PELLEGRINO FRA I POPOLI
«Europa, fedele alle tue radici per servire tutta l’umanità»
Rileggendo l’«eredità europea», il Papa ha messo in risalto la sua «tradizione di pensiero», la «corrispondenza sostanziale tra fede, verità e ragione». E ha citato il filosofo Habermas sulla matrice giudaico-cristiana delle idee di libertà e solidarietà
di Benedetto Xvi (Avvenire, 08.09.2007)
Pubblichiamo il testo integrale del discorso tenuto ieri da Benedetto XVI nella Hofburg di Vienna alla presenza del presidente della Repubblica, Heinz Fischer, delle autorità, del corpo diplomatico e di esponenti del mondo della cultura, tra cui i rettori delle università austriache.
Stimatissimo signor Presidente federale, onorevole signor Presidente del Parlamento nazionale, onorevole signor Cancelliere federale, illustri membri del Governo federale, onorevoli deputati del Parlamento nazionale e membri del Senato federale, illustri Presidenti regionali, stimati rappresentanti del Corpo diplomatico, illustri signore e signori! È per me una grande gioia e un onore incontrarmi oggi con lei, signor Presidente federale, con i membri del Governo federale, come anche con i rappresentanti della vita politica e pubblica della Repubblica d’Austria. In questo incontro nella Hofburg si rispecchia il buon rapporto, caratterizzato da fiducia vicendevole, tra il vostro Paese e la Santa Sede. Di questo mi rallegro vivamente. Le relazioni tra la Santa Sede e l’Austria rientrano nel vasto complesso dei rapporti diplomatici, che trovano nella città di Vienna un importante crocevia, perché qui hanno sede anche vari organismi internazionali. Sono lieto della presenza di molti rappresentanti diplomatici, ai quali va il mio deferente saluto. Vi ringrazio, signore e signori Ambasciatori, per la vostra dedizione non solo al servizio dei Paesi che rappresentate e dei loro interessi, ma anche della causa comune della pace e dell’intesa tra i popoli. Questa è la mia prima visita come vescovo di Roma e pastore supremo della Chiesa cattolica universale in questo Paese, che, però, conosco da molto tempo e per numerose visite precedenti. È - permettetemi di dirlo - una gioia per me trovarmi qui. Ho qui molti amici e, come vicino bavarese, il modo di vivere e le tradizioni austriache mi sono del tutto familiari. Il mio grande predecessore di beata memoria, papa Giovanni Paolo II, ha vi sitato l’Austria tre volte. Ogni volta è stato ricevuto dalla gente di questo Paese con grande cordialità, le sue parole sono state ascoltate con attenzione e i suoi viaggi apostolici hanno lasciato le loro tracce.
L’Austria
L’Austria negli ultimi anni e decenni ha registrato successi, che ancora due generazioni fa nessuno avrebbe osato sognare. Il vostro Paese non ha solo vissuto un notevole progresso economico, ma ha sviluppato anche un’esemplare convivenza sociale, di cui il termine «solidarietà sociale» è diventato un sinonimo. Gli austriaci hanno ogni ragione di esserne riconoscenti, e lo manifestano avendo un cuore aperto verso i poveri e gli indigenti nel proprio Paese, ma essendo anche generosi quando si tratta di dimostrare solidarietà in occasione di catastrofi e di disgrazie nel mondo. Le grandi iniziative di Licht ins Dunkel - «Luce nelle tenebre» - prima di Natale e Nachbar in Not - «Vicino nel bisogno» - sono una bella testimonianza di questi sentimenti.
