LA PSICOANALISI E I QUATTRO "MOSCHETTIERI": FREUD ("L’UOMO DEI TOPI"), ABRAHAMS" (L’UOMO COL MAGNETOFONO"), MUSATTI ("CONDIZIONI DELL’ESPERIENZA E FONDAZIONE DELLA PSICOLOGIA") E FACHINELLI ("IL BAMBINO DALLE UOVA D’ORO". Appunti sul tema...
A sua memoria, "vent’anni dopo" (1989-2009).
FACHINELLI intuì CHE J.-J.ABRAHAMS, L’UOMO COL MAGNETOFONO, ERA UN SINGOLARE (KIERKEGAARD) GATTO, MA GLI SFUGGì il legame CON I TOPI, CON LA "MOUSETRAP" DI "AMLETO" E L’OPERA DI ALEXANDRE DUMAS.
ANTROPOLOGIA PSICOLOGIA E NEXOLOGIA CHIASMATICA: "ACHERONTA MOVEBO". Aprire gli occhi (Freud), tutti e due, è difficile, ma solo sciogliendo il nesso ("nexus") tragico, il nodo edipico, è possibile uscire dall’orizzonte della tragedia e della claustrofilia (Elvio Fachinelli, 1983) e andare oltre le colonne d’#Ercole e, con Virgilio e Dante, oltre... "Sàpere aude! (Orazio-Kant).
PSICOANALISI (NEXOLOGIA) E ANTROPOLOGIA CHIASMATICA: CON KIERKEGAARD ("AUT - AUT"), OLTRE. Mi auguro che le poche indicazioni date siano buone sollecitazioni a riprendere il filo: "L’uomo dei topi" è "radioattivamente" carico di teoria. Freud s’è l’è portato dietro tutta la vita, fino alle "costruzioni nell’analisi" (1937) e oltre.
DA FREUD A FACHINELLI: CON KIERKEGAARD, OLTRE. "L’uomo col magnetofono", fondamentalmente, è lo stesso Fachinelli (v. "La parola contaminata", nel testo), andato a "scuola" di Cesare Musatti, e, al contempo, critico nel rapporto con la Società Psicoanalitica Italiana (che ancora oggi si attarda a parlare alla Platone, "Psiche e Polis").
Federico La Sala
CON FREUD, OLTRE: MEMORIA DI W.R. BION.
Sogno in W.R. BION
Per evidenziare il contributo innovativo di Bion alla teoria psicoanalitica del sogno è utile partire dal concetto di lavoro onirico, introdotto da Freud nel sesto capitolo della Interpretazione dei sogni (1899).
A cura di Michele Bezoari *
Il lavoro psichico da cui scaturisce il sogno consiste, per Freud, di due fasi successive: la produzione dei pensieri inconsci e la loro trasformazione nel contenuto manifesto del sogno. Solo questa seconda operazione, in quanto specifica dei sogni, è stata da lui considerata come il vero e proprio lavoro onirico e descritta mettendone in luce le modalità impiegate per eludere la censura (condensazione, spostamento, raffigurazione simbolica, elaborazione secondaria).
La ricerca di Bion si è, invece, focalizzata sulla prima fase, cioè sulla formazione dei pensieri inconsci mediante un processo dal quale derivano, come lo stesso Freud aveva ipotizzato, anche i pensieri coscienti. Per indicare la novità del suo apporto Bion ha usato inizialmente il termine lavoro-del-sogno-alfa, ridefinito in seguito funzione alfa (1962, 1992).
Questa funzione opera trasformando le impressioni emotivo-sensoriali (elementi beta) in immagini (gli elementi alfa) idonee alla costruzione dei pensieri sia consci che inconsci. Si tratta di un lavoro onirico basilare e necessario per la vita psichica: lavoro che, a differenza di quello che porta alla formazione del sogno, si svolge di continuo, non solo quando dormiamo ma anche quando siamo svegli. È un processo paragonabile, secondo Bion, alla digestione.
Nell’ottica bioniana il contenuto manifesto del sogno è un’aggregazione di elementi alfa articolati in forma narrativa durante il sonno e successivamente rielaborati durante la veglia. Il nucleo del sogno come evento vissuto dal soggetto dormiente è un’esperienza emotiva, che la funzione alfa elabora nel tentativo di renderla pensabile, analogamente a quanto accade per le esperienze emotive vissute nello stato di veglia.
Parlando di “sogno necessario” e affermando che ogni uomo deve poter “sognare” un’esperienza emotiva mentre gli capita, sia che gli capiti nel sonno sia che gli capiti da sveglio, Bion (1962) si riferisce dunque al primo livello di pensiero onirico. Per evitare di essere frainteso dal lettore, egli usa - almeno inizialmente - le virgolette quando con i termini “sogno” e “sognare” intende il prodotto e l’attività della funzione alfa, non il sogno e il sognare propriamente detti (che devono la loro specificità allo stato di coscienza peculiare del sonno), né le fantasticherie della veglia talvolta chiamate, nel linguaggio comune e anche da Freud, “sogni a occhi aperti”.
