Il vescovo-impresario denunciato all’Antitrust
di Antonello Caporale *
E’ stato definito presule testardo ma operoso. Infatti. Al magazine "Den- Il mensile del denaro" il vescovo di Vallo della Lucania fece ai fedeli una promessa niente male che il titolista riassunse così in cima all’articolo: "Con l’aiuto di Dio vi rifaccio il Cilento".
Mai promessa fu ipotecata da mille e mille impegni con i quali monsignore negli anni è andato sviluppando, di pari passo all’intensa catechesi, un’attività edilizia assai coinvolgente, con incursioni nel mondo della ristorazione e del teatro.
Favale è un costruttore di opere. E l’abbiamo detto. La prima (e la più nota) è un piastrellato che impreziosisce la facciata principale della Curia dove il medesimo Favale è raffigurato appena un passo dietro Gesù, ma in linea con l’incedere del Papa.
Nella cinta muraria del vescovado c’è anche un ottimo ristorante, Si chiama Il Sinodo. Ampie vetrate, piatti ricercati, un clima elegante ma sobrio. Chi desidera, paga. Nelle immediate vicinanze un gran bel teatro, La Provvidenza, che raccoglie in cartellone le più note compagnie, artisti di fama, personaggi dello star system. Biglietto salato ma spettacolo assicurato. Il problema, ma è davvero un problemuccio, è che l’operosità del presule è appena finita sulla scrivania dei commissari dell’antitrust per "abuso di posizione dominante".
Qui non sono le preghiere in discussione, ma appunto le opere. Il vescovo recita messa e proietta film, prepara l’eucarestia e il cinepanettone. Chi vuole fare penitenza deve passare da lui. Come chi vuol andare a teatro. L’unico teatro esistente e funzionante nel Cilento è quello di Monsignore. E un impresario, Michele Murino, l’ha denunciato perché "il Favale controlla in regime di monopolio un’essential facility", figura essenziale del diritto antitrust. Nella memoria, il ricorrente acclude i costi degli abbonamenti e dei singoli biglietti e, soprattutto, l’attività di contrasto del vescovo contro qualunque finanziamento pubblico destinato, in un territorio vastissimo, comparabile con quello di una media provincia italiana, e abitato da circa 100mila, all’edificazione di un secondo cine-teatro alternativo.
La giunta di Vallo della Lucania sta per approfondire il tema della costruzione di un auditorium? Favale bolla l’iniziativa: "Struttura inutile. E’ meglio una piscina". Trenta chilometri più a nord, ad Agropoli, fa capolino la stessa idea, un teatro. Favale, prontissimo: E’ uno spreco". In una veemente diretta tv il vescovo brucia vivi i politici: "Beati loro che hanno tutti questi soldi. Io continuerò con caparbietà a portare avanti le attività della Provvidenza".
Ora et labora. Ma la Provvidenza è finita - pro tempore - sotto esame.
* la Repubblica, 25 agosto 2009
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR. (cliccare sul titolo, per leggere l’articolo):
ESEQUIE
Sindaco ucciso, monsignor Favale: avere il coraggio di reagire *
«Siate voi i veri padroni del Cilento, e proteggete i vostri figli come sentinelle sul territorio». Questa l’esortazione del vescovo di Vallo della Lucania, Rocco Favale, ai cilentani presenti ai funerali del sindaco di Pollica Angelo Vassallo. Il presule invita anche a non lasciarsi «prendere dalla prospettiva degli affari d’oro, soprattutto se derivanti da denaro di dubbia provenienza».
«Tenevi stretti i sacrifici fatti dai vostri antenati. Accontentatevi del poco», è il monito. Il rito funebre si è concluso sotto la pioggia e il vento, e, dalle prime stime, sembra vi abbiano partecipato oltre 5mila persone.
All’origine «dell’efferato delitto» c’è «la mancanza di amore per l’uomo», e il voler mettere al primo posto «il denaro, il profitto, lo sfruttamento dell’ambiente e delle persone pensando e credendo che soltanto questo costituisce la fonte della felicità e della umana realizzazione».
«Ma perchè uccidere brutalmente», ha detto il vescovo, un uomo che «ha dato tanto a questo territorio», «massacrandolo di pallottole?». «Forse - si è chiesto il monsignor Favale - per un permesso negato, per un affare nobilmente rifiutato o per un qualcosa di losco che volevano realizzare in un territorio tanto amato e difeso dal nostro carissimo Angelo e da lui smascherato?».
«Povere bestie umane! Si fa tanto per rendere l’uomo sempre più nobile e invece, spesso, ci troviamo davanti a persone che giocano al ribasso!», è stato l’amaro commento del vescovo. Di fronte a tanta brutalità «occorre avere il coraggio di reagire. E si reagisce lavorando e lottando per rendere questa nostra terra, questa nostra società più umana e più nobile».
