EMERGENZA ITALIA. LA SOCIETA’ SPARENTE ...

CALABRIA: DOVE LO STATO NON C’E’ E "CONTRO LE MAFIE GLI IMMIGRATI SONO PIU’ CORAGGIOSI DI NOI". Sui fatti di Rosarno, note e commenti di Roberto Saviano, Moni Ovadia, Marcello Sorgi, Marco Revelli e Altri - a cura di Federico La Sala

CALABRIA (2007). MONS. BREGANTINI E’ STATO TRASFERITO: LA NOSTRA BANDIERA NON C’E’ PIU’! "IO RESTO IN CALABRIA": FILIPPO CALLIPO, L’EX PRESIDENTE DELLA CONFINDUSTRIA, ESORTA ALLO SCIOPERO DELLA MESSA
martedì 12 gennaio 2010.
 


-  Saviano:
-  gli africani contro i clan sono sempre più coraggiosi di noi
-  (la Repubblica , 09.01.2010)

ROMA «Contro le mafie gli immigrati sono più coraggiosi di noi». Lo ha detto Roberto Saviano a proposito degli scontri di Rosarno, ricordando che quella calabrese «è la quarta rivolta degli africani in Italia contro le mafie: per questo non vanno criminalizzati ma scelti come alleati contro l’illegalità».

«La prima rivolta ricorda lo scrittore a Villa Literno nel 1989, la seconda a Castelvolturno nel 2008 e le ultime due a Rosarno, sempre dopo aggressioni subite da membri della comunità africana. Gli immigrati sembrano avere un coraggio contro le mafie che gli italiani hanno perso poiché per loro contrastare le organizzazioni criminali è questione di vita o di morte».


La rivolta degli schiavi

di Moni Ovadia (l’Unità, 09.01.2010)

Doveva succedere! Quanto tempo può sopportare senza reagire un essere umano schiavo, che lavora come una bestia, per poco più di un tozzo di pane, che vive nel degrado peggio di una bestia, che subisce violenze, ricatti, che viene violentato, abusato dal padrone e dalle mafie, che è privo del più elementare diritto, che non accede neppure alla dignità dell’esistenza? Non c’è che una risposta per una persona decente. No! Non può sopportare. E noi dovremmo reagire a ciò che è accaduto a Rosarno interrogandoci.

Che razza di paese è il nostro che permette una simile vergogna? Che razza di ministro è quello che accusa gli schiavi e propone un’ulteriore repressione nei loro confronti? La logica dell’intolleranza ha mai giovato alla convivenza civile?

Credere di fermare l’immigrazione clandestina combattendo gli immigrati è una pia illusione ed è un atto vile. Non è l’immigrato che sollecita la malavita, è la malavita che incrementa e orienta l’immigrazione clandestina ed è interessata a creare condizioni esasperate, anche attraverso la guerra fra poveri, per potere vendere a maggior prezzo e con più alto profitto la povera carne umana su cui riesce a mettere le mani.

E che dire degli imprenditori schiavisti? Perche non si propone contro di loro e la loro infamia tolleranza zero? L’arresto dei mafiosi a che serve se non viene prosciugata la palude che alimenta la criminalità? Oggi il Presidente della Camera Fini per l’ennesima volta ha preso la parola in difesa degli immigrati dicendo che non si combatte contro gli schiavi, si combatte la schiavitù. Il leader di An vuole evidentemente dare voce a un centro destra civile ed europeo. È ora che si trovi il coraggio di costituire su tali questioni un ampio fronte che superi gli schieramenti per salvare l’Italia dal baratro.❖


il Fatto 9.1.10

Ci trattano come bestie, non ho paura di morire

“Non ho paura di morire. Se Dio vuole, la mia vita finisce qui, altrimenti tornerò a casa e rivedrò i miei figli". Ahmed è un po’ il capo, qui nella "rognetta", il rifugio dei braccianti africani che raccolgono mandarini in giro per le campagne di Rosarno. Ventitré euro al giorno netti. Cinque li pagano al caporale, "che è uno di noi", raccontano. "E due euro li paghiamo di benzina". Dopo essersi spaccati la schiena nei campi, per 14 ore al giorno, tornano alla "rognetta", o alla "ex Sila", che sono i due accampamenti nei quali dormono. Intorno a loro c’è puzza di urina, bucce di arancia che fermentano, una decina di bagni chimici, neanche un posto dove fare la doccia.

