Saper amare il "padre" e la "madre" ... W o Italy!!!

IL PRESIDENTE DELLA CEI ANGELO BAGNASCO: «L’ITALIA MERITA UN AMORE PIU’ GRANDE». BENISSIMO!!! Ma - in nome della Verità (Charitas) - cerchiamo di andare avanti e non "cantare" in "latinorum" sempre lo stesso ritornello. Una precisazione sulla Costituzione italiana - di Federico La Sala

giovedì 18 ottobre 2007.
 


25 Giugno: salviamo la Costituzione e la Repubblica che è in noi.

di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)

Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.

Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...

Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).

Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!

Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?

O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!

Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” [Amore - Charitas] e “Mammona” [Caro-Prezzo - Caritas] o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!

Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!

Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore Charitas dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...

Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!

Federico La Sala



Monsignor Bagnasco, aprendo i lavori del Consiglio permanente della Cei attacca chi critica il Papa da "cattedre discutibilissime". E cita aborto, eutanasia e messa in latino

-  Duro affondo dei vescovi italiani
-  "Un paese spaesato e in crisi morale"
*

CITTA’ DEL VATICANO - I vescovi italiani sono vicini al Papa, messo sotto accusa da "cattedre discutibilissime", in un paese "spaesato e in crisi morale". E lo difendono su tutti i temi più scottanti: dalla battaglia contro l’eutanasia al ripristino della messa in latino. A ribadirlo è stato oggi il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, che ha aperto i lavori del Consiglio Episcopale Permanente assicurando a Benedetto XVI, a nome di tutti, "pronta e incondizionata collaborazione sempre, e in modo particolare quando emergono nell’opinione pubblica voci critiche e discordanti".

Italia in crisi morale. Secondo Bagnasco, "il Paese è un paese spaesato e sta attraversando una grave crisi morale, in cui sono diffusi comportamenti criminali che non trovano soluzione ed è illusorio sperare in un improvviso quanto miracolistico rinsavimento". C’è invece bisogno di "una ricentratura profonda dei singoli soggetti e degli organismi sociali, sul senso e sulla ragione dello stare insieme come comunità di destini e di intenti". Tra i problemi, citato anche "il dramma recente e crescente degli incendi boschivi, provocati dall’uomo che in quest’ultima estate hanno messo in ginocchio intere zone del Paese".

Ethos condiviso. La Chiesa non vuole in nessun modo proporre una sorta di Stato etico e tuttavia s’interroga sul fatto che esista o meno "una modalità, compatibile con la democrazia, grazie alla quale nutrire un ethos collettivo partecipato e ad un tempo capace di resistere e sopravanzare rispetto alla dissipazione dei costumi".

Critiche ad Amnesty. Bagnasco ha attaccato duramente la scelta di Amnesty International di includere l’aborto per le donne che hanno subito violenze sessuali fra i diritti umani, "magari anche solo nei casi di violenza compiuta sulla donna". Si tratta di "derive - ha proseguito- che ci rendono ulteriormente avvertiti del pericoloso sgretolamento a cui sono sottoposte le consapevolezze umane anche più evidenti, e della necessità quindi di una presenza qualificata a contrastare simili esiti".

Contro l’eutanasia. Fra i capisaldi della storia italiana e del "nostro popolo", il primo posto va "al valore della persona e della vita umana, vita che deve essere accolta e accudita fin dal suo sorgere, ed amorevolmente accompagnata fino al suo naturale tramonto". Poi aggiunge: "L’aborto non è un diritto".

Messa in latino. Per Bagnasco, Benedetto XVI non l’ha promossa per una sorta di "ricerca di un proprio lusso estetico, slegato dalla comunità, e magari in opposizione ad altri", ma per la "volontà di includersi sempre di più nel mistero della Chiesa che prega e celebra, senza escludere alcuno e senza preclusione ostativa verso altre forme liturgiche o nei confronti del Concilio Vaticano II". Insomma, nessuna forma di contrapposizione.

* la Repubblica, 17 settembre 2007.