Proprio come aveva fatto Vassallo, che «con un intuito straordinario aveva compreso che il Cilento ha necessità di uomini coraggiosi, onesti, positivamente motivati». Sono invece necessari, ha detto il vescovo «uomini veramente appassionati di questo territorio che, oltre della bellezza della natura, è ricco di sane tradizioni umane e familiari. I suoi abitanti hanno un cuore aperto e sono disponibili a sollecitazioni che potrebbero rendere sempre più affascinante e accogliente questa terra che può essere fonte di ricchezza a condizione, però, che siano loro per primi ad amarla e a rispettarla».
* Avvenire, 10 settembre 2010
Le bestie ci scrivono
Dura reazione degli animali all’accusa di essere i responsabili dell’omicidio del sindaco di Pollica.
di Giovanni Sarubbi *
«Protestiamo, protestiamo vivamente per le parole di Rocco Favale, vescovo di Vallo della Lucania, al funerale di Angelo Vassallo sindaco di Pollica, in provincia di Salerno, ucciso la scorsa settimana. Noi animali, noi bestie, come ha detto il vescovo, non siamo responsabili di quell’omicidio.
E’ noto a tutti, infatti, che nessuna bestia usa automobili, tuttalpiù ne siamo uccisi quando, noi cani o gatti, veniamo abbandonati dai nostri padroni sulle autostrade. E’ noto ancora che nessuna bestia usa armi da fuoco che sono una invenzione tutta umana.
Quell’omicidio lo avete fatto voi umani. Lo avete fatto per soldi, freddamente, come se fosse una cosa del tutto normale. Solo voi siete capaci di uccidere a sangue freddo, senza provare alcuna emozione, e senza la necessità di dover soddisfare i morsi della fame come succede a quelle bestie che fra noi sono carnivore e lo sono non per propria scelta.
Nessuna bestia carnivora si sognerebbe mai di uccidere come uccidete voi umani. Nessuna bestia si sognerebbe di uccidere, per esempio, milioni di bisonti o di pinguini o di foche o di quelli che voi chiamate animali da pelliccia, solo per procurarsi la loro pelle per vestire quelle che voi umani chiamate “le nostre donne”, come se fosse possibile che qualcuno possa essere di proprietà di qualcun altro. Nessun animale predatore va a caccia per divertimento, come fate voi, a uccidere con armi potenti piccoli uccelletti indifesi che non fanno nulla di male ma che anzi allietano l’ambiente con i loro canti. Solo per voi la caccia è uno sport, solo fra voi umani c’è chi si inebria a vedere le persone combattere e uccidere.
Fra le nostre bestie carnivore non ci sono i serial killer come fra voi umani, che uccidono per il gusto di uccidere, si perché fra voi c’è chi prova gusto ad uccidere, chi si esalta nell’uccidere esseri indifesi. Gli animali che fra noi sono carnivori e uccidono altri animali lo fanno solo per sfamarsi e neppure tutti i giorni.
Fra voi umani i morti ammazzati ogni giorno e ad ogni ora non si contano. Secondo le vostre stesse statistiche ogni minuto nel mondo c’è qualcuno che viene ucciso da un’arma da fuoco. E chi produce quelle armi e quei proiettili non prova il minimo rimorso per quello che ha fatto e non si sente minimamente responsabile di quelle morti. Tranquilli padri e madri di famiglia producono armi durante la settimana e poi la domenica vanno a messa a sentire le prediche di vescovi come quello di Vallo della Lucania.
Siete così attivi nel campo degli omicidi che avete inventato persino un’attività redditizia, la guerra, attraverso la quale qualcuno di voi accumula ricchezze su ricchezze, tutte sporche di sangue umano, ma anche di quello di noi poveri animali o bestie, come preferisce chiamarci il vescovo di Vallo della Lucania, quando ci troviamo coinvolte nostro malgrado nei vostri combattimenti.
Avete costruito eserciti immensi, istruendo le persone a combattere e ad uccidere e armamenti di distruzione di massa, bombe atomiche a migliaia, armi chimiche e batteriologiche in migliaia di tonnellate, armi ad alta energia, armi all’uranio cosiddetto impoverito e le avete usate come si può usare un dentifricio per lavarsi i denti, incuranti delle distruzioni, dei morti e dell’inquinamento che esse provocavano. Avete bombardato Hiroshima e Nagasaki, avete usato i vostri agenti chimici nella guerra del Vietnam o nelle vostre guerre coloniali in Africa contro il popolo nero o in Asia contro quello giallo, avete compiuto qualche migliaio di esperimenti nucleari, giusto per provare le vostre bombe e per terrorizzare tutta la Terra o per dimostrare al vostro dio di essere pienamente liberi e padroni di voi stessi e della Terra. Avete fatto dell’uccidere un’arte con le sue regole che quasi sempre fra l’altro neppure rispettate.
