EUROPA, EVANGELO E COSTITUZIONE ...

LO STATO LIBERALE E POST-SECOLARE, IL CATTOLICISMO DELLE RELIGIONI E I PRESUPPOSTI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA. UN PATTO PER QUALE LAICITÀ? Una riflessione del costituzionalista Ernst-Wolfang Bockenforde - con una nota di Federico La Sala

Allegato il saggio: "Europa. Crisi finanziaria: L’uomo funzionale. Capitalismo, proprietà, ruolo degli Stati " (di E.-W. Bockenforde)
domenica 14 giugno 2009.
 


-  IDEE. Il costituzionalista tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde riflette sullo «Stato post-secolare»:
-  «Nessuna contrapposizione con la fede»

-  Un patto per la laicità

-  «Una neutralità aperta cerca l’equilibrio e accetta che i credenti operino come tali anche in ambito pubblico»

-  di ERNST-WOLFGANG BÖCKENFÖRDE (Avvenire, 19.07.2008)

-  CHI È

-  Il giurista sospeso tra Ratzinger e Habermas

-  Pubblichiamo in queste colonne ampi stralci della riflessione «Lo Stato secolarizzato e i suoi valori» del costituzionalista tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde (nella foto), pubblicato recentemente su «Il Regno».
-  Tesi di fondo di Böckenförde, da sempre in dialogo con Ratzinger e Habermas, che «Lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti normativi che non può garantire».

Si parla oggi sempre più sovente dello Stato secolarizzato, talvolta addirittura dello ’Stato postsecolare’. A prescindere dalla crescen­te importanza attribuita al fattore religioso, lo Stato secolarizzato continua a presentarsi come un’epo­cale conquista della cultu­ra politica, per aver reso possibile a persone di convinzioni religiose e vi­sioni del mondo differenti di vivere in pace e libertà nell’ambito normativo di un ordine comune.

D’al­tro lato ci si può chiedere se questo Stato, grazie ai principi cui s’ispira, sia realmente in grado di far fronte alle sfide indotte dall’accentuato riaffer­marsi della religiosità e dalla crescita di movimen­ti fondamentalisti, se cioè non debba essere oggetto di una ristrutturazione, forse addirittura di una metamorfosi basata su u­na sua ridefinizione in ter­mini di ’Stato post-seco­larizzato’.

Il carattere dello Stato se­colarizzato può essere de­scritto prima facie nei se­guenti termini: nel suo ambito la religione, e in particolare una determi­nata religione, non è più né il fondamento vinco­lante, né il fermento del­l’ordine pubblico. Stato e religione sono separati l’uno dall’altra per ragioni di principio: in quanto ta­le lo Stato non rappresen­ta nessuna religione. In quanto secolarizzato lo Stato non nega però affat­to, né elimina la religione.

Anzi, vi si rapporta poiché essa è preesistente al suo affermarsi. Questo legame è caratterizzato dal fatto che la religione - svincola­ta dall’ambito di compe­tenza dello Stato - acqui­sta una sua specifica li­bertà. Al termine di un lungo processo evolutivo, lo Stato secolarizzato ri­nuncia a ogni forma di so­vranità sulla religione, né si presta più a garantire il ricorso della religione al braccio secolare, né le pretese indottevi. D’altro lato, la libertà della religio­ne e la sua capacità d’inci­denza sono circoscritte dallo Stato e dal suo ordi­namento giuridico in rife­rimento ai compiti e agli scopi perseguiti in ambito secolare.

Il fatto che la religione sia stata liberata significa che essa - come ha riconosciuto con chiaroveggenza Karl Marx - viene relegata dallo Stato nell’ambito della società. La religione non determina più lo spi­rito dello Stato, che di conseguenza non può più essere uno Stato cristiano, islamico o vincolato in qualche modo a una reli­gione. La religione si svi­luppa invece all’interno della società civile e del­l’ordine che ne regola le li­bertà. Situata in quest’am­bito, essa dispone della possibilità di esercitare o di incrementare il proprio influsso nella configura­zione e nell’ordinamento della convivenza civile, e di farlo contestualmente ai singoli processi di for­mazione del consenso po­litico nonché in ragione della costitutiva capacità di fornire ai fedeli deter­minati orientamenti nel rapporto tra cittadini e Stato. Non va pertanto e­sclusa a priori la possibi­lità di un suo impegno po­litico nel perseguire fina­lità e obiettivi indotti da u­na motivazione religiosa.

