L’Accademia reale di Svezia premia Nambu, Kobayashi e Maskawa
Gli ultimi due per le ricerche sulla fisica delle particelle avviate dall’italiano Cabibbo
Nobel per la fisica a tre giapponesi ma gli italiani si sentono traditi
I riconoscimenti assegnati per la scoperta delle diverse tipologie di quark e del meccanismo di rottura spontanea della simmetria nella fisica subatomica *
STOCCOLMA - Il premio Nobel per la fisica 2008 è stato assegnato a Yoichiro Nambu, Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa per le loro ricerche sulla fisica delle particelle. Il premio andrà per metà a Nambu, dell’Enrico Fermi Institute dell’Università di Chicago, negli Stati Uniti, e per l’altra metà a Kobayashi, dell’High Energy Accelerator Research Organization (KEK) di Tsukuba, in Giappone, e Maskawa, dello Yukawa Institute for Theoretical Physics (YITP), dell’Università di Kyoto in Giappone.
Una premiazione che lascia l’amaro in bocca alla ricerca italiana. Due dei tre scienziati hanno ottenuto infatti il riconoscimento per gli studi su un filone di cui il fisico italiano Nicola Cabibbo è considerato universalmente il precursore. A farsi portavoce del malumore italiano è stato in particolare Roberto Petronzio, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn).
"Sono lieto che il premio Nobel sia stato attribuito a questo settore della fisica che sta avendo sempre più attenzione da tutto il mondo e dal quale ci aspettiamo fondamentali scoperte che aumenteranno la nostra comprensione sull’Universo - ha commentato - Tuttavia, non posso nascondere che questa particolare attribuzione mi riempie di amarezza: Kobayashi e Mascawa hanno come unico merito la generalizzazione, per altro semplice, di un’idea centrale la cui paternità è da attribuire al fisico italiano Nicola Cabibbo che, in modo autonomo e pionieristico, ha compreso il meccanismo del fenomeno del mescolamento dei quark, poi facilmente generalizzato dai due fisici premiati.
Nicola Cabibbo, fisico delle particelle elementari presso l’Università di Roma dal 1969, a capo dell’Infn e dell’Enea tra gli anni ’80 e ’90, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze dal 1993 e Accademico dei Lincei, ha preferito invece non esprimersi. "No, grazie, non ho nulla da commentare", ha risposto ai giornalisti che lo interpellavano.
Ma che il suo contributo sia stato essenziale alla ricerca premiata oggi dall’Accademia reale svedese delle scienze lo testimonia anche il fatto che al centro degli studi sulla fisica delle particelle di Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa c’è proprio la cosiddetta matrice CKM, dove la C sta appunto per Cabibbo, ovvero una generalizzazione multidimensionale del modello dell’angolo di Cabibbo, dalla quale è stato possibile prevedere l’esistenza di sei differenti tipologie di quark. Nell’assegnare il Nobel l’Accademia svedese ha riconosciuto infatti l’importanza della "scoperta dell’origine della rottura della simmetria che predice l’esistenza di almeno tre famiglie di quark in natura".
I loro studi sono considerati il primo mattone della teoria di riferimento della fisica delle particelle, ossia del cosiddetto Modello Standard che descrive tutte le particelle elementari finora note e tre delle quattro forze fondamentali (le interazioni forti, le elettromagnetiche e le deboli). Una teoria che è un vero e proprio pilastro della fisica delle particelle e che finora è stata quasi completamente confermata: manca all’appello soltanto una particella, il bosone di Higgs, che spiega l’esistenza della massa ed è indicato spesso come "la particella di Dio". Il bosone di Higgs potrebbe essere visto per la prima volta grazie al più grande acceleratore di particelle del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra.
Nambu, nato a Tokyo nel 1921 ma cittadino americano, è stato premiato invece per "la scoperta del meccanismo di rottura spontanea della simmetria nella fisica subatomica". Nambu è famoso inoltre per aver proposto la "carica di colore" nella cromodinamica quantistica, per aver condotto i primi studi sulla rottura spontanea della simmetria nelle particelle fisiche e per aver scoperto che il modello di risonanza duale può essere spiegato come una teoria di meccanica quantistica delle stringhe (è considerato uno dei fondatori della teoria delle stringhe).
* la Repubblica, 7 ottobre 2008.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Nicola Cabibbo (Wikipedia)
Nicola Cabibbo (Accademia dei Lincei)
NOBEL FISICA A STUDI PARTICELLE *
ROMA - E’ un Nobel decisamente amaro per l’Italia, quello assegnato oggi alla Fisica. Sono state premiate teorie fondamentali della fisica delle particelle associate fin dall’inizio ad una tripletta e a una coppia di nomi: Cabibbo-Kobayashi-Maskawa e Nambu-Jona Lasinio. Ma in tutti e due i casi i nomi italiani sono caduti e il Nobel é stato assegnato ai giapponesi Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa, rispettivamente del Centro nazionale per la fisica delle particelle Kek di Tsukuba e dell’istituto di Fisica teorica dell’università di Kyoto; e a Yoichiro Nambu, dell’istituto ’Enrico Fermi’ dell’università di Chicago. Eppure i nomi tagliati fuori sono assolutamente illustri e riconosciuti come tali dalla comunità scientifica internazionale.