L’Austria e l’ampliamento dell’Europa
Ci troviamo qui in un luogo storico, dal quale per secoli è stato governato un impero che ha unito ampie parti dell’Europa centrale e orientale. Questo luogo e quest’ora offrono un’occasione provvidenziale per fissare lo sguardo sull’intera Europa di oggi. Dopo gli orrori della guerra e le esperienze traumatiche del totalitarismo e della dittatura, l’Europa ha intrapreso il cammino verso un’unità del Continente, tesa ad assicurare un durevole ordine di pace e di giusto sviluppo. La divisione che per decenni ha scisso il Continente in modo doloroso è, sì, superata politicamente, ma l’unità resta ancora in gran parte da realizzare nella mente e nel cuore delle persone. Anche se dopo la caduta della cortina di ferro nel 1989 qualche speranza eccessiva può essere rimasta delusa e su alcuni aspetti si possono sollevare giustificate critiche nei confronti di qualche istituzione europea, il processo di unificazione è comunque un’opera di grande portata che a ques to Continente, prima corroso da continui conflitti e fatali guerre fratricide, ha portato un periodo di pace da tanto tempo sconosciuto. In particolare, per i Paesi dell’Europa centrale e orientale la partecipazione a tale processo è un ulteriore stimolo a consolidare al loro interno la libertà, lo stato di diritto e la democrazia. È doveroso ricordare a tale proposito il contributo che il mio predecessore papa Giovanni Paolo II ha dato a quel processo storico. Pure l’Austria, che si trova al confine tra l’Occidente e l’Oriente di allora ha, come Paese-ponte, contribuito molto a questa unione e ne ha anche - non bisogna dimenticarlo - tratto grande profitto.
L’Europa
La «casa Europa», come amiamo chiamare la comunità di questo Continente, sarà per tutti luogo gradevolmente abitabile solo se verrà costruita su un solido fondamento culturale e morale di valori comuni che traiamo dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni. L’Europa non può e non deve rinnegare le sue radici cristiane. Esse sono una componente dinamica della nostra civiltà per il cammino nel terzo millennio. Il cristianesimo ha profondamente modellato questo Continente: di ciò rendono testimonianza in tutti i Paesi e particolarmente in Austria non solo le moltissime chiese e gli importanti monasteri. La fede ha la sua manifestazione soprattutto nelle innumerevoli persone che essa, nel corso della storia fino ad oggi, ha portato ad una vita di speranza, di amore e di misericordia. Mariazell, il grande Santuario nazionale austriaco, è al contempo un luogo d’incontro per vari popoli europei. È uno di quei luoghi nei quali gli uomini hanno attinto e attingono tuttora la «forza dall’alto» per una retta vita. In questi giorni la testimonianza di fede cristiana al centro dell’Europa viene espressa anche mediante la Terza Assemblea ecumenica europea in Sibiu-Hermannstadt (Romania) posta sotto il motto: «La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e di unità in Europa». Viene spontaneo il ricordo del Katholikentag centro-europeo che nel 2004, sotto il motto «Cristo, speranza dell’Europa», ha radunato tanti credenti a Mariazell! Oggi si parla spesso del modello di vita europeo. Con ciò si intende un ordine sociale che significa efficacia economica con giustizia sociale, pluralità politica con tolleranza, liberalità ed apertura, ma anche conservazione di valori che a questo Continente danno la sua posizione particolare. Questo modello, sotto i condizionamenti dell’economia moderna, si trova davanti ad una grande sfida. La spesso citata globalizzazione non può essere fermata, ma è un compito urgente ed una grande responsabilità della politica quella di dare alla globalizzazione ordinamenti e limiti adatti ad evitare che essa si realizzi a spese dei Paesi più poveri e delle persone povere nei Paesi ricchi e vada a scapito delle generazioni future. Certamente, l’Europa ha vissuto e sofferto anche terribili cammini sbagliati. Ne fanno parte: restringimenti ideologici della filosofia, della scienza ed anche della fede, l’abuso di religione e ragione per scopi imperialistici, la degradazione dell’uomo mediante un materialismo teorico e pratico, ed infine la degenerazione della tolleranza in una indifferenza priva di riferimenti a valori permanenti. Fa però parte delle caratteristiche dell’Europa una capacità di autocritica che, nel vasto panorama delle culture del mondo, la distingue e la qualifica.
