Expo, perché non porterei i miei alunni
di Alex Corlazzoli*
Expo sì, Expo no. Alla fine ci sono andato (a moderare un dibattito) e mi sono convinto che non porterei mai una classe di ragazzi all’Esposizione mondiale, la Gardaland di Milano. Chi fa il maestro ha il dovere di chiedersi: cosa voglio insegnare ai ragazzi? Come voglio parlare loro del cibo, della terra, dell’aria? Vogliamo dire la verità ai futuri cittadini o mostrare loro una cartolina patinata del mondo? Ecco, se quest’ultima è la vostra intenzione, allora potete andare a visitare Expo 2015. Troverete un grande gioco: potrete timbrare il vostro “falso” passaporto (5 euro a documento) ad ogni Paese che visitate; divertirvi a fare l’henné sulle mani grazie alle donne ugandesi o della Mauritania; saltare sulle reti elastiche del padiglione del Brasile; fare fotografie seduti in una finta tenda berbera; realizzare il vostro menù greco preferito; scrivere il vostro nome con i chicchi di caffè o comprare braccialetti ricordo fatti con i semi.
Ma non chiedetevi chi lavora quel caffè; non domandatevi quanti pozzi sono stati distrutti nei terreni dei territori occupati della Palestina; non azzardatevi a capire chi lavora nei campi del Mozambico o del Burundi; non iniziate a farvi domande sui landgrabbing, i ladri di terra. Expo non è il posto dove farvi questi interrogativi e nemmeno dove trovare risposte.
Girando tra i padiglioni dell’esposizione ho avuto la sensazione di aver fatto qualche errore: forse ho sbagliato, durante le lezioni di scienze, a raccontare ai miei ragazzi che il consumo giornaliero di acqua in Africa è di 30 litri rispetto ai 237 in Italia. Probabilmente ho raccontato una frottola quando ho parlato loro dei conflitti per l’oro blu. Devo aver letto male i dati sul Kenya dove il benessere di pochi (2%), è pagato con la miseria di molti (circa il 50% della popolazione vive sotto il livello di povertà).
Devo aver visto un altro film finora perché ad Expo non ho trovato una sola riga, una sola informazione che raccontasse alle migliaia di persone che passano in quei padiglioni, il dramma che vivono le popolazioni africane.
Sono partito dalla Palestina: non un’immagine, una riga, una fotografia dell’occupazione. Ho chiesto come mai e mi è stato risposto che “non era opportuno”. Ho pensato che la scarsità di informazioni riguardasse solo quel Paese.
Ho provato ad entrare negli spazi dell’Eritrea, della Giordania, della Mauritania: nulla di più che una sorta di mercatino dei prodotti locali, qualche bandiera, poche fotografie. Zero informazioni. Ho pensato che fosse impossibile ma nemmeno in Algeria ho trovato qualche spiegazione se non una bella esposizione di vasellame e di abiti tradizionali. Mai un solo cenno ai problemi di un Paese. A Expo il mondo è tutto bello: l’importante è non sapere.
Non ho imparato nulla visitando il padiglione del Burundi, del Ruanda, dell’Uganda. Nello Yemen hanno persino tentato, come in ogni mercato, di vendermi tre braccialetti con la tecnica dei venditori di strada: “Provali. Quale ti piace? Ti facciamo uno sconto”. Eppure i bambini e i ragazzi che lavorano nelle piantagioni di cacao africane sarebbero, secondo alcune stime, più di 200mila di età compresa tra i cinque e i quindici anni, vittime di una vera e propria “tratta”. L’ Unicef ricorda che 150 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni nei Paesi in via di sviluppo, circa il 16% di tutti i bambini e i ragazzi in quella fascia di età, sono coinvolti nel lavoro minorile.
A citare i problemi della terra ci ha pensato il Vaticano, presente ad Expo: 330 metri quadrati per dire ai cittadini attraverso una mostra fotografica e un tavolo interattivo che esiste il problema della sete, dell’ingiustizia, della fame. Tutto per slogan, nulla di più. E’ a quel punto che mi è venuta una curiosità, alla fine della rapida spiegazione dell’addetto della Santa Sede: “Scusi, quanto è costata la realizzazione?”. Risposta: “Mi dispiace non lo so”. Cerco la risposta via Twitter all’account del Vaticano (@ExpoSantaSede) che mi rimanda ad un articolo che parla della “sobrietà del padiglione”, secondo le parole del cardinale Gianfranco Ravasi.
Viene da fare due conti: un’organizzazione italiana mi ha riferito di aver speso per partecipare a Expo (per organizzare eventi, padiglione, personale) circa 700 mila euro. E il Vaticano quanto avrà sborsato per dire che c’è la fame, la sete e l’ingiustizia? 3 milioni di euro equamente ripartiti tra Santa Sede, Cei, Diocesi di Milano e Cattolica Assicurazioni che ha offerto il suo contributo per l’allestimento delle opere d’arte.
Alle 21, stop. Ho deciso: meglio non portare i bambini a Expo. Che capirebbero del cibo, dello spreco, delle risorse?
Un solo consiglio: se proprio ci andate, vale la pena visitare il padiglione zero e quelli della Svizzera e dei Brunei. Naturalmente non li ho visti tutti, potrebbero essercene altri all’altezza di quest’ultimi. E non ho nemmeno timbrato il passaporto.
Un’ultima osservazione: non cercate un’edicola o una libreria (magari dedicata al cibo) a Expo. In una giornata non le ho trovate. Se le avete viste avvisatemi.
Infine due curiosità. La prima: andata e ritorno Treviglio - Milano Expo con Trenitalia è gratis, nessuno è passato a controllarmi il biglietto. La seconda: arrivato ai tornelli mi sono trovato di fronte delle file chilometriche.
Avendo un appuntamento alle 10,30 ho tentato di passare attraverso il passaggio dei media pur non avendo l’accredito ma solo un regolare biglietto. Nessun problema: nessuno ha badato al fatto che avessi o meno il pass. Un abito elegante e una borsa d’ufficio ed è fatta. Fila evitata.
