CHIESA E MAFIA
IL VIAGGIO DEL PAPA in SICILIA:
è finito il tempo della lotta?
...da che parte sta?
Una riflessione amara dei Teologi di una Chiesa di frontiera a Milano
Abbiamo letto l’appello dei bambini di una Scuola di Palermo al Papa affinchè parli contro la mafia. A tal proposito, vogliamo inviarvi una riflessione, ecclesiologica e teologica assai amara e disillusa... Vorremmo sbagliarci, lo speriamo ancora... e staremo a vedere cosa accadrà...
Erano altri tempi quando GIOVANNI PAOLO II nell’estate 1993 tuonava con forti parole davanti ai templi di Agrigento: "Una volta verrà il Giudizio di Dio!".
Come è lontanto il tempo in cui il grande cardinale di Palermo Salvatore Pappalardo esclamava davanti alla bara di un magistrato nel Duomo normanno rivolto ai politici:"Dum Romae, consulitur Saguntum Espugnatur!..." (" Mentre a Roma ci si consulta, Sagunto viene espugnata..!")
Oggi sono tempi più prosaici, più mediocri e opachi, anche dentro alla Chiesa, anche a Roma sulla cattedra di Pietro e a Palermo su quella di San Mamiliano.
Qualcuno dice: saranno all’altezza della sfida sempre più impari e divenuta anche più subdola e insidiosa il Vescovo Romeo e il Papa Benedetto?
La visita di questo Papa, Benedetto XVI Joseph Ratzinger, è molto prevedibile che non porterà pressochè nulla di nuovo, in termini cristiani, alla Sicilia e all’Italia meridionale in genere, perchè il Papa-Teologo, come lo chiamano, ha una visione cattolicistica della fede: un concentrato di devozionismo ottocentesco, che sta tra il Concilio di Trento e il Concilio Vaticano I.
La Chiesa non ha nessuna missione profetica, è solo depositaria di riti e sacramenti che in virtù del loro mero rappresentarsi e ripresentarsi sono veicoli di grazia e salvezza.
Nella visione ratzingeriana simile a quella agostiniana e pessimista, del peccato e della grazia, l’uomo non ha quasi niente da fare di buono, in quanto è di fatto destinato al male... e l’unica via di salvezza è soltanto escatologica e non terrena... in ultima analisi affidata soltanto a Dio.
In questo mondo non vi è speranzadi riscatto: con questa visione assiologica e dottrinale - che tra l’altro contraddice anche lo spirito stesso delle Beatitudini evangeliche in cui Cristo esorta a lottare contro le ingiustizie umane, per la pace, per la povertà di spirito, la purezza di cuore, che già qui e ora realizzano il Regno di Dio - è assai difficile che sortisca una qualche forza per combattere i mali sociali e le storture dovute al malaffare e al connubio tra mafia e politica che devastano l’Italia e la Sicilia in particolare...!
La Chiesa di Ratzinger è una chiesa del riflusso verso epoche devozionistiche, formalizzate del sacro, prive di spinta profetica e di autenticità evangelica.
Non è il Vangelo di Cristo che - con le migliori intenzioni - interessa all’attuale Papa tedesco, nonostante le apparenze dei suoi discorsi teologici, Egli non crede nella sua forza prorompente e rivoluzionaria di fronte alle oppressioni e alle strutture di ingiustizia e di non verità... è una Chiesa ingessata nel suo ruolo di sacra casta e di sacra istituzione che preme a Lui e al Vaticano.
E’ ritornata in auge la Chiesa vecchia che contemplava se stessa come fonte di tutto il bene e della grazia di Dio... una Chiesa distante anni luce dal vivere degli uomini e le donne dell’oggi, del nostro mondo contemporaneo...
La visita pastorale, per così dire, in Sicilia, sarà la solita passerella clericale, che ossequierà potenti politici e mafiosi di tutte le risme e dei vari rispettabili livelli... sarà l’esclusione stessa di Cristo e del suo messagggio, e lo escluderà nei fatti stessi proprio mentre dirà di volerlo a parole e solennemente proclamare...
niente di nuovo ormai più sotto il Sole, di questo pontificato...
