[...] Resta ora da verificare se vi saranno ripercussioni sul governo, visto che il referendum sul legittimo impedimento coinvolge direttamente il premier Silvio Berlusconi e che gli altri tre sono comunque legati a provvedimenti approvati dal governo o legati al programma elettorale del centrodestra [...]
NELLA SEDE DELL’ITALIA DEI VALORI, PROMOTRICE DI DUE QUESITI, GIÀ SI FESTEGGIA
Referendum, il quorum c’è: vota il 57%
Vertice della Lega: «Basta sberle»
Vittoria netta dei sì in tutti i quesiti. Anche -Berlusconi aveva ammesso: «Addio al nucleare» *
MILANO - Il quorum è stato raggiunto. Quella che fino a lunedì mattina sembrava solo una eventualità più che probabile (dopo il 41% di votanti registrato nella rilevazione di domenica sera) è diventata una certezza con l’arrivo dei primi dati ufficiali del ministero dell’Interno: l’affluenza alle urne per i quattro referendum si è infatti attestata al 57%. Lo stesso Silvio Berlusconi, in mattinata, a voto ancora in corso, aveva rotto il silenzio elettorale ammettendo che «dovremo dire addio al nucleare in seguito del voto popolare» e che «dovremo impegnarci sulle energie rinnovabili». Un concetto poi ribadito a risultato ormai conclamato: «La volontà degli italiani è netta su tutti i temi delle consultazioni».
I RISULTATI - Insomma, un risultato decisamente positivo per i comitati referendari, che per la prima volta da 16 anni a questa parte riescono nell’obiettivo di ottenere una partecipazione di popolo tale da garantire la validità della consultazione. In tutte le precedenti occasioni, infatti, il fronte dei no ha sempre preferito optare per una campagna pro-astensione, con l’obiettivo di far fallire il voto assommando il proprio non voto a quello degli astensionisti fisiologici, coloro che cioè non vanno a votare neppure per le elezioni politiche. Ma questa volta il «fuori gioco» referendario non è scattato. E il risultato alla fine è stato scontato: i sì per i diversi quesiti, senza significative variazioni per i diversi temi affrontati, risultano attorno al 95-97%.
RIPERCUSSIONI SUL GOVERNO - Resta ora da verificare se vi saranno ripercussioni sul governo, visto che il referendum sul legittimo impedimento coinvolge direttamente il premier Silvio Berlusconi e che gli altri tre sono comunque legati a provvedimenti approvati dal governo o legati al programma elettorale del centrodestra. Il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, e il ministro Ignazio La Russa, che del partito è coordinatore, si sono affrettati a dire che gli italiani hanno votato su quesiti specifici e non sulla tenuta dell’esecutivo. Le opposizioni, dal canto loro, sono immediatamente partite all’attacco. Per il segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, Berlusconi a questo punto avrebbe solo un passo da compiere: «Si dimetta e vada al Colle».
IL VERTICE DELLA LEGA - Ma non è solo l’opposizione ad analizzare il secondo risultato negativo per il centrodestra a distanza di poche settimane dalla debacle delle amministrative. Da più parti gli analisti, anche dell’area pidiellina, parlano di disaffezione degli elettori moderati e di necessità di rivedere la politica della maggioranza. La Lega ha riunito in via Bellerio il proprio stato maggiore: ci sono Bossi e i principali ministri. E anche se questi incontri sono la norma il lunedì nella sede del Carroccio, appare certo che le valutazioni che il Senatur si accingono a fare riguarderanno non solo l’esito della consultazione ma anche i rapporti interni alla coalizione. A maggior ragione considerando che domenica prossima ci sarà il tradizionale raduno di Pontida nel corso del quale Bossi parlerà al popolo leghista reduce dalla doppia sconfitta al referendum e alle elezioni amministrative, con il tracollo di Milano. Particolarmente esplicito Roberto Calderoli: «Diremo a Berlusconi cosa dovrà portare in aula il 22 giugno. Siamo stanchi di prendere sberle...».
Al. S.
* Corriere della Sera, 13 giugno 2011
Sul tema, nel sito, si cfr.:
NEL MERITO
DI PEPPE SINI *
Mi sembrano del tutto inadeguate le interpretazioni del risultato referendario prevalenti in questi giorni sui mezzi d’informazione.
Le interpretazioni "politiciste" che appiattiscono tutto sul confronto tra coalizione dei partiti berlusconiani e coalizione dei partiti antiberlusconiani dimenticano che l’intero ceto politico (opposizione parlamentare in primis) e’ largamente berlusconizzato, dimenticano che non sono state le macchine organizzative dei partiti politici a portare le persone a votare, e dimenticano che ci sono piu’ cose tra cielo e terra eccetera.