La nuova teoria è compatibile, come dichiara lo stesso Bion, con i concetti classici di rimozione, censura e resistenza impiegati da Freud a proposito del sogno. Ma questi meccanismi vengono ora considerati al servizio della funzione alfa, che crea e differenzia i pensieri inconsci e quelli consci per mezzo di una membrana virtuale in continuo sviluppo denominata barriera di contatto. Più che prodotti dall’inconscio, essi sarebbero dunque meccanismi produttori dell’inconscio.
Con Bion viene pienamente riconosciuta al sogno quella capacità di generare nuovi significati della vita emotiva che Freud aveva solo in parte e tardivamente ammesso, legato com’era al suo assunto teorico di considerare il sogno come una deformazione di significati già presenti nell’inconscio (Riolo 1983).
Ma non tutti i sogni sognati, ricordati ed eventualmente raccontati hanno lo stesso valore per la pensabilità dell’esperienza emotiva. Adottare la prospettiva bioniana non significa considerare il contenuto manifesto del sogno come se raccontasse “la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità” (Meltzer 1984).
Per Bion il lavoro simbolopoietico della funzione alfa, nelle sue varie fasi, è soggetto a influenze contrastanti che tendono ad evitare invece che a favorire la consapevolezza di emozioni troppo dolorose. Il materiale onirico può essere inconsciamente usato come bugia - invece che per accostarsi alla verità - e la stessa funzione alfa può invertire il suo corso, come accade nei disturbi psicotici, trasformando anche i simboli già prodotti in elementi quasi concreti (simili agli elementi beta originari), non più utilizzabili per il pensiero ma destinati all’evacuazione nel corpo, nel comportamento o nel mondo esterno con modalità allucinatorie.
Alla luce degli sviluppi bioniani anche il posto del sogno in analisi viene in parte riconfigurato.
Mentre il sogno della notte è un tentativo di rendere pensabile l’esperienza emotiva del sognatore addormentato, nella seduta analitica il sogno raccontato dal paziente si inserisce nel contesto di un dialogo che ha come nucleo emotivo ciò che egli sta vivendo nella relazione con l’analista. È compito dell’analista cercare di sintonizzarsi con questa esperienza emotiva in atto per favorirne la simbolizzazione condivisa, mettendo la propria funzione alfa al servizio di quella del paziente grazie a una disposizione mentale definita da Bion reverie [], che integra il concetto freudiano di attenzione fluttuante.
L’analista, afferma Bion (1992), deve poter “sognare” l’analisi mentre questa avviene, ma naturalmente - precisa con un pizzico di umorismo - non deve addormentarsi. Obiettivo dell’analista è realizzare insieme al paziente una “trasformazione in sogno” (Ferro 2009) dei fatti della seduta. Tra questi fatti il racconto di un sogno ha un carattere speciale in quanto è espressione (più o meno riuscita) del lavoro onirico notturno del paziente e, soprattutto, in quanto può offrire al pensiero associativo della coppia analitica spunti inediti per esplorare nuove prospettive di senso (Bezoari e Ferro 1994).
Interpretare il sogno equivale per Freud a disfare i travisamenti del lavoro onirico notturno per risalire ai pensieri già presenti nell’inconscio del sognatore. Per Bion si tratta piuttosto di portare avanti il lavoro del sogno nella veglia, mettendo a frutto anche le potenzialità creative delle trasformazioni oniriche descritte da Freud (condensazione, spostamento, raffigurazione) per produrre nuovi pensieri, idonei a rappresentare l’esperienza emotiva in divenire. Come dice Ogden (2005) ispirandosi a Bion, scopo dell’analisi è migliorare nell’analizzando la capacità di “sognare i suoi sogni non sognati o interrotti”.
Bibliografia
Bezoari M., Ferro A. (1994). Il posto del sogno all’interno di una teoria del campo analitico. Riv.Psicoanal., 40, 251-272.
Bion W.R. (1962). Apprendere dall’esperienza. Roma, Armando, 1972.
Bion W.R. (1992). Cogitations. Pensieri. Roma, Armando, 1996.
Ferro A. (2009). Trasformazioni in sogno e personaggi del campo psicoanalitico. Riv.Psicoanal., 55, 395-420.
Freud S. (1899). L’interpretazione dei sogni. O.S.F., 3.
Meltzer D. (1984). La vita onirica. Roma, Borla, 1989.
Ogden T. (2005). L’arte della psicoanalisi. Milano, Cortina, 2008.
Reverie, Spipedia enciclopedia SPIWEB https://www.spiweb.it/la-ricerca/ricerca/spipedia/
Riolo F. (1983). Sogno e teoria della conoscenza in psicoanalisi. Riv.Psicoanal., 29, 279-295.
NOTA.
A) FILOSOFIA E "SAPERE AUDE!" (1784). Ricordando W. R. Bion, non è male ricordare anche la lezione (di Kant e) del suo amico e filosofo H. J. Paton ("Kant’s metaphysics of experience", 1938). A scuola da Kant (https://www.academia.edu/12356078/KANT_FREUD_E_LA_BANALITA_DEL_MAL ): Wilfred Bion "rammentò sempre con gratitudine le conversazioni da lui avute col filosofo H. J. Paton" (Francesca Bion, 1982).
