Ecco ci risiamo. Adesso anche in Belgio copiano il sistema tutto italiano di fare pompini in cambio di favori. Adesso si promettono fellatio in cambio di voti. Non ci credete? Tutto questo succede veramente. Tania Dervaux, candidata per un partito belga, ha promesso sesso orale a chi esprimerà in suo favore il voto.
Un caso da imitare ha suggerito qualcuno, e pensandoci bene, se anche in Italia le nostre politiche decidessero di offrire rapporti orali in cambio di voti, quali sarebbero le bocche più richieste? Non faccio nomi per evitare denunce ovviamente, sono sicuro, però, che molti di voi stanno già pensando a impensabili bocchini parlamentari.
Si conterebbero nelle dita di una mano le donne che potrebbero ambire a tale riconoscimento. Il fatto, comunque, è alquanto discriminante, dal momento che sarebbe rivolto solo agli uomini e...alle donne niente? La cosa sarebbe ancora più difficile perché i maschietti cosa potrebbero proporre in cambio di voti ricevuti? Escludendo la penetrazione che pare non sia prevista in campo elettorale, cosa potrebbero offrire i politici maschi? Il proprio membro da succhiare a mo’ di chupa chupa oppure sarebbero loro ad eseguire il lavoro boccale? Il dubbio rimane, comunque sarebbe giusto che anche le donne avessero la loro parte, così per par condicio...non per altro. I parlamentari transgender sarebbero avvantaggiati perché potrebbe soddisfare entrambi i sessi votanti. Speriamo che certe fantasie non vengano a personaggi che, per quanto intelligenti, non sono oggetti del desiderio degli elettori. Pensate se Andreotti, per rimanere solo nell’ambito maschile, si offrisse in tal senso, ‘ Maronna’ mia che orrore.
Se solo Chavez scoprisse questa nuova moda europea probabilmente ne farebbe una vera campagna elettorale e, viste le sue famose performance, sarebbe capace di soddisfare tutte le elettrici venezuelane, resta però scoperto l’elettorato maschile. Certamente troverebbe la soluzione anche per questo. Ricordate il fatto della dentiera dimenticata nei bagni dell’Ariston durante l’ultimo festival di San Remo? Chissà quante altre dentiere si troverebbero in giro in Parlamento se quest’ultimo fosse nominato il posto ufficiale dove mantenere le promesse per i voti ricevuti. Le dentiere, invece di essere delle aspiranti vallette, sarebbero quello delle vecchie deputate italiane. Ma è mai possibile che il sesso sia sempre la chiave per ottenere qualsiasi lascia passare? Rimane lo sconcerto per il fatto che Tania dovrebbe praticare almeno 40.000 fellatio e non so proprio come farebbe a soddisfare tutti questi uomini e soprattutto quanto tempo ci vorrebbe. Sarebbe la senatrice pompinara, a tutti gli effetti. Monica Lewinsky e Clinton al suo cospetto sarebbero soltanto una banale coppia di amanti. E’ Tania la nuova regina hard europea finchè qualche, si spera procace, deputata italiana voglia seguirne l’esempio. Chissà cosa penserebbe la bella dottoressa Lola Lazzaro che continua a elargire consigli molto piccanti dal suo blog a luci rosse.
Mi ero ripromesso di non parlare di sesso per un po’ ma come si fa a ignorare un fatto politico di questo livello erotico? Possiamo in ogni caso stare tutti tranquilli, come al solito anche questa sarebbe una promessa da mercante, conosciamo bene tutte le palle che si dicono durante le campagne elettorali, i buoni propositi che mai vengono mantenuti. Hasta la vista.
Cosmo de La Fuente
Benigni infiamma la festa Pd
di Andrea Carugati *
Seduti uno a fianco all’altro allo spettacolo di Benigni, Pierluigi Bersani e Dario Franceschini si godono uno dei rari momenti di serenità di queste settimane. «Robertaccio è riuscito a mettervi insieme...». «Sì. Faccio l’accordo unitario su di lui e non ci ritiriamo», propone Franceschini. E Bersani: «Della serie, vai avanti tu che mi viene da ridere... ». Chiacchiere e sorrisi a beneficio dei fotografi, accanto all’ex ministro c’è anche la riservatissima moglie Daniela. Roberto li aspetta al varco, i due candidati.
Arriva parlando in genovese, «Belin», e punta subito dritto sulle escort di Berlusconi: «Paganelli, se dicevi che era un festino veniva Silvio direttamente da Villa Certosa con Alinghi». «Eh, Bersani, che record, abbiamo perso 4 milioni di voti, e Veltroni fra un po’ scriverà il libro “io” perché non c’è più nessuno. Bisogna che non si arrivi sotto il 2%, ieri mi sono iscritto e ero il 15esimo». «E poi quello che ci ha dato la linea è Fini, mentre Bersani l’ha data a quelli di Comunione e Liberazione...». «Da chi ci facciamo guidare. Da Pierluigi, Ignazio o da D’Addario? Quando sente questo nome Berlusconi trema... ». «Sì, si è un po incattivito, ha venduto Kakà e ha comprato Feltri: costa meno e sulle punizioni è molto piu bravo... e poi le veline su Boffo, lui ha avuto la solidarietà del Papa, Feltri quella del Papi».
«Di veline ne ha tantissime, è un vizio di famiglia, ne ha tantissime anche su Bersani e Franceschini, vedrete cosa uscirà. Silvo ha fatto bene a denunciare Repubblica e Unità, devono smettere di andare in giro a scrivere cose vere, se fossero false... ». E poi le feste: «Silvio perchè non mi inviti alle feste, alle orge con i vestiti di babbo Natale, tutti ignudi. Fede è stato beccato a fare l’amore con una pecora gonfiabile». «Ma io non voglio parlare dei fatti privati di Silvio, tipo la Costituzione, il lavoro, quelli sono fatti suoi, io parlo dei fatti pubblici, le mignotte». «Silviooo!! Dammene una di porcellona a cinque stelle!!», è il grido di Robertaccio.
«Ci sono le registrazioni e lui giura sui suoi figli che non è vero. Mi chiedo di chi sono i figli... ». «Ha paura», scherza Benigni. «Adesso non vuole che parlino nemmeno i portavoce dell’Europa. Ma quelli sono portavoce, come fanno a stare zitti?». L’Unità: «Ha fatto causa perché hanno scritto che ha problemi di erezione. Silvio non ti preoccupare, ce li ho anch’io. Come farà a dimostrare davanti al giudice che non ha problemi? È difficilissimo avere un’erezione davanti al giudice, io una volta c’ho provato... ». E Noemi? «Ha detto che il babbo era l’autista di Craxi, poi il cuoco di Berlinguer, poi l’idraulico di De Gasperi. Era così arrapato che ha fatto il conto alla rovescia con le candeline, appena ha compiuto 18 anni... non si teneva con questa potenza sessuale impressionante... ».
E le farfalline? «Ormai l’Italia è piena, Piero Angela ha fatto una puntata speciale di Super Quark... ». «E poi le fa diventare assessori o le manda in Europa, e le paghiamo noi. Ma Silvio con tutti i soldi che hai perché non le paghi tu?». «Vuol passare alla storia come Quinto Fabio Massimo, Silvio il trombatore». E Feltri? «Adesso ha una registrazione di Prodi del ‘71 con le gemelle Kessler e dice “Aspettami sul letto di De Mita”, e Bersani innamorato di Pupo che molesta la moglie col cellulare di D’Alema... ».