Ma non meno inette sono le interpretazioni "antipoliticiste" fondate sulla grottesca retorica "societa’ civile versus politica", che implicano una nozione di "societa’ civile" di sconfortante e non innocente stupidita’. Per tanti straparlatori sarebbe una buona medicina rileggersi gli illuministi scozzesi o i Lineamenti di filosofia del diritto di G. W. F. Hegel.
*
A me sembra che la maggioranza del popolo italiano ha votato nel merito, ovvero sui contenuti: certo, non i contenuti minuziosamente deducibili dal dettaglio dei testi dei quesiti, ma i contenuti cosi’ come i quattro referendum sono stati interpretati - tutto sommato correttamente - dal sentire comune: si e’ votato in difesa del diritto umano all’accesso all’acqua come bene comune; si e’ votato contro il nucleare; si e’ votato affinche’ tutti siano uguali dinanzi alla legge.
E su questi contenuti persone molto diverse con visioni del mondo molto diverse e con esperienze molto diverse si sono trovate d’accordo.
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Trovo che sia un esercizio da perdigiorno patentati (ovvero da meschini subalterni all’ideologia dominante, cioe’ asserviti alla violenza dei poteri dominanti) discettare su quanto abbiano contato alcuni personaggi dello spettacolo e quanto il papa, quanto internet e quanto l’associazionismo, quanto i giovinetti saputelli e quanto i vecchi barbogi. In verita’ nessuno lo sa, e non e’ questo il punto. Quando su questioni fondamentali si pronuncia la maggioranza della popolazione di un paese, evidentemente nel determinarsi di quella espressione di volonta’ hanno influito una molteplicita’ di fattori in un intreccio complesso.
Cosi’ come trovo ridicole certe deduzioni epocali: gli italiani del 12-13 giugno sono gli stessi del giorno prima e del giorno dopo, con le loro sempiterne caratteristiche di bonomia e cialtronaggine, di arguzia e credulita’, e cosi’ via.
Ma l’assoluta maggioranza di essi ha colto il senso dei referendum ed ha colto l’occasione per esprimersi: dimostrandosi piu’ attenta e responsabile del ceto politico e degli agenti pubblicitari e delle pubbliche relazioni del comitato d’affari della classe dominante che ci ammorbano la vita con le loro interminabili narcotiche chiacchiere che servono a coprire il moltiplicarsi dei crimini e il tracimare della barbarie dei potenti.
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Occorrera’ lavorare su questo risultato.
Lo dico perche’ vorrei fosse chiaro che la vittoria odierna non e’ definitiva e irreversibile, come non lo fu quella del referendum antinucleare dell’87. Va consolidata con un forte impegno comune e immediato per le fonti energetiche rinnovabili e le tecnologie pulite e sostenibili.
E perche’ non basta aver ribadito il principio della gestione pubblica dell’approvvigionamento idrico, occorre che il servizio funzioni e garantisca acqua potabile alla popolazione, altrimenti procede comunque come un rullo compressore la privatizzazione de facto.
E perche’ non basta aver affermato il principio dell’uguaglianza di diritti di ogni essere umano, occorre inverarlo nella prassi.
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Ma lo dico soprattutto perche’ la lotta antinucleare deve porsi adesso in Italia l’immediato obiettivo del disarmo nucleare, e deve porsi quindi anche l’immediato obiettivo della cessazione delle guerre in corso cui l’Italia illegalmente partecipa.
E lo dico altresi’ perche’ la lotta per i beni comuni considerati come diritti umani dell’umanita’ intera deve porsi adesso in Italia l’immediato obiettivo della difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, e deve porsi quindi anche l’immediato obiettivo dell’abrogazione delle infami e assassine misure razziste imposte dal governo golpista.
E lo dico infine perche’ il pronunciamento referendario indica e invoca una politica alternativa fin d’ora concretamente possibile, una politica fondata sulla difesa della biosfera e dei diritti umani, sulla responsabilita’ e la solidarieta’. Questa politica ha un nome preciso ed occorre enunciarlo con chiarezza e senza esitazioni. Quel nome e’: nonviolenza.
* TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 589 del 17 giugno 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Giovani, web e anziani
Il popolo dei disobbedienti
di Ilvo Diamanti (la Repubblica, 15 giugno 20119
Il referendum è passato ma i suoi effetti - politici e sociali - dureranno a lungo. Perché il successo del referendum è, a sua volta, effetto di altri processi, maturati in ambito politico e sociale. E perché i referendum hanno sempre marcato le svolte della nostra storia repubblicana.