B) PSICOANALISI E RICERCA SCIENTIFICA. Ricordando il "contributo innovativo" di W. R. Bion (1897 - 1979) alle indicazioni di Freud, non è male ricordare anche il lavoro "consonante" di ricerca psicoanalitica e antropologica portato avanti da Elvio Fachinelli (1928-1989), sul tema della "mente estatica".
PSICOANALISI, ANTROPOLOGIA, E COSMOLOGIA:
"IL MOVIMENTO DI UN’ANALISI" (NELLA "STANZA" DI FREUD) E IL "DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO" (NELLA "NAVE" DI GALILEO GALILEI).
Una nota sul tema, in memoria di Sigmund Freud (1939), Elvio Fachinelli (1989) e di Jean-Bertrand Pontalis (2013).
FACHINELLI E FREUD NELLA “NAVE” DI GALILEI (*). Nella "#culla" di Freud, a ben considerare, c’è la #memoria della #rivoluzionescientifica, e, al contempo, ci sono le #tracce per una ripresa della #rivoluzionecopernicana kantiana e una #svolta_antropologica epocale: la sollecitazione pontalisiana a "trasmettere il movimento di un’analisi" è un grande invito a rileggere il "#Dialogo sopra i #due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano" (#GalileoGalilei, 1632) e riprendere il lavoro nella "stanza" della "grande nave":
PSICOLOGIA, FILOSOFIA, E CRITICA DELLA RAGIONE "PURA":
USCIRE DALLO "STATO DI MINORITÀ"(I. KANT, 1784 - M. FOUCAULT, 1984).
SUL "MOVIMENTO DELL’ANALISI" (J.-B. PONTALIS) E SULLA "MATURITÀ" DELL’ ANALISTA,
QUESTA LA RISPOSTA DI FREUD (1° maggio 1932) A S. H. FOULKES:
#ACHEGIOCOGIOCHIAMO?! #TRACCE PER UNA #SVOLTA_ANTROPOLOGICA.
#EUROPA #SPAGNA #DUE ANNI DOPO LA MORTE DI #CARLOV nel 1560, in #Italia, a #Roma si pubblica il testo di #Anatomia di #GiovanniValverde: si riconosce il ruolo attivo della donna nella #concezione del problema #comenasconoibambini
La sollecitazione di #Michelangelo (1512), #GiovanniValverde (1560), #LuigiCancrini (2005) e #MarioDraghi (2021) a finirla con "il farisaico rispetto della #legge"
#VITAEFILOSOFIA. #COMENASCONOIBAMBINI (#ENZOPACI). Fermare il #giogo, #uscire dall’orizzonte della #tragedia e imparare a #contare
FLS
ANTROPOLOGIA E CONOSCENZA: FREUD, FACHINELLI, E LA MENTE ACCOGLIENTE:
La mente più creativa? È quella androgina, parola di Virginia Woolf (e degli psicologi)
di Elena Brenna ("spunti di mezzanotte", 12 maggio, 2015)
Androgino è un termine che trova la propria origine nel greco. E non è poi così difficile intuirne le parole che gli danno vita e il loro significato. Basti pensare alla medicina che si occupa del corpo maschile e a quella che si occupa del corpo femminile: andrologia e ginecologia. Andròs e gyné, uomo e donna. Ma che cos’è l’androginia? Personalmente, mi piace pensarla come quell’insieme di caratteristiche di un essere umano che trascende la rigida definizione dei generi.
I Sonic Youth cantavano “Androgynous mind, androgynous mind. Hey hey are you gay? Are you God? God is gay, and you were right”. Era il 1994, probabilmente il decennio meno androgino della storia del Novecento. Ma qui non si parlerà di stile, anche se oggi l’androginia sembra essere diventata una moda. Forse, ma poco importa. Quel che conta, in fondo, è il risultato. E il risultato è abituare certe mentalità ad accettare la natura umana, quella natura umana che sono convinte di conoscere ed identificare in due distinte sessualità, ma che in verità è assai più complessa. Complessa, varia, multipla e bella in modo assurdo.
E non sarà certo un caso se è proprio la mente androgina ad essere la più creativa. Un concetto che Virginia Woolf espresse già nel 1929 nel saggio Una stanza tutta per sé, una lucida riflessione sulla condizione femminile. Che l’androginia psicologica sia essenziale alla creatività non è però solo un’idea nata dalla mente della scrittrice inglese: anche gli studi psicologici, come quelli condotti da Mihaly Csikszentmihalyi, lo dimostrano.