Il fisico Nicola Cabibbo, le cui ricerche hanno gettato a partire dal 1963 le basi per comprendere il fenomeno per cui i mattoni della materia, i quark, si mescolano dando origine alle particelle elementari. Il suo modello è stato integrato successivamente dai due giapponesi ed è oggi noto come Matrice di Cabibbo-Kobayashi-Maskawa (CkM). Giovanni Jona-Lasinio è riconosciuto come il pionere della ricerca teorica sulla rottura spontanea di simmetria e soprattutto per i suoi contributi al modello di Nambu-Jona Lasinio. Perplessità, incredulità, rammarico e rimpianto: la comunità scientifica italiana, ma anche quella internazionale, non sa trovare una spiegazione. "Il lavoro di Cabibbo ha rappresentato una svolta storica per l’Europa. Siamo tutti dispiaciuti, me incluso, che il Nobel non gli sia stato riconosciuto", ha detto il presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), il fisico Luciano Maiani. "Non posso nascondere che questa particolare attribuzione mi riempie di amarezza", ha detto il presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), Roberto Petronzio. Kobayashi e Maskawa, ha osservato, "hanno come unico merito la generalizzazione, peraltro semplice, di un’idea centrale la cui paternità è da attribuire al fisico italiano Nicola Cabibbo che, in modo autonomo e pionieristico, ha compreso il meccanismo del fenomeno del mescolamento dei quark, poi facilmente generalizzato dai due fisici premiati".
In pratica, si è trattato di uno scippo. Anzi, un doppio scippo: per il direttore del Dipartimento di Fisica dell’università di Roma La Sapienza, Giancarlo Ruocco, le ricerche di Cabibbo e di Jona-Lasinio "sono indissolubilmente legate a quelle dei vincitori". E osserva che é "spiacevole constatare che questi importanti contributi di ricercatori italiani - sottolineati anche nelle motivazioni dell’Accademia - nella presente circostanza non abbiano ricevuto il meritato riconoscimento". D’altro canto, osserva ancora Ruocco, "non dobbiamo dimenticare che in passato un altro italiano è stato escluso dal comitato dell’Accademia Svedese delle Scienze". E’ accaduto nel 1979 e anche allora si trattava di fisica delle particelle. Intanto da tutto il mondo si solleva la protesta e piovono le e-mail nella casella posta del dipartimento di Fisica de La Sapienza. Arrivano in particolare dal Cern di Ginevra, la culla della ricerca sulla fisica delle particelle e ci si chiede perché. E anche un autorevole settimanale britannico, il New Scientist, parla di "una decisione che ha già suscitato controversie" e si domanda perché sia stato snobbato Cabibbo. Nessuno, però, ha la risposta.
Il Nobel per la fisica è assegnato a Yoichiro Nambu, Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa per ricerche sulla fisica delle particelle. Yoichiro Nambu, nato nel 1921, lavora nell’istituto dell’università di Chicago dedicato a Enrico Fermi ed è stato premiato per le ricerche sull’asimmetria; Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa, entrambi attivi in Giappone, dividono l’altra metà del premio per la scoperta dell’origine dell’asimmetria come predizione dell’esistenza di almeno tre famiglie di quark. Kobayashi, nato nel 1944, lavora nell’organizzazione giapponese Kek (High energy accelerator research organization) di Tsukuba. Maskawa lavora nell’istituto di Fisica teorica dell’università di Kyoto.
I tre ricercatori premiati oggi con il Nobel per la Fisica possono essere considerati tra i principali ’architetti’ della fisica delle particelle. Gli studi di Yoichiro Nambu, Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa sono considerati il primo mattone della teoria di riferimento della fisica delle particelle, ossia del cosiddetto Modello Standard che descrive tutte le particelle elementari finora note e tre delle quattro forze fondamentali (le interazioni forti, le elettromagnetiche e le deboli). Una teoria che è un vero e proprio pilastro della fisica delle particelle e che finora è stata quasi completamente confermata. Manca all’appello soltanto una particella: il bosone di Higgs, che spiega l’esistenza della massa ed è indicato spesso come "la particella di Dio": potrebbe essere visto per la prima volta grazie al più grande acceleratore di particelle del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra.
