anglicani. Il cardinale Bagnasco plaude alla decisione del Papa di aprire le porte a quegli anglicani che ne hanno fatto richiesta in quanto non si sentivano più in comunione con la loro Chiesa: è questo un gesto che non indebolisce l’ecumenismo ma anzi lo rafforza in quanto il vero problema odierno è la scomparsa di Dio dall’orizzonte degli uomini, ha spiegato.
* la Repubblica, 9 novembre 2009
Carità vaticana
Spesi più di 1,5 milioni di euro per la visita del papa a Napoli
di FLAVIA AMABILE (La Stampa, 21/10/2007)
Uno legge le parole del cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, in un’intervista rilasciata proprio a ’La Stampa’ e pubblicata sabato 20. Si parla delle scritte contro il papa alla vigilia della sua visita a Napoli. Che cosa direbbe ai responsabili, chiede l’intervistatore. E il cardinale: ’Direi: questa è una scuola di violenza, di odio. E gli direi: ti insegno un’altra scuola, la scuola della convivenza, della carità, della solidarietà’.
Uno poi legge il conto finale delle spese che tutti noi sosteniamo per permettere proprio la visita di papa Benedetto XVI a Napoli. E scopre che per dodici ore di trasferta in totale, duecento chilometri di viaggio, si superano i 1,5 milioni di euro. Più in dettaglio: 750 milioni di euro stanziati da palazzo Chigi (a Napoli per l’occasione arriva anche Prodi), 350 mila euro dal Comune, 400 mila dalla Regione per addobbi floreali, accoglienza, interventi strutturali. A questi vanno aggiunti 120 mila euro previsti dall’Autorità portuale per l’atterraggio con l’elicottero.
Ora, è vero che la visita fa parte di una kermesse di tre giorni di dialogo interreligioso ma è anche vero che questi fondi servono soprattutto a garantire la sicurezza e il funzionamento della città durante la visita del papa visto che ci saranno centinaia di migliaia di persone in strada.
E, allora, se per esempio il Vaticano pronunciasse la classica frase ’non fiori ma opere di bene’ riferendosi agli addobbi floreali in strada e in chiesa, oppure ’niente pranzo per noi’ o qualcosa del genere, uno potrebbe trovare più credibili le parole del cardinale Sepe e condannare con maggiore forza le scritte contro il papa sui muri della città.
Bagnasco: «La persona, fondamento di ogni valore»
DAL NOSTRO INVIATO A PISTOIA
di FRANCESCO OGNIBENE (Avvenire, 19.10.2007)
Cent’anni «di innumerevoli opere in campo sociale, economico, culturale, politico, sgorgate dalla intelligente creatività della fede e della carità cristiana». Cent’anni di Settimane sociali che documentano «la storia di un tessuto vivo», il «senso della storia e della presenza di Dio nella vicenda dell’Italia di questo secolo ». Ne ha tracciato l’eredità il presidente della Cei e arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco - fresco di nomina cardinalizia - intervenendo ieri all’apertura di questa edizione centenaria nel duomo di Pistoia.
L’occasione di questo appuntamento nazionale è «particolarmente significativa», secondo Bagnasco, anzitutto perché induce a «soffermarci a guardare il percorso», certo «non sempre agevole», che «tante generazioni di credenti hanno compiuto per il bene del Paese». Lungo questo cammino sono numerose le «figure di donne e di uomini, di laici, di religiosi, di sacerdoti, di vescovi, a partire dai vescovi di Roma, che si sono succedute intrecciando sempre un rapporto speciale col nostro Paese, tutti protagonisti di un dialogo incessante con le necessità, le attese, le speranze, le sofferenze del popolo italiano». È un’autentica «trama di amore e di responsabilità civile», che si è ripreso a tessere a partire dal 1991, dopo l’interruzione del 1970. Il compito affidato a questa nuova pagina delle Settimane sociali in una fase di «transizione» è la «elaborazione e proposta culturale attraverso il confronto delle idee e delle esperienze», nello sforzo per cercare «con fatica e lungimiranza di saper pensare in grande e guardare lontano». Oggi la Settimana sociale, precisa Bagnasco, si presenta così come l’«occasione per stare con fedeltà e creatività dinanzi alle nuove sfide che si presentano». A una Chiesa il cui volto più promettente è quello dei «giovani dell’Agorà sulla spianata di Montorso » nel loro incontro col Papa di inizio settembre - «il volto di una Chiesa italiana che guarda al futuro con passione, con apertura e dedizione, con semplicità e fiducia» - il presidente dell’episcopato assegna la missione di riflettere e operare attorno all’idea forte di bene comune e, ancor più alla radice, a quella di persona. C’è infatti tra le due un «circolo virtuoso» che «siamo chiamati a innervare nella vita sociale» e che «parte dalla persona» per arrivare all’«ordine sociale «poiché - aggiunge Bagnasco citando la Gaudium et spes - l’ordine delle cose deve essere subordinato all’ordine delle persone, e non l’inverso». La visione cristiana della società è una visione «realistica, che falsifica gli schematismi ideologici»: al suo interno la società «non può non essere connessa alla persona, in un dinamismo che si articola su una trama scandita da precisi punti di riferimento ».