Fin dal 1946 - quando nasce, appunto, la Repubblica. Poi: nel 1974, il referendum sul divorzio. Il Sessantotto trasferito sul piano dei costumi. La svolta laica e antiautoritaria della società italiana. Nel 1991, giusto vent’anni fa, il referendum sulla preferenza unica per la Camera. È il muro di Berlino che rovina su di noi. Annuncia la fine della Prima Repubblica e l’avvio della Seconda. Nel 1995, il referendum contro la concentrazione delle reti tivù. Dunque, contro la posizione dominante di Berlusconi. Fallisce. E rende difficile, in seguito, ogni azione contro il conflitto di interessi.
Da lì in poi tutti i referendum abrogativi falliscono. A partire da quello dell’aprile 1999. Riguardava l’abolizione della quota proporzionale nella legge elettorale. Non raggiunse il quorum per una manciata di votanti. Sancisce la fine del referendum come metodo di riforma e di cambiamento istituzionale, ad opera della società civile. Perché i referendum sono strumenti di democrazia diretta. Complementari, ma anche critici rispetto alla democrazia rappresentativa. Ai partiti e ai gruppi dirigenti che li guidano. Per questo hanno la capacità di modificare bruscamente il corso della storia. Quando il distacco fra la società civile e la politica diventa troppo largo. Negli ultimi vent’anni questo divario è stato colmato - in modo artefatto - dalla personalizzazione, dallo scambio diretto fra i leader e il popolo, attraverso i media. Ora questo ciclo pare finito. Il referendum di domenica scorsa lo ha detto in modo molto chiaro e diretto.
In attesa di vedere cosa cambierà - a mio avviso, molto presto - proviamo a capire cosa sia avvenuto e perché.
1. Il referendum, come avevamo già scritto, è il terzo turno di questa lunga e intensa stagione elettorale. Il suo esito è stato, quindi, favorito dai primi due turni. Le amministrative. Dal successo del centrosinistra a Milano, Napoli, Torino, Bologna, Cagliari, Trieste. E dalla parallela sconfitta del Pdl e della Lega. Soprattutto, ma non solo, nel Nord. I referendum erano stati dissociati, temporalmente, dalle amministrative, per ostacolarne la riuscita. È avvenuto esattamente il contrario. Le amministrative hanno agito da moltiplicatore della mobilitazione e della partecipazione. Un effetto boomerang, per il governo, come ha rammentato Gad Lerner all’Infedele.
2. I singoli quesiti posti dai referendum, come di consueto, non sono stati valutati in modo specifico, dagli elettori. La differenza tra proprietà e uso dell’acqua, l’utilità della ricerca nucleare. In secondo piano. Al centro dell’attenzione dei cittadini, altre questioni, non di merito ma sostanziali. Il valore del bene comune. Il bene comune come valore. Ancora: la sicurezza intesa non come "paura dell’altro" ma come tutela dell’ambiente. La ricerca del futuro, per noi e per le generazioni più giovani.
3. Letti in questa chiave, i referendum sono divenuti l’occasione per fare emergere un cambiamento del clima d’opinione, ormai nell’aria - chi non ha il naso chiuso dal pregiudizio lo respirava da tempo. Una svolta mite, annunciata dal voto amministrativo, ribadita dal referendum. Una svolta di linguaggio, di vocabolario, che ha restituito dignità a parole fino a ieri dimenticate e impopolari. Vi ricordate altruismo e solidarietà? Chi aveva più il coraggio di pronunciarle? Per questo, paradossalmente, il referendum sul legittimo impedimento, il più politico, il più temuto dalla maggioranza e anzitutto dal suo capo, è passato quasi in second’ordine. A traino degli altri.
4. Qui c’è una chiave, forse "la" chiave del risultato. I referendum riflettono il cambiamento carsico, avvenuto e maturato nella società. Che, secondo Giuseppe De Rita, si sarebbe ulteriormente frammentata. In questa galassia, attraversata da emozioni più che da ragioni, dalle passioni più che dagli interessi, è cresciuto un movimento diffuso. Affollato di giovani e giovanissimi. La cui voce echeggia attraverso mille piccolemanifestazioni, nei mille piccoli luoghi di vita quotidiana. Attraverso il contatto diretto. Attraverso la Rete. Per questo è poco visibile. Ma attivo e vitale. L’ostracismo della maggioranza di governo, il silenzio di MediaRai. Li hanno aiutati. Legittimati. Perché la tivù MediaRai e i suoi padroni, ormai, sono il passato.