Le ricerche premiate oggi hanno permesso di comprendere perché il mondo nel quale viviamo non si trova in una simmetria perfetta e di individuare le deviazioni dalla simmetria a livello microscopico. Il fenomeno della rottura spontanea della simmetria è stato descritto per la prima volta all’inizio degli anni ’60, quando Nambu ne ha formulato la prima descrizione matematica nella fisica delle particelle elementari. In breve tempo la sua teoria e’ diventata cruciale nel Modello Standard. Diverso il campo di ricerca di Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa: i loro esperimenti sono stati condotti a partire dal 1964, sulla base dei lavori pubblicati nel 1963 dal fisico italiano Nicola Cabibbo, e descrivono fenomeni di rottura della simmetria che potrebbero essere esistiti in natura quando l’universo era giovanissimo. Dopo il Big bang che ha dato origine all’universo materia e antimateria erano presenti nella stessa quantità e di conseguenza avrebbero dovuto annichilarsi a vicenda. Ma questo non è accaduto perché è avvenuta una piccola deviazione di una particella di materia ogni 10 miliardi di particelle di antimateria: grazie a questa rottura della simmetria si è formato il mondo in cui viviamo. Che cosa sia successo effettivamente è ancora un mistero e anche in questo caso, come per il bosone di Higgs, la risposta potrebbe arrivare dall’acceleratore Lhc del Cern di Ginevra. La teoria di Kobayashi e Maskawa, formulata nel 1972, è diventata un pilastro dela Modello Standard e lo ha esteso in modo da accogliere in esso tre famiglie di quark, successivamente identificati in esperimenti fondamentali, come il BaBar presso l’università americana di Stanford,e il Belle presso l’università giapponese di Tsukuba.
* Ansa» 2008-10-07 21:46
AL DI LÀ DELL’ORIZZONTE DEMIURGICO. "X"- A FIGURA DEL "CHI": IL NUOVO PARADIGMA
Quali sono gli scenari che si disegneranno dopo la scoperta di Ginevra? Un puzzle da completare: l’85% della materia e i due terzi dell’energia dell’universo sono ancora «oscure». Al Cern stanno già progettando il prossimo acceleratore, che entrerà in funzione nel 2040
di Andrea Capocci (il manifesto Alias, 09.07.2017)
Per la prima volta, nei laboratori del Cern di Ginevra è stata rilevata la particella Xi, un’importante conferma del «modello standard» della fisica delle particelle. Lo ha annunciato Giovanni Passaleva, che dirige il gruppo di ricerca che ha compiuto la scoperta, all’annuale conferenza europea sulla fisica delle alte energie (si tiene in questi giorni a Venezia). Il gruppo di Passaleva lavora presso l’acceleratore di particelle Lhc lo stesso che ha permesso la scoperta del bosone di Higgs. Per dare l’idea della complessità di un esperimento del genere: la lista degli autori occupa da sola tre pagine dell’articolo scientifico che riporta la scoperta.
Il «modello standard» è la teoria che descrive le particelle fondamentali con cui si spiega la materia di cui è composto l’universo e le sue interazioni. Come ipotizzarono Murray Gell Mann e George Zweig nel 1964, le particelle più pesanti presenti nel nucleo degli atomi che strutturano la materia, i protoni e i neutroni, sono composte da particelle ancor più elementari, dette «quark». I quark sono di sei tipi diversi, distinti per massa e carica elettrica. I quark possono aggregarsi tra loro, ma soltanto se la loro combinazione rispetta alcune regole. Protoni e neutroni sono l’esempio di aggregazione più comune. Altre combinazioni sono possibili, ma si trasformano (i fisici dicono «decadono») in altre particelle molto rapidamente e normalmente non sono osservabili con gli strumenti tradizionali. Una particella Xi, ad esempio, decade dopo meno di un millesimo di miliardesimo di secondo. Alle energie elevate che possono essere raggiunte al Cern (14 TeV), però, si possono generare moltissime particelle di questo tipo, misurandone le proprietà fisiche con precisione.
A QUESTO SCOPO, l’acceleratore Lhc del Cern studia le collisioni tra fasci di protoni lanciati a velocità prossime a quelle della luce. In queste collisioni, le particelle ne formano alcune più instabili, che decadono a loro volta dando vita ad altre particelle. In questo modo, gli scienziati ritengono di poter rilevare anche le particelle, come la Xi, la cui esistenza è prevista dalle leggi della fisica ma che di fatto sono talmente instabili da non poter essere individuate con altre tecniche. Come previsto dal Modello Standard, la particella Xi è composta da due quark del tipo «charm» e un quark «up» e pesa come quattro protoni, le particelle atomiche con la massa maggiore. La sua esistenza non è un’assoluta novità. Già nel 2002, al Fermilab di Chicago era stata avvistata una particella con caratteristiche simili, ma con una massa inferiore a quella teorica. Ma la misura di allora fu accolta da una certa diffidenza. L’esperimento descritto a Venezia invece rimette a posto le cose. Dunque, l’idea che abbiamo sul funzionamento della cosiddetta «interazione forte» che tiene insieme le particelle elementari, è corretta.