Quanto all’Arcivescovo di Palermo, che insinua velenosamente sulle cene dei Magistrati e sulle loro scorte, beh basterebbe ricordargli le scorte e i magistrati Falcone e Borsellino che sono saltate per aria...!
Un arcivescovo che si esprime così è forse un contiguo alla mafia?... poichè così parla un amico dei mafiosi... e ricordiamo quello che disse a noi lo stesso mons. Romeo (il cui nome ci ricorda un ben altro mons. Romero! ucciso in Salvador perchè lottava contro la dittatura e l’ingiustizia sociale....) anni fa’ quando era Nunzio apostolico in Italia circa l’indagine sul conto dell’arcivescovo di Salerno Gerardo Pierro indagato per vari scandali finanziari e di corruzione dalla Procura:
"Occorre stare attenti a chiedere ai giudici di usare clemenza, poichè essendo rossi, poi fanno il contrario...!"
Non era per nulla sfiorato dal fatto che un uomo di Chiesa, un Vescovo non debba rubare o favorire il latrocinio,no!
Era preoccupato di chiedere al Governo in carica di bloccare o frenare almeno dei giudici ritenuti troppo spavaldi e inamovibili...
Questo il personaggio, che abbiamo udito con le nostre orecchie: oggi capiamo il perchè di questi riferimenti ai giudici... non casuali... aveva un conto aperto con la magistratura...!
Da questi uomini di Chiesa noi non ci aspettiamo più niente!
NIENTE!
E la gente - dopo scandali eclatanti di corruzione morale, pedofilia, e malaffare dentro la Chiesa - è pressochè indifferente... INDIFFERENTE e spesso OSTILE... (ogni giorno di più ci accorgiamo di questo...)
Coltiva spesso un disprezzo interiore e sordo verso questi uomini di Chiesa.... per non parlare dell’opinione dei giovani sulla Chiesa cattolica... basta leggere qualche sito internet....
Alcuni infatti hanno la vocazione perchè innamorati di Cristo e del suo Vangelo e vivono ogni giorno questa passione, altri, e sono tanti, fanno il prete o il vescovo e anche il papa per il solo scopo di apparire, di ricevere onori e ricchezze... oppure con assoluta indifferenza fanno i burocrati dell’esistente e della mediocrità e comodità...!
Quanti sono oggi questi ultimi due tipi di preti e di vescovi?
Guardando alla situazione italiana nel periodo berlusconiano e leghista, crediamo che siano almeno la maggioranza in assoluto!
Certo, per chi crede, poichè molti preti e vescovi sono di fatto atei, sappiamo cosa disse il Signore riguardo i servi malvagi e infedeli (Luca 19:11-27) , oppure a chi busserà alla sua porta chiedendo "Signore Signore aprici!"
" Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco!" (Matteo 25, 12)
L’ultimo coinvolgimento della Banca vaticana dello IOR sulla questione della violazione delle norme sul riciclaggio di danaro (quasi sempre sporco e di associazioni mafiose e simili... ) NON PROMETTE NULLA DI BUONO!
SAREMO FORSE DRASTICI MA OCCORRE DIRLO: LA CHIESA CATTOLICA ROMANA di oggi, nella sua stragrande maggioranza (eccettuato i pochi preti veramente profetici ed evangelici) NON PORTERA’ NULLA DI BUONO NE’ ALL’ITALIA NE’ ALLA SICILIA!
Vorremmo tanto sbagliarci oggi... ma NON ASPETTATEVI NIENTE!
VENERDÌ 24 SETTEMBRE 2010
I Teologi del Centro Studi Teologici di Milano Centro Ecumenico
Sul tema, nel sito, si cfr.:
MAFIA: LA CHIESA, L’ITALIA.... e W O ITALY. L’URLO DI KAROL J. WOJTYLA AD AGRIGENTO (1993)
CHIESA, POLITICA, E ... "MAMMASANTISSIMA". INTERVISTA AL CARDINALE PAPPALARDO
IN NOME DELLA FAMIGLIA DI "MAMMASANTISSIMA" E DI "MAMMONA"
GIOVANNI FALCONE, PAOLO BORSELLINO, ANTONINO CAPONNETTO. UN URLO PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE
«La mafie non sopportano il Vangelo»
di Emiliano Morrone*
Come oggi moriva Peppino Impastato, nello stesso giorno di Aldo Moro. Sono quattro decenni dai due omicidi: l’uno di mafia, l’altro ancora discusso. Due figure diverse e assieme simili, dalla missione comune: la lotta politica, ideologica e reale alle diseguaglianze.
