Prof nei guai per versione di latino sul premier
In un liceo di Trani testo tratto da Internet, interrogazione Pdl *
TRANI - Una versione di latino da tradurre con protagonista Silvio Berlusconi. E’ l’esercizio che una professoressa del liceo scientifico ’V. Vecchi’ di Trani, in Puglia, ha proposto agli alunni della sua 3a C, secondo quanto riferisce oggi il Giornale, e che le è costato un mare di guai. Un testo, scrive il quotidiano, riferito all’attualita’ dal titolo ’Silvius Berlusconi apud iudices vocabitur’, cioe’ ’Silvio Berlusconi sara’ chiamato davanti ai giudici’. Il Giornale, poi, riporta alcuni passaggi del testo, dove si parla del Lodo Alfano (’’Legem nomine ministri Alfano appellatam’’) e della sua incongruenza con la Costituzione italiana (’’Legi supremae incongruam esse’’). C’e’, inoltre, un riferimento alla richiesta per Berlusconi di comparire davanti ai giudici per i reati di cui e’ accusato (’’In ius vocabitur’’).
La versione è stata tratta da un notiziario internet in lingua latina, Ephemeris. Il testo, pubblicato in rete nello scorso mese di ottobre, descrive la situazione creata dalla bocciatura da parte della Corte costituzionale del lodo Alfano. Nella home page Ephemeris presentava ai suoi lettori insieme con la questione di Berlusconi e del lodo Alfano i titoli dei principali servizi sugli avvenimenti della settimana. Compresa l’attribuzione del premio Nobel per la Pace al presidente Usa, Barack Obama, e del Nobel per la letteratura alla "scriptrix germana Herta Müller". Nella Wikipedia in lingua latina (Vicipaedia-Libera encyclopaedia) si spiega che "Ephemeris est periodicum latinum interretiale latine scriptum". Creato in Polonia il sito viene pubblicato dal 2004.
"Mi rivolgerò ad un avvocato perché l’articolo e i commenti ad esso, su internet, mi offendono e mi diffamano. Io una militante? Sì, lo sono, della parrocchia di San Giuseppe, da 25 anni". Piange e respinge tutte le accuse che le sono state rivolte la professoressa di lettere Angela Di Nanni, di Trani, che è finita oggi sulla prima pagina de Il Giornale che l’accusa di avere redatto per i suoi studenti una versione in latino dedicata al lodo Alfano e alle vicende giudiziarie del premier. L’accusa del quotidiano di Vittorio Feltri è di essere politicizzata, una "militante" anti-Berlusconi. "Questa persona, che non posso definire giornalista visto che non ha verificato quanto riporta - afferma Di Nanni - vorrei guardarla negli occhi e capire perché ha mentito". "Nel testo che ho fatto tradurre - spiega - il nome Berlusconi non c’era perché il titolo non l’avevo dato ai ragazzi". "A me - continua - interessava il periodo che comincia da ’tribunal’ in poi, con la sentenza della corte costituzionale, mi interessava dal punto di vista del tipo di costrutto sintattico, appena spiegato ai ragazzi". La professoressa si sente offesa anche molto "per la frase sul ’latino fai da te’, perché - spiega - io faccio studiare e tradurre i classici. Questo era un modo per iniziare con una classe che ho preso quest’anno". "Quanto accaduto è grave - conclude - e sono convinta che i miei ragazzi non c’entrino, apprezzo la loro solidarietà e quella dei colleghi e del preside, amo il mio lavoro, lo faccio anche dedicandogli, gratuitamente, il mio tempo libero, e non mi sarei mai immaginata nulla di simile".