5. Tuttavia, una partecipazione così alta sarebbe stata impensabile se non avesse coinvolto altri settori della società. Il popolo della Rete, per quanto ampio, è una élite. Giovane, colta, cosmopolita. Non avrebbe sfondato se non avesse coinvolto genitori, nonni, zii. Un elettorato largo e politicamente trasversale. Il successo dei referendum, infatti, scaturisce dalla spinta dei movimenti sociali, dal sostegno dei partiti e degli elettori di centrosinistra. Ma anche da quelli di centrodestra.
Si guardi la geografia elettorale della partecipazione. Le Regioni del Nord (ora non più) Padano hanno espresso i tassi di partecipazione fra i più elevati. Osserviamo, inoltre, il risultato complessivamente ottenuto alle Europee del 2009 dai partiti di Centrosinistra, Sinistra e dall’Udc. Quelli che hanno sostenuto l’opportunità di votare in questa occasione. Ebbene, risulta evidente che la partecipazione è stata molto più ampia rispetto alla loro base. Nel Nord Est: ha votato il 32% (e circa 1.700.00) di elettori in più. Nel Nord Ovest: il 29% (e circa 3.500.000) di elettori in più. In Italia, complessivamente, il 28% (e circa 13.000.000) di elettori in più. (Elaborazioni Demos, su dati Ministero degli Interno; indicazioni analoghe provengono dalle analisi dell’Istituto Cattaneo su dati delle elezioni politiche 2008).
6. Da qui il senso generale di questo passaggio elettorale. È cambiato il clima d’opinione. Il tempo della democrazia personale e mediale - come ha osservato ieri Ezio Mauro - forse è alla fine. Mentre si scorgono i segni di una democrazia di persone, luoghi, sentimenti. Passioni. I partiti e gli uomini che hanno guidato la stagione precedente, francamente, sembrano improvvisamente vecchi e fuori tempo. Il Pdl - ma anche la Lega. Berlusconi - ma anche Bossi. Riuscivano a parlare alla "pancia della gente", mentre la sinistra pretendeva di parlare alla "testa". Per questo il centrodestra era popolare. E la sinistra impopolare. Fino a ieri. Oggi, scopriamo che, oltre alla pancia e la testa, c’è anche il cuore. Parlare al cuore: è importante.
Sfiduciate le Camere
di Raniero La Valle *
Tra le elezioni amministrative di maggio e i referendum del 12 e 13 giugno si è consumato il 25 luglio del regime. A tutti si è reso manifesto che il processo di liberazione non si è arrestato: la gente prende in mano la sua vita; la democrazia, solo che le vengano dati gli strumenti per funzionare, resiste, e proprio nel giorno in cui Berlusconi impegnava le scelte future dell’Italia promettendo a Netanyahu che si sarebbe opposta alla nascita di uno Stato palestinese non consentita da Israele, il governo precipitava in una gravissima crisi.
Sono almeno quattro i significati travolgenti del voto di giugno.
Il primo significato è naturalmente quello che riguarda i quesiti proposti. Sull’acqua avevano detto gli oppositori dei referendum che essa era e rimaneva pubblica, e perciò il voto era inutile; il solo problema era a chi, all’uscita dal rubinetto, si dovesse pagare. Gli elettori ne hanno dedotto che se l’acqua è pubblica, la sua appropriazione è un peculato; lo diceva anche San Tommaso che “peculatus est furtum rei communis”; e perciò hanno votato contro questo peculato.
Sulle centrali nucleari gli oppositori del referendum avevano fatto finta di toglierle di mezzo; gli elettori hanno capito che se il nucleare si poteva fare solo a patto di far credere ai cittadini che non si facesse, i cittadini avevano il dovere di non farsi ingannare e di dire chiaro e tondo che Chernobyl e Fukushima già bastano.
Sul legittimo impedimento gli elettori hanno colpito al cuore l’ideologia berlusconiana dell’uomo solo che incorpora in se stesso tutto il popolo, e che perciò è al di sopra di tutti, incensurabile e non perseguibile. Sei uno come noi, gli hanno detto. E se molto gli avevano finora permesso, ciò che non gli hanno perdonato (compresi moltissimi elettori del centro-destra) è che egli danzi il bunga-bunga sulle rovine di una generazione, sui barconi di profughi che affondano nel Mediterraneo e su una devastante guerra alla Libia a cui, fedifrago, aveva promesso non belligeranza ed eterna amicizia.