Ieri il Corriere della Calabria ha pubblicato una feconda riflessione di monsignor Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza episcopale calabra, sul venticinquesimo dalla visita di Giovanni Paolo II ad Agrigento, la mia seconda città. Lì, dopo le stragi di Capaci e Palermo, strade e spiagge, specie l’ambita San Leone nel “feudo” di Giovanni Brusca, erano presidiate dai militari, che sostavano con mitra affusolati in angoli e slarghi, bramando cenni d’ombra per gli umori della fronte. Giovani e fieri, rare volte distratti dalle nostre grida adolescenti. Allora i social erano nella vita quotidiana. Ad esempio nell’incontro spontaneo della sera davanti al «mare africano», di pirandelliana memoria: madri e figli coi compagni di avventure mitizzate alla luce infinita della Valle dei Templi. E, ancora: una funzione sociale aveva l’uscita dalla messa della festa: capannelli spontanei del vecchio Mezzogiorno.
Ho memoria nitida di quei giorni del ’93; l’anno prima la drammatica sequenza del Trattato di Maastricht, di Tangentopoli, delle bombe senza verità e della crisi della lira. Avevo 17 anni, mi trovavo in Sicilia. La voce polacca del papa risuonava per le vie agrigentine. Perfino nel silenzio estivo dei 36 gradi e passa che segnava il termometro nella stanza in cui dormivo da zia Pina, sorella di nonna Lia. In dialetto orgoglioso, calcato, identitario, gli amici ragazzini rammentavano il discorso del pontefice nello stadio Esseneto. A modo loro dicevano dell’evento dei mesi precedenti, proprio «ca», ma non collegavano Wojtyla alla caduta del Muro di Berlino, troppo lontano dal sud del Sud. Ne parlavano come di una benedizione perpetua. Le mamme li assecondavano, prima di cena. Una, la signora Rosetta, raccontava d’aver toccato la mano di quell’uomo tutto bianco. Poi si dispiaceva di non averla potuta baciare. «Nu santu», rimarcava enfatica e ferita dal martirio di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e le vittime consorti.
Colsi una speranza forte e contagiosa: papa Giovanni il miracolo l’aveva compiuto per davvero, esortando i siciliani ad alzarsi. Fu, credo, il simbolo della pedagogia antimafiosa della Chiesa nell’estremo meridiano, che poi avrebbe visto, a Casal di Principe, in Campania, il sacrificio di don Peppe Diana, coraggioso e attivo come monsignor Óscar Romero, ammazzato a San Salvador per la testimonianza evangelica.
Ecco, nel suo scritto l’arcivescovo Bertolone ha centrato il primo punto per l’emancipazione collettiva. Le mafie non sopportano la pratica del Vangelo, cioè la carità contro l’ingiustizia suprema: l’arricchimento di pochi col sangue del popolo, derubato con violenza. A partire dalla Calabria, va amplificata e vissuta la lezione di Moro, di Impastato e dei morti per la loro stessa causa.
Grazie, monsignor Bertolone, per la direzione che ci ha indicato.
*giornalista
* Corriere della Calabria, 9 maggio 2018 (ripresa parziale, senza immagini).
Cei: l’Italia si sta disintegrando
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 28.09.2010)
L’Italia è a rischio implosione. Dalla relazione del cardinale Bagnasco al Consiglio permanente Cei emerge il malumore del popolo cattolico per la situazione del Paese. Polemiche incessanti, segnate dal disconoscimento reciproco, dalla denigrazione e da una divisione astiosa - sostiene il presidente della Conferenza episcopale - fanno pensare di essere “all’anticamera dell’implosione, al punto da declassare i problemi reali e le urgenze obiettive del Paese”.