* Giornalista, ma prima di tutto maestro, è autore di alcuni libri, tra cui Ragazzi di Paolo (Ega 2002), Riprendiamoci la scuola (Altreconomia) e Gita in pianura (Laterza). Da diversi anni promuove NonSoloACrema: un programma di appuntamenti con gli autori per portare la cultura anche in campagna, nei più paesi più piccoli. L’articolo di questa pagina è apparso anche su un blog de ilfattoquotidiano.it e qui con il consenso dell’autore.
* Comune-Info, 14 settembre 2015
APPUNTI SUL TEMA:
In gita ad Expo, i bambini dicono no
di G. Monaca e L. Prinzivalli (Comune-info, 23 settembre 2015)
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Al Consiglio del 5 Circolo didattico di Asti
Ci sono milioni di persone il cui pasto è legato ad un filo... per loro mangiare è sempre un terno al lotto:
mangiano se trovano cibo in un cassonetto
mangiano se il padrone decide di pagarli quel giorno
mangiano se trovano una pozzanghera da cui attingere l’acqua
mangiano se arriva l’elicottero che consegna aiuti umanitari
mangiano se ... decidiamo di lasciar loro un po’ del nostro superfluo.
Con questa breve lettera intendiamo motivare pubblicamentele le motivazioni per le quali la classe 4C della Scuola Primaria Rio Crosio di Asti, nell’anno scolastico 2015/2016 non andrà a visitare Expo 2015.
Per rinunciare un po’ al nostro superfluo.
Perché non si può dire di voler promuovere l’attività agricola ed ilvalore del suolo fertile cementificando un’enorme superficie fertile come quella sulla quale sono stati costruiti i padiglioni fieristici, impermeabilizzando ed inquinando acqua e suolo.
Perché una manifestazione che si prefigge di nutrire il pianeta in modo sano, non può farlo commercializzando al contempo bevande e alimenti che causano obesità, che impongono condizioni di lavoro disumane per chi le produce ed alimenti che al loro interno utilizzano ingredienti di scarsissimo valore nutrizionale (leggi anche Il vostro cibo ndr).
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Perché non si può dire di voler ridurre la denutrizione causata dalla povertà, spendendo 1 miliardo e 300 milioni di euro (almeno) di soldi pubblici, per strutture che servono al massimo un anno.
D’altro canto, una visita ai padiglioni sarebbe certamente un’esperienza mozzafiato, non neghiamo che i professionisti della comunicazione pubblicitaria e multimediale, le aziende e i governi abbiano messo in atto tutte le tecniche più raffinate per attrarre visitatori, captandone il gradimento e la benevolenza.
Ne abbiamo parlato in classe, valutando insieme ai bambini i pro ed i contro, i nostri alunni hanno definito incoerente questo sistema, che spende miliardi per promettere soluzioni, ma non risolve anzi aggrava i problemi; non intendiamo dunque sottoporli ad un bombardamento diseducativo di stimoli nefasti e nefandi.
La scuola deve trovare voglia, forza e coraggio per proporre modelli alternativi e non allinearsi alle logiche del “neutralismo” che finiscono sempre per affidare i bambini e i ragazzi alle grinfie dei poteri forti.
Il nostro compito come maestri è di affiancarli, aiutandoli ad aprire gli occhi ed orientarsi senza nascondere il bello ed il giusto, maaltrettanto mostrando l’incoerente e l’ingiusto.
La scuola deve fornire ai bambini occhiali con lenti per vedere bene da vicino e da lontano: a loro il piacere, di volgere lo sguardo in ogni direzione e con il loro talento, la loro sensibilità e gli strumenti intellettivi che il sistema educativo avrà fornito loro, formarsi la propria idea, scegliere la propria strada.
Certo non dobbiamo dir loro cosa pensare, ma stimolarli a raccogliere informazioni, ad essere curiosi, informarsi su ogni argomento, ad operare insieme a loro scelte forti, che li rendano consapevoli che percorrere una strada con coerenza, ne preclude altre, magari più battute e meglio illuminate, ma che non conducono alle destinazioni desiderate.
Ringraziando per l’attenzione chiediamo che queste nostre contrarietà vengano conservate tra gli atti scolastici inerenti le gite d’istruzione.
maestra Lina e maestro Giampiero
Expo 2015 si sposa bene con la “Buona Scuola”. Da docente ho provato le stesse inquietudini ... *
Corlazzoli non solo ha ben descritto l’incredulità del visitatore attento alle tematiche sociali connesse alla produzione del cibo, qualora visitasse Expo 2015, ma anche le difficoltà di stimolare il senso critico e la responsabilità degli alunni a causa della contrapposizione tra il mondo reale, che il docente cerca di far conoscere, ed un altro ipotetico, autoreferenziale e schizofrenico creato ad arte dalla politica connivente.
Il rischio di partecipare a tali eventi, per chi si occupa di formazione e di educazione operando in un contesto, la scuola, in cui la contrapposizione è resa ancor più esplicita, è quello di trasformare inconsapevolmente la funzione pedagogica e informativa della comunicazione in funzione conativa.
Da docente ho provato le stesse inquietudini del Corlazzoli di fronte alle terribili omissioni di informazioni di Expo e un senso di disgusto per la fallacia dell’intero evento; di riflesso mi sono chiesto se la funzione che svolgo, fagocitata dal contrasto tra reale e ipotetico, non si stia trasformando in quella dell’informatore tout court. E’ difficile non porsi delle domande quando si ha coscienza di ciò che accade intorno.
“Nutrire il pianeta, energia per la vita” questo il tema dell’esposizione universale che dovrebbe far “riflettere e confrontarsi sui diversi tentativi di trovare soluzioni alle contraddizioni del nostro mondo”. Ci si aspetterebbe, da un evento di tale portata, una panoramica completa sul cibo, che oltre a presentare la varietà di prodotti e culture alimentari espliciti le relazioni tra i processi produttivi e i risvolti sociali, ambientali ed economici sui vari paesi del mondo.