Ma facciamo un passo per volta e torniamo a Virginia Woolf, che nel suo saggio scriveva:
Quasi 70 anni dopo il saggio di Virginia Woolf, anche lo psicologo ungherese Mihaly Csikszentmihalyi, autore di studi sulla felicità e sulla creatività e celebre per aver ideato il concetto di flusso, ha espresso la stessa opinione nel libro Creativity: The Psychology of Discovery and Invention:
L’androginia mentale, è chiaro, non va confusa con l’omosessualità:
I neonati e il deficit di accudimento
La psicoterapia insegna a capirli
Vissuti Deficit dell’infanzia
di Silvia Vegetti Finzi (Corriere della Sera, 21.05.2011)
N el suo ultimo film, «Habemus Papam» , il regista Nanni Moretti presenta con lieve ironia la figura, interpretata da Margherita Buy (sua moglie e collega nella sceneggiatura), di una psicoanalista nota per rinviare tutti i sintomi nevrotici alla medesima causa. Anche al Pontefice appena eletto, bloccato da un profondo senso di inadeguatezza di fronte a un incarico così impegnativo, diagnostica: «Penso che lei abbia sofferto di un deficit di accudimento primario» .
Rievoca questo episodio la psicoterapeuta Sara Micotti, responsabile scientifico del settore di Psicoterapia familiare del Centro Benedetta d’Intino Onlus di Milano, fondato e diretto da Cristina Mondadori. Sara Micotti si riferisce alle più recenti conoscenze sulle relazioni tra genitori e figli. Poiché gli artisti, come osserva Sigmund Freud, sono capaci di cogliere prima degli altri elementi di verità, quella sindrome, non solo esiste davvero, ma ora la si cura il più presto possibile.
Tra i problemi più diffusi delle coppie di giovani genitori vi è infatti l’impreparazione con cui affrontano l’incontro con il nuovo nato. Cresciuti spesso come figli unici, non hanno mai visto da vicino una creatura di pochi giorni e rimangono sconcertati dall’espressione impenetrabile del volto, dalla fragilità delle piccole membra e dalla incredibile forza delle pulsioni istintuali che le agitano. Eppure quell’esserino li ha uniti, ancor prima di nascere, nell’impresa di diventare padre e madre.
È significativo, in proposito, che l’Ospedale «Buzzi» di Milano, dove ha operato il grande psicoanalista Franco Fornari, abbia introdotto nelle cartelle cliniche dei neonati anche le ecografie del feto, immagini che i futuri genitori hanno visto e commentato con trepidazione. Ora il padre si sente già tale prima del parto, una mutazione antropologica di cui non sappiamo ancora cogliere tutte le conseguenze, ma che sta modificando profondamente le relazioni familiari. Di conseguenza, l’attenzione degli psicoterapeuti infantili, tradizionalmente concentrata sul rapporto tra la madre e il figlio, coinvolge ora anche i papà, altrettanto importanti nel creare il clima emotivo dell’attesa e del lieto evento.
Perché possa accogliere con fiducia il nuovo nato la donna deve sentirsi contenuta dal partner, mentre l’uomo, per fargli spazio nella mente e nel cuore, deve sentirsi riconosciuto da lei come padre. Ma, benché diffusa, la condivisione delle cure materne suscita ancora negli uomini sentimenti di inadeguatezza Per superare il timore di danneggiare un essere fragile e vulnerabile come il neonato hanno bisogno di essere incoraggiati e confermati. Vi è il rischio, altrimenti, che la loro insicurezza si trasmetta ai figli, che cresceranno timorosi di deludere e di sbagliare.
Sino a poco tempo fa lo studio delle relazioni parentali si basava sulle comunicazioni verbali, ma da quando la sonda analitica è scesa sino a intercettare gli scambi che accadono nel periodo perinatale, i mesi che trascorrono prima e dopo il parto, le terapie sono diventate sempre più precoci, brevi e interattive.
La psicoterapeuta infantile non si limita a curare il disagio del bambino ma prende in considerazione la rete di affetti e di pensieri in cui s’inscrive ancor prima di nascere. Sullo stato d’animo con cui i genitori lo accolgono si proiettano le ombre lunghe delle vicende personali, in particolare il modo con cui hanno vissuto l’infanzia ed elaborato i primi, inevitabili traumi.
Talvolta madre e figlio rimangono così coinvolti nella indistinzione originaria che il padre si sente escluso dal loro legame. L’intervento consiste allora nel costruire una geometria della famiglia ove ognuno trovi il suo posto e veda riconosciuta la funzione che gli compete, sempre relativa a quella degli altri. Una volta stabilite le giuste distanze e chiariti gli equivoci, le energie vitali riprendono a scorrere nelle vene delle relazioni familiari.
Le conoscenze acquisite sulle relazioni precoci suggeriscono, oltre ad anticipare l’intervento terapeutico, di prevenire il disagio infantile sostenendo, sin dall’attesa, i genitori in difficoltà. Non si tratta di ammaestrarli ma di sollecitare le loro potenzialità, di sensibilizzarli a cogliere e interpretare anche i segnali non linguistici. La prima mossa, nei confronti del neonato, consiste nel mutare la sua posizione: da oggetto delle proiezioni parentali a soggetto della sua vita, da «parlato» a «parlante» . Considerarlo da subito una persona, non solo ne promuove l’evoluzione, ma aiuta i genitori a crescere con lui, insieme.