Quasi nessuno parla l’italiano. Ahmed il marocchino è uno dei pochi. Anche per questo sembra il capo. "Ho due figli", racconta. "E non li vedo da cinque anni. Se torno a casa non mi riconoscono neanche più. Ma spedisco loro soldi ogni mese". A modo suo, è un imprenditore. "I soldi che guadagno qui, in campagna, li reinvesto in costumi e asciugamani da bagno, che rivendo d’estate, quando lavoro sulle spiagge. Però non è più possibile sopportare tutto questo. Io lavoro, punto. Tutti, qui lavoriamo. E non vogliamo altro. Ci sta bene pure dormire in queste condizioni, non importa, l’importante è lavorare onestamente e spedire i soldi a casa. Ma non possiamo essere sparati, come è successo al mio amico Babou, e non reagire. Non abbiamo più niente da perdere. La gente deve capire un concetto semplice: io sono sbarcato a Lampedusa, ho rischiato di morire in mare, per venire qui. Credevo di trovare il paradiso e ho trovato l’inferno. Ho rischiato di morire già una volta, non mi fa paura rischiare di morire adesso, perché so di essere nel giusto".

Babou lo guarda e annuisce. Mostra il braccio ferito dal proiettile di gomma, che gli hanno sparato l’altro giorno: "Non sono una bestia", dice in francese, perché non parla una parola d’italiano. È arrivato pochi giorni fa da Brescia e vuole ripartire. "Provo soltanto dolore", racconta in francese, "e non riesco neanche a pensare che sia razzismo. Sono arrivato il 21 dicembre, e voglio essere onesto, posso parlare soltanto per me, per quello che ho visto, e in due settimane non posso dire che Rosarno è razzista. Posso soltanto dire che c’è tanta, troppa violenza, e io devo sfamare i miei due figli, che sono in Costa d’Avorio, non appena mi aiutano a partire, vado via, per cercarmi lavoro altrove". an. ma.



l’Unità, 09.01.2010

Lavoro da schiavi e regole imposte dalle ‘ndrine

La sera di giovedì a Rosarno alcune centinaia di immigrati, in prevalenza irregolari, si sono riversatati nelle strade rovesciando cassonetti e incendiando automobili. La protesta è nata nel pomeriggio, dopo che colpi di fucile ad aria compressa avevano fatto una decina di feriti: una “spedizione punitiva” che li ha raggiunti nei capannoni dove vivono. La protesta è continuata ieri.

Ma chi sono questi manifestanti? Uomini, sotto i 30 anni, provenienti da paesi africani. Si stima che siano dai 3 ai 5mila, lavoratori stagionali che raccolgono uva, arance, olive e pomodori. A seconda della stagione, si spostano dalla Puglia alla Campania dalla Calabria alla Sicilia. Le condizioni di vita non cambiano: non hanno casa, vivono in edifici fatiscenti, senza materassi, acqua e bagni; guadagnano dai 20-25 euro per 12/14 ore al giorno e, di questa paga, sono costretti a versare una “quota” ai soprastanti che li ingaggiano.

È un lavoro semi-schiavistico e, talvolta, schiavistico in senso proprio (controllo “militare” sull’attività svolta, organizzazione gerarchica, trasferimenti coatti, punizioni crudeli). Il quadro di riferimento in cui tutto ciò si colloca non è, in primo luogo, quello razzismo-antirazzismo: è, piuttosto, quello del lavoro servile all’interno di un’organizzazione criminale (in Calabria, nelle mani delle’ndrine). E il razzismo aggiunge un elemento di oppressione e discriminazione. I fatti di questi giorni sono tutt’altro che imprevisti: già nel dicembre 2008, a Rosarno, due immigrati erano stati feriti da una analoga “spedizione punitiva”. Allora la reazione fu sostanzialmente pacifica.❖


Sfruttati e vessati

la vita infame dei «neri» nella terra dei caporali
-  Venticinque euro al giorno per spezzarsi la schiena e raccogliere arance nei campi controllati dalla ’ndrangheta. Tutti sanno e in troppi tacciono

di Marco Rovelli (l’Unità, 09.01.2010)

La rivolta di Rosarno non desta alcuna sorpresa. È una conseguenza naturale entro una catena di eventi. Una presa di parola di esseri muti e invisibili, naturale e giusta. I braccianti in rivolta a Rosarno sono i soggetti più sfruttati, vero e proprio sottoproletariato moderno, e si rivoltano contro condizioni di vita intollerabili e vessazioni continue - e quando la rabbia esplode, allora non c’è più spazio per la gentilezza. Occorrerebbe pensarci prima: ma nessuno ha voluto vedere, anche se tutto era già evidente. Sono stato a Rosarno tre anni fa, avevo parlato con molti di quei braccianti, ero entrato nei luoghi dove dormono - se si può dire “entrare” in relazione a capannoni semi-diroccati e con coperture precarie.