E uccidete per soldi, per accumulare ricchezze, per poter avere ville lussuose, macchine di lusso, cibi succulenti, femmine o maschi a volontà per soddisfare la vostra libidine sessuale, per avere potere sulla vita e sulla morte di altri esseri umani come voi. A noi bestie neppure ci considerate. Ci usate solo per coprire i vostri crimini.
E per arricchirvi non esitate non solo ad uccidere altri essere umani come voi e anche animali, giusto per non perdere l’abitudine, ma anche la Terra che ci ospita. Non esitate a scaricare i veleni delle vostre industrie di prodotti inutili nei mari, nei fiumi, nei laghi, nell’atmosfera e tutto ciò lo chiamate progresso.
Vescovi come quello di Vallo della Lucania, che ci ha accusato di un omicidio che noi non possiamo avere commesso, hanno benedetto le armi, i soldati e le guerre che si sono combattute o che ancora si stanno combattendo in giro per il mondo. Siete arrivati persino a benedire, nel nome del vostro dio, le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki che hanno fatto 200mila morti in un sol colpo.
Il vescovo di Vallo della Lucania ha definito bestie gli assassini di Angelo Vassallo. Ma si tratta di uomini che fra loro si chiamano “uomini d’onore”, che fanno parte di organizzazioni che voi stessi definite criminali e che vanno sotto il nome di mafia, camorra e ndrangheta.
Vescovi come quello di Vallo della Lucania hanno benedetto queste bande di delinquenti, hanno benedetto i loro matrimoni, hanno amministrato i loro battesimi, facendo finta di non vedere le pistole che il padrino regalava ai battezzandi, o di non sapere come egli si guadagnasse da vivere. Li avete accolti nelle vostre chiese in pompa magna e avete consentito loro di fregiarsi dei nomi di persone che voi avete definito santi e ora li chiamate bestie?
No, fanno parte del genere umano, quello che voi vi ostinate a chiamare “homo sapiens sapiens”. Nessuna bestia si sarebbe mai permesso di inquinare irrimediabilmente il Golfo del Messico, di far fondere i ghiacciai del polo nord e del polo sud a causa dell’uso sfrenato delle risorse della Terra che voi state mettendo in atto. Nessuna bestia si permetterebbe mai di bruciare migliaia di ettari di bosco solo per il gusto di vedere le fiamme o perché ci guadagna qualcosa o per mantenere il proprio posto di lavoro di addetto agli spegnimenti degli incendi boschivi. Nessuna bestia si permetterebbe di sfruttare altre bestie per conseguire vantaggi economici e politici come voi fate. Nessuna bestia guadagna quattro e più milioni di euro all’anno o al giorno ma è ancora insoddisfatto e ne vuole ancora di più e per ottenerlo non si fa scrupoli e chiede sacrifici su sacrifici a chi da lui dipende e che lui ritiene di possedere. Nessuna bestia produrrebbe droga, o utilizzerebbe mai la pubblicità per in stupidire milioni di esseri umani per indurle a comprare cose inutili e dannose e per spingerli alla guerra. Nessuna bestia utilizzerebbe mai alcun dio come fate voi per sostenere le vostre azioni criminali.
E noi saremmo le bestie? Ma perché, signor Vescovo, parlate così solo quando qualche persona onesta viene uccisa?»
Fin qui la lettera che mi ha dettato il cane che ho in casa a nome di tutti gli animali della Terra e che io ho semplicemente trascritto per farla conoscere a tutti gli esseri umani che non riescono a parlare più non solo con gli animali e tutti gli altri esseri viventi ma neppure fra di loro, impegnati come sono a fare soldi, a competere fra di loro, cioè a uccidersi a vicenda con le armi o con i guanti bianchi. Si perché anche quelli che stanno nei luoghi del potere politico economico uccidono. Non lo fanno direttamente, altri fanno il lavoro sporco per loro, ma uccidono.
Ho chiesto perdono al mio cane, l’ho abbracciato. Stanotte ho dormito vicino a lui sul divano. Ci ha poi raggiunto anche la nostra vecchia amica gatta. Ci ha fatto le fusa e poi si è addormentata vicino a noi. Poi all’alba ci siamo svegliati e abbiamo visto il sole sorgere di nuovo.
Un altro giorno è cominciato ma non è ancora l’alba di un giorno di pace per la Terra e per tutti gli esseri viventi che la abitano.