Sulla versione di latino riguardante Silvio Berlusconi data da una docente ai suoi alunni di terza nel Liceo scientifico ’W.Vecchi’ di Trani, l’on.Gabriella Carlucci, vicepresidente della Commissione bicamerale per l’infanzia, ha annunciato un’interrogazione, definendo l’episodio ’’un atto gravissimo’’. ’’E’ una vergogna - ha detto - che si usi la cattedra per fare propaganda politica e per dileggiare e offendere il presidente del Consiglio’’. Carlucci annuncia che nell’interrogazione chiedera’ al ministro dell’istruzione, Mariastella Gelmini, di ’’aprire immediatamente un’inchiesta sull’accaduto e di verificare se vi siano gli estremi per richiami ufficiali e sanzioni disciplinari’’. ’’Tentare di orientare ideologicamente le menti di giovani ragazzi in formazione - conclude Carlucci - significa tradire la propria missione di educatori. Come parlamentare eletta nella zona di Trani sono davvero indignata. Spero che i dirigenti scolastici regionali e provinciali vogliano prendere anche loro immediati provvedimenti’’.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Perché studiare il latino e il greco?
di Antonio Gramsci (Eddyburg, 11 Agosto 2016)
Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale. La lingua latina o greca si impara secondo grammatica, un po’ meccanicamente: ma c’è molta esagerazione nell’accusa di meccanicità e aridità. Si ha che fare con dei ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza, di compostezza fisica, di concentrazione psichica in determinati oggetti. Uno studioso di trenta-quarant’anni sarebbe capace di stare a tavolino sedici ore filate, se da bambino non avesse «coattivamente», per «coercizione meccanica» assunto le abitudini psicofisiche conformi? Se si vogliono allevare anche degli studiosi, occorre incominciare da lì e occorre premere su tutti per avere quelle migliaia, o centinaia, o anche solo dozzine di studiosi di gran nerbo, di cui ogni civiltà ha bisogno.
Il latino non si studia per imparare il latino, si studia per abituare i ragazzi a studiare, ad analizzare un corpo storico che si può trattare come un cadavere ma che continuamente si ricompone in vita. Naturalmente io non credo che il latino e il greco abbiano delle qualità taumaturgiche intrinseche: dico che in un dato ambiente, in una data cultura, con una data tradizione, lo studio così graduato dava quei determinati effetti. Si può sostituire il latino e il greco e li si sostituirà utilmente, ma occorrerà sapere disporre didatticamente la nuova materia o la nuova serie di materie, in modo da ottenere risultati equivalenti di educazione generale dell’uomo, partendo dal ragazzetto fino all’età della scelta professionale. In questo periodo lo studio o la parte maggiore dello studio deve essere disinteressato, cioè non avere scopi pratici immediati o troppo immediatamente mediati: deve essere formativo, anche se «istruttivo», cioè ricco di nozioni concrete.
Nella scuola moderna mi pare stia avvenendo un processo di progressiva degenerazione: la scuola di tipo professionale, cioè preoccupata di un immediato interesse pratico, prende il sopravvento sulla scuola “formativa” immediatamente disinteressata. La cosa più paradossale è che questo tipo di scuola appare e viene predicata come “democratica”, mentre invece essa è proprio destinata a perpetuare le differenze sociali. Il carattere sociale della scuola è dato dal fatto che ogni strato sociale ha un proprio tipo di scuola destinato a perpetuare in quello strato una determinata funzione tradizionale.
Se si vuole spezzare questa trama, occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare-media) che conduca il giovane fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come uomo capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige. Il moltiplicarsi di tipi di scuole professionali tende dunque a eternare le differenze tradizionali, ma siccome, in esse, tende anche a creare nuove stratificazioni interne, ecco che nasce l’impressione della tendenza democratica. Ma la tendenza democratica, intrinsecamente, non può solo significare che un manovale diventi operaio qualificato, ma che ogni “cittadino” può diventare “governante” e che la società lo pone sia pure astrattamente nelle condizioni generali di poterlo diventare.
Anche lo studio è un mestiere e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio anche nervoso-muscolare, oltre che intellettuale: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo e il dolore e la noia. La partecipazione di più larghe masse alla scuola media tende a rallentare la disciplina dello studio, a domandare facilitazioni. Molti pensano addirittura che la difficoltà sia artificiale, perchè sono abituati a considerare lavoro e fatica solo il lavoro manuale. È una quistione complessa. Certo il ragazzo di una famiglia tradizionalmente di intellettuali supera più facilmente il processo di adattamento psicofisico: egli già entrando la prima volta in classe ha parecchi punti di vantaggio sugli altri scolari, ha un’ambientazione già acquisita per le abitudini famigliari. Così il figlio di un operaio di città soffre meno entrando in fabbrica di un ragazzo di contadini o di un contadino già sviluppato per la vita dei campi.