L’Inconscio è ancora come lo «vide» Freud? La Spi a congresso
A Taormina, da oggi al 30 le discussioni degli psicoanalisti *
Il XV Congresso della Società psicoanalitica Italiana (Spi) si apre oggi a Taormina sul caposaldo della psicoanalisi: l’Inconscio. «Scoperto» da Freud è il fulcro e il motore della teoria che il padre della psicoanalisi elaborò. Il nostro inconscio è rimasto lo stesso che «vide» Freud o i cambiamenti sociali, culturali, ambientali lo hanno modificato? I lavori e la discussione che animeranno il congresso fino al 30 maggio saranno il punto di arrivo di un lungo lavoro di rivisitazione del concetto di inconscio che la società psicoanalitica, presieduta da Stefano Bolognini, ha compiuto in questi ultimi anni.
Nel congrersso verrà posto l’accento non tanto sull’inconscio come «calderone ribollente», realtà ontologica, o regione della mente, ma sull’esplorazione dell’inconscio e del suo operare, tramite gli strumenti che la psicoanalisi si è data e con i quali si cimenta con la sofferenza umana: un metodo specifico di osservazione, una tecnica, una teoria. Siamo in pieno ambito della clinica e della ricerca a partire dalla clinica, dentro il lento e paziente lavoro nell’intimità dello spazio analitico come osservatorio privilegiato anche sulle trasformazioni sociali.
Nel percorso del convegno si parlerà di persone con un funzionamento inconscio che risente della difficoltà dell’uomo di oggi a soffermarsi sulla propria realtà psichica. L’uomo di oggi rimuove meno, non tanto perché la rimozione non esista più, ma perché, stretto nell’illusione di una felicità rapidamente conquistabile, fatica ad avere accesso alla propria realtà psichica in cui fa capolino, non invocata, l’idea del proprio limite e quindi della propria morte.
A sviluppare e confermare questa linea di ricerca e di discussione, i molti lavori dedicati all’espressione corporea del disagio psichico; si richiede all’analista di oggi un atteggiamento capace di accogliere, sviluppare e trasformare gli stati emotivi. Ampiamente rappresentata nel congresso la psicoanalisi dei bambini e degli adolescenti, a testimonianza di un interesse crescente del mondo psicoanalitico rispetto al costituirsi del soggetto e delle identità.
* l’Unità, 27.05.2010
POLONIA
Copernico sepolto con onore
Tregua tra Chiesa e Scienza
L’astronomo che sfidò l’autorità ecclesiastica sepolto nella cattedrale di Frombork. I resti individuati con il Dna di ossa scoperte nella cattedrale confrontati con frammenti di capelli trovati nei libri dello scienziato *
Niccolò Copernico, l’astronomo polacco che nel XVI secolo ebbe il coraggio di sfidare la Chiesa sul dogma della centralità della Terra - e quindi dell’Uomo - nell’universo, è stato sepolto oggi tra grandi onori nella cattedrale di Frombork, a nord della Polonia, dove per secoli le sue spoglie hanno giaciuto nell’anonimato. Se le autorità vaticane avevano già riabilitato l’opera di Copernico, come avvenuto per quella del nostro Galileo, la sepoltura dignitosa dei resti dell’eretico studioso dei cieli si deve alla riuscita collaborazione tra la volontà ecclesiastica e l’azione della sua compagna di una vita: la scienza.
LE FOTO Copernico sepolto con onore
La chiave di volta della vicenda, ancora una volta, è racchiusa in una sigla di tre lettere: dna. Copernico fu sepolto nella cattedrale di Frombork nel 1543, in una tomba priva di un nome o di un qualsiasi segno che potesse segnalare dietro la pietra le spoglie del padre dell’Eliocentrismo, il sole al centro del sistema solare e della vita. Su richiesta del vescovo locale, gli scienziati hanno iniziato le ricerche della tomba di Copernico nel 2004, scoprendo le ossa e il cranio di un uomo deceduto all’età approssimativa di 70 anni. Quella che Copernico aveva il giorno della sua morte, quando prima di spirare gli fu consegnata una copia del De Revolutionibus Orbium Coelestium, il suo trattato "sulla rivoluzione delle sfere celesti", appena pubblicato.
Da quelle ossa, dai denti in particolare, è stato tratto il Dna da confrontare con quello di alcuni frammenti di capelli ritrovati nei libri che appartennero all’astronomo, matematico e medico polacco. Il codice genetico era lo stesso, di qui la conclusione che le spoglie dello scienziato erano finalmente uscite dall’oblio della storia. Così, 467 anni dopo la sua morte, i resti di Niccolò Copernico sono stati nuovamente inumati nella cattedrale di Frombork. Ma questa volta ai piedi di una tomba nuova di granito nero, con incisa la rappresentazione di un modello del sistema solare. Nel corso della cerimonia religiosa che ha accompagnato l’evento, l’arcivescovo Jozef Zycinski, nuovo primate polacco, ha deplorato gli "eccessi di zelo dei difensori della Chiesa" e ha ricordato la condanna dell’opera dell’astronomo da parte di Papa Paolo V nel 1616.