Mi raccontarono di italiani che entravano nel piazzale della vecchia cartiera di via Spinoza a pistole spianate, e sparavano colpi in aria o ad altezza d’uomo. Racconti di braccianti africani rapinati dei loro pochi averi, o lasciati come morti sui bordi della strada, aggressioni diurne e notturne, sia in paese che fuori. «Noi rispettiamo gli italiani ma loro ci trattano come animali», dice uno di loro in un video che si trova su youtube, girato in quella cartiera, spettrale terra desolata, all’indomani dell’incendio della scorsa estate. Anni di vessazioni finalizzate a tenerli al loro posto - che poi è il posto dei servi. Si trattava, dunque, di vedere quale sarebbe stata la scintilla nella polveriera. E la scintilla è arrivata.

Nei braccianti della piana di Gioia Tauro mi si è reso visibile, incarnato, il doppio ruolo del migrante: da una parte macchina produttiva sfruttabile in quanto ricattabile (e la maggior parte di loro sono clandestini, dunque l’apice della ricattabilità), dall’altra capro espiatorio da perseguitare, su cui scaricare le tensioni irrisolte della società.

A Rosarno i braccianti subsahariani sono l’ultimo anello di una catena di sfruttamento, che su di loro si riversa. 25 euro a giornata, con 5 euro da dare al caporale: è così anche per esteuropei e maghrebini, ma i subsahariani sono quelli - per la loro nerezza - meno voluti, quindi sono i primi a soffrire la crisi e fanno più fatica a trovare il lavoro a giornata. Braccia macchinali senza diritti né identità, che all’ennesimo sparo decidono di prendersi le strade, e uscire dal margine - con la furia di chi deve vivere nascosto e ha sempre gli occhi bassi e la schiena china sulla terra. Senza di loro, arance e mandarini marcirebbero sulle terre di piccoli agricoltori e latifondisti, devastando una terra già devastata dal dominio criminale. A Rosarno ci sono una ventina di ’ndrine, è cosa nota, com’è noto che la famiglia Pesce, la cosca più potente, ha pagato l’impianto di condizionamento della chiesa parrocchiale.

Le cosche si sono arricchite col traffico di droga e armi, hanno reinvestito in attività immobiliari e finanza, e sono diventate i nuovi baroni, comprando terre a prezzi imposti grazie alla forza e alle minacce, e gestendo il mercato degli agrumi. Questo predominio ha determinato una crisi economica generalizzata sul territorio, e perciò si rende necessaria una manodopera servile e sottopagata come quella dei braccianti africani. Come il liberiano Michael, che avevo incontrato anche nelle campagne foggiane: sì, perché la grande maggioranza di questi ragazzi africani non risiede a Rosarno, ma dimora lì solo per il tempo della raccolta. Per il resto, si muove nel circuito degli stagionali, e dunque i pomodori in Puglia, le patate in Sicilia, e la base in Campania (dove Castelvolturno è la capitale residenziale, per così dire).

Alcuni cittadini di Rosarno dicono che non vogliono più immigrati, adesso. Non si interrogano però su quello che gli immigrati hanno fatto servilmente per l’economia della loro zona in tutti questi anni, che si è sostenuta sulle loro spalle, le loro schiene, le loro braccia, la loro miseria. (Del resto ce ne serviamo tutti di quel sudore, visto che il prezzo basso delle arance che compriamo è dovuto proprio alla manodopera servile). E viene da chiedersi come mai quei rosarnesi non alzino invece la voce contro la ’ndrangheta, e non dicano che è la ’ndrangheta la rovina della loro terra, e che è la ’ndrangheta a dover sparire. Sono vittime anche loro, certo: ma allora perché prendersela con altre vittime ancora più vittime? Ecco, forse dovrebbero prendere esempio proprio dai braccianti immigrati, che - come a Castelvolturno hanno avuto il coraggio di scendere in strada e far sentire a tutti che non ci stanno a subire ancora.❖


Dove lo Stato non c’è

di MARCELLO SORGI (La Stampa, 9/1/2010)

Ha una spiegazione chiarissima - anche se ha provocato un duro scontro con l’opposizione, e aperto una serie di polemiche all’interno della maggioranza - la dichiarazione con cui il ministro dell’Interno Roberto Maroni, di fronte alla rivolta iniziata giovedì sera a Rosarno e proseguita ieri, ha preso posizione contro gli immigrati clandestini, e soltanto in seconda battuta contro la criminalità organizzata che amministra il mercato nero delle braccia.