IL FATTO

Dal presidente della Cei Angelo Bagnasco un forte appello perché si nutra un ethos collettivo, «capace di resistere e sopravanzare rispetto alle dissipazioni del costume» per una «società aperta e capace di futuro» A partire dalla componente sana della società, «ancora maggioritaria». Ne parlano due autorevoli studiosi

«Amare l’Italia? Grande e nobile compito»

Di Giorgio Ferrari; Di Paolo Viana (Avvenire, 18.09.2007)

Nella prolusione del presidente della Cei al Consiglio permanente spicca, tra l’altro, un ampio capitolo dedicato alla situazione sociale del Paese. In essa monsignor Bagnasco rileva, da una parte, segnali preoccupanti legati a «un atteggiamento di resa che contrassegna tanta prassi», dove prevalgono «divismo, divertimento spinto a oltranza, disimpegno nichilista»; dall’altra, invece, rimarca i valori ancora condivisi «dalla maggioranza sana». Di qui l’interrogativo sulla «modalità, compatibile con la democrazia, grazie alla quale nutrire un ethos collettivo partecipato e a un tempo capace di resistere e sopravanzare rispetto alle dissipazioni del costume». E quello sul ruolo dello Stato, mero regolatore delle spinte comportamentali che emergono dal corpo sociale, o promotore di un’idea di bene comune. Con l’esortazione finale: «L’Italia merita un amore più grande».

-  lo storico Galli della Loggia
-  «Ripartiamo dai grandi valori universali per combattere i tanti piccoli egoismi»

«Gli italiani sono molto sensibili alla piccola patria, quella locale, e hanno sicuramente un rapporto naturale e aperto con gli alti principi. Manca la cosa di mezzo, lo Stato, ma nell’ethos elementare dell’italiano c’è un forte fondo cristiano»

La prolusione di monsignor Bagnasco tocca, fra i tanti, i temi dell’ethos e del bene comune, del legame che deve esserci fra il cittadino e lo Stato e del ruolo che quest’ultimo assume nei confronti della moltitudine dei cittadini.

Ma, ci si domanda, allora lo Stato è soltanto un notaio, un registratore di comportamenti e di spinte sociali o potrebbe e dovrebbe anche promuovere il bene comune? Lo chiediamo (con un pizzico di provocazione) allo storico Ernesto Galli della Loggia, studioso dell’"identità italiana".

Evidentemente no, basterebbe dare una scorsa alla Costituzione italiana: i primi 50 articoli sono tutti un invito al bene comune: lo Stato si carica di compiti, di ethos collettivi, come l ’uguaglianza, il diritto alla salute, al lavoro, compresa anche la sicurezza, la pace sociale, l’amministrazione della giustizia. La polemica nasce quando da questi beni si passa alle scelte etiche, morali e personali.

Il fantasma dello Stato etico...

Già, ma cos’è lo "Stato etico"? Nell’accezione gentiliana era il culto dello Stato in quanto ethos lo Stato stesso. Ma se uno dice - per fare un esempio - che ci deve essere una legge che vieta l’aborto, questo non è lo Stato etico: lo Stato in astratto non esiste, lo Stato sono i cittadini. Credo piuttosto sia vero il fatto che è diventato friabile il vincolo sociale.

Cioè?

La forza delle cose che ci tengono insieme. La componente sana della società, a quanto sembra, è ancora maggioritaria. Ci sono però alcuni fenomeni che macchiano questa Italia.

Quali?

C’è una componente che sana non è, nel senso che pratica forme di individualismo egoistico, asociale, illegale a vari livelli, che non va a lavorare, che froda e raggira la funzione pubblica. Questi comportamenti sono molto forti in Italia. E questa non a caso è una delle espressioni dell’indebolimento del vincolo sociale.

È un fenomeno nuovo?

È un fenomeno storico, ma ora accanto a questa friabilità che c’è sempre stata si è aggiunta la friabilità del vincolo politico, la crisi verticale delle istituzioni, della società.

Che una volta non c’era...

Un tempo la scarsa coesione sociale era controbilanciata da una dimensione forte della politica. Forte e coesa: fra i vari partiti c’era una sostanziale omogeneità e compartecipazione. Oggi non c’è più, c’è disintegrazione del vincolo politico, e dunque un vuoto.