Ecco perchè molti del popolo pensano che nella difficoltà dello studio ci sia un trucco a loro danno; vedono il signore compiere con scioltezza e con apparente facilità il lavoro che ai loro figli costa lacrime e sangue, e pensano ci sia un trucco. In una nuova situazione politica, queste quistioni diventeranno asprissime e occorrerà resistere alla tendenza di rendere facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato. Se si vorrà creare un nuovo corpo di intellettuali, fino alle più alte cime, da uno strato sociale che tradizionalmente non ha sviluppato le attitudini psico-fisiche adeguate, si dovranno superare difficoltà inaudite.
Quaderni dal Carcere, 4 (XIII), 55.
Salviamo il latino, la lingua più parlata del mondo
L’appello: "Quel che serve è un vero rilancio del latino come palestra per le generazioni future, tenendo in conto anche le sue enormi potenzialità come piattaforma di intercomprensione fra le lingue romanze, gigantesco serbatoio linguistico da cui pescano anche le lingue germaniche e slave, apparato concettuale che favorisce la comunicazione fra le culture"
di SALVATORE SETTIS (la Repubblica, 10 agosto 2016)
La lingua più parlata del mondo? È il latino. Non quel che resta del latino ecclesiastico, né quello dei pochi filologi classici ancora in grado di scriverlo, né dei certami ciceroniani, stranamente popolari. Ma il latino che parliamo ogni giorno, con le sue trasformazioni storiche: quello delle lingue neolatine, o romanze. Lo spagnolo come lingua materna è da solo, con 500 milioni di parlanti, secondo al mondo soltanto al cinese. Se vi aggiungiamo il portoghese (230 milioni), il francese (100), l’italiano (65) e il romeno (35), si arriva a 930 milioni di “parlanti latino”.
Senza contare le numerose lingue minori (come il ladino). Poco meno dei “parlanti cinese”, che però si suddividono anch’essi in numerose lingue diverse, non sempre mutuamente intellegibili se parlate, ma unificate concettualmente da una scrittura ideografica che non rispecchia direttamente la pronuncia. E il latino ha una presenza capillare anche fuori dell’ambito propriamente romanzo: in inglese (terza lingua materna più parlata al mondo, con 350 milioni) il 58% del lessico deriva dal latino o da lingue neolatine, specialmente francese. Lo stesso è vero di tutte le lingue europee, dal tedesco al russo: forse nessuna lingua più del latino ha mostrato forza di penetrazione e tendenza a radicarsi in sistemi linguistici di altra origine. Inoltre, anche numerose parole di matrice greca (come “filosofia”) o etrusca (come “persona”) si sono diffuse universalmente, ma passando attraverso il latino.
Fra cinese e latino c’è un abisso, ma anche qualcosa in comune: “cinese”, infatti, è la piattaforma di intercomprensione fra tutte le lingue della famiglia sinica, “latino” può essere la piattaforma di intercomprensione fra tutte le lingue romanze. Se usassimo una scrittura ideografica come i cinesi, potremmo leggere il portoghese e il romeno anche senza averli mai studiati. Ma davvero l’italiano è così simile al latino? Proviamo a leggere qualche verso: «Te saluto, alma dea, dea generosa, / O gloria nostra, o veneta regina! / In procelloso turbine funesto / Tu regnasti secura: mille membra / Intrepida prostrasti in pugna acerba». La metrica è italiana, ma il testo “funziona” perfettamente sia come italiano che come latino. Autore di questo poemetto in lode di Venezia fu Mattia Butturini (1752-1817), amico di Ugo Foscolo e professore di greco a Pavia. E continua: «Per te miser non fui, per te non gemo, / Vivo in pace per te: Regna, o beata, / Regna in prospera sorte, in pompa augusta, / In perpetuo splendore, in aurea sede! / Tu severa, tu placida, tu pia, / Tu benigna, me salva, ama, conserva». Perfetto italiano, perfetto latino, come in altri poemi simultaneamente bilingui, a cominciare da quello di Gabriello Chiabrera nel tardo Cinquecento.