È L’ENNESIMA CONFERMA di una teoria che dagli anni ’60 ha sbagliato poche previsioni. Molte di queste sono state verificate proprio al Cern, anche con gli acceleratori delle generazioni precedenti rispetto al Lhc. Fu una scoperta simile, l’osservazione dei bosoni W e Z previsti dalla teoria, a meritare a Carlo Rubbia il premio Nobel del 1984 insieme a Simon van der Meer. Pochi anni fa, sempre all’Lhc, la scoperta del bosone di Higgs (altro premio Nobel) fu effettuata in maniera analoga. In quel caso, la scoperta era ancor più rilevante. Il bosone di Higgs, oltre a confermare il Modello Standard, gioca un ruolo decisivo anche nelle teorie sull’origine dell’universo nei primi momenti successivi al Big Bang.
Questo tipo di scoperte lasciano un’impressione da «fine della storia»: il modello standard funziona, gli esperimenti non fanno altro che confermarlo e dunque non c’è motivo di andare avanti alla ricerca di nuove teorie. Ma è davvero così? Ovviamente, no. Il modello standard, nonostante la sua efficacia, lascia insoddisfatte molte domande. Ad esempio: il modello si basa su ben 19 costanti, il cui valore è fissato dagli esperimenti: è possibile capire l’origine di questi numeri con una teoria ancor più elementare? Oppure: come conciliare le interazioni fondamentali descritte dal modello standard (l’interazione «forte» e quella «elettrodebole») con la forza di gravità, mirabilmente studiata da Einstein ma in un quadro teorico completamente diverso?
INFINE, FORSE IL QUESITO più importante: l’85% della materia e i due terzi dell’energia dell’universo sono ancora «oscure», cioè non sappiamo di cosa siano fatte. Il Modello Standard, dunque, ci racconta solo un piccolo pezzo della realtà. Riusciremo un giorno a completarlo? Sono domande molto difficili, e che non interrogano solo gli scienziati del Cern. La fisica delle alte energie si rivolge sempre più spesso verso lo spazio alla ricerca di risposte adeguate. Sulla Terra, l’atmosfera ci protegge da fenomeni fisici intensi come quelli provocati da protoni lanciati alla velocità della luce. Ma nelle stelle e nelle galassie lontane avvengono reazioni che coinvolgono energie inaccessibili persino ai laboratori del Cern.
MOLTI STUDIOSI di fisica delle particelle oggi utilizzano telescopi spaziali o osservatori posti in luoghi inusuali, sotto al Gran Sasso o a due chilometri di profondità nel ghiaccio dell’Antartide, come l’osservatorio IceCube. In quelle condizioni, la schermatura dall’esterno è tale da permettere di isolare i neutrini, altre particelle ancora misteriose e provenienti dalle zone più remote e irrequiete dell’universo.
Lo stesso Cern, in questo momento, è impegnato nella ricerca delle particelle che potrebbero semplificare il Modello Standard con le sue 19 costanti ancora da spiegare. Tale «ineleganza» potrebbe essere superata dalla teoria detta «Supersymmetry» o «SuSy», secondo cui ogni particella elementare possiede una compagna «super-simmetrica». Al Cern finora queste particelle non sono state avvistate. Potrebbe trattarsi della bocciatura della teoria SuSy, o l’indicazione che le particelle supersimmetriche devono essere cercate a livelli energetici ancora maggiori: su questo, solo gli esperimenti futuri potranno darci qualche indicazione in più, se Lhc sarà in grado di raggiungere energie ancora superiori ai 14 TeV attuali.
NEL FRATTEMPO, AL CERN stanno già lavorando alla progettazione del prossimo acceleratore, ancora più grande e potente dell’Lhc attuale. Per ora, il progetto si chiama Future Circular Collider (Fcc). Si tratterà di un tunnel lungo cento chilometri (rispetto ai ventisette attuali) in cui a collidere saranno fasci di protoni, elettroni e delle loro controparti di anti-materia, gli anti-protoni e i positroni. Nel Fcc si potranno raggiungere energie dell’ordine dei 100 TeV, sette volte più dell’acceleratore attuale.
Dato che l’acceleratore Lhc, entrato in funzione nel 2008, proseguirà la sua attività ancora per una ventina d’anni, per vedere in funzione il Fcc occorrerà aspettare il 2040, o giù di lì. Sembra un orizzonte temporale lunghissimo, in un’epoca dominata dalla precarietà delle cose e delle persone. Lo sforzo finanziario a carico degli stati europei genererà legittime discussioni sulle priorità da assegnare ai sempre più magri bilanci nazionali. Ma gli studi sull’impatto economico del Lhc, come quello dell’economista Massimo Florio dell’Università di Milano, suggeriscono che anche un laboratorio di fisica teorica può creare ricchezza: a patto che le tecnologie e le conoscenze prodotte al Cern circolino senza barriere poste da brevetti e copyright.