* l’Unità, 04 settembre 2009
LA STORIA
Inchiesta-choc del Comune di Milano. Baby-escort, le liste delle ragazze disponibili girano di istituto in istituto
Sesso a scuola, basta un sms
di ELENA LISA (la Stampa, 31/8/2009)
MILANO. I segnali per darsi appuntamento nelle zone più nascoste della scuola per avere un rapporto sessuale, è lo stesso in quasi tutti gli istituti di Milano: il «cliente», al massimo un diciassettenne e la baby prostituta, a volte anche di tredici anni, entrambi studenti, abbassano la suoneria del telefonino e si mandano un sms per confermare gli accordi presi il giorno prima. Entrambi fanno di tutto per rispettare l’impegno: se non ricevono il permesso di uscire dall’aula, si fanno cacciare fuori. Non sempre a incontrarsi sono soltanto un lui e una lei. Il sesso, rapido, può essere anche di gruppo. Dipende dai desideri e da cosa offre il momento.
Il catalogo delle ragazze
Non è neppure indispensabile conoscersi: i ragazzini possono contare su una «lista elettronica», fatta circolare sui telefonini e sui blog via internet, che descrive la disponibilità della studentessa. Oltre al nome, cognome e numero di telefono, anche il prezzo e il tipo di prestazioni fornite: rapporti orali, sessuali completi, anali, con singoli o coppie, durante le lezioni, soltanto nell’intervallo, in cambio di vestiti firmati, ricariche per i cellulari e compiti. Liste note da tempo tra gli adolescenti, e di cui solo oggi, invece, gli adulti conoscono l’esistenza. A parlarne per la prima volta un gruppo di teenager milanesi, seguiti da Luca Bernardo, il medico ha messo in piedi un ambulatorio sul disagio giovanile. «Gli elenchi non restano in mano agli studenti dello stesso istituto. Si scambiano con quelli delle altre scuole, creando un vero e proprio mercato della prostituzione minorile».
Ragazzi che stilano elenchi di mini escort e che, per vincere la timidezza, usano droghe nei bagni di scuola. Addirittura più piccoli, attorno ai dieci anni, quelli trovati da una maestra intenti a scambiarsi immagini di rapporti sessuali con animali. Un’emergenza sociale che l’assessore alla Salute di Milano, Giampaolo Landi di Chiavenna, ha intenzione di arginare, non senza difficoltà: «Non è semplice trattare certi temi perché un certo bigottismo, politico e civile, tende a imporre la regola che di alcune questioni sia meglio non parlare».
Sono stati proprio i presidi, oltre ai medici che si occupano di malattie a trasmissione sessuale, a tracciare il quadro della situazione all’assessore. Da qui è partita una strategia di difesa: spedire lettere e opuscoli informativi per mettere in guardia le famiglie, creare un osservatorio permanente, e proporre al governo un progetto, così che il corto circuito attualmente in atto tra sesso e giovani non venga «curato» con soluzioni a macchia di leopardo, ma attraverso una politica nazionale. «La mini prostituzione più diffusa, ma che desta inspiegabilmente poca preoccupazione, è quella cibernetica - dice Landi di Chiavenna -. Sono moltissime le studentesse che si spogliano davanti alle webcam per arrotondare la paghetta. E poi vivono come se nulla fosse».
Il disagio delle famiglie
Vendere e comprare corpi come scorciatoia a disagi ogni giorno più marcati: ragazzine sempre più malate di protagonismo e maschi schiacciati dall’incapacità di relazionarsi e da un senso opprimente di incomunicabilità. Ma anche un fenomeno che mette in luce l’incapacità delle famiglie di discutere con i propri figli di temi «tabù» come quello del sesso.
A Milano, nei mesi scorsi, sono state proprio le associazioni dei genitori a pretendere che l’amministrazione comunale bloccasse le lezioni di educazione sessuale, organizzate con l’Asl, nelle scuole pubbliche: «Insieme a una campagna contro la smisurata disinvoltura dei teenager che mi piacerebbe promuovere grazie a nomi famosi della musica e dello spettacolo - dice ancora l’assessore - è mia intenzione, a inizio anno scolastico, riproporre alla giunta l’idea di corsi in cui insegnanti preparati sappiano spiegare agli studenti le conseguenze devastanti che certi atteggiamenti comportano». Effetti che conosce bene Luca Bernardo: «Ragazzi e ragazze si presentano nell’ambulatorio spavaldi. Dicono di esserci arrivati perché costretti dalla scuola o dai genitori, ma di non avvertire alcun disagio. È a poco a poco, quando si aprono, che in loro si spalanca una voragine».
LA POLEMICA
Cosa ne è delle donne ai tempi del Cavaliere
di MICHELA MARZANO *
CENE, balli, barzellette, "ragazze-immagine" in abiti neri e trucco leggero, bellissime escort i cui volti si sovrappongono fino a sfumare l’uno nell’altro... No, non si tratta del copione di un film di serie B, ma di un rituale che, in questi ultimi anni, si è banalizzato in Italia, ripetendosi in modo ossessivo nel cuore stesso del potere, a Palazzo Grazioli come a Villa Certosa, eco di un mondo in cui le donne non sono più che delle controfigure sbiadite.
"Casting", "fashion", "book": le donne, ormai, nell’Italia di Berlusconi, non sembrano più contare per quello che fanno o sanno fare, per le loro competenze professionali, per la loro preparazione o per la loro storia (dolorosa, a volte; difficile, sempre), ma per il ruolo che giocano, per come appaiono, per ciò che non esprimono. Le donne sono sempre più corpi e volti ritoccati per sottomettersi tutti ad un’unica ingiunzione: sii bella e seducimi! "Io sono una bambola" afferma con fierezza una show girl alla televisione, credendo così di essere irresistibile. "Le donne belle vanno sempre con gli uomini ricchi e potenti", sembra confermare Vittorio Sgarbi in una recente intervista telefonica tirando fuori la carta ormai usata e abusata dell’apologia dell’italiano "scopatore". Ma cosa dicono questi corpi sottomessi (alle diete, alla chirurgia plastica, allo sport, allo sguardo dell’uomo), il cui volto rifatto ha ormai perso ogni segno di singolarità e di vulnerabilità? Che tipo di relazione con l’altro possono stabilire? Si può ancora parlare di relazione e di desiderio quando l’alterità (l’irriducibile alterità dell’altro, come direbbe Levinas) scompare sotto la maschera di un oggetto di piacere e di pulsione intercambiabile? Quale donna si rivolgerebbe oggi al truccatore che vuole nasconderle le occhiaie come fece Anna Magnani, che "ci aveva messo degli anni per farsele e non voleva nasconderle"?