È un’Italia che sembra barcollare: arriva “sull’orlo del peggio... poi si raddrizza il tiro, ci si riprende, si tira un respiro di sollievo”, ma alla fine l’attenzione si volge ancora “tra le macerie a cercare finti trofei... per tornare alla guerriglia”. È un ritratto impietoso. “Siamo angustiati per l’Italia”, afferma il cardinale, perché il Paese concreto, fatto di persone che lavorano e intraprendono, non riesce a realizzare il bene pubblico. Si torna sempre al punto di partenza. Da dieci anni si discute di riforme e quando saranno varate? Bisogna fare presto per rispondere alle sfide della globalizzazione. Urge una svolta. Vanno superate le logiche del favoritismo, della non trasparenza, del tornaconto personale. “Se si eludono con malizia i sistemi di controllo, se si falcidia con mezzi impropri il concorrente, se non si pagano le tasse, se si disprezza il merito... si cade nell’ingiustizia”.
Degrado politico
POCHI GIORNI fa l’Avvenire ha dedicato due pagine al degrado del sistema politico. Bagnasco riprende il tema. Lamenta il linguaggio violento usato da chi ha responsabilità pubbliche. Attira l’attenzione sulla fragilità della situazione economica,invita a tenere conto del diritto dei lavoratori licenziati e disoccupati e sottolinea l’importanza degli ammortizzatori sociali, esorta a non usare strumentalmente la flessibilità - che non va ostacolata per “indebolire la dignità di chi lavora”, auspica una soluzione giusta per i precari della scuola, ammonisce di non trascurare i guasti della malasanità e di non dimenticare i morti sul lavoro, verificando il sistema dei subappalti.
Non c’è aspetto del malessere italiano che il cardinale non citi nella sua relazione. Dallo stato delle carceri alla violenza sulle donne, dai rigurgiti razzisti alle persecuzioni contro i Rom. In questo senso è una relazione politica, con il monito a superare contese e personalismi esasperati per ritrovare il senso del “bene comune”. In particolare Bagnasco si augura l’avvento di una nuova generazione di politici cattolici.
Gli occhi della gerarchia restano disperatamente chiusi, invece, su un aspetto chiave della crisi italiana. L’agire di un primo ministro che offre da anni l’esempio di un’azione sistematica per eludere, cancellare o fabbricare leggi nel suo personale interesse. Non si tratta di abbracciare l’antiberlusconismo, come spesso dicono per difendersi gli esponenti della Chiesa. Non è questo.
Non si tratta nemmeno del colore politico del governo. Ma lo scardinamento delle regole, praticato da Berlusconi, è unico in Occidente. E la Cei - d’intesa con la Segreteria di stato vaticana - finge di non vederlo, anche se è in flagrante contraddizione con l’idea di “bene comune” a cui fa appello Bagnasco.
Da questo punto di vista bisogna notare che il segnale inviato un anno fa da Berlusconi alla Chiesa - con il “metodo Boffo” applicato dal Giornale di Feltri - ha avuto pieno successo (per il Cavaliere). Da settembre scorso l’Avvenire non si permette più di criticare i comportamenti di Berlusconi. Il che è l’unica cosa che interessa al premier. Che poi dal giornale dei vescovi arrivino critiche al governo in tema di immigrazione o che si esprima il desiderio di un mutamento della legge elettorale, a Berlusconi interessa poco. Basta che la gerarchia ecclesiastica non gli tolga il puntello della legittimazione etica. E la Cei e il Vaticano questo il puntello continuano a darglielo.
Assai netta nella relazione Bagnasco è, tuttavia, la difesa dell’unità nazionale. Il presidente della Cei sostiene con forza che vanno verificati tutti gli aspetti del federalismo. Senza ricatti, equivoci, ipocrisie, demagogie e forme di contrattualismo esasperato: il cardinale usa questi termini a uno a uno. “La riforma - scandisce testualmente - non deraglierà se potrà incardinarsi in un forte senso dell’unità e indivisibilità della nazione”.