Ci si aspetterebbe un percorso tematico capace di spostare l’attenzione del visitatore dalle spettacolari architetture dei padiglioni alla coscienza personale, per suscitare almeno qualche considerazione sul proprio stile di vita in relazione, per esempio, alla salute, alla fame o all’impiego dei bambini per raccogliere i fiori di zafferano. Sono questi i temi di cui, da docente, avrei voluto discutere con gli alunni ricollegandomi all’Esposizione Universale, ma che purtroppo ho trattato senza poter fare alcun riferimento all’importante evento. Si prova un senso di amarezza quando ci si sente “presi per il naso”!
Expo 2015 si presenta come un colossale business a partire dagli scandalosi prezzi del biglietto, del parcheggio e dei punti di ristoro targati Eataly; OGM, agricoltura industriale, deforestamento, lavoro minorile, sono concetti assenti perchè non in linea con la realtà edulcorata presentata dalla mostra. Non ci si può fare un’idea delle problematiche, purtroppo drammatiche, connesse alla produzione e alla distribuzione del cibo visitando Expo 2015, poiché l’esposizione semplicemente non lo prevede; l’unico padiglione che denuncia fame, guerre, conflitti è quello della Santa Sede, sarà un caso ?
Eventi di tale portata dovrebbero avere - spesso ce l’hanno - almeno una funzione pedagogica, purtroppo si è scelto di prediligere quella conativa, tipica della pubblicità e abilmente celata dal tema dell’Esposizione, il fine è sempre lo stesso: il profitto.
“Continuiamo a nutrirci a spese di altri”, questo dovrebbe essere il tema di Expo 2015.
Expo 2015 si sposa bene con la “Buona Scuola”, una riforma insipida che porta in sé i semi di una trasformazione verso il profitto mediante la creazione di un mercato dell’istruzione. Anche in questo caso penso sia abbastanza evidente il medesimo ed ingannevole schema: sostituire la realtà con la fiction, sostenendo la verità e la bontà di quest’ultima. Purtroppo la regia è sempre la stessa, anche se travestita ora da Forza Italia ora da PD, due facce della stessa medaglia.
Il tentativo delle menti poco brillanti che hanno organizzato l’Esposizione Universale sembra essere (e nei fatti lo è) quello di contrastare il pensiero critico, la capacità di riflessione e tentare di allontanare il più possibile il momento del risveglio delle coscienze che determinerà, loro malgrado e per sempre, la fine della fiction.
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Antonio C., docente di scuola primaria
SCUOLA: COMUNICAZIONE, INSEGNAMENTO, E COSTITUZIONE. Una risposta ad una mail
La scuola buona di Esselunga e Coop
di Pietro Ratto (Comune-info, 16 settemre 2015 - ripresa parziale)
Scatolette ammaccate, pacchi e pacchetti sgualciti, banane sempre un po’ verdastre, pomodori sospettosamente rubicondi, verniciati di fresco... Sfilano tutti così, davanti ai miei occhi, spintonandosi l’un l’altro, tutti i prodotti variopinti e chiassosi che mi sono trascinato fin sul nastro trasportatore. Che inesorabile, li spinge dritti dritti nelle sapienti mani dell’annoiata cassiera di turno, ad uno ad uno marchiati da un inesorabile beep. Ha la tessera? Servono sacchetti? Due. Anzi: tre, grazie! La solita routine della spesa al supermercato, insomma..
Poi, improvvisa, fa il suo ingresso la “novità”. Voce impostata, finta cortesia da vero commerciante: ecco i buoni! Li consegni pure alla segreteria della scuola di suo figlio. Serviranno a comprare le attrezzature didattiche necessarie..
E così, come per magia, le lavagne e i registri, le apparecchiature per i laboratori, i computer.. tutte le cose di cui, da tanti anni, soffriamo la mancanza, ora compariranno magicamente nelle nostre aule. Pagate dal mio affezionato supermercato!
Lo sapevo già, è inutile fingere.. Nell’ultimo collegio docenti, a giugno, un dirigente scolastico insolitamente imbarazzato aveva accennato all’eventualità di avvalersi di questi finanziamenti privati. La risposta di molti insegnanti, però, si era rivelata ancora più sconvolgente della sua timida proposta, superando ogni sua aspettativa: ma perché mai abbiamo aspettato finora?
Mia moglie li afferra un po’ incerta, li ficca rapidamente in borsa guardandomi con serietà. Sa fin troppo bene, lei, cosa penso di tutta ‘sta storia. Perché in effetti, c’è poco da dire. Possibile che nessuno si renda conto del pericolo che incombe? Che nessuno intuisca come queste aziende, che ormai così prepotentemente entrano in settori pubblici “delicati” come quelli della Sanità o della Scuola, costituiscano un rischio enorme per quel che resta della nostra democrazia, per le pari opportunità e la libertà delle persone? I signori X fanno più spesa dei genitori di Y perché se lo possono permettere. Dunque, contribuiscono di più al miglioramento della scuola. Trattatemelo bene, il loro figliolo! Con un occhio di riguardo, mi raccomando! Se il nostro istituto adesso ha un laboratorio di Scienze, è più merito loro, che dei signori Y, che - da pezzenti - si servono al Discount. No? Possibile che non ci si chieda cosa spinga Coop o Esselunga a finanziare le scuole? Quali obiettivi di profitto? E con quali soldi? Non vien da pensare che quei buoni scuola saltino fuori da un generalizzato ritocco all’insù dei prezzi? Non vien da riflettere sul fatto che, quindi, le nostre scuole le si stia ristrutturando noi, da bravi “cittadini-consumatori”? Con tutte le tasse che paghiamo per godere di un servizio pubblico “gratuito”, con tutti i ticket sanitari che aumentano di giorno in giorno, con le centinaia di euro di contributo volontario obbligatorio che siamo subdolamente costretti a pagare quando iscriviamo a scuola i nostri figli, con tutto ciò, voglio dire, le nostre aule e i nostri ospedali li stiamo rattoppando coi soldi che ogni giorno spendiamo, facendo la spesa. No?