La vita
È nell’Europa che, per la prima volta, è stato formulato il concetto di diritti umani. Il diritto umano fondamentale, il presupposto per tutti gli altri diritti, è il diritto alla vita stessa. Ciò vale per la vita dal concepimento sino alla sua fine naturale. L’aborto, di conseguenza, non può essere un diritto umano - è il suo contrario. È una «profonda ferita sociale», come sottolineava senza stancarsi il nostro defunto confratello, il cardinale Franz König. Nel dire questo non esprimiamo un interesse specificamente ecclesiale. Ci facciamo piuttosto avvocati di una richiesta profondamente umana e ci sentiamo portavoce dei nascituri che non hanno voce. Non chiudo gli occhi davanti ai problemi e ai conflitti di molte donne e mi rendo conto che la credibilità del nostro discorso dipende anche da quel che la Chiesa stessa fa per venire in aiuto alle donne in difficoltà. Mi appello quindi ai responsabili della politica, affinché non permettano che i figli vengano considerati come casi di malattia né che la qualifica di ingiustizia attribuita dal vostro ordinamento giuridico all’aborto venga di fatto abolita. Lo dico mosso dalla preoccupazione per i valori umani. Ma questo non è che un lato di ciò che ci preoccupa. L’altro è di fare tutto il possibile per rendere i Paesi europei di nuovo più aperti ad accogliere i bambini. Incoraggiate i giovani, che con il matrimonio fondano nuove famiglie, a divenire madri e padri! Con ciò farete del bene a loro medesimi, ma anche all’intera società. Vi confermiamo anche decisamente nelle vostre premure politiche di favorire condizioni che rendano possibile alle giovani coppie di allevare dei figli. Tutto ciò, però, non gioverà a nulla, se non riusciremo a creare nei nostri Paesi di nuovo un clima di gioia e di fiducia nella vita, in cui i bambini non vengano visti come un peso, ma come un dono per tutti. Una grande preoccupazione costituisce per me anche il dibattito sul cosiddetto «aiuto attivo a morire». C’è da temere che un giorno possa essere esercitata una pressione non dichiarata o anche esplicita sulle persone gravemente malate o anziane, perché chiedano la morte o se la diano da sé. La risposta giusta alla sofferenza alla fine della vita è un’attenzione amorevole, l’accompagnamento verso la morte - in particolare anche con l’aiuto della medicina palliativa - e non un «aiuto attivo a morire». Per affermare un accompagnamento umano verso la morte occorrerebbero però urgentemente delle riforme strutturali in tutti i campi del sistema sanitario e sociale e l’organizzazione d i strutture di assistenza palliativa. Occorrono poi anche passi concreti: nell’accompagnamento psicologico e pastorale delle persone gravemente malate e dei moribondi, dei loro parenti, dei medici e del personale di cura. In questo campo la Hospizbewegung fa delle cose grandiose. Tutto l’insieme di tali compiti, però, non può essere delegato soltanto a loro. Molte altre persone devono essere pronte o essere incoraggiate nella loro disponibilità a non badare a tempo e anche a spese nell’assistenza amorosa dei gravemente malati e dei moribondi.
Il dialogo della ragione
Fa parte dell’eredità europea anche una tradizione di pensiero, per la quale è essenziale una corrispondenza sostanziale tra fede, verità e ragione. Si tratta qui della questione se la ragione stia al principio di tutte le cose e a loro fondamento o no. Si tratta della questione se la realtà abbia alla sua origine il caso e la necessità, se quindi la ragione sia un casuale prodotto secondario dell’irrazionale e nell’oceano dell’irrazionalità, in fin dei conti, sia anche senza un senso, o se invece resti vero ciò che costituisce la convinzione di fondo della fede cristiana: In principio erat Verbum - in principio era il Verbo - all’origine di tutte le cose c’è la Ragione creatrice di Dio che ha deciso di parteciparsi a noi esseri umani. Permettetemi di citare in questo contesto Jürgen Habermas, un filosofo quindi che non aderisce alla fede cristiana: «Per l’autocoscienza normativa del tempo moderno il cristianesimo non è stato soltanto un catalizzatore. L’universalismo egualitario, dal quale sono scaturite le idee di libertà e di convivenza solidale, è un’eredità immediata della giustizia giudaica e dell’etica cristiana dell’amore. Immutata nella sostanza, questa eredità è stata sempre di nuovo fatta propria in modo critico e nuovamente interpretata. A ciò fino ad oggi non esiste alternativa».