Il secondo significato del voto referendario è la novità di un grande impegno dei giovani, che attraverso la loro passione e i mezzi nuovi che sanno usare, hanno contagiato il Paese dell’emozione per i grandi beni comuni che erano in gioco, e hanno costruito quasi da soli il risultato.
Il terzo significato del voto è che esso segnala il gran ritorno dei cattolici alla politica. Non quelli delle istituzioni che invischiati nella palude dei blocchi contrapposti più di tanto non possono fare. Ma i cattolici della base che dimostrano la loro freschezza e dedizione, sposando la causa dell’acqua, della salvaguardia del creato, della giustizia, che militano nei movimenti ecologici e pacifisti, che operano nelle Caritas, che animano il volontariato, che credono all’etica sia pubblica che privata, che votano alle amministrative per candidati credibili e mandano all’aria coi referendum una classe di governo priva di principi, trasformista e politicamente anarchica. Che questi cattolici abbiano questa volta trovato una sponda nella Chiesa e nella Caritas di Milano, nel presidente della CEI e addirittura nel Papa, li ha resi liberi e finalmente efficaci.
Il quarto significato è quello di una sfiducia inflitta alle Camere. Nel nostro sistema il governo è sfiduciato dal Parlamento, e il Parlamento è sfiduciato dal corpo elettorale (per questo ci vuole il quorum). Se le Camere vengono meno al loro compito e tengono in vita un governo improponibile, l’elettorato supplisce a questa inadempienza e sfiducia governo e Camere. Ciò tanto più chiaramente è avvenuto in questo caso, quando il Parlamento si era identificato in ogni modo con le leggi che il popolo ha abrogato: tentando la truffa sul nucleare, votando in tutte le salse il lodo Alfano e le altre leggi ad personam, insidiando il referendum sull’acqua e facendo della corruzione di una minorenne un importante affare di Stato di rilievo internazionale. L’elettorato, contrapponendosi alla maggioranza parlamentare, ha denunciato che queste Camere non lo rappresentano; né d’altronde esse lo potrebbero, per come sono state elette, per la non corrispondenza tra voti e seggi, per i parlamentari designati dall’alto, per la corruzione sopravvenuta con l’acquisto mediante prebende e onori di deputati di rincalzo in sostituzione di quelli usciti dalla maggioranza.
Questo divario tra Parlamento e Paese dev’essere quanto prima colmato. La sfiducia che, nelle forme costituzionalmente previste, l’elettorato ha espresso alle Camere dovrebbe comportare il loro immediato scioglimento. Non c’è affatto scritto nella Costituzione che le Camere possono essere sciolte solo quando non riescono a tenere in piedi un governo. In effetti, con queste Camere non si può fare più niente: né un’azione plausibile di governo, né tanto meno una nuova legge elettorale. Per far questo ci vuole ormai un nuovo Parlamento, e la maggioranza dei cittadini è ansiosa di eleggerlo.
Raniero La Valle
Rocca. n. 13, giugno 2011 (Rubrica: Resistenza e pace) *
«Un no al governo»
I cattolici di base trainano le gerarchie
di Luca Kocci (il manifesto, 14 giugno 2011)
Ci sono molti cattolici in quel 57% di votanti che hanno consentito di raggiungere il quorum e vincere i referendum. Non decisivi come quando nel 2005, obbedendo agli ordini dell’allora presidente della Cei cardinale Ruini e alla militaresca mobilitazione per l’astensione delle associazioni ecclesiali, fecero fallire il referendum per abrogare la legge sulla procreazione assistita portando la percentuale delle astensioni al 74,1%, ma sicuramente sono stati importanti.
I vescovi non hanno remato contro, anzi più di qualcuno, da Morosini di Locri a Tettamanzi di Milano a Caprioli di Reggio Emilia, ha suggerito di andare a votare. Il papa stesso, correggendo la posizione vaticana favorevole «all’uso pacifico del nucleare» più volte espressa dall’ex presidente del Pontificio consiglio Giustizia e Pace cardinale Martino, alla vigilia del voto, ha tirato la volata al referendum invitando ad usare «energie pulite» non pericolose per l’uomo.
La grande maggioranza dei 189 settimanali diocesani, nonostante molti l’anno scorso avessero pubblicato l’opuscolo pronucleare Energia per il futuro (realizzato dalla concessionaria pubblicitaria di Radio Vaticana che, non a caso, annovera fra i suoi inserzionisti a pagamento l’Enel, in prima fila a fare il tifo per la riapertura delle centrali atomiche in Italia), si sono schierati per il Sì, così come diverse riviste cattoliche, da Famiglia Cristiana al mensile dei gesuiti Aggiornamenti sociali.