Due sono le prospettive di base cui si è prevalente­mente ispirato lo Stato nel configurare la propria neutralità: da un lato vi è la categoria della neutra­lità volta a prendere le di­stanze, realizzata in termi­ni esemplari nella laicité francese - non invece nel­la laicità turca che altro non è se non un islam am­ministrato dallo Stato - dall’altro, vi è la categoria di una neutralità aperta a tutte le religioni, così com’è in vigore nella Re­pubblica federale di Ger­mania, ma non solo lì.

La neutralità volta a prendere le distanze ha la tendenza a relegare per ragioni di principio la religione nella sfera privata o privato-so­ciale e a far sì che non la superi, mentre la neutra­lità aperta a tutte le reli­gioni garantisce, oltre che la loro attuazione nella sfera privata, anche quel­la nella sfera pubblica, come ad esempio la scuola, le istituzioni cul­turali e ciò che viene de­finito in termini generali come ordine pubblico, senza peraltro che questa garanzia comporti una qualche forma di identifi­cazione. La diversità tra le due categorie non è solo di natura formale, ma si manifesta soprattutto nei settori caratterizzati al contempo da un aspetto religioso-spirituale e da u­no politico-secolare che non si limiti all’esercizio della liturgia e del culto, ma includa anche la vita nel mondo e le relative norme di comportamen­to, come avviene nella re­ligione cristiana nonché nell’islam e nell’ebraismo.

La neutralità volta a di­stanziarsi dalla religione regola l’ordinamento giu­ridico sulla base di finalità puramente secolari e ri­fiuta i relativi aspetti di ti­po religioso come irrile­vanti e privati, mentre la neutralità aperta a tutte le religioni cerca di persegui­re un equilibrio tra il cre­do espresso da una deter­minata religione e la pos­sibilità che i suoi membri vi conformino la propria vita anche in ambito pub­blico.

Come ha affermato di re­cente il papa Benedetto X­VI, la fede ha riconosciuto in nuovi termini la propria ampiezza interiore e la propria, specifica ragione. I cristiani avevano infatti il compito di accogliere «le vere conquiste dell’Illumi­nismo, i diritti dell’uomo e specialmente la libertà della fede e del suo eserci­zio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l’autenticità della reli­gione ». Tutto ciò è ora av­venuto.

***

25 GIUGNO 2006: SALVIAMO LA COSTITUZIONE E LA REPUBBLICA CHE E’ IN NOI

di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)

Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.

Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...

Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).

Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!

Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?

O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!

Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” [charitas] e “Mammona” [caritas] o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!

Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno "Padre nostro" [Charitas] e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!

Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore [Charitas] dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...

Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!

Federico La Sala


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  INDIETRO NON SI TORNA. In memoria di Papa Luciani - il Papa del Sorriso, il Sorriso di Dio....
-  UN CODICE ETICO PER LA TEOLOGIA. DA LUCIANO DI SAMOSATA UNA ULTERIORE SOLLECITAZIONE A PAPA BENEDETTO XVI, A RETTIFICARE I NOMI - di Federico La Sala
-  EU-ANGELO, BUONA-NOTIZIA. "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4. 1-8). «Et nos credidimus Charitati...»!!!!

-  Ragione ("Logos") e Amore ("Charitas"). Per la critica dell’economia politica ... e della teologia "mammonica" ("Deus caritas est", 2006)
-  L’ILLUMINISMO, OGGI. LIBERARE IL CIELO. Cristianesimo, democrazia e necessità di "una seconda rivoluzione copernicana"

RIPENSARE L’ EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE. Una "memoria" sul referendum del 2005, per le celebrazioni della nascita della Unione Europea (2007) di Federico La Sala.

AL DI LA’ DELLA "FATTORIA DEGLI ANIMALI"!!! A DANTE ALIGHIERI E A FERDINAND DE SAUSSURE, A GLORIA ETERNA..... LA LIBERTA’, LA "PAROLA" E LA "LINGUA" DELL’ITALIA, E IL COLPO DI STATO STRISCIANTE DEL PARTITO "FORZA ITALIA".