Bagnasco passa subito a enumerarli: «È possibile e doveroso - spiega - correlare giustizia, libertà, verità, carità, di fronte alla concretezza della vita e dei suoi problemi». In particolare «è essenziale al bene comune del nostro Paese un nuovo patto tra le generazioni all’insegna di un corretto principio di autorità e di comunità, di tradizione e di futuro».
Per evitare astrattismi occorre però «ridare al concetto di bene comune una attualizzata efficacia operativa». Come? Serve «una forte proposta educativa in grado di introdurre alla vita e alla realtà intera, capace di giudizio, di proposte alte, di impegno concreto e continuo, cordialmente aperta al bene di tutti e di ciascuno a prezzo di interessi individuali o particolari, a prezzo del proprio personale sacrificio». Di più: «Non solo non si può attuare il bene comune ma neppure concepirlo né tanto meno ragionarci e discuterne senza ricuperare le virtù cardinali della fortezza, della giustizia, della prudenza e della temperanza, con le attitudini interiori che ne conseguono». Diversamente si parla al vento, in una deriva «facilmente ideologica». È qui, «partendo dalla persona e ritornando alla persona», che si innesta l’impegno sui valori non negoziabili, che Bagnasco definisce «capisaldi della storia e della tradizione del nostro popolo»: «Penso - precisa - all’intangibilità della persona e della vita umana, dal concepimento fino al naturale tramonto; a quella cellula fondante e inarrivabile di ogni società che è la famiglia», «al valore incommensurabile della libertà che - lungi dall’essere mero arbitrio - è impegnativa adesione al bene e alla verità, a quel codice morale che si radica nell’essere profondo e universale dell’uomo ». A rendere tangibili questi valori sarà «una comunità cristiana capace di educare al sociale, di alimentare un tessuto di iniziative e di opere di respiro ben più che secolare, da cui zampilla una cultura cattolica capace di progettualità, volta a spendersi senza riserve per il bene comune». Per guidarla c’è «la parola dei pastori», «chiara ferma e rispettosa ». Perché «chi sta vicino alla gente - al contrario di quanti si muovono da posizioni preconcette - percepisce che esiste ed è forte l’attesa» della loro guida nel «delicato momento» del Paese.
L’analisi di Barbara Spinelli
Al di la’ del paradosso istituzionale del mentitore.
Governo Prodi: uscire dal berlusconismo, velocemente!!!
a cura di Federico La Sala *
Dieci anni caratterizzati da un rapporto arbitrario con la legge, una monocrazia televisiva, una confusione sistematica tra interesse pubblico e interesse privato.
[...] Il nome scabroso di dittatura è stato dato perché s’adatta allo speciale dramma di Prodi. La sua è una sorta di Grande Coalizione escogitata per uscire dal berlusconismo, che non è stato una dittatura ma un’anomala monocrazia. È una coalizione che s’apparenta al Cln, il Comitato di Liberazione Nazionale formato tra le forze più diverse per ricostruire una legalità dopo il ’43. Se oggi Berlusconi è ancora così potente (influenzando telegiornali, giornali, politici) vuol dire che non ne siamo usciti. Che da questa malattia urge guarire, ciascuno facendo un esame di coscienza. Cercando di capire cosa stiamo dimenticando, quale pericolo stiamo sottovalutando, quel che dobbiamo fare per rimettere un po’ di morale e verità nella politica [...] ___
Il perdente radicale
di Barbara SPINELLI (La Stampa, 25/2/2007)
Per capire la natura dell’ultima crisi di governo bisogna probabilmente smettere di usare questa parola: crisi. Crisi ha qualcosa di subitaneo e circoscritto: l’atto d’irresponsabilità di due senatori della sinistra radicale avrebbe precipitato un governo già di per sé litigioso, ma il caso di coscienza non si estenderebbe oltre il perimetro della maggioranza. Il dizionario Devoto descrive la crisi come «esacerbazione o insorgenza improvvisa di fenomeni morbosi violenti, per lo più di breve durata». Crisi è anche un eufemismo: tutto il tessuto intorno è sano, solo quel punto lì è strappo da rammendare.