Scoperta al Cern la particella Xi, inseguita da anni
Mai vista una simile, aiuta a capire colla che unisce la materia
di Redazione ANSA 06 luglio 2017
Scoperta al Cern la particella Xi: inseguita da decenni, potrà aiutare a studiare la ’colla’ che tiene unita la materia, ossia per capire una delle quattro forze fondamentali della natura: la forza forte. La scoperta, annunciata nella conferenza della Società Europea di Fisica in corso a Venezia e in via di pubblicazione sulla rivista Physical Review Letters, è avvenuta grazie all’acceleratore più grande del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc).
Vista dall’esperimento chiamato Lhcb, la particella appartiene alla famiglia dei barioni, la stessa di cui fanno parte protoni e neutroni che costituiscono la materia visibile, e come tutti i barioni è composta da tre quark, come prevede la teoria di riferimento della fisica chiamata Modello Standard. Tuttavia nei barioni finora noti si trova al massimo un solo quark pesante, mentre la particella Xi ha due quark pesanti.
"E’ la prima volta che si osserva una particella simile: un barione con due quark pesanti", ha detto Donatella Lucchesi, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e dell’università di Padova e membro della collaborazione Lhcb. "Osservare una particella del genere - ha detto ancora Donatella Lucchesi - è stato possibile grazie alla grandissima quantità di dati che sta producendo l’acceleratore Lhc. Questo - ha rilevato - permette di raggiungere un obiettivo non facile, come è riuscire a riprodurre la materia in tutti i suoi stati possibili".
Nella particella Xi un sistema planetario in miniatura
La particella Xi appena scoperta al Cern è già generosa di sorprese, al punto che i mattoni della materia che la costituiscono, i quark, potrebbero comportarsi come un sistema planetario in miniatura. I due quark pesanti, che sono l’elemento distintivo della nuova particella avrebbero infatti movimenti più lenti e solenni rispetto a quelli dei quark leggeri presenti in protoni e neutroni, che ricordano una danza. Lo ha rilevato il britannico Guy Wilkinson, che ha coordinato la collaborazione Lhcb fino al 30 giugno, giusto in tempo per assistere alla scoperta. "In contrasto con gli altri barioni finora noti, in cui i tre quark eseguono una elaborata danza l’uno attorno all’altro, ci aspettiamo che il barione con due quark pesanti agisca come un sistema planetario", ha osservato Wilkinson. In questo sistema planetario in miniatura, ha aggiunto "i due quark pesanti giocano il ruolo di stelle che orbitano l’una attorno all’altra, mentre il quark più leggero orbita intorno al sistema binario".
Dalla particella Xi la chiave per capire la ’colla’ della materia
La particella Xi promette di essere una chiave senza precedenti per scoprire i segreti della ’colla’ della materia, ossia il comportamento delle forze che agiscono nel mondo dell’infinitamente piccolo. Per il nuovo coordinatore della collaborazione Lhcb, l’italiano Giovanni Passaleva, c’è grande speranza nelle nuove conoscenze che la particella Xi potrà rendere possibili. "Trovare un barione con due quark pesanti - ha rilevato - è di grande interesse perché può fornire uno strumento unico per approfondire la cromodinamica quantistica", ossia il campo di ricerca che studia come l’intensità delle forze si riduce quando le distanze tra le particelle diventano molto piccole e che si chiama così in riferimento alle otto cariche che prendono il nome dai tre colori che descrivono i quark: rossi, gialli e blu.
E’ un campo di ricerca molto importante, nato grazie alle ricerche inaugurate 1963 fa dal fisico Nicola Cabibbo con il teorema che porta il suo nome, l’Angolo di Cabibbo, e che ha gettato le basi per comprendere come i mattoni della materia, i quark, si mescolano dando origine alle particelle elementari.
*
Addio a Nicola Cabibbo
che meritava il Nobel
Scomparso a 75 anni: per i suoi studi sulle particelle sfiorò il premio. Era presidente della Pontificia Accademia delle Scienze
di MARCO CATTANEO *
IL NOBEL l’ha sfiorato più d’una volta. L’ultima appena due anni fa, nel 2008, quando la ruota della fortuna di Stoccolma si è fermata sui nomi di Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa, che con lui condividono la paternità della matrice di Cabibbo-Kobayachi-Maskawa, uno degli strumenti più utili e originali della moderna fisica delle particelle.
Era il 15 giugno 1963, e Nicola Cabibbo aveva appena 28 anni, quando "Physical Review Letters" pubblicò l’articolo in cui introduceva quello che per generazioni di fisici delle particelle è diventato noto come "l’angolo di Cabibbo", e in cui si spiegava come avviene il mescolamento tra diverse particelle dentro una sola. Dieci anni più tardi i due fisici giapponesi estesero i risultati di Cabibbo a tre generazioni di quark, meritando l’ambito riconoscimento. A Cabibbo, scomparso ieri all’età di 75 anni, rimaneva la magra soddisfazione che il suo pionieristico lavoro era stato riconosciuto nel 2006 come l’articolo più citato nei 110 anni di storia della grande famiglia della "Physical Review".