Giovanni Sarubbi
Il docente di religione denuncia le "ipocrisie" del clero
"La Diocesi di Vallo specula sulle case e non aiuta i poveri"
di: Vincenzo Rubano *
VALLO DELLA LUCANIA - Vuole restare con i suoi ragazzi "fino alla morte", ed essere ridotto allo stato di laico perché non si rispecchia più nella Chiesa di oggi. E’ la richiesta di Aniello D’Angelo, docente di religione, residente a Centola, diacono dal 1997. Il docente ha scritto direttamente a Benedetto XVI per spiegare le motivazioni del suo gesto, che hanno già gettato nello sgomento i vertici della diocesi di Vallo della Lucania. “E’ da molto tempo che meditavo una simile scelta che mi è costata tanta riflessione e dolore - precisa D’Angelo - La decisione l’ho presa all’apertura dei lavori della FAO che si è tenuta a Roma nei giorni scorsi, quando, già in disaccordo con questi tipi di eventi, celebrati alle spalle dei poveri e con grande dispendio economico, ho visto la presenza di papa Benedetto XVI, che partecipa ad una tale manifestazione, indossando croce e anello d’oro. Sono stato diacono permanente dal 1997 e mi ero illuso - spiega ancora D’Angelo - di dare un contributo ad una chiesa che brillasse per sincerità, umiltà e povertà; invece ho dovuto constatare che la maggior parte delle azioni ecclesiali sono mirate solo a fini economici e di affermazione di potere”.
Ma il diacono cilentano, che avrebbe preferito non pubblicizzare la sua vicenda, evidenzia numerose perplessità anche all’interno della diocesi di Vallo: “A livello diocesano - spiega il docente - le cose sono sotto gli occhi di tutti: la diocesi di Vallo ha investito la maggior parte delle sue energie nell’edificazione di un regno di Dio fatto di musei spogli, di “fontanelle” come il cinema, il teatro, le rendite dai molteplici immobili di proprietà. Voglio restare fuori dall’avallare questo stato di cose e dire basta alle bugie e falsità di molti esponenti della gerarchia ecclesiale che mi hanno toccato anche personalmente”.
D’Angelo fa riferimento ad abusi subiti in prima persona: “Ho saputo di una lettera segreta e introvabile, vista da alcuni miei colleghi tra le mani del vescovo, spedita dall’ex dirigente scolastico del liceo scientifico di Vallo che chiedeva di non rinnovarmi la nomina in quella scuola, come infatti avvenne dal successivo anno scolastico. Per questo voglio la verità e la condanna di eventuali responsabili. Tale fatto mi ha molto danneggiato a livello fisico ed economico, se si pensa che da allora le sedi scolastiche a me assegnate sono lievitate, fino alle attuali sei, in sei comuni diversi e molto distanti tra loro”. Ora D’angelo aspetta di essere chiamato in Vaticano e chiarire la sua posizione. Nel frattempo ha fondato l’ associazione “Chiesa degli ultimi” per aiutare chi è più debole, chi è vittima dell’incuria umana, chi è emarginato dalla società.
LA CROCE DI GESU’ CRISTO NON HA NIENTE A CHE FARE CON IL CROCIFISSO DELLA TRADIZIONE COSTANTINIANA E CATTOLICO-ROMANA:
IL "DEUS CARITAS EST"(Benedetto XVI, 2006) E’ UN FALSO FILOLOGICO, ANTROPOLOGICO E TEOLOGICO. Si cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/breve.php3?id_breve=294
EU-CHARIS-TIA: IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO" ("CHARITAS"), IL "CORPUS DOMINI", VENDUTO SEMPRE PIU? A "CARO-PREZZO"("CARITAS"), DA PAPA BENEDETTO XVI ("Deus caritas est", 2006) E DA TUTTI I VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA ...
Il Dio-Amore CHARITAS è la Grazia (CHARIS) del dio di Gesù!!! CARITAS è "Mammona", il DIO DEL CARO-PREZZO, DEGLI AFFARI E DELL’ELEMOSINA DI RATZINGER, RUINI, BERTONE, BAGNASCO E "SOCI". Si cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4174
GIOVANNI XXIII E GIOVANNI PAOLO II RESTITUIRONO L’ANELLO DEL "PESCATORE" A GIUSEPPE!!! AVEVANO CAPITO CHE LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA....