Sono scesi in campo i religiosi, dai domenicani ai francescani, i missionari, suore e preti di base, che il 9 giugno hanno chiuso la campagna elettorale digiunando in piazza San Pietro, guardati a vista dalla gendarmeria vaticana. E gran parte dei movimenti e delle associazioni laicali, con la solitaria eccezione dei privatizzatori incalliti e non pentiti di Comunione e Liberazione, hanno invitato i loro iscritti al voto - dall’Azione cattolica alle Acli fino agli scout dell’Agesci - o si sono impegnati direttamente nei comitati per il Sì, come Pax Christi, la Rete interdiocesana nuovi stili di vita e le Comunità di base.
Anzi sono stati proprio loro, religiosi, associazioni e gruppi di base, a trascinare le gerarchie ecclesiastiche, costringendole a rivedere le proprie posizioni e a schierarsi. «Il responso del referendum, e prima delle elezioni amministrative - legge il voto dei cattolici Giovanni Avena, direttore editoriale dell’agenzia di informazione Adista, espressione del mondo cattolico di base -, dice basta a Berlusconi e ricorda ai vescovi le loro responsabilità, e qualche volta complicità, nelle scelte politiche del governo, in cambio di privilegi non a vantaggio dei poveri ma a beneficio delle scuole cattoliche e degli enti ecclesiastici. Se la gerarchia saprà finalmente rinunciare a questo enorme piatto di lenticchie dovrà dire grazie al popolo del referendum».
L’agenzia ufficiale della Cei non si sofferma sui cattolici ma interpreta comunque il risultato come un nuovo «messaggio diretto al governo», perché «il quorum superato di slancio va ben al di là del merito dei quesiti» e apre «una fase di cambiamento».
Un voto politico insomma, che alla vigilia del referendum il quotidiano dei vescovi Avvenire invece negava. E voto politico anche per Famiglia Cristiana: «Un altro no al governo», titola l’edizione online del settimanale diretto da don Sciortino, che segnala che «c’è molto mondo cattolico nel raggiungimento del quorum».
UNA VITTORIA DELL’UMANITA’
di Peppe Sini *
La vittoria dei referendum odierni costituisce una gioia grande per quelli di noi che alcuni decenni fa si batterono contro il nucleare lungo un intero decennio fino alla vittoria referendaria del 1987.
Ed una gioia grande per quelli di noi che da anni si battono per il diritto all’acqua potabile nel nostro territorio come ovunque. Ed ancora una gioia grande per quelli di noi che all’eversione dall’alto berlusconiana si oppongono da sempre. E’ una vittoria per l’umanita’ intera, comprese le generazioni future.
Con il medesimo rigoroso impegno con cui ci si e’ battuti contro il nucleare, per l’acqua bene comune e diritto umano, per l’uguaglianza di tutti dinanzi alla legge, ebbene, occorre battersi anche per far cessare le guerre cui l’Italia follemente e criminalmente partecipa; per far cessare la scellerata persecuzione razzista di migranti e viaggianti; per ripristinare pienamente nel nostro paese la legalita’ costituzionale, la democrazia solidale e responsabile, e il rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Peppe Sini
responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
Viterbo, 13 giugno 2011
Mittente: "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo
e-mail: nbawac@tin.it
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VITTORIA
Abbiamo scelto la democrazia
di Giancarla Codrignani *
Evviva, evviva, evviva! Sentite ancora i boatos? Diciamo che davvero abbiamo capito e fin da subito non ci neghiamo, soddisfatti, esaltati, finalmente ottimisti, di pensare. Nel numero di giugno di ‘Altreconomia’ Roberto Mancini scriveva di un’emozione “che non resta effimera, fine a se stessa. Perché invece è l’impulso del risveglio che porta a scoprire la passione per la democrazia. I referendum hanno finalmente diffuso nel Paese la sensazione che si possa cambiare, che i cittadini possano contare intanto per fermare i progetti più deliranti. Questa percezione è decisiva: l’iniquità, che sembra vincente e insuperabile, in verità non è necessaria, può essere sconfitta. Sorge da qui l’emozione della libertà, che si dispiega divenendo passione, ma anche esercizio di intelligenza e di creatività civile.