"Ad un volto", scriveva Deleuze, "possiamo porre due generi di domande, a seconda delle circostanze: a cosa pensi? Oppure: cosa ti succede, che cos’hai, che cosa senti o che cosa provi?". È attraverso il viso che ognuno di noi può esprimere la propria singolarità e la propria specificità: un viso non è mai "un" viso in generale, ma sempre "il" viso di qualcuno che porta su di sé i segni del tempo che passa, delle emozioni vissute, dei dolori, delle gioie. Cosa accade allora quando "il" viso diventa "un" viso, uno qualsiasi tra i tanti, conforme alle norme in vigore, ma inespressivo: un "volto angelico" di una ragazza, il cui nome può essere Noemi, ma anche Roberta, Barbara, Patrizia, Lucia? Perché in fondo poco importano nome e viso di queste ragazze. Si tratta quasi sempre di giovani donne sorridenti e sognanti. E quando non sono più tanto giovani, tutte continuano a avere le labbra formose, il naso rifatto, le rughe cancellate, l’abito nero, il trucco leggero... per continuare a occupare la scena di una vetrina luccicante, per non smettere mai di sedurre i maschi, per incarnare l’immagine della donna perfetta che continua a guardarsi nello specchio deformante del piacere virile.
Perché allora così poche persone insorgono contro questa mascherata tutta italiana che da anni cancella "il" viso delle donne, per ridurle al ruolo subalterno e umiliante della semplice comparsa teatrale, come se, per continuare a esistere, le donne fossero ormai costrette a interpretare sempre lo stesso personaggio? Perché tante donne credono che il solo modo per emergere dalla massa informe dell’anonimato sia quello di ridursi a oggetti di pulsioni, contemplate per il corpo-feticcio che incarnano, e ridicolizzate - senza per questo scomporsi - per la loro incompetenza professionale davanti alla telecamera?
Non si tratta di criticare le scelte personali di alcune donne. In fondo, ogni persona è libera di fare quello che vuole della propria vita. Perché non diventare una velina? La questione, qui, riguarda la libertà. Quale libertà resta oggi alle donne in un paese in cui il potere in carica propone loro un modello unico di riuscita e di comportamento? Quale libertà resta quando si fa loro credere che il desiderio non sia altro che pulsione? Il desiderio, che è il sale della vita, e che spinge ognuno di noi ad andare verso l’altro, non può ridursi alla voglia frenetica di "consumare" corpi seducenti e impeccabili; il desiderio emerge e si sviluppa solo quando l’altro, l’oggetto del nostro desiderio, resta giustamente "altro": colui o colei che è ciò che io non sono, che ha ciò che io non ho e che, nonostante tutto, al di là della seduzione e dei rapporti sessuali, rimane irraggiungibile. A differenza di un pezzo di pane o di un bicchiere d’acqua che si consumano quando si ha fame o sete, la donna non è un semplice oggetto che può essere consumato a proprio piacimento. E non per ragioni morali (la "moralina", direbbe Nietzsche). Ma perché, molto più semplicemente, in ogni relazione umana c’è un "resto", qualcosa dell’altro che non si può distruggere perché l’altra persona sfugge sempre alla "presa" e, in quanto persona, resiste alla volontà dell’altro di assimilarla a sé. È in questo "resto" che risiede la sua specificità e la sua umanità. Un volto che dice "no" e che si oppone all’onnipotenza del potere, della ricchezza, della violenza. Solo nei film pornografici il volto scompare e non esprime più nulla, producendo un sistema nel quale gli uomini e le donne non sono altro che due polarità complementari: l’attività e la passività, il potere e la disponibilità. Tutto si riduce a ripetizione, accumulazione e moltiplicazione: la ripetizione ossessiva degli stessi gesti; l’accumulazione delle donne come trofei di caccia; la moltiplicazione delle conquiste... Fino a che non emerge un mondo in cui, guardando o essendo guardati, tutti restano intrappolati nella ripetizione di un atto che simula il sesso senza più nessun riferimento all’incontro sessuale, come mostra magistralmente Kubrick nella scena dell’orgia del suo ultimo film, Eyes Wide Shut. Un mondo che, in fondo, altro non è che il vecchio sistema patriarcale in cui gli uomini amano delle donne che non desiderano e desiderano delle donne che non amano, come diceva Freud, e in cui le donne sono costrette a scegliere a quale gruppo appartenere: le "madonne" o le "puttane".
Con il 1968 e la rivoluzione sessuale degli anni Settanta, questo sistema era stato rimesso in discussione: la libertà per le donne di disporre finalmente del proprio corpo aveva come finalità principale il raggiungimento di un’uguaglianza a livello di diritti che doveva permettere a tutti di diventare soggetti della propria vita. Uomini e donne uguali. Uomini e donne capaci di costruire la propria vita, di lottare per affermarsi, di mostrare il proprio valore e le proprie competenze. Che cosa resta, nell’Italia di oggi, di questa rivoluzione? Che messaggio dà alle adolescenti di oggi un paese il cui presidente del consiglio è fiero del proprio machismo? Un paese in cui un personaggio pubblico celebre può dichiarare senza vergogna che "chi scopa bene, governa bene"? Guardando quello che accade negli altri paesi europei, l’Italia "liberista e moderna" sfigura, presentandosi come l’emblema stesso del ritorno all’atavico machismo dei paesi mediterranei. È questo che stupisce e scoraggia quando ci si rende conto che l’unico modello femminile valorizzato oggi in Italia è quello della bambola impeccabile la cui sola preoccupazione è l’immagine del proprio corpo e la seduzione maschile. Non perché non ci si debba occupare del proprio corpo, ma perché quando il corpo non è altro che un oggetto di consumo, la donna perde la possibilità di esprimersi indipendentemente dallo sguardo degli uomini.
Facciamo, allora, in modo che il ventunesimo secolo, col pretesto di essere "alla moda", non sia la tomba di tutte le conquiste femminili del secolo scorso.
* la Repubblica, 30 luglio 2009
L’irrosolto lascito della rivoluzione sessuale
di Francesco D’AGOSTINO (Avvenire, 1 Agosto 2009)
Condivido tutte le preoccupazioni di Michela Marzano sulla sorte delle donne «ai tempi del Cavaliere» (la Repubblica del 30 luglio): nel contesto del sistema mediatico e culturale oggi dominante, esse si sentono sempre più umiliate, vedendo il loro corpo ridotto a oggetto di consumo e avvertendo la crescente impossibilità di "esprimersi" indipendentemente dallo sguardo degli uomini.
Il dissenso dalla Marzano comincia subito, però, quando essa individua nel 1968 e soprattutto nella rivoluzione sessuale degli anni Settanta un momento di svolta, che avrebbe consentito alle donne di «disporre finalmente del proprio corpo» e a tutti (uomini e donne!) di lottare per costruire secondo libertà la propria vita.
Ancora una volta il 1968 e gli anni Settanta vengono indebitamente mitizzati. Nessuno vuole negare il rilievo sociologico di quegli anni, ma continuare ad attribuire loro il merito di aver (per la prima volta!) messo in discussione il «vecchio sistema patriarcale» che avrebbe governato per millenni il rapporto tra i sessi è profondamente mistificante. Riconosciamo almeno che è dall’avvento del cristianesimo che uomini e donne sono considerati assolutamente pari in dignità e in diritti (nel matrimonio cristiano non c’è differenza tra il rilievo conferito al consenso coniugale dello sposo rispetto a quello della sposa) e che tutte le battaglie per attualizzare questo principio epocale (evangelico nel suo fondamento, ma laicissimo nella sua sostanza) hanno avuto successo solo quando pensate, lette, attivate all’interno della tradizione cristiana e non contro di essa. L’errore del 1968 e degli anni Settanta fu appunto quello di coniugare la "liberazione" della donna a diverse varianti del marxismo e comunque a un materialismo programmatico; e se oggi ci interroghiamo, come giustamente fa la Marzano, su cosa resti di quella "rivoluzione" (per concludere che ne resta ben poco, anzi pochissimo) la ragione consiste probabilmente proprio nella sua velleitarietà antireligiosa.