DANTE, VIRGILIO E IL ’CODICE’ DI MELCHISEDECH. DIO è AMORE (Charitas), in ‘volgare’!!! E LE RADICI DELLA TERRA SONO “COSMICOMICHE”! Un’ipotesi di ri-lettura della DIVINA COMMEDIA, e un omaggio a Ennio Flaiano e a Italo Calvino

Sul tema, in rete, si cfr.:

Democrazia e religione: spunti di sintesi

SOMMARIO

1. Introduzione al tema; 2. Assolutismo e relativismo ideologico; 3. Democrazia e religione cattolica; 4. Stato costituzionale e Stato laico; 5. Sui simboli religiosi; 6. Questioni di bioetica; 7. In particolare, eutanasia e testamento biologico; 8. Osservazione finale.

di Alfonso Di Giovine (Associazione Italiana dei Costituzionalisti).



EUROPA. Crisi finanziaria

L’uomo funzionale. Capitalismo, proprietà, ruolo degli Stati

di Ernst-Wolfgang Böckenförde (Il Regno, n. 10, 2009)

La crisi bancaria e di conseguenza economica che ci ha investiti ed è ancora ben lontana dal finire solleva molte domande. È stata causata dall’irresponsabilità e dall’avidità di svariate banche, specialmente banche d’investimento? Oppure dalla mancanza di rigide regole per i mercati finanziari internazionali, dal mancato funzionamento della sorveglianza su banche e finanza, dalla separazione e indipendenza di un’economia finanziaria virtuale (e acrobatica), dall’economia reale della produzione e dei beni? Probabilmente vi hanno contribuito parecchi fattori del genere, collegati a un’ingenua fiducia in un mercato "libero" e senza regole.

Ma la ricerca delle cause unicamente in questa direzione non ci porta lontano. Infatti quel sistema che si è venuto costituendo in questo campo per decenni con successo e con ampi profitti materiali ma anche con una crescente distanza fra poveri e ricchi, quel "turbo-capitalismo" (così chiamato da Helmut Schmidt) che con la globalizzazione mondiale ha raggiunto una nuova qualità, prima di provocare un crollo, non può essere definito e spiegato solo facendo riferimento a comportamenti sbagliati di singole persone o anche di gruppi.

Questo certamente può aver contribuito, ma più globalmente si tratta dei frutti di un sistema d’interazione consolidato e molto diffuso che segue una propria logica funzionale, e a essa sottopone tutto il resto. Questo sistema d’interazione si è trasformato in un sistema d’azione: il capitalismo moderno. Esso forgia il comportamento economico (e in parte anche non economico) dei singoli e lo integra nel sistema. Q uesti sono certamente gli attori, ma nel loro comportamento non seguono tanto un proprio libero impulso, quanto piuttosto gli stimoli derivanti dal sistema e dalla sua logica funzionale.

IL CARATTERE DISUMANO DEL CAPITALISMO

Ma come si presenta più precisamente il capitalismo moderno come sistema d’azione? In questo ci può aiutare un grande sociologo umanistico del secolo scorso, Hans Freyer. Nel suo libro "Theorie des gegenwärtigen Zeitalters [Teoria dell’epoca attuale]" egli parla dei "sistemi secondari" come prodotti specifici del mondo industrializzato moderno e ne analizza con precisione la struttura (1).

I sistemi secondari sono caratterizzati dal fatto di sviluppare processi d’azione che non si collegano a ordinamenti preesistenti, ma si basano su pochi principi funzionali, da cui sono costruiti e traggono la loro razionalità. Questi processi d’azione integrano l’uomo non come persona nella sua integralità, ma solo con le forze motrici e le funzioni che sono richieste dai principi e dalla loro attuazione. Ciò che le persone sono o devono essere resta al di fuori.

I processi d’azione di questo tipo si sviluppano e si consolidano in un sistema diffuso caratterizzato dalla sua specifica razionalità funzionale, che si sovrappone - influenzandola, cambiandola e modellandola - alla realtà sociale esistente.

Ecco la chiave per l’analisi del capitalismo come sistema d’azione. Esso si basa su poche premesse: libertà generale dell’individuo e di associazioni di individui in materia di acquisti e contratti; piena libertà in materia di trasferimenti di merci, affari e capitali al di fuori dei confini nazionali; garanzia e libera disposizione della proprietà personale (compreso il diritto di successione), intendendo con proprietà il possesso di beni e denaro ma anche di sapere, tecnologia e capacità.