Federico La Sala
BOFFO, OSSERVATORE ROMANO: SU AVVENIRE EDITORIALI ESAGERATI *
ROMA - "E’ vero, sulle vicende private di Silvio Berlusconi non abbiamo scritto una riga. Ed è una scelta che rivendico, perché ha ottime ragioni". Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore romano, prende le distanze da un giornalismo che "pare diventato - osserva in un colloquio pubblicato dal Corriere della sera - la prosecuzione della lotta politica con altri mezzi. Segno che la politica, in tutti i suoi schieramenti, è piuttosto debole. Infatti da alcuni mesi la contesa tra partiti - spiega - sembra svolgersi soprattutto sui giornali, che hanno assunto un ruolo non soltanto informativo, come mostrano anche le vicende degli ultimi giorni". Sulla solidarietà a Dino Boffo non si discute, ma Vian esprime qualche perplessità sulle scelte di Avvenire: "Non si è forse rivelato imprudente ed esagerato - chiede - paragonare il naufragio degli eritrei alla Shoah, come ha suggerito un editorialista del quotidiano cattolico?". E "come dar torto al ministro degli Esteri italiano - insiste il direttore dell’Osservatore romano - quando ricorda che il suo governo è quello che ha soccorso più immigrati, mentre altri, penso per esempio a quello spagnolo, proprio sugli immigrati usano di norma una mano molto più dura? Mi sembra davvero un caso clamoroso, nei media, di due pesi e di due misure". Peraltro, assicura Vian, i rapporti tra Italia e Santa Sede "sono buoni. Berlusconi è stato il primo a chiarire che non sarebbe andato a Viterbo per la prossima visita del Papa quando ha capito che la sua presenza avrebbe causato strumentalizzazioni". E l’incontro all’Aquila "é saltato per non alimentare le polemiche", ma "si è trattato di un gesto concordato, di responsabilità istituzionale da entrambe le parti. Tanto più che i rapporti tra le due sponde del Tevere - insiste Vian - sono eccellenti, come più volte è stato confermato". Insomma, "nelle relazioni tra Repubblica italiana e Santa Sede non cambia nulla".
Ne parla il segretario di Stato in un’intervista rilasciata alla vigilia della Perdonanza celestiniana
Il progetto di Chiesa e di società di Benedetto XVI *
Il perdono è la forza della Chiesa per vincere il male ed è il percorso scelto da Benedetto XVI per proporre in termini convincenti alla società contemporanea una rinnovata apertura a Dio. Il cardinale Tarcisio Bertone, in una intervista esclusiva al nostro giornale, prende spunto dalla celebrazione della Perdonanza celestiniana all’Aquila il 28 agosto per ribadire che solo una Chiesa e una società inclusive rispecchiano il progetto per cui sta operando Benedetto XVI. È la prima volta di un segretario di Stato alla storica celebrazione, decisa quale segno di affetto e vicinanza del Papa alle popolazioni abruzzesi colpite dal terremoto. Tanti gli spunti concreti di novità per sacerdoti e laici, che ci saranno nella curia romana e nella pastorale, che il cardinale Bertone offre. La pubblica opinione è chiamata a un alto senso di responsabilità che aiuta, tra l’altro, a superare ogni fraintendimento sul percorso scelto da Papa Benedetto, il pontefice che non brandisce la spada dello scontro e si fa capire dalla gente.
Perché il cardinale segretario di Stato ha deciso quest’anno di partecipare alla celebrazione del Perdono di Celestino V?
Il segretario di Stato è un vescovo e come primo collaboratore del Papa partecipa alla sua missione pastorale per il bene del popolo di Dio. Dopo aver celebrato il rito funebre per le vittime del terremoto, sono stato invitato a presiedere all’inaugurazione dell’Anno celestiniano e della sessantesima Settimana liturgica nazionale che doveva tenersi all’Aquila. Ho accettato volentieri sia per la connessione affettiva e spirituale che ormai mi lega alla terra abruzzese, sia per il tema scelto: il sacramento del perdono, forza che vince il male. Poi, per evidenti motivi, la Settimana liturgica è stata trasferita a Barletta, in Puglia, mentre la festa della Perdonanza non poteva che essere celebrata all’Aquila, sotto il segno della riconciliazione che ricostruisce la comunione con Dio e con i fratelli, e risana le ferite del corpo e dello spirito. La mia partecipazione, inoltre, si pone in continuità con la vicinanza del Papa alle popolazioni abruzzesi colpite dal terremoto. Dopo la sua commovente visita all’Aquila, il Papa ha seguito l’azione della Chiesa, che si è espressa con i generosi contributi di molte diocesi italiane e non italiane, e si mantiene informato sull’azione delle istituzioni civili, sugli aiuti già avviati e anche sulle promesse fatte a livello internazionale, in occasione del g8. Come tutti noi, auspica che nulla possa fare pensare a lentezze o a disimpegno nel ridare alle persone la possibilità di riprendere una normale vita familiare nelle loro case, ricostruite o rese agibili, e nelle loro attività economiche e sociali.
La Perdonanza fu una importante iniziativa di Celestino V per estendere con larghezza le indulgenze spirituali, che in questo modo erano messe a disposizione anche dei cristiani più umili. Qual è l’attenzione ai poveri della Chiesa di Benedetto XVI?