In quei giorni del Nobel negato, dal mondo della fisica italiana si levò un coro di proteste contro la decisione dell’Accademia di Stoccolma, ma non una parola dal diretto interessato. Nicola Cabibbo ha continuato a lavorare, lasciando ad altri le polemiche.
Figlio di un avvocato, Nicola Cabibbo era nato a Roma nel 1935, e aveva presto sviluppato una passione per la scienza, ma anche - in da ragazzo, nell’euforia del dopoguerra - per la letteratura americana, in particolare Hemingway, Dreaiser, Melville. Ma scelse la scienza, per laurearsi in fisica alla "Sapienza" nel 1958 ed entrare subito ai Laboratori di Frascati del neonato Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN). Lì, in quegli anni, lavorava un brillante teorico di origine austriaca, Bruno Touschek, che propose un rivoluzionario acceleratore di particelle in grado di far scontrare elettroni e positroni (le antiparticelle degli elettroni) che circolavano in un anello in direzioni opposte.
E mentre fervevano i lavori per la sua costruzione un giovanissimo Cabibbo, insieme all’altro teorico romano Raoul Gatto, pubblicò su "Physical Review" un articolo in cui era illustrata una classificazione completa delle possibili reazioni che si sarebbero potute ottenere con la nuova macchina. Per i colleghi di Frascati, quel lavoro divenne "la Bibbia", e tutti si resero subito conto che nella fisica teorica delle particelle era nata una stella.
Dal 1962 Cabibbo inizia una carriera itinerante, che lo porterà prima al CERN di Ginevra, poi al Lawrence Radiation Laboratory di Berkeley e alla Harvard University, per poi fare ritorno in Italia, all’Università dell’Aquila e infine di nuovo a Roma. Capitolo Nobel a parte, la sua fama mondiale di fisico teorico gli ha portato premi e onorificenze, la nomina a membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei e quella, ancora più ambita per un italiano, a membro della National Academy of Sciences, di cui fanno parte soltanto Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia e Giorgio Parisi.
Alternando la ricerca - che negli ultimi anni lo ha visto dedicarsi a problemi di cromodinamica quantistica e alla progettazione dei supercalcolatori della serie APE con l’INFN - agli impegni universitari, Nicola Cabibbo ha assunto anche ruoli di primo piano nell’amministrazione della scienza. Fervente cattolico in un mondo di laici, dal 1993, per diciassette anni, è stato anche ininterrottamente presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, intervenendo spesso su problemi etici ed epistemologici. Non ultima l’evoluzione, su cui si è sempre espresso con lucidità e trasparenza. Anche così Nicola Cabibbo, che univa profonde doti umane a uno straordinario talento di fisico, sapeva conciliare la sua visione di fede e scienza.
* la Repubblica, 17 agosto 2010
orriere della Sera 10.3.09
Allarme contro la disaffezione verso i numeri. Poi Sheldon Glashow spiega come l’uso delle formule serva a descrivere la Natura
Ecco perché c’è la crisi: nessuno studia matematica
Il Nobel per la fisica: «I manager non conoscono l’aritmetica»
di Sheldon Glashow (Corriere della Sera, 10.3.09)
Molto tempo fa, gli uomini inventarono i numeri per regolare le loro transazioni. Oggi più che mai la matematica ha un ruolo dominante nella società; è irragionevolmente efficace in questioni che riguardano tutto lo spettro dell’esperienza umana: dalla gestione delle finanze personali ai più vasti fenomeni sociali.
Avendo insegnato fisica per decenni a studenti di facoltà non scientifiche, vedevo che molti di essi, pur essendo intelligenti, avevano paura della matematica. Si laureavano senza aver veramente capito i numeri, l’aritmetica e l’algebra elementare. La crisi finanziaria che si è ora abbattuta su di noi potrebbe essere dipesa anche dalla diffusa mancanza di cognizioni matematiche in chi si occupa di denaro: mi riferisco non solo ai banchieri, ai finanzieri e ai politici che si trovano ai vertici del potere economico, ma anche ai normali cittadini. Forse le cose sarebbero andate diversamente se avessero partecipato a un Festival della matematica.
Per tutta la mia carriera la matematica è stata per me uno strumento essenziale, ma anche bello e divertente. Spesso trovavo difficile distinguere il lavoro dal gioco. Da studente ero affascinato dall’uso delle matrici per capire le simmetrie della natura, come quelle dei fiocchi di neve e dei diamanti. Una matrice consiste in uno schieramento rettangolare di numeri o di simboli matematici. Nei primi anni di università ho incontrato le semplici matrici 2 per 2 che descrivono la natura dello «spin dell’elettrone» e la relazione tra protoni e neutroni. Ho poi imparato che le matrici 3 per 3 caratterizzano le rotazioni nello spazio, e che possono essere usate per analizzare le vibrazioni di una molecola di ozono. In seguito mi hanno insegnato che certe matrici 4 per 4 hanno permesso a Paul Dirac di formulare la prima equazione quantistica compatibile con la teoria speciale della relatività. Dirac diceva spesso, scherzando, che la sua equazione era più intelligente di lui: aveva predetto l’esistenza dell’antimateria! Tutte queste importanti scoperte nacquero negli anni Venti da scienziati di talento che si valevano della matematica. Decisi di seguire le loro orme.