L’obiettivo funzionale è la generale liberazione di un interesse lucrativo potenzialmente illimitato, nonché delle potenzialità di guadagno e di produzione, che operano sul libero mercato ed entrano in competizione fra loro. La spinta decisiva è data da un individualismo egoistico che spinge le persone coinvolte ad acquistare, innovare e guadagnare. Tale spinta costituisce il motore, il principio attivo; non persegue un obiettivo contenutistico preesistente, che fissa misura e limiti, ma un’illimitata dilatazione di sé, la crescita e l’arricchimento. Perciò bisogna eliminare o accantonare tutti gli ostacoli e tutti i regolamenti che non sono richiesti dalle succitate premesse. L’unico principio regolativo deve essere il libero mercato.

Il punto di partenza e la base della costruzione non sono il soddisfacimento dei bisogni degli uomini e il loro crescente benessere; essi seguono il processo e il suo progresso, sono per così dire una conseguenza del sistema funzionante. Il diritto e lo Stato come suo tutore hanno unicamente il compito di assicurare la possibilità di sviluppo e il funzionamento di questo sistema d’azione. Sono una variabile funzionale, non una forza preesistente di ordinamento e limitazione.

Il dinamismo e l’influenza sui comportamenti di un tale sistema sono enormi. Lo stesso sistema diventa, ed è, soggetto di commercio. Realizzazione di profitti, crescita del capitale, aumento della produzione e della produttività, autoaffermazione e crescita sul mercato costituiscono il principio motore e dominante, la cui razionalità funzionale integra e subordina tutto il resto. I lavoratori vengono presi in considerazione solo in base alla funzione che svolgono e ai costi che comportano, per cui si riducono al minor numero possibile. La loro sostituzione, dove possibile, con macchine o tecnologie automatizzate per ridurre i costi appare non solo razionale ma economicamente necessaria.

La compensazione per i problemi sociali e i licenziamenti che ne derivano non rientra in questa logica funzionale, ma viene demandata allo Stato e alla sua funzione di garanzia, che proprio per questo può imporre tasse e chiedere contributi, che comunque comportano ancora dei costi per le imprese. Il principio strutturante non è la solidarietà verso le persone e tra loro; essa viene presa in considerazione solo come riparazione per bloccare, e in parte compensare, le conseguenze dannose e disumane del sistema, che si sviluppa in base alla propria logica interna.

Non si possono mettere in dubbio le straordinarie realizzazioni in termini economici e di benessere che il capitalismo così strutturato produce non solo in singoli paesi, ma oggi anche a livello mondiale, nonostante tutte le sue mancanze e deficienze; noi stessi, abitanti dell’Occidente, ne traiamo grandi profitti. Tuttavia non si può non vedere che si tratta di un processo in continua progressione. In base alla sua stessa dinamica esso cerca continuamente di estendersi e d’integrare nella sua logica funzionale tutti gli ambiti della vita nella misura in cui hanno un lato economico, con ampie ripercussioni anche nel campo della cultura e dello stile di vita personale. Di qui il dilagare del tratto economicistico in tutti gli aspetti della vita. Oggi lo constatiamo soprattutto nel sistema sanitario.

MARX AVEVA VISTO GIUSTO

Già più di 150 anni fa Karl Marx lo aveva chiaramente analizzato ed espresso e si resta colpiti dall’attualità della sua prognosi: "Grazie allo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi. Ha privato l’industria del suo fondamento nazionale. Le antichissime industrie nazionali sono state e sono giornalmente annientate. Vengono rimpiazzate da industrie nuove, la cui introduzione diventa una questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, industrie che non lavorano più materie prime locali, bensì materie prime importate dalle zone più lontane e in cui i prodotti non vengono consumati esclusivamente nel paese ma dappertutto nel mondo. [...] Al posto dell’antica autosufficienza e dell’isolamento locale e nazionale subentra un traffico universale, un’universale dipendenza reciproca fra le nazioni. E come nella produzione materiale, così anche in quella intellettuale. Grazie al celere miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, alle comunicazioni rese estremamente più agevoli, la borghesia porta la civiltà a tutte le nazioni. I bassi prezzi delle sue merci sono l’artiglieria pesante con cui essa rade al suolo tutte le muraglie cinesi, [...] costringe tutte le nazioni ad adottare, se non vogliono morire, il modo di produzione borghese" (2).

Per il nostro tempo bisogna aggiungere che, grazie a una perfetta organizzazione a livello mondiale del trasporto di container via mare, i costi di trasporto di merci e prodotti sono minimi, per cui le grandi distanze non scoraggiano più, ma piuttosto stimolano il commercio a livello mondiale.