Il ricordo di tanto oscurantismo non poteva essere cancellato in un giorno. Così, prima della solenne sepoltura, una bara di legno contenente i resti di Copernico ha viaggiato per alcune settimane attraverso la Polonia, è stata esposta a Olsztyn e nelle città con cui ebbe legami nella sua vita. E Wojciech Ziemba, arcivescovo della regione di Frombork, ha finalmente detto che la Chiesa cattolica è fiera che Copernico abbia lasciato alla regione l’eredità del suo "duro lavoro, della sua devozione e soprattutto del suo genio scientifico".
* la Repubblica, 22 maggio 2010
Fachinelli
LA SUA ERA UNA GRAZIA RIVOLUZIONARIA
INTRAMONTABILE
di Paulo Barone (il manifesto, 18.12.2009)
A vent’anni dalla morte, la figura di un ineguagliabile protagonista della psicoanalisi, capace di tradurre il suo sapere teorico in una serie di distinzioni vitali tra ideologia e teoria, individuo e collettività, bisogno e desiderio
Quando se ne parla, raramente il nome di Fachinelli circola da solo, con il semplice, puntuale riferimento ai suoi scritti. Quasi sempre si avverte la necessità di farlo subito seguire da una specie di sottotitolo, da una ulteriore, lapidaria indicazione, da una sorta di avvertenza preliminare. Di solito questa nota di accompagnamento recita: una voce isolata, originale, «inattuale».
L’ambiguità di questa formula accattivante è palese. Mentre da un lato sembra celebrarla, dall’altro essa corre il rischio di estrometterla anticipatamente da ogni forma di ascolto, e, nei fatti, di zittirla. Difficile, tuttavia, stabilire con certezza se la sorte toccata al pensiero di Fachinelli - a venti anni dalla morte - sia stata effettivamente quella di una dorata sepoltura (alla odierna confusione generale, infatti, il laboratorio italiano aggiunge - come già nel fascismo - una quota di decomposizione tutta speciale). Comunque sia, la presunta eccentricità di Fachinelli è presto detta.
Elogio della frattura
Il suo primo libro, per esempio, Il bambino dalle uova d’oro, lascia ammirati tanta è la ricchezza dei temi, degli autori, degli incroci, presentati. Nato come raccolta di interventi pubblicati dal 1965 in varie sedi (tra cui Il corpo, Quaderni piacentini, L’erba voglio), ospita inediti d’eccezione, tradotti allora per la prima volta dallo stesso Fachinelli: La negazione di Freud, Materialismo dialettico e psicoanalisi di Reich, Programma per un teatro proletario di bambini di Benjamin. Vi compare un testo di una giovane psicotica, Rose Thé, il resoconto della partecipazione a un contro-corso universitario tenuto a Trento nel ’68 sul senso del «gruppo»; le riflessioni sull’esperienza dell’asilo autogestito di Porta Ticinese a Milano; certe incursioni in Jung e Lacan. Ma che cos’è che - al di là di quella irripetibile stagione sociale, politica, culturale di cui il libro è di sicuro espressione - gli permette di intrecciare, in modo così inconsueto e per così dire naturale, sottili ragionamenti teorici e il testo di una psicotica, il fenomeno del travestitismo e l’osservazione dei bambini, il corpo e i movimenti di contestazione? Di condensare, insomma, così tanta aria, così tanto mondo? La risposta più convincente e promettente va rintracciata nella «premessa» del libro (sempre le «premesse» di Fachinelli anticipano, in modo fulmineo, la chiave operativa del lavoro poi svolto), laddove si parla di un «libro fratturato», «che non cela le proprie fratture».
È dunque l’idea di frattura, di interruzione, l’operatore segreto (e costante sino alla fine) che consente a Fachinelli di distinguere, per esempio, ideologia e teoria, individuo e collettivo, bisogno e desiderio, rompendo quel blocco tradizionale di sapere (e di potere) che tiene invece ogni coppia divisa in due, salvo poi saldare meccanicamente l’un termine all’altro e congelare così l’esperienza. Persino marxismo e psicoanalisi finiscono con l’alimentare un simile blocco. Il primo impigliato nell’idea di un «progressismo a vapore», secondo cui gli individui seguiranno il «Cammino della Storia» e l’uomo nuovo nascerà con l’avvento del socialismo; la seconda diventata una specie di «nebulosa in continua espansione», che penetra in ogni fessura della «società industriale avanzata», inaspettatamente chiamata a ricucirne gli strappi tramite «risposte» più o meno rassicuranti che assecondano la tendenza, già prevalente, alla passività e alla soggezione. Ma per Fachinelli, a caratterizzare davvero l’esperienza, a renderla vitale e degna di questo nome, è quel po’ di novità, di creatività, di grazia rivoluzionaria che essa contiene. Dunque qualcosa di precario, di fragile, che rischia velocemente di degenerare, di andare perduto. Qualcosa, perciò, che uno sguardo teorico autentico, orientato a una determinata pratica, riesce a cogliere solo di sfuggita, aporeticamente, come un elemento anomalo, marginale, «irregolare e aritmico», come un punto vuoto, un che di letteralmente incollocabile, utopico, «senza fissa dimora».