Li sento già, tutti quanti, gridare al complottista.. Ma che problema c’è? Non è stato proprio il Ministero a dichiarare che i soldi pubblici non basteranno mai a provvedere al fabbisogno della scuola? E allora meno male che ci pensa la Coop, no? coop per la scuola
La campagna della Coop, immagine tratta da http://4.bp.blogspot.com/
Siamo davvero sicuri che i soldi privati facciano così bene al “pubblico” ed alla collettività? Qualche settimana fa mi sono avventurato nella lettura di The China Study. Dirompente, impressionante! Uno studio capillare, monumentale, fondato su decine di migliaia di dati empirici, che dimostra come le proteine animali in eccesso (a differenza di quelle vegetali) possano esercitare un ruolo determinante nella proliferazione dei tumori. Dieta vegana, ecco l’unica vera, efficace risposta. E non solo al tumore: al diabete, alle malattie auto-immuni, alle cardiopatie, alla leucemia.. Colin Campbell, lo scienziato che così diligentemente, così coraggiosamente, ha condotto gli studi di cui parla nel suo importante saggio, si dilunga proprio sull’influenza che, in America, le case farmaceutiche e le aziende alimentari esercitano sulla ricerca scientifica, sulla formazione dei medici e l’educazione alimentare e sanitaria dei cittadini, sulle teorie nutrizioniste a cui la gente quotidianamente si affida. Risultato? Tutte le sue ricerche boicottate alla grande, a fronte di un continuo lavaggio del cervello dell’opinione pubblica: la carne fa bene, il latte fa bene, una dieta esclusivamente vegetariana non è sufficiente al nostro fabbisogno quotidiano, ecc. La teoria Campbell, insomma, non fa bene. Soprattutto ai bilanci delle multinazionali. Non fa bene a Coca-Cola, a Nestlè, a Mac Donald, ai grandi produttori di carne..
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E’ davvero tutta una questione made in USA?
Il 30 marzo scorso Fabio Volo, a Radio Deejay, proprio citando Campbell ha avuto l’ardire di sostenere: il latte fa male. Ha detto proprio così, Volo, collegando il consumo di caseina alla progressione del cancro, così come Campbell sostiene. Ebbene, in men che non si dica si è trovato addosso il Presidente di Assolatte Giuseppe Ambrosi, che ha minacciato querele milionarie alla direzione, con conseguente dietrofront dello stesso dj: Ambrosi, ti prego, ho un bimbo di un anno e mezzo, una donna incinta, ci ho messo tanto a comprare quella casetta... ti do la possibilità di chiamare qui in diretta, così non solo rettifico che non è vero che il latte fa male, ma tu puoi intervenire e mi insegni anche qualcosa..
Come vanno, allora, le cose da noi? Come funziona l’educazione alimentare nelle nostre scuole? Chi sta dietro la cosiddetta Educazione alla Salute da qualche anno così in voga nei nostri istituti pubblici?
Ebbene, sappiate che in prima linea nell’educazione scolastica ad una sana alimentazione risulta esserci una Fondazione chiamata Food Education Italy. Nel 2011, istituendo il Comitato Tecnico Scientifico Scuola e Cibo, il MIUR ha di fatto affidato a questo gruppo, affiancato da altri esperti, l’Educazione alimentare nella Scuola statale. All’interno del Comitato Scuola e Cibo possiamo trovare noti nutrizionisti, a cominciare dalla Presidente FEI Evelina Flachi, docente di Nutrizione per il benessere all’Università di Milano, nonché partecipante al “Tavolo dell’Educazione Alimentare“ della CARTA DI MILANO per EXPO (avevate qualche dubbio?) e membro del Tavolo EXPO SALUTE e del Tavolo EXPO AGROALIMENTARE. Ma tra un tavolo e l’altro, si muovono anche imprenditori come Riccardo Garosci, Forza Italia, già consigliere delegato di Federdistribuzione (nel cui comitato esecutivo spiccano, tra gli altri, marchi come Carrefour, Bennet, Pam, Selex, Esselunga e Auchan), attuale presidente della Commissione ministeriale per l’educazione scolastica alimentare, sì, ma anche ai vertici - così come tutta la sua potente famiglia, un tempo titolare dei supermercati VèGè, poi venduti a Carrefour - della Casa editrice Largo Consumo (ex Cash and Carry), che pubblica l’omonima rivista di alimentazione. Troppi interessi in gioco, pensate? Che dire allora di Giorgio Antonio Arturo Donegani, che di Food Education Italy è l’ex presidente, ma che attualmente è membro dell’Osservatorio Nestlé (la Nestlè, sì: proprio lei; quella delle ripetute infrazioni al codice alimentare dell’OMS, quella che nel 2002 ha addirittura fatto causa all’Etiopia, uno dei Paesi più poveri del mondo, chiedendo un risarcimento di 6 milioni di dollari), nonché del comitato scientifico di Wise Society, magazine diretto dall’editrice Antonella Di Leo, proprietaria di Life Solutions Wisdom ma anche ex direttore marketing della Edilnord (sì, avete capito bene: la mitica società immobiliare di Berlusconi!), attualmente alla guida del settore marketing del Gruppo Paolo Berlusconi* e già account supervisor di Livraghi, Ogilvy & Mother, una tra le più grandi agenzie pubblicitarie del mondo, che tra i suoi clienti vanta (ma dai?) Coca-Cola e Nestlé.
E’ questo, insomma, il Comitato scientifico che dovrebbe insegnare ai nostri ragazzi, in maniera “indipendente”, il corretto modo di alimentarsi? Certo, vi fanno capolino autorevoli esperti come il nutrizionista Paolo Paganelli, ma anche nomi di studiosi forse un po’ meno “disinteressati”, come Cristiano Federico Sandels Navarro, professore universitario ma anche project & business manager presso il Gruppo Gate14 (che si occupa anche di ristorazione), di proprietà dell’imprenditore Mauro Cervini, il quale, tra i molti incarichi, ricopre anche quello di amministratore delegato del Gruppo Montenegro (in mano alla potente Simonetta Seragnoli), che oltre a produrre il noto amaro, controlla Brandy Vecchia Romagna, Olio Cuore, Camomilla Bonomelli, Thé Infré, Polenta Valsugana, Pizza Catarì, Spezie ed Erbe Aromatiche Cannamela. E c’è Francesco Leonardi, dietista ma anche membro del CdA di ADI Onlus, società legata a doppio filo (e ci risiamo) con l’Osservatorio Nestlè. O la partecipante onoraria Anna di Vittorio, insegnante e ricercatrice, ma anche scrittrice di un sacco di testi sull’alimentazione rigorosamente editi dalla Coop. Libri come: Educazione al consumo consapevole: le proposte Coop, uscito nel 1998. Per non parlare di chi figura tra i “Donors” della nostra FEI. Come non notare, ad esempio, la presenza dell’Abbott Laboratories, il colosso farmaceutico di Chicago che ha sedi e stabilimenti in tutti i continenti e che tre anni fa è finito alla sbarra, costretto a sborsare 1,6 miliardi di dollari (comunque non più del 4% del suo bilancio annuale), per aver commercializzato l’antiepilettico Depakote, risultato poco efficace ma, soprattutto, rischioso per la salute?