L’ottusa lotta contro il latino e contro il liceo classico, che riemerge periodicamente con la complicità di ministri maldestri e sprovveduti, non tiene conto di questo aspetto assolutamente centrale. È vero, nella scuola sopravvive un approccio piattamente grammaticale, che nello studio del latino vede solo una sorta di astratta educazione alla precisione del pensiero, a prescindere da tutto il resto. Ma tradurre tale critica in un ripudio del latino sarebbe « un gesto violento e arrogante, un attentato alla bellezza del mondo e alla grandezza dell’intelletto umano » , come scrive Nicola Gardini in un libro bello e intenso (Viva il latino. Storia e bellezza di una lingua inutile, Garzanti). Quel che serve è un vero rilancio del latino come palestra per le generazioni future, tenendo in conto anche le sue enormi potenzialità come piattaforma di intercomprensione fra le lingue romanze, gigantesco serbatoio linguistico da cui pescano anche le lingue germaniche e slave, apparato concettuale che favorisce la comunicazione fra le culture. Ha ragione Gardini, «grazie al latino una parola italiana vale almeno il doppio».
Ma non è tutto. Le parole non sono nulla se non le vediamo agire nel loro contesto, nei testi latini da Cicerone a Newton. Lo spessore ( il valore) delle parole latine, trasmigrate in altre lingue, si può apprezzare se siamo in grado non solo di snocciolare elenchi di parole o sfogliare vocabolari, ma di leggere e comprendere Virgilio e Sant’Agostino, le lettere di Petrarca e la cosmografia di Keplero. Trama narrativa, struttura della frase, tecnica dell’argomentare danno alle parole e alle frasi quella forza che aiuta a riconoscerne la traccia in Dante, in Shakespeare, Cervantes, Goethe. Quando leggiamo un testo, scrive Gardini, « non si tratterà propriamente del latino di Cicerone né del latino di Virgilio, ma piuttosto di quel che il latino compie e ottiene quando esce dallo stilo di Cicerone o dallo stilo di Virgilio » , in termini di « capacità lessicale, correttezza sintattica e convenienza ritmica » .
Questo doppio registro del latino, in orizzontale ( lettura dei testi e rimando ai contesti) e in verticale (come piattaforma di intercomprensione fra lingue oggi parlate) ha un altro vantaggio. Funziona come macchina della memoria, ci ricorda che quel che leggiamo del latino classico è un’infima parte di quel che fu allora scritto. E che, nonostante questo, abbiamo preteso per secoli di continuare, sulla scena del mondo, la storia di Roma. Non per niente quelli che noi chiamiamo “ bizantini” chiamarono se stessi sempre rhomaioi, “ romani”, e il più intimo carattere della grecità, conservatosi anche sotto la dominazione ottomana, si esprime in neogreco con la parola rhomaiosyne, “ romanità”; eppure intanto a Istanbul i sultani, dopo aver spodestato l’ultimo imperatore romano, mantennero dal 1453 al 1922 il titolo di Kayser- i- Rum, “ Cesare di Roma”. “ Cesare”, cioè imperatore; come il Kaiser a Vienna o a Berlino, lo Czar a Mosca o Pietroburgo.
Altro esempio, il diritto: i sistemi di civil law sono fondati sul diritto romano ( spesso, ma non sempre, attraverso il codice napoleonico), e oltre all’Europa continentale, inclusa la Russia, coprono l’America Latina e vari Paesi in Asia e Africa. Ma anche i sistemi di common law, pur di origine inglese, esprimono in latino molti termini- chiave, a partire dal principio fondamentale stare decisis ( conformarsi alle sentenze già emesse); perciò anche nei film americani sentiamo parlare di subpoena, affidavit, persona non grata; per non dire di habeas corpus.