Se c’è un magnete che attrae, e intorno a cui gravita, l’intera ricerca di Fachinelli, sino alle tesi più controverse dell’ultimo libro La mente estatica, esso è costituito proprio da questo elemento sfuggente, incontenibile. Per rivendicarne l’esistenza non occorre far ricorso a un ottimismo di maniera, che minimizza la spietata insensatezza delle cose. Sebbene tutto nella vita pare soggetto a ripetersi, a riprodurre con dolorosa monotonia certi traumi iniziali, Fachinelli - lavorando a fondo sul Freud dell’Al di là del principio di piacere - mostra come alla radice della ripetizione viga un paradosso irresolubile, in base al quale, accanto alle repliche cieche e alle versioni ridotte, sta anche l’opportunità - magari solo istantanea - di una ripresa, di un’alternativa, di una variazione del tema.
Si chiarisce così che tale nucleo incandescente dell’esperienza è sempre più una questione di tempo. Ma mentre da principio Fachinelli lascia intendere che a pregiudicarne il libero accesso sarebbero tutte quelle pratiche che si istituzionalizzano provando a inscriverlo in una serie e a organizzarlo in una trama, via via egli propenderà per l’idea di una sua ingestibilità, completa e radicale. Nella Freccia ferma egli ci indica vari modi di annullare - appunto - il tempo: quello contrappuntistico dell’individuo ossessivo, quello circolare della società arcaica, quello mortifero del fascismo; e, in Claustrofilia, quello interminabilmente allungato e sostanzialmente immobile della pratica psicoanalitica. Eppure, proprio dalla correlazione di queste differenti modalità temporali risulta non più sostenibile il proposito di ordinarle secondo una loro presunta gerarchia di valore (dal meno del tempo statico-regressivo del primitivo al più del tempo dinamico-progressivo del moderno) o secondo un loro puro avvicendamento storico. Queste opposte fisionomie temporali tendono piuttosto a concomitare in un apice intensivo, in una micro-oscillazione sacra ed estatica del tempo.
L’iperbole conclusiva
Per accedere a un simile tempuscolo può bastare una «teoria del discontinuo»? Quale vita potrebbe uscirne cambiata se è la vita stessa - una vita qualsiasi nella sua durata estensiva, nel suo ordinario tessuto narrativo - a perdere intrinsecamente la possibilità di questo contatto? Non è tutta la nostra cultura programmaticamente orientata a rafforzarci, a erigere delle difese nei confronti di ciò che estraneo e sconosciuto, a puntare sull’Io, a farci scambiare l’eccesso di gioia con il dolore e la paura? Una gioia in eccesso sganciata dalle religioni, dall’eternità, da qualunque forma di continuità.
Un’illuminazione profana collegata invece con l’effimero, con la recettività, l’accoglimento, la creatività. Fedele alle sue premesse, il tragitto di Fachinelli si conclude all’insù, come un’iperbole, con una sfida tanto impossibile quanto improrogabile. Bizzarro, in fondo, per un uomo del quale si può dire che fosse, al pari di Benjamin, «sensibile alle speranze come un reumatico alle correnti d’aria».
Uno psicoanalista a misura del mondo
Le passioni cliniche e politiche
di Franco Lolli (il manifesto, 18.12.2009)
Sono passati più di cent’anni dall’invenzione della psicoanalisi e una definizione stabile e condivisa del suo compito sembra ancora impossibile. Tanto la comunità analitica, infatti, è concorde nell’affermare la priorità della propria vocazione terapeutica quanto è radicalmente divisa sulla considerazione della dignità - se non, addirittura, della legittimità - dell’impegno e del coinvolgimento attivo degli psicoanalisti nelle macrovicende collettive all’interno delle quali prende forma il percorso individuale dell’essere umano. In gioco non c’è solo la domanda su quanto sia pertinente alla psicoanalisi il coinvolgimento nelle faccende del mondo. Né la questione è solo di natura ideologica, perché va oltre la dialettica classica tra due differenti visioni del mondo, una che afferma la priorità della Storia sull’individuo (e, dunque, la determinazione politico-economica dei suoi sintomi) e l’altra che sostiene la supremazia assoluta dei fattori pulsionali intrapsichici.
Detto altrimenti, in ballo non c’è solo l’opposizione tra l’ottica interventista del freudo-marxismo, che considera l’impossibilità di curare l’individuo - il quale tenderebbe a identificarsi con le repressioni sociali che lo ammalano - e dall’altro la prospettiva astensionista, più vicina all’ortodossia freudiana, che situa nell’analisi dell’economia libidica soggettiva il fulcro esclusivo del proprio lavoro. C’è in più un pregiudizio assai diffuso nel complesso arcipelago psicoanalitico italiano, ossia che la partecipazione militante alla vita politica e sociale metterebbe in pericolo il valore etico della professione e, in qualche misura, inquinerebbe la propria presunta purezza di intenti. Dunque, la questione del rapporto tra lo psicoanalista e la città resta quanto mai aperta, e urgente la sua risoluzione. Gli eredi di Freud (che non a caso si vantava di «aver portato la peste») quando si rivelano poco attenti alle risorse personali contenute nei sintomi psichici corrono il rischio di divenire inconsapevoli complici di un sistema che non tollera devianze, e che tende a riassorbire ogni differenza individuale nel prototipo del cittadino tanto più rispettabile quanto maggiore è la sua capacità di consumo.