Meglio dunque parlare di malattia, o di male italiano. È un male non legato a una sola forza l’ideologismo di un’estrema sinistra che ha avuto la sciagurata leggerezza di candidare irresponsabili al Parlamento ma è una patologia che affligge la maggior parte dei politici e quasi tutta la classe dirigente (cioè chiunque eserciti indirettamente responsabilità nella pòlis: attori economici, intellettuali, giornalisti). I sintomi sono chiari: una perdita di memoria che sconfina nell’amnesia, una profonda sottovalutazione del pericolo che si corre quando s’occulta il passato, una mancanza continuativa di coscienza etica. Quel che si è dimenticato è l’epoca che segna il nostro tempo: dieci anni dominati da Berlusconi, caratterizzati da un rapporto arbitrario con la legge, una monocrazia televisiva, una confusione sistematica tra interesse pubblico e interesse privato. La minaccia che si sottovaluta è il ritorno di quell’esperienza. La coscienza etica mancante è quel che impedisce di riconoscere in se stessi la soggezione, radicata e quindi malata, alla forza di Berlusconi. Quest’ultimo continua a determinare il nostro modo di giudicare la politica, di semplificarla, di sprezzarla. In realtà sono nove mesi che gran parte della classe dirigente guarda al governo Prodi attraverso le lenti falsificatrici di Silvio Berlusconi.
Se la crisi sembra al momento superata, se i partiti dell’Unione hanno deciso di non farsi più la guerra e di provare un’intesa rispettosa della guida di Prodi, è perché tali mali sono stati intuiti. Come spesso accade, la paura può esser consigliera cattiva ma anche ottima, e la paura di riconsegnare per la terza volta l’Italia a Berlusconi ha dato forza e nuovo senso della realtà alla coalizione. La paura può servire anche ad aprire salutari casi di coscienza, nella sinistra radicale ma non solo: nella maggioranza, nell’opposizione, e in chiunque osservi e commenti la politica nazionale. È come se per tutti un gioco finisse, distruttivo-autodistruttivo, e il caso di coscienza consiste nel guardare in faccia quella soggezione verso Berlusconi. Sono mesi che quest’ultimo proclama illegittimo il governo ed è un giudizio che inconsapevolmente è interiorizzato da molti. L’intimidazione è enorme e produce malattie che scombinano le menti: le più svariate menzogne vengono prese per vere, i riconteggi dei voti d’aprile vengono accettati creando precedenti gravi, il tentativo di conciliare la sinistra radicale con la responsabilità è giudicato in anticipo inane e in genere passa l’idea che un governo vada giudicato sull’istante, all’ombra del prossimo voto locale, non sull’arco di qualche anno almeno di legislatura.
È una strana sindrome, che fa pensare al perdente radicale descritto da Enzensberger. Nel perdente radicale, osserva lo scrittore citando il filosofo Odo Marquard, «la delusione aumenta con ogni progresso, perché dove i progressi civili sono effettivamente vincenti ed eliminano effettivamente i mali, raramente suscitano entusiasmo: diventano ovvii, e l’attenzione allora si concentra sui mali che restano. Vige insomma la legge della crescente incidenza del rimanente. Quanto più negativo scompare dalla realtà, tanto più irritante diventa il negativo residuale, proprio perché diminuisce» (Enzensberger, Il perdente radicale, Einaudi). Il terroristico perdente radicale è scontento di qualsiasi presente. L’antipolitico spregio della politica, ereditato dal decennio berlusconiano, ha radici che sopravvivono. Sono tante le menzogne di Berlusconi, e tutte mirano a far apparire Prodi illegittimo. Ha cominciato fin dall’inizio della legislatura e in questi giorni ha moltiplicato gli attacchi di questo genere senza che nessuno l’obbligasse a tener conto della legalità oltre che della sua idea di legittimità extralegale. Poi con Alleanza Nazionale e altri partiti ha ripetuto che i senatori a vita non possono sostenere la maggioranza senza perdere dignità morale e anche in tal caso pochi hanno obiettato. Anche questa è soggezione e sta a indicare come l’Italia, contro le speranze di Montanelli, non sia ancora vaccinata.