Il latino come dispositivo della memoria culturale, come versatile interfaccia multilingue, come ponte o viadotto verso altre culture. Il latino come lingua viva, perché vive nelle lingue che parliamo. Questo, e non un’impalcatura di precetti, dovrebbe saper trasmettere la nostra scuola. “ Nostra”, cioè quanto meno europea. Questa Europa delle tecnologie saprà inventare una nuova didattica del latino che contribuisca all’intercomprensione culturale? E l’Italia, dove il latino è nato, avrà in merito qualcosa da dire?
Strano destino quello della lingua latina: mentre nella seconda metà del ‘900 è stato considerato il segno della borghesia conservatrice, ora è diventato di segno opposto... Questo dimostra che da sempre è viva!! Mi astengo dal dare valutazioni politiche, perchè attribuisco tanto valore al latino, da non volerlo asservire a nessun tipo di ideologia partitica.
Il latino è. Basta.
Conosco diversi siti con notizie in latino, fra cui i più famosi: Nuntii latini ed Ephemeris. Trattano vari argomenti di attualità o di interesse comune, suscitando in molti curiosità ed in alcuni perplessità circa l’uso di un latino forzatamente piegato alla modernità. Il sermo cotidianus può non piacere, però può essere un modo per motivare i ragazzi verso una lingua ancora in uso e può essere una strategia per far apprendere il lessico. Certamente non aiuta ad entrare nella cultura latina: solo gli autori di Roma ci restituiscono parole-concetto ancora vibranti di senso e di ideali.
Non aggiungo altri commenti, perchè non abbiamo informazioni precise circa la collocazione temporale dei fatti ed il latore della notizia: quando è stato dato questo testo da tradurre? Ad ottobre o in questi giorni? Chi ha fatto recapitare la notizia al giornalista? L’articolo su Berlusconi era uno dei tanti fra cui scegliere o l’unico in grado di suscitare attenzione? In mancanza di questi dati ogni valutazione risulta parziale ed incoerente.
La versione (in latino moderno) di Trani: Silvius apud iudices *
Comincia così: Silvius apud iudices vocabitur, cioè “Silvio Berlusconi sarà chiamato davanti ai giudici”.
Oltre a essere il sogno di qualche avversario del premier, questo è anche l’incipit di una versione di latino che gli studenti del liceo scientifico “Valdemaro Vecchi” di Trani si sono trovati da tradurre.
Testo decisamente sui generis, post moderno si potrebbe dire. Perché quelle righe parlano, con la lingua di Cesare, proprio del presidente del Consiglio, dei suoi processi pendenti e soprattutto del Lodo Alfano, che di sicuro non viene elogiato per attinenza con la Costituzione: legi supremae incongruam esse.
A far cimentare i ragazzi della III C dello scientifico pugliese con il testo in “latino moderno” è stata la professoressa Angela di Nanni che ha pensato di attualizzare un’esercitazione per i suoi alunni, con una traccia sul Cavaliere, prima leader di Vis Italiae (Forza Italia) e poi promotore del Populus Libertatis (Popolo della Libertà).
Il Giornale (che per primo ha scovato la notizia, anzi il nuntius, dedicandogli la prima pagina) sospetta che in ballo ci sia “l’ira funesta della prof militante che presto si possa scagliare anche contro la vita privata di Berlusconi. E le suggerisca di trattare in una versione, non solo del Lodo Alfano, ma anche dei festini con le escort (malae mulieres o meretrices), di Tarantini (che non sono gli alleati di Pirro), e delle Guerre Peniche del Silvio. Magari immortalando la figura di Patritia D’Addarius come quella della nuova Cleopatra”, scrive Il Giornale.
Ma a smorzare i timori del quotidiano di Feltri (e la rampogna di Gabriella Carlucci, vicepresidente della Commissione Bicamerale per l’Infanzia: “La versione di Latino contro Silvio Berlusconi è un atto gravissimo. È una vergogna che si usi la cattedra per fare propaganda politica e per dileggiare ed offendere il presidente del Consiglio”, dice, annunciando che presenterà “un’interrogazione al ministro Gelmini chiedendole di aprire immediatamente un’inchiesta sull’accaduto e di verificare se vi siano gli estremi per richiami ufficiali e sanzioni disciplinari“), ci pensano sia la professoressa sia il preside del liceo “Vecchi”.