Posso provare quanto ho appena detto? Ma la prova migliore ce la dà, senza rendersene conto, la stessa Marzano, nel corso delle sue stesse riflessioni, quando mette le mani avanti per prevenire possibili e imbarazzanti critiche dei nostalgici del ’68. «Non si tratta di criticare le scelte personali di alcune donne... - essa scrive - in fondo ogni persona è libera di fare quello che vuole della propria vita». Sarà vero per l’ideologia sessantottina, ma non è vero, non è così, sul piano etico e culturale, che è quello su cui intelligentemente si muove la Marzano (sul piano giuridico, è ovvio che, finché non si danneggiano gli altri, ogni persona è libera di fare ciò che vuole della propria vita: ma qui non stiamo utilizzando le fredde categorie del diritto, ma le calde, caldissime categorie della morale).
Non ci sarà mai liberazione per le donne (e, simmetricamente, per gli uomini) finché si continuerà a pensare che la vita individuale sia moralmente insindacabile, perché insindacabile sarebbe la stessa libertà. La libertà è invece sindacabile, anzi sindacabilissima, quando si allontana dal bene. La libertà per le donne (come per gli uomini) consiste in primo luogo nell’offrirsi allo sguardo degli altri come «persone» e non come «corpi», come persone chiamate a scegliere se svolgere «funzioni» umanizzanti (familiari e sociali), o disumanizzanti (come quella delle veline o delle escort).
Il problema è tutto qui: la rivoluzione sessuale degli anni Settanta, scuotendo alle radici le società occidentali e spezzando il vincolo antropologico essenziale che unisce sessualità e persona, non ha risolto i problemi che intendeva risolvere (e questo spiega le giustificate angosce della Marzano) ed ha anzi creato problemi nuovi, di cui ancora si fatica a prendere coscienza. Questo è il problema.
Francesco D’Agostino
Sul tema, nel sito, si cfr.:
PERVERSIONI di Sergio Benvenuto. UN CORAGGIOSO PASSO AL DI LA’ DELL’EDIPO
Le donne e la libertà ai tempi del Cavaliere
di MIRIAM MAFAI *
E se tutto questo scialo di donne, convocate a Roma da uno spregiudicato affarista di Bari, e messe a disposizione del nostro presidente del Consiglio, avesse provocato, non la simpatia, l’invidia e il consenso di cui parlano i suoi più fedeli collaboratori, ma, soprattutto tra le donne, irritazione, e persino un po’ di vergogna?
E non è possibile che sia stato proprio questo sentimento di una parte dell’elettorato femminile ad aver provocato un sia pur tardivo atteggiamento di critica da parte della stampa e delle gerarchie cattoliche?
Una velina, una escort, una prostituta è una donna che dispone del suo corpo come crede. O come può. Il mestiere più antico del mondo, si diceva una volta. Esercitato in modi diversi, con maggiore o minore eleganza, riservatezza e sobrietà. Un mestiere che si sceglie o al quale si può forse essere costrette. Ma non è lecito pensare che siccome esistono le veline, tutte le donne italiane sarebbero classificabili come aspiranti veline. E la prova di questa latente aspirazione starebbe nel fatto che le donne italiane, giovani e meno giovani, dedicano ormai una cura ossessiva al proprio corpo, sperando di farne strumento non solo di piacere ma anche, se possibile, di guadagno e di successo.
Ha ragione Michela Marzano quando, su queste pagine, qualche giorno fa, denunciava il fatto che questo sia l’unico modello di riuscita e di comportamento che il potere in carica oggi propone alle donne. E’ questo, nei fatti, il modello vincente insistentemente proposto alle donne dalla nostra tv. Donne esibite come merce, donne spogliate, donne in vendita offerte al miglior acquirente: una proposta umiliante che non viene avanzata solo dalla tv berlusconiana, ma anche purtroppo da quella pubblica.
Ma le donne italiane sono davvero tutte, o nella loro maggioranza, disponibili a questa subalternità al desiderio maschile? Io non lo credo. Penso, al contrario, che in maggioranza le donne italiane stiano da tempo perseguendo un’altra strada. Quella della propria realizzazione come individui liberi e responsabili, attraverso una faticosa combinazione tra studio, organizzazione della vita familiare, maternità e lavoro. E questo mi pare il senso dell’interpellanza su Berlusconi presentata la scorsa settimana in Parlamento dalle donne e dalle ex ministre del Pd. E questo mi pare anche il messaggio di quelle 15 mila donne italiane che hanno firmato l’appello della professoressa Chiara Volpato: "il comportamento del premier offende le donne".
Il 1968 ci perseguita. É sempre a quella data che facciamo riferimento per ricordarne le conquiste o lamentarne le sconfitte e le delusioni. Quello che si è convenuto chiamare il 1968 è un processo lungo e tumultuoso che nel nostro paese è durato almeno dieci anni. Ci stanno dentro le occupazioni delle Università e l’autunno caldo operaio, la legge sul divorzio (e il successivo referendum) e lo Statuto dei Lavoratori, il nuovo diritto di famiglia e la legge sull’aborto, la chiusura dei manicomi e la riforma sanitaria, Piazza Fontana e il delitto Moro. Quello che chiamiamo il 1968 è uno spartiacque. C’è un prima e un dopo. E oggi, a distanza di quarant’anni molti di noi continuano a misurarsi con quelle speranze, quei successi e le successive delusioni.
Cosa ne è, si chiede Michela Marzano (che all’epoca, beata lei, non era nemmeno nata) della rivoluzione sessuale di quegli anni, che dava finalmente alle donne la libertà di disporre del proprio corpo, che prometteva a tutti di diventare autonomi soggetti della propria vita? Cosa ne è, di tutto questo, "ai tempi del cavaliere" in un paese in cui il presidente del Consiglio può dichiarare, senza vergogna, che "chi scopa bene governa bene"?