Come uomo del Nord avvezzo alle reazioni più esasperate dei cittadini contro gli aspetti degradati dell’immigrazione, Maroni ha colto subito che per la prima volta un atteggiamento simile si era diffuso anche al Sud. La novità della gente di Rosarno in piazza per chiedere l’immediato allontanamento dei clandestini in rivolta, la disperazione della ragazza aggredita da una folla impazzita, devono aver convinto il ministro che in questa guerra di poveri erano i calabresi, gli italiani, i primi a dover essere rassicurati.

Di qui la presa di posizione attorno a cui, mentre la rivolta montava, s’è discusso per tutto il giorno. E di qui, in serata - davanti alla recrudescenza di episodi di violenza contro i clandestini e nel timore di uno scontro di tutti contro tutti - la decisione di inviare rinforzi di polizia. In realtà, lo sappiamo bene, quel che è accaduto a Rosarno è la logica conseguenza di una situazione trascurata, e la Calabria è di nuovo per il governo una delle emergenze più gravi. Una regione in cui le autorità locali hanno già confessato pubblicamente varie volte di aver perso il controllo del territorio. E ancora, in cui, nel giro degli ultimi giorni, la magistratura è diventata obiettivo di una serie di attentati (nell’ultimo, filmato da una telecamera, è addirittura una donna a guidare il commando). E dove inoltre il lavoro agricolo, una delle poche risorse esistenti, è regolato dalla legge del più forte, per consentire l’utilizzo di manodopera irregolare in forma di schiavitù.

Se questa è ormai la Calabria, la responsabilità - tutta o in parte - non può però essere scaricata sui clandestini. Che i rivoltosi debbano essere messi in condizione di non offendere e al più presto espulsi dai confini nazionali, non ci piove. E altrettanto che debba essere assicurato ai cittadini di Rosarno il diritto di recuperare la loro tranquillità. Ma il campanello d’allarme della rivolta ha suonato anche per ricordare al governo che la Calabria non può diventare un pezzo d’Italia in cui lo Stato s’arrende. Di qui a martedì, quando si presenterà in Senato per discutere dell’accaduto, Maroni ha tempo di prendere alcune iniziative. E deve farlo proprio perché ha intuito che la stanchezza dei meridionali di Rosarno è ormai vicina a quella dei suoi concittadini del Nord.

Le prime cose indispensabili sono già state fatte ieri per fronteggiare l’emergenza. In secondo luogo sarebbe opportuno il superamento della polemica sulla cittadinanza breve agli immigrati, che ha ripreso a tormentare il centrodestra. Poiché non è questo il problema all’ordine del giorno, non è il caso di far confusione.

Infine, su due punti, ci si aspetterebbe che il governo intervenisse con la stessa risolutezza con cui s’è mosso negli ultimi tempi nella lotta alla mafia. Il primo è un giro di vite necessario contro la ’ndrangheta e la criminalità organizzata calabrese, sotto qualsiasi forma si presenti. L’altro riguarda il vergognoso mercato delle braccia, su cui finora è calato un velo complice di distrazione. Per evitare, si dice - anche se non si capisce - di danneggiare l’economia sommersa del Sud. In tre giorni, è difficile che si possa avere qualche effetto concreto. Ma dopo anni di colpevole tolleranza, e in una situazione giunta al collasso, anche una seria intenzione sarebbe un passo avanti.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

A San Giovanni in Fiore catena umana per l’Abbazia e la Legalità

CLANDESTINI. I DESTINI DEGLI ITALIANI E DELLE ITALIANE, NELLE MANI DEI CLAN ASSOCIATI DI MAMMASANTISSIMA E MAMMONA ("CARITAS"). Una nota di Paolo Farinella, prete

Scaricabile gratis "La società sparente", libro su De Magistris e l’oscura Catanzaro, la corruzione in Calabria, ’ndrangheta, politica e massoneria deviata.

CALABRIA. LOCRI: IL SEGRETO DEL VATICANO E DI PULCINELLA. Ormai il trasferimento di mons. Bregantini e’ certo.

CALABRIA. MONS. BREGANTINI E’ STATO TRASFERITO: LA NOSTRA BANDIERA NON C’E’ PIU’! "IO RESTO IN CALABRIA": FILIPPO CALLIPO, L’EX PRESIDENTE DELLA CONFINDUSTRIA, ESORTA ALLO SCIOPERO DELLA MESSA

CHIESA: MAGISTERO SENZA GRAZIA ("CHARIS").

GIOACCHINO DA FIORE E LA CHIESA CATTOLICA. Lettera del cardinale Angelo Sodano, in occasione dell’VIII centenario (2002) della morte dell’Abate

Calabria, restauro dell’Abbazia florense: tra "Pinocchio" e il silenzio assordante


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