E qui Bagnasco evoca il simbolo della bandiera così spesso vilipesa da Bossi e dai suoi imitatori. “Il tricolore - esclama il presidente della Cei - è ben radicato nel cuore degli italiani”. È un federalismo “solidale”, quello per cui la Chiesa è pronta a spendersi. Nella visione di un nuovo patto nazionale,che nel centocinquantesimo dell’Unità d’Italia rafforzi i vincoli tra gli italiani.
Lo scandalo pedofilia
NON POTEVA mancare nell’intervento del porporato un paragrafo dedicato agli scandali di pedofilia. È il più deludente. La Cei fa sue le parole di Benedetto XVI sui crimini inqualificabili, sulle “immense sofferenze causate dall’abuso” e la necessità di dare priorità alle vittime. E questo è tutto. In Inghilterra sono stati istituiti gruppi di vigilanza, in Belgio e in Austria la Chiesa ha creato commissioni di indagine, in Germania l’episcopato ha nominato un vescovo referente nazionale per gli scandali. In Italia la Cei si ferma all’annuncio di voler seguire le direttive della Santa Sede e alla promessa di “decisa vigilanza, intervento e sostegno umano e cristiano per tutti”.
Non una sola struttura nazionale per contrastare il fenomeno e rintracciare le vittime dimenticate, è stata messa in piedi. E si tace sui risarcimenti. La gerarchia crede che parlarne sia un fatto anticlericale e non capisce che è un’esigenza molto sentita del mondo cattolico e dell’opinione pubblica. In realtà la Chiesa italiana, come è stato detto al convegno di Verona, teme che “si alzi il coperchio” sulle centinaia di abusi commessi. Ma il coperchio, se i vescovi non seguiranno l’esortazione alla trasparenza di Benedetto XVI, sarà levato lo stesso. E allora l’effetto del silenzio sarà devastante.
CALABRIA
"No ’ndrangheta", migliaia a Reggio
"In questa terra c’è bisogno di coraggio"
Dopo l’ultimo attentato al procuratore Di Landro, una grande e colorata manifestazione contro la criminalità organizzata. La più imponente mai organizzata nella regione. Molti rappresentanti dela società civile, sindaci, imprenditori e cittadini
di GIUSEPPE BALDESSARRO
REGGIO CALABRIA - Sono diverse decine di migliaia le persone che hanno partecipato questa mattina alla manifestazione "No ’ndrangheta", promossa a Reggio Calabria da "il Quotidiano" dopo l’ultimo attentato al procuratore generale della città dello Stretto, Salvatore Di Landro. Un’iniziativa partecipata, politicamente e culturalmente trasversale, aperta a diverse realtà che si sono messe assieme per un giorno per dire che esiste una Calabria diversa, che ha voglia di ribellarsi alla sopraffazione mafiosa. L’iniziativa numericamente più importante mai realizzata nella regione contro la criminalità organizzata in Calabria. Studenti, sindaci da ogni parte della regione, con i propri gonfaloni, molti parlamentari calabresi, del Consiglio e della Giunta della Regione Calabria, cittadini e poi i movimenti le associazioni antimafia e ambientaliste, le categorie produttive, gli imprenditori ed i commercianti. Tutti i sindacati regionali, con Cgil, Cisl e Uil impegnate sul piano organizzativo, nelle scuole e sui luoghi di lavoro.
Diversi gli striscioni contro la ’ndrangheta, assieme a cartelli, magliette colorate. Un corteo colorato da tanti palloncino colorati con la scritta "No ’ndrangheta", slogan della manifestazione. E ancora magliette bianche, con la stessa scritta, indossate da bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado. Macchie di colore a testimonianza dello spirito anche gioioso e colmo di speranza che ha accomunato coloro che hanno partecipato al corteo. Ma non sono mancati anche richiami a quella che è la realtà attuale, fatta di bombe, intimidazioni e collusioni della ’ndrangheta con ambienti imprenditoriali e politici, come confermato da numerose inchieste. Su uno striscione, esposto al centro di Piazza Duomo, nel corso degli interventi conclusivi, c’era scritto: "la ’ndrangheta è viva e marcia insieme a noi... purtroppo". Il corteo, partito da Piazzale della Libertà intono alle 10, ha raggiunto all’una piazza Duomo.