Perché l’intimidazione funziona in pieno, come se Berlusconi fosse ancora al potere pur non essendo più al governo. Come agli inizi della sua carriera politica, è il controllo sociale che continua a latitare, e questo gli permette di mentire impunemente. Chi urla contro i senatori a vita mentre vanno a votare usa una violenza spaurente non molto diversa dai manganelli. Chi li denuncia farebbe bene a ricordare la lettera che Cossiga, irritato per le accuse d’immoralità rivolte ai senatori a vita nel maggio 2006, quando Prodi ebbe la fiducia, scrisse a Berlusconi. Puntigliosamente, Cossiga ricorda il giorno in cui quest’ultimo ottenne la fiducia dei senatori, il 18 maggio ’94: «Fui autorevolmente incaricato (...) di “organizzargliene” una (di fiducia)! I senatori erano trecentoventisei, di cui undici erano senatori a vita, presenti in Aula furono trecentoquindici e trecentoquattordici i votanti; centocinquantotto voti era la maggioranza richiesta. Votarono sì centocinquantanove senatori, centocinquantatré furono i contrari e due gli astenuti, che al Senato valgono per voto contrario. Il governo Berlusconi ottenne la fiducia per un solo voto, a garantirla tre senatori a vita: Giovanni Agnelli, Francesco Cossiga e Giovanni Leone. Nessuna accusa di immoralità ci fu rivolta allora né dalla sinistra né da te!». Ma non solo chi denuncia dovrebbe ricordare. È responsabile anche chi lascia dire stupidaggini (telegiornali, quotidiani, politici) senza subito ricordare agli italiani i fatti del passato. Adesso che si tenta una ripresa del governo Prodi sarà utile riconoscere il persistere di questa sindrome, di intimidazione e soggezione: consegnare per la terza volta l’Italia a Berlusconi è un’opzione che deve sparire. Questo vuol dire far politiche riformiste e una politica estera coerente con gli impegni internazionali ma anche eliminare il triplice male dell’amnesia, della sottovalutazione dei pericoli, della menomata coscienza etica.
Significa smettere di fare favori personali a Berlusconi e dunque approvare al più presto una legge sul conflitto d’interessi, senza ripetere il gravissimo peccato d’omissione della sinistra nel 1996-2001. Rinviarla per l’ennesima volta sarebbe non un errore, ma un crimine. Significa non lasciar passare le menzogne sui senatori a vita. Significa, per personalità che tengono all’etica come Pier Ferdinando Casini, sottoporre a esame i propri comportamenti durante il governo Berlusconi e ammettere, come fa oggi Follini, che governare con Calderoli non è meno peggio che governare con Diliberto. Significa votare con questo governo, se la politica estera di D’Alema rompe con le scelte berlusconiane in nome d’una continuità con De Gasperi-Andreotti. Votando contro, Andreotti ha non solo votato contro se stesso. Ha fatto politichetta anziché politica.
Ha scritto Eugenio Scalfari nei mesi scorsi che l’Italia è come uno specchio rotto: ognuno crede di scorgere nel frammento il tutto, e non vede in realtà che se stesso. Non sarà male che questa tentazione finisca, e ben venga l’autorevolezza rivendicata da Prodi. Forse i punti 11 e 12 del suo piano sono i più essenziali, riguardando proprio questo: il suo portavoce sarà portavoce non solo del premier ma del governo, e in caso di contrasto nella maggioranza sarà Prodi a decidere. Lo stesso Scalfari aveva consigliato quest’autorevolezza, quando chiese al premier di esercitare una dittatura di salute pubblica. Questo gli darà forza nell’Unione, verso gli oppositori, e non per ultimo nei rapporti con chi nella Chiesa vorrebbe far politica al posto dei governi sui «temi sensibili». Il nome scabroso di dittatura è stato dato perché s’adatta allo speciale dramma di Prodi. La sua è una sorta di Grande Coalizione escogitata per uscire dal berlusconismo, che non è stato una dittatura ma un’anomala monocrazia. È una coalizione che s’apparenta al Cln, il Comitato di Liberazione Nazionale formato tra le forze più diverse per ricostruire una legalità dopo il ’43. Se oggi Berlusconi è ancora così potente (influenzando telegiornali, giornali, politici) vuol dire che non ne siamo usciti. Che da questa malattia urge guarire, ciascuno facendo un esame di coscienza. Cercando di capire cosa stiamo dimenticando, quale pericolo stiamo sottovalutando, quel che dobbiamo fare per rimettere un po’ di morale e verità nella politica.
* Il dialogo, Domenica, 25 febbraio 2007