I soldi privati nella cosa pubblica? Un problema enorme, altroché! Perché mai uno Stato sovrano (ma è proprio questo il punto, no?) dovrebbe delegare alle multinazionali il finanziamento della sua Istruzione o della sua Sanità? Perché non può sovvenzionare direttamente questi delicati settori? (Come dite? “Perché dovrebbe poter esercitare una sovranità sulla propria moneta”?.. Bingo! L’hanno studiata bene, la cosa, no?) Perché uno Stato non può avvalersi di studiosi indipendenti (nutrizionisti, dietisti, ricercatori, scienziati..), svincolati da qualunque contratto o interesse economico nei confronti di aziende private? Un’industria deve far profitti, no? Anche a costo della salute, della verità scientifica, dell’autonomia della ricerca e dell’insegnamento.. Sarà mica per questo che anche i nostri ospedali, le nostre scuole, sono ormai Aziende? Il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi, Roma, 03 settembre 2014. ANSA/ANGELO CARCONI
Il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini
Ma torniamo ancora alla nostra FEI, al Comitato Scuola e Cibo e all’Educazione alimentare a scuola.
Ecco: i protocolli d’intesa, per esempio.. Vediamo un po’.. Ne sono stati firmati molti, per la questione dell’educazione alimentare a scuola, in questi anni.. Con la Coop (l’ultimo nel 2010, siglato dalla Gelmini, ministro di un governo che diceva peste e corna di quelle Coop con cui, evidentemente, non disdegnava fare accordi); con Confindustria, con Expo 2015, con Barilla (ma daiii!).. Ma nel 2011, quando nascono le Linee guida per l’Educazione alimentare nella scuola italiana, con chi lo stipula il protocollo d’intesa la Gelmini, per dare il via al suo Progetto Scuola e Cibo? Ma con Federalimentare, no? Quella presieduta da Luigi Pio Scordamaglia, amministratore delegato di INALCA, società leader in Europa nel settore delle carni bovine (fatturato da 1,3 miliardi di euro) di proprietà del Gruppo Cremonini, nonché vicepresidente di Assocarni e membro del Consiglio di Amministrazione dell’IMS, l’Associazione Mondiale della Carne. Scordamaglia, manco a dirlo, è stato anche consigliere del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali per quanto attiene le politiche agroindustriali, con i ministri Gianni Alemanno, Paolo De Castro e Luca Zaia. E che tipo di consigli poteva dare costui ai vari ministri? Incentivare la produzione di soia?
Detta di passaggio, oltre che Federalimentare quel protocollo coinvolge anche Assolatte (il cui presidente, come abbiamo visto, è quel signore pronto a denunciare chiunque sostenga che il latte fa male), Assobibe, Aidepi, Assocarni..
Un bel pasticciaccio, insomma. L’apoteosi del conflitto d’interessi. E noi lì ad aspettar per anni che risolvessero il problema Berlusconi premier/Berlusconi imprenditore?! Ma questi ci sguazzano, ormai, in roba di questo tipo!
Nel suo The China Study Campbell spiega chiaramente come, nel corso delle sue sperimentazioni, egli abbia riscontrato che le proteine animali (presenti nella carne, nelle uova, nei formaggi..), possono essere usate come una specie di interruttore: le inserisci nella dieta e il tumore avanza; le sospendi e il tumore si arresta. E, in molti casi, recede. Ora, mi chiedo: cosa se ne fa, uno Scordamaglia, di un tipo come Campbell, a parte una bella porzione di carne tritata all’albese? Come possiamo aspettarci che una ricerca come quella dello scomodo scienziato americano (che, per inciso, si avvale di una caterva di studi precedenti in perfetta linea con quanto sostiene), possa anche solo esser presa in considerazione da associazioni ed aziende come quelle a cui il MIUR si affida per educare i nostri ragazzi ad una giusta alimentazione? Come potrebbe essere vagliata in modo scientifico e indipendente, da questi signori, l’opportunità di insegnare ai nostri figli a consumare meno carne, latte e formaggi, qualora Campbell avesse davvero ragione? E che speranza abbiamo di veder soddisfatto il nostro diritto di capire, chiaramente e incontrovertibilmente, se studiosi come lui abbiano ragione oppure no? Il nostro diritto a non ammalarci, accidenti! Chi ci può aiutare davvero a comprendere, insomma, quale sia l’alimentazione più corretta e sana da adottare per noi e per i nostri figli, se ad insegnarlo a scuola sono proprio quegli stessi individui che con il cibo - soprattutto certo cibo - costruiscono i loro giganteschi imperi finanziari?
Abbiamo ancora una possibilità di accedere alla verità, nell’era dell’informazione?
Sulla pericolosa commistione di pubblico e privato nell’Istruzione pubblica italiana, cfr. anche Pietro Ratto, Questa Buona Scuola s’ha da fare, nella Bottega del Barbieri, per la quale è stato scritto anche l’articolo pubblicato qui sopra - naturalmente con il consenso dell’autore - con il titolo: “Quel che mi fai mangiare, mica me lo dai da bere”. Qui, tutti gli altri scritti di Pietro Ratto “in Bottega”.
Questa Buona Scuola s’ha da fare
(...perché dove c’è Barilla, c’è scuola)
di Pietro Ratto *
Come mai la Buona Scuola di Renzi non incontra ostacoli? Come mai vola incontrastata, superando qualsiasi prova e qualsiasi protesta? Perché scavalca senza indugio le caterve di docenti, di genitori e studenti che, proprio in questi giorni, continuano a manifestare il proprio dissenso nei confronti di questa pericolosa riforma, che pare studiata apposta per consegnare la scuola pubblica in mano alle banche e alle industrie private?