Tutto questo, le veline e le escort, le Noemi Letizia e le Patrizie D’Addario, le feste a Villa Certosa e a Palazzo Grazioli, le barzellette da trivio e le volgarità di Berlusconi ("un uomo che non sta bene" come lo ha definito, correttamente e sobriamente, la moglie Veronica Lario), tutto questo rappresenta senza dubbio un pezzo, il più sgradevole e avvilente del nostro paese, ma non può essere assunto a simbolo dell’Italia, del nostro costume, delle aspirazioni, delle ambizioni, dello stile di vita delle donne italiane di oggi. Al contrario: sono convinta che il femminismo o comunque si voglia chiamarlo, quel movimento cioè che rivendicava la fine di ogni forma di discriminazione tra uomini e donne, la uguaglianza di diritti e la possibilità, quel movimento nel corso degli anni ha certamente cambiato faccia, stile, modo di esprimersi ma ha messo radici profonde nella nostra cultura e nella nostra vita quotidiana. La rivoluzione femminista, nata negli anni lontani che chiamiamo " il 68", resa possibile anche dal processo di secolarizzazione che allora percorse il nostro paese (coinvolgendo una parte notevole del mondo cattolico), quella rivoluzione si scontrerà negli anni successivi con movimenti e culture che ne tenteranno un ridimensionamento. Parlo di movimenti e culture che esaltano la violenza e il successo, comunque conseguito, che irridono ai deboli o ai meno dotati, e che tentano di riportare la donna a un ruolo subalterno contestandone il diritto alla propria autonoma capacità di decisione anche nel campo delicatissimo della procreazione. (Basti ricordare la vicenda della legge sulla fecondazione assistita, i ripetuti tentativi di rivedere la legge 194, e, in questi giorni la posizione del Vaticano sulla pillola Ru487 e la relativa minaccia di scomunica rivolta ai medici che dovessero prescriverla).
La libertà della donna è certamente a rischio. Ma resta tuttora un elemento fondante della nostra società. Ormai padrone del proprio corpo, le donne se ne possono servire, se vogliono, per fare le veline o per fare carriera, ma anche per scegliere se e come e quando fare un figlio, o per vincere una gara sportiva come le nostre splendide Federica Pellegrini e Alessia Filippi. Si possono servire dalla loro intelligenza per affrontare percorsi di studio e ricerca sempre più complessi, per dare la scalata a posti di sempre maggiore responsabilità. Il fatto è che, purtroppo, non ci vengono mai proposte come modello. Tutti conosciamo la faccia di Patrizia D’Addario. Ma nessuna tv ci propone la faccia di Cristina Battaglia, a 35 anni vicepresidente dell’Enea, o quella di Amalia Ercoli Finzi che al Politecnico di Milano insegna come volare nello spazio, o quella di Sandra Bavaglio, giovane astronoma cui Time ha già dedicato una copertina.
Insomma, il 1968, la sua cultura dell’uguaglianza e dei diritti è ancora tra noi. Quali che siano i messaggi che ci invia una tv sempre più volgare o quelli proposti dal patetico machismo del nostro presidente del Consiglio.
* la Repubblica, 4 agosto 2009
«Ribelliamoci come in Iran e in Birmania»
di Concita De Gregorio *
Tutto avviene nel silenzio. C’è un’idea diffusa di impotenza, di rassegnazione. Alla politica si è sostituito il potere. La gestione delle cose, gli affari privati. Tutto è ormai una faccenda privata: di scambi, di soldi, di favori. Dove sono i cittadini, in questo paese? Dove sono le donne? In tutto il mondo le donne sono in piazza. Alla sbarra a Teheran, massacrate in Iran, prigioniere in Birmania. Volti femminili che diventano icone della protesta. Qui, in questa nostra democrazia in declino, di donne si parla per dire delle escort, delle ragazzine che dal bagno attiguo alla camera da letto del tiranno telefonano a casa alla madre per raccontare, contente, “mamma sapessi dove sono” e rallegrarsi insieme. E fuori, e le altre? Silenzio. L’apatia ci accompagna...».
Il tempo del silenzio, ripete Nadia Urbinati, docente di Teoria politica alla Columbia university. «Avrei voluto far qualcosa, in questi mesi estivi che passo in Italia, ma mi si dice che si deve aspettare l’autunno. Non capisco come mai. Non vedo che altro ci sia da aspettare. Le vittorie di Berlusconi appaiono ormai la conseguenza e non la causa dell’indebolimento della presenza attiva dei cittadini nella vita pubblica. Non c’è nulla da fare, sento dire. C’è, da parte delle persone attorno a noi, una specie di accettazione. Il senso dell’inutilità dell’agire collettivo. Non serve, si dice. Non produce effetti. Solo la pubblicità produce effetti». «Ci hanno ingannati, in questi anni, illudendoci che si potesse partecipare stando a casa: davanti allo schermo di una tv, in un blog al computer. Soli davanti al video. È nato un pubblico che si cela al pubblico. Impotente, rassegnato. Si è fatta strada un’idea maggioritarista: quella che dice che chi vince ha ragione per definizione, in quanto vincitore. Poiché vince non può aver torto. La verità sta con la maggioranza. È un’idea che non prevede il dissenso.
Il dissenso infastidisce, non se ne comprende il valore né l’utilità, non si tollera. La voce dell’opposizione è una voce che disturba. Berlusconi esprime un’idea egemonica che gli sopravviverà. L’opposizione d’altra parte non fa che riconoscere la forza dell’avversario (ho sentito giovani del Pd ammirare la Lega per il radicamento sul territorio ignorando i contenuti di quel radicamento). L’opposizione è assente. Manca un partito capace di parlare con voce forte e chiara. Negli ultimi tre mesi l’Unità e la Repubblica hanno avuto la capacità di far infuriare il tiranno, l’opposizione no. Persa nella sua battaglia interna, persa nell’incapacità di parlare con le parole della politica. Un vuoto che apre la strada ad un nuovo populismo giustizialista. Ho sentito Prodi dire: Berlusconi è il vuoto. Putroppo no, non è vuoto, è pieno di linguaggio e di azione. È l’opposizione a non avere linguaggio ed azione da opporre, manca un partito che incalzi. Quel che fa questo governo non è ridicolo, non è schifoso come ho sentito dire dai leader negli ultimi giorni. È tragico. Le gabbie salariali sono la rottura di un patto di solidarietà e giustizia tra i cittadini, un piede di porco capace di smembrare il paese. Le ronde sono un pericolo gravissimo, oltre ad essere un modo subdolo per distribuire finanziamenti pubblici. Sull’unità d’Italia? Nulla. Se non ci fosse l’Europa a contenerci saremmo sull’orlo della guerra civile».
«Siamo orfani di politica. Il potere ha preso il suo posto: chi lo detiene lo usa attraverso mezzi privati, conti in banca, soldi, scambi di favori. Berlusconi durerà. Tutto questo non finirà con lui. Questo governo non è Berlusconi, è la visione organica della società che lui rappresenta. Abbiamo imparato a giustificare sempre tutto. Ci sarebbe bisogno di avere una visione morale della politica, invece. Non c’è. Non abbiamo una cultura della responsabilità morale: anche se non penalmente perseguibili certi atteggiamenti sono moralmente turpi. Bisogna dirlo, ripeterlo, cercare ascolto, pretendere risposta.