La prof.ssa Angela Di Nanni, si difende così: “Sono amareggiata” spiega all’Adnkronos “perché non è stato capito il senso e non era mia intenzione offendere nessuno. Volevo solo proporre alla classe una notizia di attualità”. E poi, dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno, attacca: “Mi rivolgerò ad un avvocato perchè l’articolo pubblicato su Il Giornale e i commenti ad esso collegati, su internet, mi offendono e mi diffamano. Io una militante? Sì, lo sono, della parrocchia di San Giuseppe, da 25 anni“. “Nel testo che ho fatto tradurre” spiega “il nome Berlusconi non c’era perchè il titolo non l’avevo dato ai ragazzi”. “A me” continua “interessava il periodo che comincia da “tribunal” in poi, con la sentenza della corte costituzionale, mi interessava dal punto di vista del tipo di costrutto sintattico, appena spiegato ai ragazzi”.
Sulla vicenda interviene anche Luciano Gigante, preside del liceo di Trani: “Mi sono documentato” spiega, dopo una riunione del consiglio d’istituto, “e il brano proposto agli studenti non è stato scritto dalla professoressa ma reperito in rete dal sito Ephemeris (polacco e molto frequentato dai latinisti, nella Wikipedia in lingua latina - Vicipaedia-Libera encyclopaedia - si spiega che Ephemeris est periodicum latinum interretiale latine scriptum,ndr), che utilizza il latino come esperanto. La docente ha semplicemente pensato di incuriosire la classe con un brano di attualità. È una prova sul latino del XXI secolo”. “L’articolo sul premier tradotto dai ragazzi” aggiunge il dirigente scolastico “è dell’8 ottobre scorso, era la notizia nella home page di quel giorno. Questa” aggiunge Gigante “è una tempesta in un bicchier d’acqua, la mia professoressa ha voluto solo tentare di creare nei ragazzi riottosi alla lingua latina un interesse maggiore. Ma questo è l’unico motivo per cui è stata ripresa la notizia del lodo Alfano nella lingua di Cicerone: non c’è nessuna dietrologia politica“.
Non è la prima volta che nel liceo vengono proposte versioni in latino su temi di attualità: “In precedenza” chiosa il preside “in occasione della morte di Michael Jackson è stata utilizzata una versione in latino su di lui e l’hanno trovato più interessante. In ogni caso c’è libertà di insegnamento e, polemiche a parte, è un modo per avvicinare i giovani alla lingua”. Che in molti, erroneamente, considerano “morta”. Basti pensare che Facebook, proprio in questi giorni, ha utilizzato la lingua latina (beta) nelle impostazioni di ogni singolo account. Da qualche giorno così possibile accedere nella domus, selezionare un ligamen, ricevere una epistulae e leggere le historia nuntiorum o inserire il numero di telephonium portabile.
E se anche il social network più innovativo e famoso del mondo si presenta con la lingua di Cicerone, che male c’è a farlo con la Legem nomine ministri Alfano appellatam?
redazione
* PANORAMA.IT, Venerdì 13 Novembre 2009
Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? *
Roma: Affresco di Cesare Maccari a Palazzo Madama che raffigura Cicerone contro CatilinaLa locuzione latina Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?, tradotta letteralmente, significa Fino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza? (Cicerone, 1 Catilinaria).
Queste violente parole costituiscono il celeberrimo incipit ex abrupto della prima delle orazioni Catilinarie, pronunciata da Marco Tullio Cicerone di fronte al Senato romano l’8 novembre del 63 a.C. per denunciare Catilina, il quale osò presentarsi in senato dopo aver complottato contro Roma e aver tentato di far uccidere lo stesso Cicerone, che proprio di Roma si riteneva il più ardente difensore.
L’espressione appartiene anche al linguaggio comune: viene usata con l’intenzione di accusare il suo destinatario di abusare della pazienza, dell’indulgenza o della buona educazione di chi la proferisce o del gruppo di cui si fa portavoce. Peraltro, il suo uso è per lo più scherzoso.