Chiudete gli occhi e provate a immaginare che ci sia un ente a cui il ministero dell’Istruzione si sia rivolto per ricevere il giusto input in cambio dei giusti finanziamenti. Immaginate, insomma, che il ministro e i suoi collaboratori abbiano attribuito un ruolo di consulenza ad un ente privato capace di esercitare una forte influenza ideologica sul progetto della futura scuola pubblica italiana, così da farne, in qualche maniera, una propria creazione. Immaginate che uno Stato allo sfascio, ostaggio delle banche europee e senza più un centesimo, si tuffi nelle mani di questa potente associazione ottenendo una copertura economica per la sua riforma scolastica e permettendo, in cambio, l’ingresso nel sistema scolastico di tutte quelle logiche aziendali private atte ad assicurare il massimo dei profitti ai soliti noti. Immaginate che di questo misterioso e potente ente facciano parte grandi industriali, sì, ma anche illustri direttori di grandi giornali e di importanti emittenti televisive, così da assicurare il totale consenso della cosiddetta “critica”, nei confronti delle decisioni del governo. Il tutto - ma siamo in Italia, no? Non è nemmeno il caso di sforzare troppo la fantasia - con la benedizione di santa madre Chiesa e della CEI.1
Immaginato? Bene. Adesso apriteli, gli occhi. E sgranateli sulla TREELLLE, un’associazione “no-profit” che ha sede a Genova e che ha giocato e sta giocando un ruolo determinante sulle decisioni del nostro Governo in materia scolastica. Sappiate che questa TREELLLE è stata convocata ripetutamente dal ministero all’Istruzione per far valere il proprio parere su quel progetto Buona Scuola a proposito del quale, invece, le opinioni di sindacati, docenti e studenti sono state - e restano tutt’ora - ignorate.
Sappiate che la TREELLLE, il 10 aprile scorso, si è spinta fino a bacchettare il ministro Giannini, rimproverandola di non aver ancora fatto tutto ciò che l’associazione si aspettava dalla sua equipe.
La TREELLLE, già. Ma di cosa parliamo? Chi sta dietro questo nome? Siete proprio sicuri di volerlo sapere? Ok, allora partiamo.
L’associazione che fornisce le linee guida della Buona Scuola al MIUR è stata fondata da personalità come Umberto Agnelli ed è presieduta da Attilio Oliva, ex presidente di Confindustria, uomo della Moratti e, naturalmente, personaggio vicino a Comunione e Liberazione. La Moratti?, direte. Cosa c’entra un uomo di un ex ministro della Pubblica Istruzione di un governo di destra, in questa Buona scuola tutta “made in PD”?
Beh, sappiate allora che nel direttivo TREELLLE c’è posto anche per altri ex ministri all’Istruzione, come Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro. E che ci sono anche politici di destra come Giuseppe Valditara (Futuro e Libertà), Domenico Fisichella (che ha fondato AN per poi spostarsi nella Margherita) o Enzo Carra (UDC), naturalmente tutti dichiaratamente cattolici. Sul cattolicesimo imperante tra i banchi di scuola, d’altra parte, nessuna sorpresa: alla TREELLLE troviamo Maria Grazia Colombo, ex presidente Associazione Genitori Scuole Cattoliche, alla guida del Comitato Uno di noi del Movimento per la vita ma anche membro del Consiglio Nazionale Scuola Cattolica, a stretto contatto con la CEI. C’è Carlo Dell’Arringa, professore alla Cattolica ed ex presidente ARAN, o il cattolicissimo Giuseppe De Rita - presidente Censis e grande sostenitore della flessibilità - o, ancora, il ministro della Difesa Mario Mauro - anch’egli molto vicino a CL. Scoviamo la docente e politica cattolica Stefania Fuscagni (presidente dell’Opera di Santa Croce di Firenze) e la cattolica Lia Ghisani - presidente di Piuculture, ex Segretario CISL Scuola, ex commissario straordinario ENPALS nonché forte sostenitrice dei finanziamenti alle scuole private. C’è Lucio Guasti, docente all’Università Cattolica ed ex presidente Indire. Ma soprattutto c’è monsignor Vincenzo Zani, arcivescovo di Volturno, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della CEI, nonché sottosegretario della pontificia Congregazione per l’Educazione Cattolica. Sono loro a dettare le linee guida della Buona Scuola statale italiana. Una Buona Scuola che, in perfetta linea con la nostra tradizione, si preannuncia decisamente laica.
D’altronde, proprio a proposito dei finanziamenti all’istruzione privata, la scorsa estate il presidente Oliva ha inequivocabilmente dichiarato: “la scuola italiana è già al 95% in mano allo Stato, un numero che rasenta il monopolio“. Il testo di una barzelletta o il prologo di un dramma?
Tutto ciò non vi stupisce? Beh, tutto sommato, come darvi torto? Allora procediamo... Che ne dite di metterci dentro un po’ di industriali e di banchieri? Altrimenti come facciamo a trovare i soldi per lavagne e laboratori?2 Ecco allora sfilare nomi come quelli di Gina Nieri manager Mediaset; Silvio Fortuna, presidente del colosso dell’arredamento Arclinea; Fedele Confalonieri (sì, avete capito bene, proprio lui: l’arcigno presidente di Mediaset); Fabio Roversi Monaco, accademico, sì, ma anche presidente di Bologna Fiere, di Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna e di SINLOC SpA. Aggiungete Luigi Maramotti, presidente di Max Mara; Gian Carlo Lombardi, alla guida di Federtessile ma anche direttore (non guasta mai, no?) della rivista dell’AGESCI, l’Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani; Pietro Marzotto, ex vicepresidente di Confindustria, ex presidente della Marzotto ed ora al vertice della Fondazione Marzotto e dello storico marchio gastronomico milanese Peck. Infilateci ancora Gian Felice Rocca, presidente del Gruppo Techint, dell’Istituto Clinico Humanitas e di Assolombarda, non a caso considerato l’ottavo uomo più ricco d’Italia, o Guido Barilla (che ha forse bisogno di presentazioni?). Non è sufficiente? Rilanciamo, allora, con profili come quello di Carlo Callieri - ex capo personale Fiat, storico ispiratore della marcia dei Quarantamila, ex presidente Miroglio SPS, tra l’altro indagato a fine 2012 per la vicenda della scissione Snia/Sorin, con l’accusa di bancarotta fraudolenta e falso in bilancio - o di Luigi Abete, ex presidente Confindustria, attuale presidente della Banca Nazionale del Lavoro ed editore di ASCA (naturalmente l’Agenzia Stampa Cattolica Associata). E già che ci siete, non vorrete mica farvi mancare primizie come l’ex ministro Domenico Siniscalco, vicepresidente Morgan Stanley ed ex presidente Assogestioni o come l’immancabile Marco Tronchetti Provera, presidente del Gruppo Pirelli nonché membro italiano della Trilateral Commission (Tre-Elle...Tri-Lateral...)?