Conosciamo la forza dirompente dell’atto compiuto da Celestino V: il suo dono ha spinto poi il suo immediato successore, Bonifacio viii, a promulgare il Giubileo, con l’indulgenza estesa ormai a tutto il mondo, in un impulso plenario di rinnovamento, di perdono e di condono anche a livello economico e sociale, oltre che spirituale. Si rammentino le iniziative planetarie nate dal Giubileo del 2000. Venendo all’atteggiamento di Benedetto XVI verso i poveri, vorrei sottolineare innanzi tutto la sua particolare attenzione ai piccoli e agli umili. Pur essendo un grande teologo e maestro di dottrina, un intellettuale e uno studioso importante, che si misura con gli uomini e le donne di pensiero del nostro tempo, Papa Ratzinger si fa capire da tutti ed è vicino alla gente, perché nelle sue parole anche la gente semplice percepisce la verità e coglie il senso di una fede e una saggezza umana ricca di paternità. Parafrasando una espressione biblica, potremmo dire, con le parole del salmo 25, che "guida gli umili nella giustizia e ai poveri insegna la via del Signore". Benedetto XVI raggiunge una molteplicità di situazioni di povertà di singoli, di famiglie e di comunità sparse nel mondo, sia direttamente, sia attraverso la Segreteria papale o Segreteria di Stato, sia attraverso gli organismi preposti alla carità, come l’Elemosineria apostolica, il Pontificio Consiglio Cor Unum e altri, e con essi distribuisce non solo le offerte che riceve dai fedeli, dalle diocesi, dalle congregazioni religiose e le associazioni benefiche, ma anche i suoi diritti di autore, frutto del suo personale lavoro. Si può dire che realmente, secondo la definizione di sant’Ignazio di Antiochia, egli "presiede nella carità", guidando con l’esempio quel vasto movimento di carità e di solidarietà planetaria che la Chiesa svolge nelle sue più articolate componenti e ramificazioni capillari. Infine, sulla scia dei suoi predecessori, con un accento peculiare interviene, richiama, risveglia, sollecita l’azione dei Governi e delle organizzazioni internazionali per sanare le disuguaglianze e le discriminazioni più brucianti in tema di sottosviluppo e di povertà. Vorrei ricordare, tra gli innumerevoli testi, appelli e messaggi, il numero 27 della Caritas in veritate dove denuncia l’accentuarsi di una estrema insicurezza di vita e di crisi alimentari provocate sia da cause naturali sia dall’irresponsabilità politica nazionale e internazionale: "È importante evidenziare come la via solidaristica allo sviluppo dei Paesi poveri possa costituire un progetto di soluzione della crisi globale in atto, come uomini politici e responsabili di Istituzioni internazionali hanno negli ultimi tempi intuito".
Lei conosce i consensi che circondano Benedetto XVI ma anche alcune riserve, specialmente sulla fedeltà al concilio Vaticano II e sulla riforma della Chiesa. Le sembrano timori fondati?
Per capire le intenzioni e l’azione di governo di Benedetto XVI occorre rifarsi alla sua storia personale - un’esperienza variegata che gli ha permesso di attraversare la Chiesa conciliare da vero protagonista - e, una volta eletto Papa, al discorso di inaugurazione del pontificato, a quello alla Curia romana del 22 dicembre 2005 e agli atti precisi da lui voluti e firmati (e talora pazientemente spiegati). Le altre elucubrazioni e i sussurri su presunti documenti di retromarcia sono pura invenzione secondo un cliché standardizzato e ostinatamente riproposto. Vorrei solo citare alcune istanze del concilio Vaticano II dal Papa costantemente promosse con intelligenza e profondità di pensiero: il rapporto più comprensivo instaurato con le Chiese ortodosse e orientali, il dialogo con l’ebraismo e quello con l’islam, con una reciproca attrazione, che hanno suscitato risposte e approfondimenti mai prima verificati, purificando la memoria e aprendosi alle ricchezze dell’altro. E inoltre mi fa piacere sottolineare il rapporto diretto e fraterno, oltre che paterno, con tutti i membri del collegio episcopale nelle visite ad limina e nelle altre numerose occasioni di contatto. Si ricordi la prassi da lui avviata dei liberi interventi alle assemblee del Sinodo dei vescovi con puntuali risposte e riflessioni dello stesso Pontefice. Non dimentichiamo poi il contatto diretto instaurato con i superiori dei dicasteri della Curia romana con i quali ha ripristinato i periodici incontri di udienza. Quanto alla riforma della Chiesa - che è soprattutto una questione di interiorità e di santità - Benedetto XVI ci ha richiamati alla fonte della Parola di Dio, alla legge evangelica e al cuore della vita della Chiesa: Gesù il Signore conosciuto, amato, adorato e imitato come "colui nel quale piacque a Dio di far abitare ogni pienezza", secondo l’espressione della lettera ai Colossesi. Con il volume Gesù di Nazaret e con il secondo che sta preparando, il Papa ci fa un grande dono e sigilla la sua precisa volontà di "fare di Cristo il cuore del mondo".