È stata una trasformazione molecolare. Dopo anni di partecipazione si è spenta nella mente del cittadini la dimensione pubblica. La democrazia si è fatta docile e apatica. Vista dall’estero l’Italia non ha più nulla da dire, resta solo un esempio interessante da studiare sul declino della democrazia. Penso alle donne, poi. Neda, San Suu Kyi, le donne nel mondo. In Italia a parte qualche importante figura femminile isolata, niente. Sulle prostitute e le minorenni di cui si circonda il Presidente le parlamentari del Pd si sono schierate dieci giorni fa. Forse si teme di essere indicati come bacchettoni, di trasformare la politica in morale. Fatto è che donne che appartengono al privato (Veronica e Barbara Berlusconi) hanno avuto un ruolo politico, quel ruolo che chi fa politica non trova. Le generazioni del femminismo si sono scollate. Le ragazze che vanno a palazzo Grazioli dal bagno del tiranno telefonano alla madre, contente. Le loro madri hanno la nostra età. Cosa è successo tra quelle madri e queste figlie, tra noi e loro? Le grandi personalità si sono ritirate a scrivere le memorie degli anni d’oro, quasi a rivendicare un’autorità su e insieme un’estraneità da questo tempo. Io l’avevo detto, io l’avevo scritto. Personalismi, una contro l’altra, non c’è più la capacità di mettere in comune le esperienze, tessere una trama, rinunciare a qualcosa di proprio per l’agire collettivo. Quello che dà fastidio, poi, è questo continuo lamento, solo lamento. Tutti che chiedono rivendicano protestano e si lagnano, tutti che pongono problemi e nessuno che offra soluzioni. Anche attorno a noi, nella vita, è così. Lamentarsi è facile e non costa nulla, invece proporre una soluzione significa assumere una responsabilità, pagare il prezzo di una decisione..
Lamentarsi, risentirsi, portare rancore: anche queste sono forme private di agire. La dimensione pubblica - quella di chi si attrezza ad unire le forze e costruire gli strumenti per cambiare le cose, insieme - è svanita. I giovani sono figli di questo tempo. Tutto per loro è privato, totalmente privato. Bisogna ripartire da capo. Dalle cose essenziali. Lanciare un appello, per esempio, alcune donne si preparano a farlo: lanciare appelli non è un modo vecchio di agire. È nuovo, oggi. È di nuovo nuovo. Non essere docili, ripartiamo da qui».
* l’ Unità, 12 agosto 2009
Rompere il silenzio: se le donne ritrovano la voce *
Da «Indovina dove sono», la domanda di una ragazza che telefona contenta alla madre dal bagno attiguo alla camera da letto del presidente del Consiglio, è partita la catena: e voi dove siete? Dove sono gli italiani, dove sono le donne?, si chiedeva l’altro ieri Nadia Urbinati, docente di Teoria politica, mentre ci parlava di «democrazia docile e apatica». Le ha risposto Lidia Ravera: «La nostra rivoluzione è stata interrotta. Riportiamo i corpi in piazza, contiamoci per contare».
Di rivoluzione interrotta parla oggi Simona Argentieri, psicoanalista: «I diritti sono ereditati ma non ereditari». Arrivano in dote alle nuove generazioni ma facilmente si possono perdere. Nelle pagine di Forum Paola Concia, deputata, propone di ripartire «dalla forza di quel che si è conquistato in questi anni, come ci hanno mostrato gli operai dell’Innse». Centinaia di lettori e lettrici hanno scritto e partecipato ai blog dell’Unità. Vi proponiamo uno spaccato delle lettere.
Moltissimi di loro mettono in relazione la forza della classe operaia («gli eroi dell’Innse») e la debolezza di chi non riesce ad esprimere la propria rabbia, il proprio dissenso. Ribellarsi fa bene, abbiamo titolato in prima pagina pensando ad entrambi: a chi lo fa e a chi non osa.
Adesso. Perchè le cose cambiano, intanto. Presto sarà tardi. La «recrudescenza stagionale» di violenza e di delitti - donne uccise da uomini - è un segnale che viene dalla cronaca nera, un segnale che naturalmente non parla di follia (follia collettiva? epidemia di follia?) ma di disagio, di incultura, di regresso.
Le pubblicità elettorali che esibiscono tette e culi di titolari anche autorevoli (il seno della cancelliera tedesca, per esempio) sono un segnale che viene dalla politica, dal linguaggio che si usa per farla. L’icona di Berlusconi nell’Erotica Tour che fa impazzire le notti di Ostia (slogan: «Vi aspetto nel lettone di Putin») chiude il dibattito sulla distinzione tra pubblico e privato: quale distinzione? Siamo già allo slang. Il lettone di Putin è in piazza. Ora tocca a noi.
* l’Unità, 14 agosto 2009
Nyt: «Italiane pronte a scendere in piazza»
di Chiara Volpato *
Fuori dell’Italia molti sembrano dare per scontato che il primo ministro Silvio Berlusconi riesce a farla franca malgrado i suoi comportamenti sessisti perche’ gli uomini li perdonano e le donne, quanto meno, li tollerano. Ma le cose non stanno piu’ cosi’. Oggi ci sono due Italie: una ha assorbito l’ideologia berlusconiana vuoi per interesse personale vuoi per incapacita’ a resistere ai suoi enormi poteri di persuasione; l’altra sta reagendo. Era ora. Il comportamento di Berlusconi e’ stato oltraggioso.
Quando una studentessa gli ha chiesto consiglio sui suoi problemi economici, le ha suggerito di sposare un uomo ricco come suo figlio. (Berlusconi ha poi detto che stava scherzando.) Ha fatto commenti pesanti sulla bellezza delle candidate parlamentari del suo partito e ha inserito delle divette nel governo. Al ministero delle Pari Opportunita’ ha designato una ex modella con cui aveva pubblicamente flirtato.
Questa primavera sua moglie lo ha accusato di frequentare delle minorenni e ha chiesto il divorzio. Ma perche’ gli italiani sopportano tutto questo? Al confronto degli altri Paesi europei, in Italia le idee conservatrici sono dure a morire in parte per la nostra famosa cultura patriarcale, ma anche a causa dell’enorme influenza della Chiesa Cattolica, la cui ingerenza sociale e politica negli affari dello Stato sembra essersi fatta ancora piu’ pesante da quando Berlusconi e’ diventato primo ministro nel 1994. (La chiesa, ad esempio, ha minacciato di scomunicare i medici che prescrivono la pillola abortiva e le pazienti che la usano.)
Inoltre in Italia la discriminazione su base sessuale si e’ dimostrata piu’ resistente che nel resto d’Europa. L’Italia figura al 67esimo posto su 130 Paesi presi in considerazione in un recente rapporto del World Economic Forum sul Global Gender Gap Index tanto da essere superata da Uganda, Namibia, Kazakistan e Sri Lanka. Secondo l’OCSE poco meno della meta’ delle donne italiane hanno un lavoro rispetto ad una media generale di due terzi. Al tempo stesso gli uomini italiani hanno 80 minuti in piu’ al giorno di tempo libero - la differenza maggiore tra i 18 Paesi presi in considerazione. Cio’ si deve probabilmente al tempo in piu’ che le donne italiane dedicano ad un lavoro non pagato: la pulizia della casa.
Non deve sorprendere, quindi, se molte donne italiane non se la sentono di assumersi l’ulteriore peso consistente nell’allevare dei figli. Di conseguenza l’indice di natalita’ del Paese e’ straordinariamente basso. I media italiani aggravano questa triste realta’ presentando un quadro delle donne incomprensibile al resto d’Europa.
Le emittenti televisive private hanno iniziato a trasmettere immagini di donne poco vestite e di bellezze silenziose che fungono da soprammobili mentre uomini piu’ anziani e vestiti di tutto punto conducono gli spettacoli. (Vale la pena sottolineare che Berlusconi e’ proprietario dei principali canali televisivi privati.)