Non basta ancora? Vi interessa per caso capire come fa un governo a conquistarsi l’appoggio incondizionato dei media? Beh, basta che la “consulente” no-profit TREELLLE apra le porte ad illustri firme come quella di Marcello Sorgi, ex direttore Tg1 e La Stampa, di cui oggi è editorialista; Antonio Di Rosa, direttore dell’agenzia di stampa LaPresse; Carlo Rossella ex direttore Tg5, La Stampa, Panorama, Tg1 ed attuale collaboratore de Il Foglio; Giuliano Ferrara, che de Il Foglio è stato illustre direttore fino a qualche giorno fa: Sergio Romano, noto editorialista del Corriere della Sera; Ezio Mauro, famoso direttore di Repubblica; Giulio Anselmi, presidente ANSA e Ferruccio de Bortoli, fino a venti giorni fa direttore del Corriere della Sera ed attualmente presidente di Longanesi.
E per finire col botto, ecco a voi i “sostenitori” di questa nostra associazione:
COMPAGNIA DI SAN PAOLO, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI GENOVA E IMPERIA, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI ROMA, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI REGGIO EMILIA, FONDAZIONE MONTE DEI PASCHI DI SIENA.
Avete capito, adesso, perché questa Buona Scuola s’ha da fare?
Perché s’ha da fare. Punto e basta.
1 Cfr. a tal proposito i seguenti articoli di Pietro Ratto: Santa Romana Scuola, Le vere finalità dell’Autonomia scolastica e le otto mosse per raggiungerle e Una vita da Precario (qui in “bottega”), oppure Se Don Bosco dà una mano alla scuola pubblica, su BoscoCeduo.it e Una Chiesa a tutti i costi (capitolo: Il caso INValSI), su IN-CONTRO/STORIA.
2 Cfr. anche P. Ratto, Una Scuola Buona solo a far soldi, su BoscoCeduo.it oppure P. Ratto, Il sorpasso, qui in “bottega”.
Pietro Ratto su Facebook e su Twitter. Qui, tutti i suoi scritti “in Bottega”. Qui, invece, tutti i suoi scritti sulla Scuola, contenuti in BoscoCeduo.it
* Vedi: http://www.labottegadelbarbieri.org/questa-buona-scuola-sha-da-fare/
LA LETTERA DI SANTA CRUZ. IL NOSTRO GRIDO
Noi, organizzazioni sociali riunite nel secondo incontro mondiale dei movimenti popolari, a Santa Cruz de la Sierra, Bolivia, nei giorni 7, 8 e 9 luglio 2015, concordiamo con Papa Francesco sul fatto che la problematica sociale e quella ambientale emergono come due facce della stessa moneta.
Un sistema che non può offrire terra, casa e lavoro a tutti, che mina la pace tra le persone e minaccia la sussistenza stessa della madre terra, non può continuare a reggere il destino del pianeta. Dobbiamo superare un modello sociale, politico, economico e culturale in cui il mercato e il denaro sono divenuti l’asse regolatore dei rapporti umani a tutti i livelli.
Il nostro grido, quello di quanti sono più esclusi ed emarginati, obbliga i potenti a comprendere che così non si può andare avanti. I poveri del mondo si sono sollevati contro l’esclusione sociale che subiscono ogni giorno. Non vogliamo sfruttare né essere sfruttati. Non vogliamo escludere né essere esclusi. Vogliamo costruire uno stile di vita in cui la dignità si levi al di sopra di ogni altra cosa.
Perciò ci impegniamo a:
1.Stimolare e approfondire il processo di cambiamento
Riaffermiamo il nostro impegno nei processi di cambiamento e di liberazione come risultato dell’azione dei popoli organizzati che, a partire dalla loro memoria collettiva, prendono la storia nelle proprie mani e si decidono a trasformarla, per dare vita alle speranze e alle utopie che ci invitano a rivoluzionare le strutture più profonde di oppressione, dominazione, colonizzazione e sfruttamento.
2. Vivere bene in armonia con la madre terra
Continueremo a lottare per difendere e proteggere la Madre Terra, promuovendo l’«ecologia integrale» di cui parla Papa Francesco. Siamo fedeli alla filosofia ancestrale del “vivere bene”, nuovo ordine di vita che propone armonia ed equilibrio nei rapporti tra gli esseri umani e tra questi e la natura.
La terra non ci appartiene, siamo noi ad appartenere alla terra. Dobbiamo prendercene cura e lavorarla a beneficio di tutti. ---Vogliamo norme ambientali in tutti i Paesi in funzione della cura dei beni comuni.
Esigiamo la riparazione storica e un quadro giuridico che tuteli i diritti dei popoli indigeni a livello nazionale e internazionale, promuovendo un dialogo sincero al fine di superare i diversi e molteplici conflitti che attraversano i popoli indigeni, nativi, contadini e afrodiscendenti.
3. Difendere il lavoro dignitoso
Ci impegniamo a lottare per la difesa del lavoro come diritto umano. Con la creazione di fonti di lavoro dignitoso, con il disegno e l’attuazione di politiche che restituiscano tutti i diritti lavorativi eliminati dal capitalismo neoliberale, quali i sistemi di sicurezza sociale e di pensionamento e il diritto alla sindacalizzazione.