E non è al di fuori dello sviluppo, ma corrisponde piuttosto alla sua logica, il fatto che, nella ricerca di possibilità di guadagno sempre nuove, si diffondano sempre più, nel campo dei mercati finanziari, gli affari basati unicamente su capitale fittizio e sulla sua moltiplicazione, con la tendenza a non tener conto dei dati dell’economia reale e a danneggiarli. Karl Marx aveva già visto anche questo (3).

Lo Stato e il diritto possono certamente dall’esterno fissare limiti al sistema del capitalismo e imporgli regole, limitare gli eccessi e le conseguenze inaccettabili, nella misura in cui l’ordinamento statale, che da parte sua è vincolato alla promozione di un’economia favorevole alla crescita, ha la forza per farlo. E in una certa misura lo fa anche. Tuttavia anche in caso di riuscita questa rimane una correzione marginale, che deve essere estorta alla logica funzionale del sistema, in quanto quest’ultima mira sempre alla maggiore deregolamentazione possibile.

ROVESCIARE IL CAPITALISMO DALLE FONDAMENTA

Di che cosa soffre quindi il capitalismo? Non soffre solo a causa dei suoi eccessi e dell’avidità e dell’egoismo degli uomini che in esso operano. Soffre a causa del suo punto di partenza, del suo principio funzionale e della forza che crea il sistema. Perciò è impossibile guarire questa malattia con rimedi marginali; la si può guarire solo cambiando il punto di partenza.

Bisogna sostituire l’esteso individualismo in materia di proprietà, che prende come punto di partenza e principio strutturante il profitto dei singoli potenzialmente illimitato, considerato diritto naturale e non soggetto ad alcun orientamento contenutistico, con un ordinamento normativo e una strategia d’azione, basati sul principio secondo cui i beni della terra, cioè la natura e l’ambiente, i prodotti del suolo, l’acqua e le materie prime non appartengono a coloro che per primi se ne impossessano e le sfruttano, ma sono destinati a tutti gli uomini, per il soddisfacimento delle loro necessità vitali e per il raggiungimento del benessere.

È un principio radicalmente diverso; punto di partenza e di riferimento ne è la solidarietà degli uomini nel loro vivere insieme e in competizione. È da qui che bisogna dedurre le norme fondamentali in base alle quali informare i processi d’azione, economici ma anche non economici (4).

La scelta di un tale punto di partenza non è del tutto nuova. Si ricollega a un’antica tradizione, che si è persa solo al momento del passaggio all’individualismo della proprietà e al capitalismo. Tommaso d’Aquino, il grande teologo e filosofo del Medioevo, afferma esplicitamente che in base al diritto naturale, cioè all’ordinamento della natura voluto da Dio, i beni terreni sono ordinati al soddisfacimento dei bisogni di tutti gli uomini. La proprietà privata del singolo esiste solo nel quadro di questa destinazione universale, e subordinata ad esso. Essa non appartiene al diritto naturale in sé, ma è un’aggiunta legislativa che si giustifica per motivi pratici, perché ognuno cura maggiormente ciò che appartiene a lui stesso, piuttosto che a tutti insieme, perché è più conforme allo scopo che ognuno possieda e amministri le cose da se stesso e, infine, perché la proprietà privata favorisce la pace fra gli uomini (5). Poi Tommaso distingue anche fra possesso, amministrazione e uso di ciò che si possiede. Mentre il primo spetta solo al singolo individuo, l’uso deve tener conto del fatto che i beni esteriori, in base alla loro destinazione originaria, sono comuni, per cui chi ne è provvisto deve condividerli di sua volontà con i poveri (6). Perciò per Tommaso, in caso di estrema necessità, il furto non è peccato (7).

Qui compare un modello che è contrario al capitalismo. Un modello che parte da altri principi fondamentali e così smaschera anche il carattere disumano del capitalismo. La solidarietà non appare più come una riparazione, per bloccare e compensare le conseguenze dannose di uno sbrigliato individualismo in materia di proprietà, ma come un principio strutturante della convivenza umana anche in ambito economico.

Questo punto di partenza opera in molti modi: attribuzione dei prodotti del suolo e delle materie prime naturali; relazione con i beni di consumo e l’ambiente, natura, acqua e aria; ruolo direttivo di ciò che è lavoro rispetto al capitale; limiti all’accumulazione di proprietà e di capitali; riconoscimento degli altri esseri umani - anche delle future generazioni - come soggetti e partner nel campo dell’uso, del commercio e del possesso invece che oggetti di possibile sfruttamento.