Le conseguenze di anni di lavaggio del cervello sono sotto gli occhi di tutti: una recente ricerca ha evidenziato che tra le adolescenti la principale ambizione e’ diventare velina. Alle giovani donne e alle ragazze si insegna che il loro corpo, e non le loro capacita’ e conoscenze, e’ la chiave del successo. Al contempo il sessismo esibito in televisione consolida le idee scioviniste tra i ceti culturalmente piu’ deboli della popolazione. I ricercatori che studiano la oggettivazione e mercificazione del corpo femminile non debbono fare altro che osservare l’Italia per vedere le tristi conseguenze di questo fenomeno.
I ritratti delle donne fanno venire in mente i momenti piu’ bui del passato del Paese. Durante il fascismo, nella prima meta’ del ventesimo secolo, abbondavano le immagini denigratorie delle popolazioni delle colonie italiane in Africa. Le donne venivano ritratte come oggetti sessuali e gli uomini come nemici barbari. Negli ultimi anni, con l’afflusso di immigranti in Italia, sono tornati in auge questi rozzi stereotipi. Basti un esempio: il capo della Lega Nord, Umberto Bossi, ha chiamato gli immigranti "bingo bongo". Questi atteggiamenti in parte riflettono i sentimenti di insicurezza economica e sociale aggravatisi nell’ultimo decennio circa.
Le risposte a queste realta’, vale a dire il sessismo e il razzismo, sono i due rovesci della stessa medaglia. Di questi tempi ci sono tuttavia segni di cambiamento. Le italiane stanno denunciando il comportamento sessista di Berlusconi con una serie di strategie: si sono rivolte alla Carte Europea per i Diritti Umani e hanno realizzato un documentario sulla mercificazione del corpo femminile: ’Il corpo delle donne’ di Lorella Zanardo.
A giugno poco prima del G8 dell’Aquila un piccolo gruppo di professoresse universitarie italiane, me compresa, ha invitato le First Ladies dei Paesi partecipanti a boicottare l’avvenimento in segno di protesta. Nel giro di pochi giorni 15.000 donne e uomini hanno firmato la nostra petizione per indurre le First ladies al boicottaggio. Ovviamente lo scopo principale non era quello di convincere le First Ladies a modificare i loro programmi di viaggio, ma nel prendere posizione contro il comportamento sessista di Berlusconi. Oggi quanti dissentono fanno fatica ad avere una certa visibilita’.
Il suddetto appello alle First Ladies, ad esempio, ha ottenuto una notevole attenzione da parte dei mezzi di comunicazione internazionali, ma sulle pagine dei giornali nazionali se ne e’ parlato ben poco e radio e televisione lo hanno praticamente ignorato. A dispetto di questi ostacoli, si ha la sensazione che Berlusconi abbia esagerato e che i recenti scandali sessuali stiano erodendo la sua popolarita’. Basta guardare i sondaggi. Tradizionalmente le donne, unitamente alle classi a basso reddito, sono state grandi sostenitrici di Berlusconi forse perche’ guardano molto le sue emittenti televisive.
Sebbene all’epoca delle elezioni europee, Berlusconi potesse contare ancora su un considerevole sostegno, i recenti scandali hanno fatto scendere l’indice di approvazione di cui gode al di sotto del 50% con un crollo notevole tra le donne.
Il desiderio di far sentire la nostra voce e di mobilitarci che si va diffondendo tra noi e’ egregiamente sintetizzato in una lettera inviata di recente da una lettrice italiana all’Unita’: "sono pronta. Decidete il luogo, il giorno e l’ora. Sono pronta a scendere in piazza". Ma in realta’ cosa possono fare le donne italiane? Un passo importante consiste nel far conoscere il dissenso, un compito arduo se si tiene conto del fatto che la liberta’ di parola vale solo nel senso piu’ ampio del termine per pochi giornali indipendenti e, principalmente, per Internet. Dobbiamo cominciare a realizzare una documentazione sistematica dei casi di discriminazione contro le donne. Inoltre abbiamo bisogno di una migliore organizzazione. I movimenti gia’ esistenti che dovrebbero essere i primi a far sentire il dissenso (come la principale forza di opposizione, il Partito democratico che appare paralizzato dalle lotte interne) non sono apparsi sensibili ai molti segnali provenienti dalla base. Le donne dovranno esercitare una maggiore pressione sui partiti di opposizione affinche’ si facciano portavoce del loro dissenso.
Ma anzitutto le donne (e gli uomini) che protestano debbono far sentire la propria voce con maggiore fiducia. Il nostro Paese, a lungo caratterizzato da atteggiamenti anacronistici e superati nei confronti delle donne, e’ finalmente pronto a scendere in piazza. Chiara Volpato e’ docente di psicologia sociale all’Universita’ di Milano.
Chiara Volpato
(c) New York Times
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto
* l’Unità, 27 agosto 2009
L’Onore ferito
di Ida Dominijanni (il manifesto, 03.09.2009)
Concita De Gregorio, Natalia Lombardo, Federica Fantozzi, Maria Novella Oppo, Silvia Ballestra. Sono tutte donne le colleghe e amiche dell’Unità citate per danni dal presidente del consiglio per "lesa dignità". E’ un caso e non lo è. Perché fin dall’inizio dell’affaire che lo sta coprendo di ridicolo, in Italia e nel mondo, sono soprattutto donne, a partire da Veronica Lario, quelle che si sono prese la libertà di dire "vedo" di fronte al poker delle sue performance da "vero uomo". Vedo e non credo.
Basta questo per mandare in briciole il mito del grande seduttore a cui nessuna resiste. Vediamo, non crediamo, resistiamo. La libertà di stampa brucia. Se è libertà femminile brucia il doppio, perché per un vero uomo è doppiamente insopportabile. Lesiva non della sua dignità ma del suo narcisismo. E va doppiamente punita.
Come è stato per Veronica, data per "nervosa" («capita talvolta alle donne di essere un po’ nervose», commentò suo marito: questione ormonale), inaffidabile e manipolabile, e triturata dalla stampa del principe come "velina ingrata" (quel gentiluomo di Feltri) nonché moglie infedele. Com’è stato per Patrizia D’Addario, manovrata e pagata da chissà chi. Com’è stato per altre che si sono impicciate di altri affari del premier, a cominciare da Nicoletta Gandus, giudice sul caso Mills (qualcuno ricorda la faccia di Ghedini in tv mentre commentava la sua sentenza?).
Il premier e la sua corte hanno un’idea precisa di dove deve stare una donna e di come la si possa "utilizzare". Se una, due, cinque, cinquanta, cinquantamila in quel posto non ci stanno sono guai. Per lui, perché questo è l’ennesimo segnale di dove sia finito il mitico fiuto di Silvio Berlusconi che pareva metterlo sempre dalla parte del senso comune. In quel posto non ci stiamo, il senso comune stavolta dice questo. Il fiuto del grande comunicatore è svaporato.