I compiti dell’Europa nel mondo
Dall’unicità della sua chiamata deriva, tuttavia, per l’Europa anche un a responsabilità unica nel mondo. A questo riguardo essa innanzitutto non deve rinunciare a se stessa. Il continente che, demograficamente, invecchia in modo rapido non deve diventare un continente spiritualmente vecchio. L’Europa inoltre acquisterà una migliore consapevolezza di se stessa se assumerà una responsabilità nel mondo che corrisponda alla sua singolare tradizione spirituale, alle sue capacità straordinarie e alla sua grande forza economica. L’Unione Europea dovrebbe pertanto assumere un ruolo guida nella lotta contro la povertà nel mondo e nell’impegno a favore della pace. Con gratitudine possiamo constatare che Paesi europei e l’Unione Europea sono tra coloro che maggiormente contribuiscono allo sviluppo internazionale, ma essi dovrebbero anche far valere la loro rilevanza politica di fronte, ad esempio, alle urgentissime sfide poste dall’Africa, alle immani tragedie di quel Continente, quali il flagello dell’Aids, la situazione nel Darfur, l’ingiusto sfruttamento delle risorse naturali e il preoccupante traffico di armi. Così pure l’impegno politico e diplomatico dell’Europa e dei suoi Paesi non può dimenticare la permanente grave situazione del Medio Oriente, dove è necessario il contributo di tutti per favorire la rinuncia alla violenza, il dialogo reciproco e una convivenza veramente pacifica. Deve anche continuare a crescere il rapporto con le Nazioni dell’America latina e con quelle del Continente asiatico, mediante opportuni legami di interscambio.
Conclusione
Stimato signor Presidente federale, illustri signore e signori! L’Austria è un Paese ricco di molte benedizioni: grandi bellezze paesaggistiche che, anno dopo anno, attirano milioni di persone per un soggiorno di riposo; un’inaudita ricchezza culturale, creata e accumulata da molte generazioni; molte persone dotate di talento artistico e di grandi forze creative. Dappertutto si possono vedere le testimonianze delle prestazioni prodotte dalla diligenza e dalle doti della popolazione che lavora. È questo un motivo di gratitudine e di fierezza. Ma certamente l’Austria non è un’«isola felice» e neppure crede di esserlo. L’autocritica fa sempre bene e, senz’altro, è anche diffusa in Austria. Un Paese che ha ricevuto tanto deve anche dare tanto. Può contare molto su se stesso e anche esigere da se stesso una certa responsabilità nei confronti dei Paesi vicini, dell’Europa e del mondo. Molto di ciò che l’Austria è e possiede, lo deve alla fede cristiana e alla sua ricca efficacia sulle persone. La fede ha formato profondamente il carattere di questo Paese e la sua gente. Deve perciò essere nell’interesse di tutti non permettere che un giorno in questo Paese siano forse ormai solo le pietre a parlare di cristianesimo! Un’Austria senza una viva fede cristiana non sarebbe più l’Austria. Auguro a voi e a tutti gli austriaci, soprattutto agli anziani e ai malati, come anche ai giovani che hanno la vita ancora davanti a sé, speranza, fiducia, gioia e la benedizione di Dio!
Sui temi del discorso - nel sito - si cfr.:
PER L’ITALIA, PER L’EUROPA, E PER L’INTERA UMANITA’, RIPENSARE LA RELAZIONE TRA MARIA, GIUSEPPE, E L’AMORE (CHARITAS !!!) - LA "SACRA" FAMIGLIA - E RESTITUIRE L’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE!!! (fls)
Omelia del Papa davanti a circa 30mila persone nel santuario di Mariazell, nella Stiria "Gesù unico mediatore di salvezza, ma non disprezziamo le altre religioni"
Benedetto XVI: "Scienza senza Dio
minaccia per tutta l’umanità" *
MARIAZELL - "La rassegnazione di fronte alla verità è il nocciolo della crisi dell’Occidente, dell’Europa". Papa Benedetto XVI ha lanciato il suo monito celebrando la messa davanti a circa trentamila persone nel santuario di Mariazell, nella Stiria in Austria. Un’omelia per ricordare che per i cristiani ritenere Gesù "l’unico mediatore della salvezza" "non significa disprezzo delle altre religioni nè assolutizzazione superba del nostro pensiero".