In questo modo si ha un quadro normativo, all’interno del quale il senso del possesso e dell’uso personale, la garanzia della proprietà possono e devono avere il loro significato pragmatico e la loro funzione come forze motrici del processo economico e del suo progresso. Ma rimangono legati al concetto prioritario della solidarietà, che offre orientamento contenutistico e pone dei limiti a un’espansione illimitata.

DOPO MARX, È L’ORA DELLA CHIESA

Non è questa la sede per elaborare in dettaglio un tale modello teorico e pratico ispirato dal principio di solidarietà. I fondamenti per farlo si trovano nella tradizione della dottrina sociale cristiana. Basta risvegliarli dal loro sonno di bella addormentata nel bosco e applicarsi con decisione a tradurli in pratica.

Questa dottrina sociale della Chiesa ha assunto a lungo nei riguardi del capitalismo, impressionata dai suoi indiscutibili successi, un atteggiamento piuttosto difensivo. Essa lo ha criticato su punti specifici invece di metterlo in discussione in quanto tale. L’attuale evidente crollo del capitalismo a causa della sua espansione illimitata e quasi sregolata può, e dovrebbe, permettere alla dottrina sociale della Chiesa una sua radicale contestazione.

Per questo il magistero sociale può richiamarsi semplicemente a papa Giovanni Paolo II, il critico più lucido ed energico del capitalismo dopo Karl Marx. Già nella sua prima enciclica egli intraprese una valutazione del sistema in quanto tale, delle strutture e dei meccanismi che dominano l’economia mondiale nel campo delle finanze e del valore del denaro, della produzione e del commercio. A suo avviso, essi si sono dimostrati incapaci di rispondere alle sfide e alle esigenze etiche del nostro tempo (8). L’uomo "non può diventare schiavo delle cose, schiavo dei sistemi economici, schiavo della produzione, schiavo dei suoi propri prodotti" (9).

Ma il nuovo orientamento solidaristico e la trasformazione di un esteso sistema d’azione economico che, come abbiamo mostrato, non tiene conto della natura e della vocazione dell’uomo, e anzi le contraddice, non avviene da sé. Richiede un potere statale in grado di agire e decidere, che oltrepassi la mera funzione di garanzia dello sviluppo del sistema economico e di accertamento del parallelogramma delle forze, ma assuma efficacemente la responsabilità del bene comune mediante la limitazione, l’orientamento e anche il rifiuto del perseguimento del potere economico, cercando continuamente di ridurre al tempo stesso le disuguaglianze sociali.

È impossibile realizzare una tale trasformazione con semplici interventi di coordinamento. Ma dove si trova oggi una tale statualità? Di fronte all’intreccio economico mondiale la forza dello Stato nazionale non è più sufficiente; sarà sempre sconfitta dalle forze economiche che operano a livello mondiale. D’altra parte, è impossibile organizzare una statualità a livello mondiale, sotto forma di Stato planetario. Lo si può fare solo per e in aree limitate, che sono in relazione fra loro e collaborano. L’appello è rivolto quindi anzitutto all’Europa. Ma essa avrà la volontà e la forza per farlo?

NOTE

-  (1) H. Freyer, "Theorie des gegenwärtigen Zeitalters", Deutsche Verlag-Amstalt, Stuttgart, 1956, p. 79ss.

-  (2) K. Marx, F. Engels, "Manifesto del partito comunista", Marietti, Genova, 1973, p. 60.

-  (3) K. Marx, "Das Kapital", vol. III, c. 25, Dietz-Verlag, Berlin, 1956, pp. 436-452.

-  (4) Cfr. E.-W. Böckenförde, "Ethische und politische Grundsatzfragen zur Zeit", in Id., "Kirche und christilicher Glaube in der Herausforderungen der Zeit", Münster, 2007, pp. 362-366.

-  (5) Tommaso d’Aquino, "Summa Theologiae", IIa-IIae, q. 66, art. 2 e art. 7.

-  (6) Ivi, q. 66, art. 2, resp.

-  (7) Ivi, art. 7, resp.

-  (8) Cfr. Giovanni Paolo II, "Redemptor hominis", 1979, n. 16. Cfr. inoltre: Id., "Laborem exercens", 1981; "Centesimus annus", 1991.

-  (9) Giovanni Paolo II, "Redemptor hominis", 1979, n. 16.



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