Si parla giustamente di "bene comune", ma secondo lei in Italia è mai stato compreso, percorso, alimentato quello che la filosofia anglosassone chiama "Common Good"?

Nel nostro Paese non c’è mai stato.

Perché?

Perché laddove è fortissimo il vincolo familiare , familistico e di clan è difficile che si diffonda un’idea di bene comune. Così come dove è fortissimo il campanilismo, il bene comune diventa labile. Forse anche la cultura cattolica dovrebbe su questo punto riaprire un esame del suo ruolo storico. La sua diffidenza verso la Stato nazionale qualche peso lo ha avuto. Certamente il bene comune non può essere la cultura della Lombardia o della cooperativa di Soresina, è qualcosa di più e di meglio.

Questa mancanza di sensibilità all’ethos collettivo è una questione di latitudine, di etnia, di qualcos’altro?

È una questione di Storia.

Nella prolusione si parla con sincera convinzione di senso di appartenenza, di società, di casa aperta, forse alludendo a quella che i tedeschi chiamano "Heimat", cioè la casa comune, quella che il cuore riconosce.

Io penso che questa casa esista. Gli italiani sono molto sensibili alla piccola patria, quella locale, ed hanno sicuramente un rapporto naturale e aperto con i grandi valori universali. Gli manca la cosa di mezzo, lo Stato, ma di fronte alla sofferenza, al male, negli italiani scatta un naturale senso di compartecipazione, di apertura. Pensi all’atteggiamento nei confronti degli immigrati, che non è mai pregiudizialmente ostile: lo può diventare in seguito, ma il primo impulso è quello dell’accoglimento. Nell’ethos elementare dell’italiano c’è questo fondo cristiano.

Che cosa manca allora a una visione armonica del bene comune?

L’Italia ha una forte cultura dell’universalismo etico e contemporaneamente del localismo personale. Peccato gli manchi la parte di mezzo, il raccordo rappresentato dal bene comune nazionale.

Una visione un po’ pessimistica...

Io cerco di essere ottimista. Della prolusione di monsignor Bagnasco mi ha colpito questa una frase: «L’Italia merita un amore più grande». È una frase inconsueta, coraggiosa. Amare l’Italia non è facile, perché spesso è poco amabile. Ma è una frase importante, nuova. Rileggend ola, mi vien da essere ottimista e rinunciare per una volta al mio naturale pessimismo.

-  il sociologo De Rita
-  «Servono azioni concrete e organizzate Bene concentrarsi su educazione e Sud»

«Giusto ammonimento a non ascoltare le voci dell’arroganza, dell’apparire e dell’avere; dopo serve un messaggio di presenza nel sociale Se si chiama a una personalizzazione della proposta, essa va sviluppata nel sociale»

La personalizzazione del messaggio cristiano è un ottimo antidoto alle derive della nostra società "a coriandoli", come la definisce Giuseppe De Rita, ma bisogna lavorare molto, declinare i valori in un’etica chiara e offrire coordinate precise all’impegno sociale: è questo il commento a caldo del sociologo, segretario generale del Censis, di fronte alla prolusione di monsignor Bagnasco al Consiglio permanente della Cei.

A quali condizioni la "società a coriandoli" potrebbe nutrirsi del nuovo ethos di cui parla il presidente dei vescovi?

Quello che è importante è il discorso sulle realtà singole e intermedie. In tal senso, mi è piaciuto molto il richiamo a Loreto, dove si dice che il Papa ha puntato a personalizzare la proposta: quel «ciascuno di voi è importante, se resta unito a Cristo può compiere grandi cose» dà un senso forte a milioni di persone. Giusto l’ammonimento a non ascoltare le voci dell’arroganza, della prepotenza, del successo, dell’apparire e dell’avere; dopo serve un messaggio di presenza nel sociale. Se si chiama a una personalizzazione della proposta e dell’impegno, esso deve svilupparsi nel sociale, integrando la dimensione dell’essere, che attiene alla coscienza e al rapporto con Dio.

Eppure Loreto dimostra che la forza della proposta cristiana si regge proprio sull’essere.