Mancini individuava nelle tre tematiche - il nucleare, l’acqua e l’eguaglianza di tutti dinanzi alla legge - un unico filo di collegamento: “il gelo del cuore chiuso dall’avidità è infatti riconoscibile chiaramente alla radice del desiderio perverso di fare affari gettando il Paese contemporaneamente nella trappola del nucleare, nell’assurda privatizzazione di un bene naturale e universale come l’acqua, nonché nella pretesa di monopolizzare il potere esecutivo del governo ponendolo al di sopra di ogni legge. Se la democrazia fosse immaginabile come un albero, provvedimenti del genere somiglierebbero a letali colpi di scure”.
Il ritorno alla partecipazione che si è manifestato in questi giorni non va perduto. E’ stato necessario scoprire che non è vero che non ci sono rimedi, che il cittadino è impotente, che tutti sono uguali. Adesso bisogna che la “passione referendaria” diventi passione politica. Non basta dire no ai disastri annunciati quando l’acqua arriva alla gola (e alla privatizzazione): bisogna “prevenire” senza antipolitica. I partiti hanno commesso errori, certamente; infatti la società civile inascoltata li aveva avvertiti non solo di scelte incomprensibili, ma anche dei sentimenti via via più ostili nei confronti delle loro inadempienze valoriali. Tuttavia anche la società ha proprie responsabilità: forse non è tutta individualista, ma certo fa della propria frammentazione un dato identitario e non la ricerca di possibili unità. Per capirci, alle municipali bolognesi ci sono state 17 liste, a quelle torinesi 27 e alcuni segnali indicano la propensione a ritenere che “l’esserci” di ciascun frammento costituisce ragione di riesumazione del mai dismesso manuale Cencelli.
Adesso abbiamo molto da fare, rioccupando gli spazi pubblici, con il voto, con la presenza in tutte le agorà, nella voglia di capire per meglio sorvegliare gli interessi generali. Anche cercando di guidare i partiti ad essere, come debbono, il luogo in cui la partecipazione diventa rappresentanza democratica non solo delle persone, ma degli interessi del popolo, “sovrano” non per modo di dire.
Il popolo sovrano, non “la gente” adesso deve dire se e con quali risorse rifare la rete idrica tutta fessurata da secoli e come riaggiustare le normative con gli enti locali. Deve dire che la cancellazione del programma governativo sul nucleare non incide sulla ricerca a cui sono stati tolti i fondi e che questo è il vero problema. E deve rifondare ogni discorso democratico sull’uguaglianza. Ma deve anche dire se la banche debbono diventare un potere così importante da non rispettare regole e diritti e far pagare ai contribuenti pasticci e fallimenti. La ristrutturazione del debito pubblico, cresciuto ad opera del governo e che costerà una grossa stretta della cinghia per rispettare i parametri richiesti dall’Europa, ma non tutti i possibili governi lo faranno con uguali priorità e uguali costi.
Siamo l’unico paese Ocse che non ha visto crescere il reddito: il danno resta senza rimedio, ma la qualità delle riforme va assunta con la massima serietà da lavoratori, sindacati, imprese. Si taglieranno le spese: impediamo che siano a detrimento dei diritti, della scuola (l’anno prossimo avremo 22.000 insegnanti in meno con una popolazione scolastica crescente e con più alta percentuale di stranieri), della sanità, della cultura, dell’assistenza. Anche l’informazione: quello che è successo in questi anni nel sistema pubblico è intollerabile: inventiamo scioperi dell’audience, lotte nonviolente, riempimenti delle caselle postali ed elettroniche dei responsabili.
Avete visto l’ambulante di Modena che si è fatto carico personale delle offese che Berlusconi ha continuato a rivolgere alla magistratura e ha denunciato il presidente del consiglio di vilipendio? Anche una persona sola, intelligente e generosa, può fare la sua parte.
Teniamo in piedi questa bella reazione civile e se anche i giovani ci daranno più inventiva e coraggio, forse integreremo quel senso dello stato che né il Risorgimento né, almeno in parte, la Costituzione sono riusciti a darci.
NOTA BENE: Non vorrei che nessuno dimenticasse che per prime hanno alzato la testa le donne. Non per amore di medaglie, ma per non ritrovarci tutte casalinghe.
Un plebiscito contro Silvio Berlusconi
di Massimo Giannini (la Repubblica, 13.06.2011)
Un vero plebiscito. Ma al contrario. Abituato a declinare ogni appuntamento elettorale come un’autocelebrazione personale e un continuo rinnovamento acritico ed epifanico del suo consenso, Silvio Berlusconi incassa un gigantesco plebiscito "contro", e non a favore della sua persona. Ventisette milioni di italiani sono andati alle urne per testimoniare la loro voglia di riprendersi la politica che per troppi anni avevano delegato al Cavaliere. In due settimane di mobilitazione pubblica la volontà del popolo sovrano ha fatto giustizia di tre anni di mistificazione. Dopo la disfatta devastante delle amministrative, la sconfitta pesante del referendum conferma che il presidente del Consiglio non è più in grado di leggere gli umori degli italiani e di reggere gli onori del governo.