Fa davvero piacere vedere il premier riconciliato con le virtù di quella giustizia che per anni ha denigrato, appellarsi pieno di fiducia a quegli stessi magistrati per i quali un tempo invocava test attitudinali e prove di stabilità psicologica. Aveva ragione. Ci vuole effettivamente molto equilibrio per decidere di questioni tipo questa: Luciana Littizzetto avrà leso o no l’onore del premier con le sue battute "sull’utilizzo di speciali accorgimenti contro l’impotenza sessuale"? Avrà leso o no «la sua identità personale presentando l’onorevole Berlusconi come soggetto che di certo non è, ossia come una persona con problemi di erezione»? Non invidiamo i magistrati, e nemmeno i periti di parte. Neanche per sorridere indagheremmo mai su quel "di certo": non ci serve. Di certo, quando un "vero uomo" mette sul tavolo l’evidenza letterale della sua potenza, è perché traballa quella simbolica.
Silvio Berlusconi è di certo un "vero uomo", di quelli che affidano alla mascherata sessuale la certificazione della loro misura. Altrettanto di certo è un uomo politico finito: nella miseria, nella rabbia, nella dismisura.
ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE? GIA’ FATTO!!!: IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
Una ferita alla democrazia
di NADIA URBINATI *
Fatte salve le forme dell’uguaglianza civile e politica, ogni moderna democrazia funzionante è in grado di scegliere, di selezionare classi di governo in senso proprio, e di consentire il formarsi, nella società, di ceti dirigenti in senso lato, sulle basi dell’ingegno, dell’impegno e del merito. Sono le élites - aristocratiche, borghesi, operaie - quelle che hanno anticipato i nuovi orizzonti della società.
L’hubrys dominandi sembra rendere il nostro premier incapace perfino di comprendere il senso del limite e della limitazione. Il fatto preoccupante è che nessun contenimento tradizionale del potere sembra efficace abbastanza. La ragione di questa inefficacia non sta nelle strategie costituzionali, che sono chiare e ottime, ma in un fattore che è culturale e per questo difficile da modificare o contenere. Per dirla in parole povere, i contrappesi costituzionali e ogni azione di contenimento di carattere giuridico e istituzionale funzionano soltanto e fino a quando c’è da parte di chi governa la volontà di rispettarli, fino a quando cioè la costituzione formale e quella materiale coincidono. È proprio questa coincidenza che oggi si è spezzata cosicché alla costituzione scritta, come ha messo in evidenza più volte Gustavo Zagrebelsky, se ne è come sovrapposta un’altra, quella che si riflette nelle leggi, nelle politiche e nei comportamenti del governo e del suo leader. La regola che governa il nostro paese è funzionale a uno scopo molto semplice nella sua brutalità: conservare il potere ed esercitarlo per il bene e l’interesse di chi lo esercita. Qui sta il vulnus dispotico del quale soffre la democrazia italiana oggi.
Certo, si tratta di un vulnus che gode della maggioranza dei voti degli italiani; ma è bene essere consapevoli che quello che la maggioranza esercita non è un potere innocente, perché è stato costruito affidandosi in larga parte all’uso spregiudicato e poi al dominio diretto e incontrastato dei media. Ieri Berlusconi ha attaccato l’informazione nel suo complesso: ma quante sono le reti televisive e le testate libere in Italia?
Per questa ragione è fuorviante parlare di tirannia della maggioranza, perché, come ben compresero i liberali ottocenteschi, in un governo rappresentativo è sempre e comunque una minoranza a tenere le fila del potere della parola. Questo vale in maniera spropositata nella nostra democrazia, dove il rischio alle libertà civili primarie - in primis quella della libera formazione e manifestazione delle idee - - viene dai pochi, i molti essendo uno strumento di sostegno passivo. I cittadini sono ridotti a semplici spettatori con l’aggravante che lo spettacolo al quale assistono è scientemente manipolato e decurtato. Gli italiani - quell’80% che si affida alla televisione per informarsi - - vivono come in uno stato di autarchia mediatica, chiusi al mondo del loro paese e a quello che del loro paese il mondo pensa e scrive. Questa è la situazione gravissima nella quale ci troviamo.
Il premier considera e tratta l’Italia come il suo cortile di casa: con collaboratori domestici o addomesticati che si preoccupano di allontanare da lui ogni sospetto di dissenso, che confezionano notizie con lo scopo di nascondere la verità ai cittadini e passano leggi per accomodare il diritto alle necessità del premier; con intrattenitori e intrattenitrici che rallegrano la sua vita; con ministri che come visir sfornano politiche che falcidiano la cosa pubblica, dalla scuola alla sanità, e dirottano risorse non si sa bene dove e per fare cosa.
Perché tutto questo si tenga il dissenso deve essere azzerato con tutti i mezzi: dal mercato alle strategie intimidatorie. L’obiettivo è terrorizzare e ridurre al silenzio chi pensa liberamente per infine circondarsi di yes-men e yes-women. Che sia un segno di impotenza invece che di forza è evidente, tuttavia per chi tiene ai diritti e alla libertà gli effetti di questo potere di dominio sono disastrosi. Ora, non c’è da dubitare che il Pdl ospiti molti liberali, persone convinte che i diritti di libertà siano un bene prezioso che non può essere sacrificato a nessuna maggioranza - come possono questi liberali restare in silenzio? Come possono non comprendere che nella nostra Costituzione scritta è anche la loro sicurezza? Si usa dire che le costituzioni sono scritte quando il popolo è sobrio e pensando all’eventualità che potrebbe non esserlo sempre. I liberali hanno voluto legare la volontà della maggioranza con le costituzioni perché sono pessimisti abbastanza da non escludere che si possano formare maggioranze non sobrie che traghettino il paese verso acque pericolose. I liberali tutti non possono non vedere che l’Italia si trova oggi a navigare in un mare in tempesta, battuta da un lato da pericolose ondate di razzismo e intolleranza e dall’altro da un leader che ha in disprezzo i diritti fondamentali. L’attacco frontale a Repubblica, quello subdolo all’Avvenire, la critica durissima alla stampa estera - e l’ultima accusa al sistema informativo tout court - costituiscono un pericolo che nessun liberale serio può sottovalutare.
Le strategie di difesa contro questo esorbitante potere sono molteplici. In primo luogo è urgente che l’opposizione di scrolli dal torpore delle sue solipsistiche diatribe che ne paralizzano l’azione politica e si faccia promotrice di un coerente discorso politico alternativo che rimetta in moto un movimento civile di opinione che chieda a voce alta verità e giustizia, che sappia riportare i cittadini nell’agorà pubblica; in secondo luogo vanno usati tutti gli strumenti giuridici di cui il nostro Stato e l’Ue dispongono: portare il caso italiano davanti al parlamento europeo propone Gianni Vattimo, ma si dovrebbe anche aggiungere, rivolgersi direttamente alla Corte Europea dei Diritti; in fine, mettere in moto tutti gli strumenti dei quali l’opinione politica libera può disporre, e visto che non pare facile strappare il bavaglio imposto dalle televisioni nazionali, occorrerebbe attivare una rete di controinformazione tramite il web, i giornali, le associazioni della società civile, i movimenti. Ci troviamo in una condizione di emergenza e di eccezionale rischio. è la nostra dignità di cittadini che deve essere riscattata da questo clima di docilità e servizievole sudditanza. Ed è la nostra Costituzione scritta che ci legittima a fare quello che dobbiamo per difenderla.
* la Repubblica, 5 settembre 2009