La Chiesa mobilita milioni di ragazzi, è vero, e giustamente bisogna personalizzare questa dimensione della proposta. È necessario poi precisare alcune coordinate nello spazio pubblico, linee di azione nel sociale.

Non le pare che i cattolici già lo sappiano, almeno a giudicare dall’imponenza delle opere che traducono questo "essere" in gesti di solidarietà?

Monsignor Bagnasco nel suo discorso cita il viaggio del Papa in Austria. Ebbene, quel viaggio ha avuto il suo punto più alto proprio nel dialogo con il volontariato, con quest’impegno dei singoli, giovani e vecchi, che fanno qualcosa di concreto a partire dalla coltivazione del proprio essere. È un punto cruciale per i cristiani: proprio perché noi abbiamo un Dio personale e avvertiamo la spinta a valorizzare la persona, nel momento in cui parte quest’appello bisogna individuare quelle "grandi cose" che si possono fare insieme.

Monsignor Bagnasco individua priorità concretissime: l’educazione, ad esempio, è un’emergenza per la società a coriandoli?

A livello intermedio si può socializzare la personalizzazione e la Cei promette una riflessione articolata sull’educazione: bene, perché l’educazione è davvero la grande emergenza. In quel campo non c’è solo il problema della trasmissione dei valori, ma anche di una creazione in comune di valori. La via giusta è prendere questo tema intermedio, che non riguarda la singola persona ma neppure il bene comune, e lavorarci sopra. Analogamente, i vescovi tornano a interessarsi del Mezzogiorno; hanno perfettamente compreso di non poter stare tra persona e Stato, tra persona e bene comune, ma di dover parlare di realtà intermedie. E queste due promesse - Mezzogiorno e educazione - danno il senso che in questo momento i vescovi "ci stanno" nella società italiana.

Chi sembra "starci" poco è lo Stato, che si limita a regolare le "spinte comportamentali" e non riesce a offrire un’idea di bene comune.

Nel mondo laico c’è ancora l’ambizione di costruire uno Stato che "costituisce" il cittadino, uno Stato che fa opera di civiltà. Che poi magari pensa di realizzarla con l’eutanasia o la legge 40... C’è ancora un residuo di "bene comune" da Stato hegeliano, rispetto al quale noi cattolici rischiamo di apparir e deboli se parliamo di bene comune e non sappiamo declinare il nostro concetto di bene comune, ad esempio in accettazione dell’altro, responsabilità... Se non sapremo declinare questo concetto, saremo in difficoltà con personaggi che ti cucinano la laicità come l’unica etica vera. E, se non lo faremo, il comportamento dei singoli cittadini non rifletterà i nostri valori, ma andrà nella direzione di questi laici, perché quella è la direzione della libertà e dell’autonomia, oltre che della sopraffazione.

Monsignor Bagnasco conclude la sua prolusione con un appello a dare all’Italia «un amore più grande». Come si ama una società a coriandoli?

Bisogna dire qual è oggi l’ipotesi organizzativa su cui una società può camminare. I coriandoli vanno organizzati, messi insieme agli altri, gestiti organizzativamente. È un aspetto sul quale mi permetto di sollecitare l’attenzione dei vescovi: oggi si salva chi ha una buona organizzazione e esprime un’appartenenza a una buona organizzazione. I cristiani sono ancora una forza vera in Italia perché sentono di appartenere a un’organizzazione.


la realtà e l’impegno

Costruiamo un Paese meno spaesato

di Francesco D’Agostino (Avvenire, 18.09.2007)

La prolusione che l’arcivescovo Bagnasco ha tenuto ieri davanti al Consiglio permanente della Cei ha il suo centro in una constatazione amara, ma lucida: nell’Italia di oggi l’unità della persona appare frantumata e smarrita, carente di criteri di interpretazione e di sintesi; la stanca, ma martellante insistenza sul nostro essere lontani dalla verità produce un’estenuazione «che vorrebbe rendere patetico qualunque richiamo alla coerenza». Il secolarismo, che ama presentarsi come il valore fondante la modernità, anziché rafforzare le persone le «sfilaccia», esaltando la frantumazione dei «punti di vista», e le abbandona in definitiva ad un vuoto esistenziale che è arduo colmare. È un’analisi ruvida, forse addirittura troppo poco ruvida nei confronti di una realtà che sta sotto gli occhi di tutti. Ma non si tratta di un’analisi genericamente deprecatoria, di quelle che si compiacciono di descrivere il presente come un cumulo di macerie. Si tratta al contrario della premessa per un’indicazione estremamente costruttiva, sulla quale ci si augura che la nostra classe politica trovi il tempo di riflettere seriamente.