L’esito quantitativo della nuova consultazione (il quorum) e il suo risultato qualitativo (il responso sui quattro quesiti) riflettono il cambiamento profondo della geografia e della geometria politica della nazione. Nel Palazzo c’è una maggioranza numerica che sopravvive a se stessa e resiste alla sua stessa agonia. Nel Paese c’è un’opinione pubblica che gli ha voltato le spalle, nelle scelte di merito e di metodo, perché stanca di una "narrazione" posticcia e artefatta che non ha più alcun collegamento con la realtà e con i problemi della vita quotidiana di milioni e milioni di persone "normali".
La sanzione più nitida e clamorosa di questa rottura tra gli interessi privati del premier e l’interesse collettivo degli italiani sta nel responso a valanga nel quesito sul legittimo impedimento. Dopo tre anni di menzogne propagandistiche sulla "riforma della giustizia" (interpretata solo nella chiave della soluzione dei problemi giudiziari dell’uomo di Arcore) i cittadini hanno capito e hanno votato di conseguenza. Dicendo un no forte alla stagione delle leggi ad personam e un sì chiaro al principio costituzionale che esige tutti i cittadini uguali davanti alla legge.
E’ un esito non scontato, e forse il più sorprendente di questo appuntamento elettorale. Segna davvero la fine di un ciclo storico, che dura ormai da diciassette anni, e che ha visto il Cavaliere protagonista di un assedio violento alla magistratura, con l’unico obiettivo di difendersi dai suoi processi attraverso l’estinzione dei reati o la cancellazione delle pene per via legislativa. Il risultato referendario, anche sotto questo profilo, è una bella vittoria della democrazia, in tutti i suoi sensi e in tutte le sue forme.
Ma insieme a questa politica dell’aggressione, dall’accoppiata amministrative-referendum esce a pezzi anche quell’ideologia post-politica (secondo la felice definizione di Geminello Preterossi) sulla quale si è retta la destra italiana di questi anni. Progressiva demolizione di tutto ciò che è pubblico, sdoganamento del qualunquismo più becero, inaridimento delle radici della vita democratica, abdicazione delle istituzioni alla legge del più forte, criminalizzazione sistematica del dissenso. L’onda referendaria spazza via in un colpo solo questo armamentario culturale populista sul quale è stato costruito il patto Berlusconi-Bossi.
Dietro la scena di cartapesta del Popolo della Libertà e della Padania liberata, dietro la demagogia degli spiriti animali del capitalismo e dei riti pagani nelle valli alpine e prealpine, dietro l’idea "rivoluzionaria" del cambiamento federalista e anti-statalista, l’asse Pdl-Lega non ha costruito niente. Niente miracoli, solo miraggi. Niente crescita, solo declino. Adesso è tardi, per qualunque contromossa e per qualunque recupero. Il Carroccio ha pagato fino in fondo il tributo alla lealtà personale del Senatur nei confronti del Cavaliere. Per le camicie verdi si tratta di riprendere il largo, di tornare in mare aperto e alla strategia delle mani libere. E’ solo questione di tempo e di modo. Ma il destino della coalizione è segnato, chiuso com’è dal vincolo esterno dell’Europa sui conti pubblici e dal vincolo interno ormai rappresentato dalla crisi della leadership berlusconiana.
Il premier ha perso prima il referendum virtuale, con le amministrative che lui stesso aveva trasformato in una drammatica e ultimativa ordalia su se medesimo. Ora ha perso anche il referendum reale, con una scelta astensionista disperata e insensata che ha sancito l’irrimediabile scollamento tra lui e la sua gente. Cos’altro deve accadere, perché Berlusconi tragga le conseguenze di questo fallimento? L’Italia non merita di pagare altri danni, alla volontà di sopravvivenza di un governo che non esiste più e che si tiene ormai solo sulla stampella instabile e impresentabile dei "Responsabili" di Romano e Scilipoti. Fa fede l’immagine di Calderoli, che come sempre parla il linguaggio ruvido del disincanto. Due "sberle" non fanno un ko. Ma sicuramente lo preparano. Prima avverrà, e meglio sarà per tutti.