Il relatore della mia tesi, Julian Schwinger, pensava che potesse esserci un legame tra l’interazione debole e le forze elettromagnetiche e formulò una teoria in cui i fotoni che mediano l’elettromagnetismo erano collegati, da qualche sorta di simmetria, a due particelle pesanti, allora solo ipotizzate (ora chiamate W±), che mediano la forza debole. Mi sfidò poi a dimostrare quella teoria, ma c’erano grossi ostacoli da sormontare:
1) È stato notato che le interazioni deboli sono le sole forze in natura a violare la simmetria speculare. Come poteva una teoria includere questa scoperta?
2) Il fotone è una particella priva di massa, ma gli ipotetici bosoni W dovevano essere molto pesanti.
Che tipo di simmetria poteva collegare particelle con proprietà così diverse?
3) Il modello più semplice di interazione elettrodebole ha a che fare solo con i leptoni, particelle simili agli elettroni e ai neutrini. Come poteva essere esteso in modo da includere altre particelle, come i neutroni e i protoni, di cui siamo fatti? Ho risolto il primo problema nel 1961, usando semplici matrici 2 per 2. Scoprii che la sfida che mi aveva lanciato Schwinger era senza esito. Per spiegare la violazione della parità bisognava postulare l’esistenza di un’altra particella pesante: il bosone neutro Z. (Allora non lo sapevo, ma quel lavoro mi avrebbe portato vent’anni dopo a vincere il premio Nobel). A questo punto la teoria contemplava tre nuove particelle, le cui masse consistenti dovevano trovare una spiegazione.
Il secondo problema, l’origine di masse W e Z è stato risolto in linea di principio dal mio compagno di liceo Steven Weinberg (e, indipendentemente, da Abdus Salam). Applicando a schemi semplici il concetto di rottura spontanea della simmetria, hanno dimostrato come queste particelle potessero acquisire una massa. Il loro modello prevedeva una nuova particella, il bosone di Higgs, che finora è stato cercato senza successo. Il gigantesco collisore di protoni presso il Cern, l’LHC, ci dirà presto se la particella che hanno teorizzato esiste realmente.
La nuova teoria elettrodebole aveva a che fare solo con i leptoni. Prima che la teoria venisse estesa, la natura di particelle che interagivano con forza (come protoni, neutroni e altri adroni) doveva essere meglio compresa. Poco dopo avermi chiamato a lavorare con lui al California Institute of Technology, Murray Gell-Mann inventò la cosiddetta «via dell’ottetto», dove gli adroni sono descritti da matrici 8 per 8. Sidney Coleman e io abbiamo dimostrato che si potevano anche usare semplici matrici 3 per 3 per spiegare la teoria di Murray. Con l’uso di queste giungemmo alla «formula di Coleman-Glashow», che descrive correttamente le caratteristiche della massa elettromagnetica dei barioni. Poco dopo, Nicola Cabibbo trovò che l’impiego di matrici simili, applicate alle interazioni deboli, dava luogo a molte nuove teorie, tutte poi confermate sperimentalmente.
La «via dell’ottetto» ha avuto molto successo nella forma della teoria dei tre quark di Gell-Mann e Zweig. La teoria elettrodebole era però ancora incompleta. Prediceva l’esistenza di qualcosa chiamata correnti neutre con variazioni di «stranezza». Non spiegherò in che consistano, dirò solamente che non esistono in natura. John Iliopoulos, Luciano Maiani e io abbiamo affrontato questo problema. Ancora una volta, abbiamo trovato la soluzione giocando con le matrici più piccole. Abbiamo dovuto valerci di matrici 4 per 4 in luogo delle matrici 3 per 3 usate da Cabibbo. Doveva esistere un quarto «quark charm», e infatti è stato trovato.