L’effetto più plateale della crisi antropologica che caratterizza in modo così vistoso l’Italia di oggi è - per usare un’espressione che non compare nel testo di Bagnasco - quello dell’«antipolitica». Le svariate e il più delle volte rozze e volgarissime forme nelle quali si sta manifestando il sentimento antipolitico della gente va di pari passo con la crisi del nostro Stato, sempre meno percepito come quel soggetto pubblico che deve «farsi promotore e garante del bene comune». Non solo oggi è in crisi l’idea che esista un imprescindibile dovere di tutti i cittadini di ubbidire allo Stato, ma è in crisi anche l’idea che questo dovere abbia profonde radici morali, perché il tema stesso del bene comune appare ormai problematico, come la stessa idea di persona.

Tutto questo non avviene per caso: il laicismo dominante (ne siano o no consapevoli i laic isti) non riesce più né a vedere né a proteggere la persona come centro di valori, ma è in grado tutt’al più di percepire solo gli individui: e gli individui, a loro volta, non riescono a farsi l’idea di un bene che sia comune, perché in quanto meri individui sono solo portatori di interessi egoistici e autoreferenziali. Gli interessi individuali possono sommarsi o escludersi a vicenda, ma non possono mai riuscire, per loro natura, a fondersi in quell’ unico interesse che è di tutti e che non esclude nessuno, che chiamiamo appunto bene comune.

Nella lucida analisi di monsignor Bagnasco, in una società che si vede composta solo di individui, che non riescono a riconoscersi vicendevolmente come persone, i vincoli sociali non possono che indebolirsi e allentarsi, fino a scomparire. Non illudiamoci: questi vincoli non si riattiveranno attraverso forme di «improvviso quanto miracolistico rinsavimento morale». Essi potranno essere ricostruiti solo se si saprà operare una «ricentratura profonda», che torni ad individuare il senso e le ragioni del nostro stare insieme, che torni ad attivare «quel tipo di solidarietà su cui una comunità strutturata deve fare affidamento, se vuole essere un Paese-non-spaesato».

Con un accenno molto rapido, il presidente della Cei allude al contributo che la religione e «la considerazione ad essa riservata» possono dare a tale «ricentratura»: un contributo per il bene comune, non per il bene della Chiesa. C’è da augurarsi che i soliti, vecchi laicisti, anziché storcere il naso o stracciarsi le vesti per questo accenno (ma speriamo che, comunque, ne apprezzino la delicatezza), ne sappiano cogliere la saggezza: nessuna comunità può sopravvivere e costruire in modo umano il proprio futuro, se i suoi membri non sono in grado di percepire la loro reciproca solidarietà come personale, cioè come fraterna.



Sul tema, nel sito, si cfr:

LAICI E CATTOLICI. UNA LETTERA DEL 2002.

DEUS CARITAS EST: LA VERITA’ RECINTATA

LA TRAPPOLA DEL DOPPIO LEGAME. Un intervento di Gustavo Zagrebelsky

Mobilitazione vaticana. PORTARE L’ATTACCO AL CUORE DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

-  GESU’, GIUSEPPE, E MARIA!!! CHE CONFUSIONE IN VATICANO TRA "MAMMONA", AMORE, E VALORI NON NEGOZIABILI. LA CEI CON LA SUA "NOTA" HA DICHIARATO UNA GUERRA COMMERCIALE ALL’ITALIA PERCHE’ PENSA CHE LA COSTITUZIONE ITALIANA SIA UNA "CARTA" PER VENDERE A CARO-PREZZO ("caritas") LE PATATE, IL PESCE, LE BANANE, I CAVOLI E LE RAPE!!! Un editoriale dell’"Avvenire" di Francesco D’Agostino


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