Non dimentichiamo quanto ha scritto nella lettera ai vescovi cattolici dello scorso 10 marzo sulla remissione della scomunica dei vescovi consacrati dall’arcivescovo Lefebvre: "Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr. Gv 13, 1) - in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più".
Quali sono stati gli interventi qualificanti nella Curia romana di Benedetto XVI e quali bisogna ancora attendersi?
Benedetto XVI è un profondo conoscitore della Curia romana, dove ha ricoperto un ruolo preminente come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, un osservatorio e un dicastero centrale per la connessione delle giunture con tutti gli altri organismi di governo della Chiesa. Così ha potuto conoscere perfettamente persone e dinamismi e seguire il percorso delle nomine avvenute sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, pur nel suo distacco dalle manovre e dal chiacchiericcio che a volte si sviluppa in certi ambienti curiali, purtroppo poco permeati da vero amore alla Chiesa. Dall’inizio del suo pontificato, ancora breve, sono oltre 70 le nomine di superiori dei vari dicasteri, senza contare quelle dei nuovi nunzi apostolici e dei nuovi vescovi in tutto il mondo. I criteri che hanno guidato le scelte di Benedetto XVI sono stati: la competenza, il genuino spirito pastorale, l’internazionalità. Sono alle porte alcune nomine importanti e non mancheranno le sorprese, soprattutto in relazione alla rappresentanza delle nuove Chiese: l’Africa ha già offerto e offrirà eccellenti candidati.
È giusto attribuire alla responsabilità del Pontefice tutto quello che accade nella Chiesa o è utile per una corretta informazione applicare il principio di responsabilità personale?
È invalsa l’abitudine di imputare al Papa - o, come si dice, soprattutto in Italia, al Vaticano - la responsabilità di tutto ciò che accade nella Chiesa o di ciò che viene dichiarato da qualsiasi esponente o membro di Chiese locali, di istituzioni o di gruppi ecclesiali. Ciò non è corretto. Benedetto XVI è un modello di amore a Cristo e alla Chiesa, la impersona come Pastore universale, la guida nella via della verità e della santità, indicando a tutti la misura alta della fedeltà a Cristo e alla legge evangelica. Ed è giusto, per una corretta informazione, attribuire a ciascuno (unicuique suum) la propria responsabilità per fatti e parole, soprattutto quando essi contraddicono patentemente gli insegnamenti e gli esempi del Papa. L’imputabilità è personale, e questo criterio vale per tutti, anche nella Chiesa. Ma purtroppo il modo di riportare e di giudicare dipende dalle buone intenzioni e dall’amore per la verità dei giornalisti e dei media. Ho letto di recente un bell’articolo di Javier Marías, che fa un’amara riflessione: "Ho avuto modo di osservare che una vasta percentuale della popolazione mondiale non si preoccupa più della verità. Temo però di aver peccato di eccessiva cautela, perché ciò che sta accadendo è di gran lunga più funesto: una vasta percentuale della popolazione oggi non è più in grado di distinguere la verità dalla menzogna, oppure, per essere più precisi, la realtà dalla finzione". Rimane perciò ancora più urgente e necessario insegnare la verità, far conoscere e amare la verità, su se stessi, sul mondo, su Dio, convinti, secondo la parola di Gesù, che "la verità vi farà liberi!" (Giovanni, 8, 32).
Può spiegare, magari anche con qualche esempio, come nella Chiesa di Benedetto XVI la libertà di pensiero e di ricerca vada di pari passo con la responsabilità della fede?