La storia avrebbe potuto finire qui, ma così non è stato. Due scienziati giapponesi, Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa, continuando a giocare con le matrici, hanno scoperto che sostituendo le matrici 4 per 4 con matrici 6 per 6 (introducendo così altri due quark) riuscivano a risolvere il mistero della violazione di CP. I quark top e bottom sono stati infine scoperti, e lo scorso anno Kabayashi e Maskawa hanno ricevuto il premio Nobel per la loro intuizione. Oggi l’idea premonitrice di Schwinger di una teoria elettrodebole unificata è pienamente confermata: nel frattempo mi sono molto divertito a lavorare con le piccole matrici. (Traduzione di Maria Sepa)
REAZIONI AL PREMIO Nobel, l’amarezza dei fisici italiani Nicola Cabibbo è il «padre» delle idee sviluppate dai due fisici giapponesi premiati ma il comitato del premio lo ha escluso NOTIZIE CORRELATE Audio con Giorgio Parisi, fisico dell’università di Roma: «Palese ingiustizia»
ROMA- Si chiama Matrice Cabibbo-Kobayachi-Maskawa (o matrice Ckm, delle iniziali dei tre ricercatori) il contributo che è stato premiato con il Nobel per la Fisica ai giapponesi Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa. Nessuna menzione, da parte del Comitato che assegna il Nobel, dell’italiano Nicola Cabibbo, nonostante la comunità scientifica internazionale gli attribuisca senza dubbio la paternità delle idee successivamente sviluppate dai due fisici premiati oggi.
La prima versione della matrice è stata elaborata nel 1963 da Cabibbo e successivamente completata da Kobayashi e Maskawa con l’introduzione di tre nuove famiglie di quark. La matrice descrive il modo in cui i ’mattonì della materia, i quark, si mescolano per andare a formare le particelle. In pratica la matrice Ckm è stata ed è ancora il riferimento per comprendere anche l’esistenza dell’asimmetria, ossia la cosiddetta violazione di simmetria Cp (la violazione di una simmetria quasi esatta delle leggi di natura sotto l’effetto dello scambio tra particelle e le corrispondenti antiparticelle). Grazie a queste ricerche è anche stato possibile studiare una delle quattro forze fondamentali della natura, l’interazione debole. Capire quest’ultima significa poter studiare un fenomeno importante come la reazione di fusione nucleare che avviene all’interno del Sole e delle altre stelle, o le reazioni che avvengono all’interno delle centrali nucleari.
C’è tanta amarezza nella comunità dei fisici italiani per la mancata assegnazione del Nobel a Nicola Cabibbo, presidente della Ponteficie Accademia delle Scienze. Emerge chiaramente dalle dichiarazioni di Roberto Petronzio, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn). «Sono lieto che il premio Nobel sia stato attribuito a questo settore della fisica che sta avendo sempre più attenzione da tutto il mondo e dal quale ci aspettiamo fondamentali scoperte che aumenteranno la nostra comprensione sull’Universo. Tuttavia, non posso nascondere che questa particolare attribuzione mi riempie di amarezza: Kobayashi e Mascawa hanno come unico merito la generalizzazione, per altro semplice, di un’idea centrale la cui paternità è da attribuire al fisico italiano Nicola Cabibbo che, in modo autonomo e pionieristico, ha compreso il meccanismo del fenomeno del mescolamento dei quark, poi facilmente generalizzato dai due fisici premiati».
«Penso che questo Nobel sia stato un grosso errore». C’è più che altro delusione nelle parole di Giorgio Parisi (ascolta l’audio), docente di Fisica Teoretica all’Università di Roma "La Sapienza". «La cosa naturale sarebbe stato darlo a Nambu per aver proposto la "carica di colore" nella cromodinamica quantistica e a Nicola Cabibbo perché il lavoro di Kobayashi e Maskawa è una generalizzazione abbastanza semplice dell’idea assolutamente nuova del 1963 di Nicola Cabibbo nella quale descriveva per la prima volta le forze nucleari che sono alla base delle interazioni deboli». Come spiega Parisi i due neo-premiati hanno generalizzato la complicata formula di Cabibbo mettendoci dentro anche la violazione di CP, nella tabella in cui viene spiegato il comportamento dei quark la prima riga è di Cabibbo, la la seconda da Iliopoulos, Glashow e Maiani e la terza da Kobayashi e Maskawa. «Una formula nella quale tante persone ci hanno messo le mani, ma mi sembra assurdo che il primo che ci ha messo le mani, Cabibbo, sia stato escluso. Il Nobel andava diviso anche con Cabibbo o solo a Cabibbo».
Il tono è gentile, ma Nicola Cabibbo è irremovibile: «Preferisco non fare dichiarazioni», ha detto riferendosi al Nobel. Fonti vicine a Cabibbo dicono che il fisico italiano è molto amareggiato. Già lo scorso anno, a pochi giorni dall’assegnazione del Nobel per la fisica 2007, circolavano con insistenza nell’ambiente scientifico fra Tokyo e Chicago voci che davano per sicuro il Nobel a Cabibbo, Kobayashi e Maskawa. Tutti, insomma, erano convinti non soltanto che le ricerche inaugurate da Cabibbo sarebbero state premiate, ma che il premio Nobel sarebbe stato condiviso dai tre ricercatori. È poi accaduto che il Nobel 2007 è stato assegnato a ricerche di tipo sperimentale e applicativo. Quest’anno sarebbe quindi stata la volta della fisica teorica. Il campo di ricerca premiato è quello atteso, a detta di molti manca però uno dei protagonisti.