Benedetto XVI, che prima della messa ha fatto un ampio giro per salutare la folla di persone, ha ammonito a non perdere "il riferimento a Dio", perché se questo si verifica "le grandi e meravigliose conoscenze della scienza diventano ambigue e diventare una terribile minaccia, la distruzione dell’uomo e del mondo". Parole che arrivano dopo le polemiche di questi giorni per il via libera agli scienziati del Regno Unito che potranno creare embrioni ibridi, contenenti cioè materiale genetico sia umano che animale, a scopo di ricerca.
"La nostra fede - ha continuato Benedetto XVI, in occasione dell’850esimo anniversario della fondazione del Santuario di Mariazell, - si oppone decisamente alla rassegnazione che considera l’uomo incapace della verità, come se questa fosse troppo grande per lui". Ma la verità non sarà mai intollerante nè si imporrà con la forza: "Noi abbiamo bisogno della verità - ha proseguito il Pontefice - ma a motivo della nostra storia abbiamo paura che la fede nella verità comporti intolleranza".
Il Papa poi ha invitato i fedeli ad avere fiducia nel futuro. E lo ha fatto sottolineando come l’Europa sia diventata "povera di bambini": "Noi vogliamo tutto per noi stessi, e forse non ci fidiamo troppo del futuro". Papa Ratzinger ha anche ricordato "i bambini che vivono nella povertà, che vengono sfruttati come soldati, che non hanno mai potuto sperimentare l’amore dei genitori, i bambini malati e sofferenti ma anche quelli gioiosi e sani".
E per guardare avanti senza paura, ha scandito il Papa, serve "la forza morale del cristianesimo". Strumento indispensabile per affrontare "le sfide di questo tempo". Il cristianesimo che, ha concluso il Pontefice, "è di più e qualcosa di diverso da un sistema morale, da una serie di richieste e di leggi".
* la Repubblica, 8 settembre 2007.
IL GIOCO SPORCO
di don Aldo Antonelli
vi partecipo le riflessioni che mi vengono dalla lettura del vangelo di oggi, domenica 9 settembre 2007. Ve le consegno con l’augurio di una buona domenica.
Aldo
Vangelo di Luca 14, 25-33
Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
Questo il Vangelo di oggi che, ad un orecchio non assuefatto, pone una serie di domande:
Come è possibile che ci venga comandato l’odio da parte di Colui che ha sempre predicato e praticato l’amore?
Perché mai un cristiano che vuol essere fedele discepolo del Cristo (compito di tutti i cristiani e non dei cosiddetti “eletti”) deve trasgredire il quarto comandamento dell’Antica Alleanza e l’unico comandamento della Nuova Alleanza?
Perché per obbedire bisogna disobbedire?
La chiave di risposta ci viene dalla situazione prospettata dalle parole introduttive della narrazione: “Siccome molta gente andava con Lui, egli si voltò e disse”!
Le folle, tanto care ai nostri ultimi due papi e ai registi vaticani, non sono mai piaciute al Profeta di Galilea che, anzi, le schivava. Lui non amava giocare al ribasso, fare il gioco sporco che molte volte noi facciamo, quello cioè di modellare il suo messaggio sui gusti e sulle preferenze dei suoi ascoltatori carezzandone i bassi istinti e sollecitandone le facili devianze. Non era suo il motto proprio di tanti nostri chierici e altrettanti nostri politici: «Questo vuole la “ggente”»!
Quando le esigenze della giustizia e la ragioni della fraternità, che sono le colonne portanti della costruzione del “Regno”, cozzano con gli interessi della casta o del clan, della famiglia o della chiesa, allora sono queste ultime ad essere sottoposte a giudizio più che le prime.
E’ in gioco sporco quello che facciamo noi preti quando “per amore di chiesa” mettiamo a bagnomaria il Vangelo.
E’ un gioco sporco quello dei politici che sterilizzano la “religione” per farne cemento di egoismi di gruppo e di presunzioni razziste (Cfr. il discorso sulle radici cristiane e il Family Day).
La sequela, per noi cristiani, non ha niente a che fare con le tifoserie da stadio, né con la insolente proclamazione di princìpii datati.
La fedeltà al progetto, perché di progetto si tratta (“chi di voi volendo costruire...”), richiede un esame delle nostre capacità per una testimonianza che cresca dal basso e parta da noi e che non venga imposta ad altri, dall’alto.
don Aldo Antonelli