In relazione a questo tema - che è assai importante e centrale nella Chiesa, e che tocca altri binomi strettamente connessi, come fede e ragione, fede e cultura, scienza e fede, obbedienza e libertà - occorre riandare all’esempio della vita e dell’esperienza di Joseph Ratzinger, pensatore, teologo e maestro di dottrina riconosciuto, come ho appena detto. Non si può ovviamente scindere la sua prassi e il suo stile di governo dalle convinzioni più profonde che hanno nutrito e segnato il suo comportamento di studioso e di ricercatore. Nel suo lungo percorso di intellettuale, assai attivo sulle cattedre universitarie e sui media, si sono aggiunte successivamente due formidabili responsabilità: dapprima quella di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e poi quella di Pastore supremo della Chiesa cattolica. È evidente che queste due funzioni hanno segnato gli insegnamenti e gli atti del cardinale e del Papa, orientandoli ancor più efficacemente, se così si può dire, a una interazione e a una sinergia fra la libertà fondamentale di pensiero e di ricerca e la responsabilità dell’atto di fede e dell’adesione di fede a Dio che si rivela, che parla e chiama a essere "nuova creatura". Non quindi una contrapposizione o una "secessione", ma una armonia da ricercare, da costruire con intelligenza d’amore. Tale è l’atteggiamento di Joseph Ratzinger quando parla a organismi come la Pontificia Commissione Biblica, la Commissione Teologica Internazionale, la Pontificia Accademia delle Scienze, la Pontificia Accademia per la Vita, e così via, oppure quando dialoga con singoli studiosi e pensatori. Chiede ai teologi di non essere sradicati dalla fede della Chiesa, per essere veri teologi cattolici, e ha elogiato - ad Aosta, lo scorso 25 luglio - "la grande visione che ha avuto Teilhard de Chardin: l’idea paolina che alla fine avremo una vera liturgia cosmica, e il cosmo diventerà ostia vivente". E vorrei ancora citare una bella pagina della Caritas in veritate ove parla "dell’impegno per fare interagire i diversi livelli del sapere umano in vista della promozione di un vero sviluppo dei popoli". Dopo aver spiegato che il sapere non è mai solo opera dell’intelligenza, e che il sapere è sterile senza l’amore, conclude: "Le esigenze dell’amore non contraddicono quelle della ragione. Il sapere umano è insufficiente e le conclusioni delle scienze non potranno indicare da sole la via verso lo sviluppo integrale dell’uomo. C’è sempre bisogno di spingersi più in là: lo richiede la carità nella verità. Andare oltre, però, non significa mai prescindere dalle conclusioni della ragione né contraddire i suoi risultati. Non c’è l’intelligenza e poi l’amore: ci sono l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore" (n. 30).
Trova che sia facile o difficile raccontare l’azione e il pensiero di Benedetto XVI giunto al quinto anno di pontificato?
Sinceramente ritengo che sarebbe molto facile per i giornalisti raccontare l’azione e il pensiero di Benedetto XVI. Scorrendo i volumi dei suoi Insegnamenti o i testi pubblicati su "L’Osservatore Romano" - che sempre ne trasmette fedelmente gli interventi, talora anche spontanei e ricchi di immediatezza e di attualità - non sarebbe difficile ricostruire il suo progetto di Chiesa e di società, coerentemente ispirato al Vangelo e alla più autentica tradizione cristiana. Benedetto XVI ha una visione limpida e vorrebbe spingere i singoli e le comunità a una vita divinamente e umanamente armonica, con la teologia dell’et e la spiritualità del "con", mai del "contro", a meno che non si tratti delle terribili ideologie che hanno portato l’Europa nei baratri del secolo scorso. Basterebbe essere altrettanto limpidi e fedeli, riportando sine glossa, cioè senza l’aggiunta di contorte interpretazioni, le sue genuine parole e i suoi gesti di padre del popolo di Dio.
Un’ultima domanda: come è nata l’idea dell’Anno sacerdotale?
Ricordo che dopo il Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio, sul tavolo del Papa vi era una proposta, già precedentemente presentata, per un anno della preghiera, che di per sé era ben collegata con la riflessione sulla Parola di Dio. Tuttavia, la ricorrenza del centocinquantesimo anniversario della morte del curato d’Ars e l’emergenza delle problematiche che hanno investito tanti sacerdoti, hanno mosso Benedetto XVI a promulgare l’Anno sacerdotale, dimostrando così una speciale attenzione ai sacerdoti, alle vocazioni sacerdotali e promuovendo in tutto il popolo di Dio un movimento di crescente affetto e vicinanza ai ministri ordinati. Essi sono senza dubbio la spina dorsale delle Chiese locali e i primi cooperatori del vescovo nella missione dell’annuncio della fede, della santificazione e della guida del popolo di Dio. Il Papa ha sempre dimostrato una grande vicinanza e affabilità verso i sacerdoti, soprattutto nei dialoghi spontanei, ricchi di esperienza e di indicazioni concrete sulla loro vita, e con risposte puntuali alle loro domande. L’Anno sacerdotale sta suscitando un grande entusiasmo in tutte le Chiese locali e un movimento straordinario di preghiera, di fraternità verso e fra i sacerdoti e di promozione della pastorale vocazionale. Si sta inoltre irrobustendo il tessuto del dialogo, talora appannato, tra vescovi e sacerdoti, e sta crescendo una attenzione speciale anche verso i sacerdoti ridotti a una condizione marginale nell’azione pastorale. Si auspica anche che avvenga una ripresa di contatto, di aiuto fraterno e possibilmente di ricongiungimento con i sacerdoti che per vari motivi hanno abbandonato l’esercizio del ministero. Molte iniziative sono indirizzate a rafforzare la coscienza dell’identità e della missione sacerdotale, che è essenzialmente una missione esemplare ed educativa nella Chiesa e nella società. I santi sacerdoti che hanno popolato la storia della Chiesa non mancheranno di proteggere e di sostenere il cammino di rinnovamento proposto da Benedetto XVI.
* ©L’Osservatore Romano - 28 agosto 2009.
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