Rifiutiamo la precarizzazione e la terziarizzazione e cerchiamo di far sì che si superi l’informalità attraverso l’inclusione, e mai con la persecuzione o la repressione.
Allo stesso tempo, peroriamo la causa dei migranti, degli sfollati e dei rifugiati. Sollecitiamo i Governi dei Paesi ricchi ad abrogare tutte quelle norme che promuovono un trattamento discriminatorio contro di loro e a stabilire forme di regolazione che eliminino il lavoro schiavo, la tratta, il traffico di persone e lo sfruttamento infantile.
Promuoveremo forme alternative di economia, sia nelle aree urbane sia nelle zone rurali. Vogliamo un’economia popolare e sociale comunitaria che tuteli la vita delle comunità e in cui la solidarietà prevalga sul lucro. A tal fine è necessario che i Governi intensifichino gli sforzi emergenti dalle basi sociali.
4. Migliorare i nostri quartieri e costruire abitazioni dignitose
Denunciamo la speculazione e la mercificazione dei terreni e dei beni urbani. Rifiutiamo gli sgomberi forzati, l’esodo rurale e la crescita dei quartieri emarginati. Rifiutiamo ogni tipo di persecuzione giudiziaria contro quanti lottano per una casa per la loro famiglia, perché riteniamo l’abitazione un diritto umano fondamentale, che deve essere di carattere universale.
Esigiamo politiche pubbliche partecipative che garantiscano il diritto all’abitazione, l’integrazione urbana dei quartieri emarginati e l’accesso integrale all’habitat per edificare case in sicurezza e dignità.
5. Difendere la Terra e la sovranità alimentare
Promuoviamo la riforma agraria integrale per distribuire la terra in modo giusto ed equo. Richiamiamo l’attenzione dei popoli sulla nascita di nuove forme di accumulazione e di speculazione della terra e del territorio come merce, legate all’agribusiness, che promuove la monocultura distruggendo la biodiversità, consumando e contaminando l’acqua, spostando popolazioni contadine e utilizzando agrotossici che contaminano gli alimenti.
Riaffermiamo la nostra lotta per l’eliminazione definitiva della fame, la difesa della sovranità alimentare e la produzione di alimenti sani. Allo stesso tempo rifiutiamo con decisione la proprietà privata dei semi da parte di grandi gruppi agro-industriali, come pure l’introduzione di prodotti transgenici in sostituzione di quelli originari, poiché distruggono la riproduzione della vita e la biodiversità, creano dipendenza alimentare e causano effetti irreversibili sulla salute umana e sull’ambiente.
Allo stesso modo, riaffermiamo la difesa delle conoscenze tradizionali dei popoli indigeni sull’agricoltura sostenibile.
6. Costruire la pace e la cultura dell’incontro
Ci impegniamo, a partire dalla vocazione pacifica dei nostri popoli, a intensificare le azioni collettive che garantiscono la pace tra tutte le persone, i popoli, le religioni, le etnie e le culture.
Riaffermiamo la pluralità delle nostre identità culturali e le nostre tradizioni che devono convivere armoniosamente senza che le une sottomettano le altre. Ci leviamo contro la criminalizzazione della nostra lotta, perché stanno criminalizzando le nostre usanze.
Condanniamo ogni tipo di aggressione militare e ci mobilitiamo per la cessazione immediata di tutte le guerre e delle azioni destabilizzanti o i colpi di Stato, che attentano contro la democrazia e la scelta dei popoli liberi. Rifiutiamo l’imperialismo e le nuove forme di colonialismo, siano esse militari, finanziarie o mediatiche. Ci pronunciamo contro l’impunità dei potenti e a favore della libertà dei combattenti sociali.
7. Combattere la discriminazione
Ci impegniamo a lottare contro ogni forma di discriminazione tra gli esseri umani, basate su differenze etniche, colore della pelle, genere, origine, età, religione od orientamento sessuale. Tutti noi, donne e uomini, dobbiamo avere gli stessi diritti. Condanniamo il machismo, qualsiasi forma di violenza contro la donna, in particolare il femminicidio, e gridiamo: Ni una menos! (Non una in meno!).
8. Promuovere la libertà di espressione
Promuoviamo lo sviluppo di media alternativi, popolari e comunitari, di fronte all’avanzata dei monopoli mediatici che occultano la verità. L’accesso all’informazione e la libertà di espressione sono diritti dei popoli e fondamento di qualsiasi società che vuol essere democratica, libera e sovrana.
La protesta è anche una forma legittima di espressione popolare. È un diritto e noi che lo esercitiamo non dobbiamo essere perseguitati per questo.
9. Mettere la scienza e la tecnologia al servizio dei popoli
Ci impegniamo a lottare affinché la scienza e la conoscenza siano utilizzate al servizio del benessere dei popoli. Scienza e conoscenza sono conquiste di tutta l’umanità e non possono essere al servizio del profitto, dello sfruttamento, della manipolazione o dell’accumulazione di ricchezza da parte di alcuni gruppi. Facciamo sì che le università si riempiano di popolo e le loro conoscenze siano volte a risolvere i problemi strutturali più che a generare ricchezze per le grandi corporazioni; a denunciare e a controllare le multinazionali farmaceutiche che, da un lato lucrano con l’espropriazione delle conoscenze millenarie dei popoli nativi e, dall’altro, speculano e generano profitti con la salute di milioni di persone, anteponendo gli affari alla vita.
10. Rifiutiamo il consumismo e difendiamo la solidarietà come progetto di vita
Difendiamo la solidarietà come progetto di vita personale e collettivo. Ci impegniamo a lottare contro l’individualismo, l’ambizione, l’invidia e l’avidità che si annidano nelle nostre società e molte volte in noi stessi. Lavoreremo instancabilmente per sradicare il consumismo e la cultura dello scarto.
Continueremo a lavorare per costruire ponti tra i popoli, che ci permettano di abbattere i muri dell’esclusione e dello sfruttamento!
* Pubblicato il 09/08/2015 da radiomugello
http://www.radiomugello.it/blog/la-lettera-di-santa-cruz/