Proprio questo è il contesto in cui cade il ventennale della morte prematura di Elvio Fachinelli, lo psicoanalista trentino che ha lasciato una traccia tra le più significative nella recente storia italiana grazie all’intreccio fecondo tra il suo impegno politico-sociale e la sua rigorosa applicazione teorica e clinica del sapere psicoanalitico. Indifferente alle lusinghe della carriera, Fachinelli scelse di mantenersi in una volontaria marginalità istituzionale, che potenziò il valore del suo insegnamento e il suo ruolo di «maestro» nella formazione di molti analisti italiani. Fu proprio questa sua posizione periferica rispetto all’estabilishment psicoanalitico a consentirgli di coinvolgersi in orbite culturali e in esperienze precluse a chi limita la propria professione nell’ambito del setting. E dunque Fachinelli si interessò al movimento del ’68, allo studio del fenomeno del terrorismo e, più in generale, alle nostre vicende politiche, mettendo a frutto la sua passione per progetti innovativi come il Controcorso all’Università di Trento o la creazione dell’asilo di Porta Ticinese, il coinvolgimento nella redazione di importanti riviste culturali dell’epoca, l’avventura nella fondazione della casa editrice L’erba voglio, l’assidua frequentazione di intellettuali e psicoanalisti dissidenti: fra tutti, Jacques Lacan, dal quale ebbe l’onore di ricevere l’invito (peraltro, non accettato) a fondare la sua Scuola in Italia. A tutto ciò si aggiunge, naturalmente, la sua straordinaria dedizione al testo freudiano (di cui fu anche traduttore) che ha contribuito a renderne assolutamente singolare l’opera, capace di contenere al proprio interno visioni e prospettive di un’ampiezza insolita.
Allarmato dai primi segnali di degenerazione della psicoanalisi in strumento pedagogico di correzione sociale, Fachinelli si trovò a richiamare la comunità analitica al suo mandato originario di ascolto «dell’irregolare, del negativo, dell’aritmico»; convinto della necessità di fare della psicoanalisi uno strumento di indagine sociale, vide nel movimento di protesta giovanile una discontinuità storico-culturale da interrogare e da comprendere. Che non si trattasse di una ingenua adesione ideologica lo si capisce leggendo gli scritti che ci ha lasciato su quella esperienza. La sua analisi del fenomeno del ’68, così come altre sue letture di diversi temi di attualità, lo portarono a individuare questioni teoriche che restano tuttora un nostro punto di riferimento indispensabile: per esempio, la minaccia che soffre l’identità di ogni persona quando la sua dimensione legata al desiderio e alla progettualità viene ridotta a quella dei bisogni e della loro semplice soddisfazione; o l’individuazione di uno «stato di desiderio permanente» come unica possibilità di sopravvivenza di un gruppo minacciato nella sua identità; o la tendenza alla chiusura e alla settarizzazione dei gruppi alla ricerca di una loro autonomia; o il progressivo sbiadirsi della figura e della funzione del padre in una società sempre più sbilanciata verso la creazione di legami di dipendenza, che replicano quelli caratteristici della relazione «bipolare» tra la madre e il bambino. E, particolarmente importante, la centralità del meccanismo di ripetizione che attraversa l’esperienza umana in ogni sua manifestazione, e in particolare nelle forme psicopatologiche; ma attiva anche e implacabilmente laddove il nuovo pretenderebbe di affermarsi, ad esempio all’interno del movimento psicoanalitico o nei movimenti rivoluzionari. Ed è proprio concentrandosi su queste dinamiche ripetitive, e sulla rivendicazione di un desiderio soggettivo che trovi realizzazione liberandosi dalla gabbia delle sue esperienze originarie, che si conclude l’opera di Fachinelli.
Nel suo ultimo libro, La mente estatica, recentemente ripubblicato da Adelphi, Fachinelli sembra, infatti, indicare la possibilità del genere umano di uscire dalle sue costruzioni difensive e coattive: attraverso un generoso squarcio autobiografico - il racconto di un’esperienza di profonda riflessione vissuta in un pomeriggio ventoso di settembre, sulla spiaggia di San Lorenzo - lo psicoanalista trentino conduce il lettore in un campo inesplorato del pensiero dove all’Io viene riconosciuta la facoltà di emanciparsi dalla Ragione e dalle pretese della ripetizione, per aprirsi a dimensioni inedite: per aprirsi - finalmente - al nuovo. È così che nelle pagine iniziali del libro - una sorta di testamento a cui affida il proprio congedo dal mondo - scrive: «Non inibizione, rimozione, negazione, eccetera: i diversi stratagemmi, le difese parziali di un’impostazione difensiva generale. Dalla foresta appuntita delle difese non si esce. Ma invece accoglimento, accettazione, fiducia intrepida verso ciò che si profila all’orizzonte».