Qui dal palco si sono susseguiti alcuni interventi di vittime della criminalità organizzata calabrese. Tra questi quello del procuratore generale Salvatore Di Landro. Nessun intervento di politici che hanno assistito dalla piazza. Neppure il direttore del Quotidiano, Matteo Cosenza, ha voluto parlare dal palco, preferendo lasciare quanto più spazio possibile alle testimonianze delle vittime e della società civile. "C’è un pezzo di Calabria - ha detto Cosenza a margine dell’inizitiva - che vuole crescere, che vuole riscattarsi, che vuole conquistare serenità, tranquillità e fiducia nel futuro. Una Calabria che ha bisogno di coraggio e forse da questa manifestazione riuscirà ad averlo".
* la Repubblica, 25 settembre 2010
Un altro caso rappresentativo della tragica situazione che si era venuta a determinare in America del Sud, non solo a causa della politica imperialista statunitense, ma anche per la bieca opposizione dei capi della Chiesa alle rivendicazioni popolari di stampo chiaramente socialcomunista, è rappresentato dall’arcivescovo Oscar Romero. Già in occasione della Conferenza di Puebla del ‘79, l’arcivescovo aveva sottolineato, in maniera umile ed elegante, la corruttela che regnava in larga parte del clero sudamericano con le seguenti parole, che evidenziano un palese tradimento dei fini evangelici dei gerarchi vaticani:
“Tra i vescovi esiste una spaccatura deplorevole. Secondo alcuni non è in atto alcuna persecuzione. Credono nella sicurezza che dona loro privilegi, o piuttosto che concede loro apparente rispetto. Allo stesso modo, altri che godono di una posizione privilegiata nel paese non vogliono perdere le amicizie che hanno, e così via. Quindi non chiedono le riforme che sono così urgenti” .
Egli apparteneva all’ala moderata del clero romano, ma dopo che una folla di campesinos e dei loro familiari fu falcidiata davanti alla sua chiesa dalla repressione dittatoriale, decise che avrebbe proclamato la giustizia e la verità dalle radio libere e dai giornali non controllati dai militari, per sapere chi proteggesse gli squadroni della morte responsabili di 75.000 vittime in El Salvador. Egli voleva sapere chi fosse il regista delle malvagie persecuzioni, alle quali erano sottoposti tutti quelli che rivendicavano il diritto di essere trattati come esseri umani e non come bestie. Egli voleva sapere il perché di questa politica dell’orrore: “Le persone uccise venivano lasciate per settimane appese agli alberi, altre venivano gettate nei fossati, nei ruscelli, nelle discariche: i loro resti in decomposizione dovevano servire ai contadini come monito a non ribellarsi” . Scrisse pure al Papa perché fermasse lo scempio. Purtroppo la sua protesta era stata preceduta da insinuazioni sulla sua presunta appartenenza alla Teologia della Liberazione e ai gruppi marxisti di liberazione nazionale. Per accelerare i tempi di un pronto riscatto, nel 1979 volò pertanto a Roma, ove Wojtyla lo fece attendere un mese, prima di riceverlo. All’Infallibile, espose con prove alla mano un quadro agghiacciante della situazione sociale nel suo paese, in cui il 2-3% degli abitanti possedeva quasi tutte le ricchezze nazionali, causando povertà e malnutrizione al resto della popolazione. Mostrò al suo interlocutore le foto dei massacri, delle mutilazioni e delle torture, ma non ci fu niente da fare. La Piovrus Dei rispose, per bocca del suo rappresentante massimo, arroccato su posizioni assurde:
“Non esageri. È importante che lei avvii un dialogo con il governo”. E poi: “Non dovremmo preoccuparci soltanto di difendere la giustizia sociale e l’amore per i poveri, dovremmo preoccuparci anche del pericolo che i comunisti sfruttino questa situazione, cosa che sarebbe negativa per la Chiesa” . da: LA RELIGIONE CHE UCCIDE COME LA CHIESA DEVIA IL DESTINO DELL’UMANITÀ (Nexus Edizioni), giugno, 2010. 517 pagine, 130 immagini, € 25
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