DOVE VA LA SOCIOLOGIA? ULTIMA NOTIZIA. Una riunione di grandi intellettuali (uomini e donne) ha deciso ...

LA SOCIOLOGIA DENTRO LA CASA DELLA NUOVA "IDENTITÀ CULTURALE ITALIANA"!!! Riflessioni di Carlo Galli e di Franco Ferrarotti - a cura di Federico La Sala

Gli intellettuali più aperti al nuovo si sentono esuli in patria. Rispetto ai problemi quotidiani della loro comunità, sono dei «separati in casa».
mercoledì 5 maggio 2010.
 


-  IL TRAMONTO DEI SOCIOLOGI

-  Così muore la scienza del tutto

-  Trasformazioni veloci e mondo liquido la sociologia non basta più

-  Dagli anni ’60 in poi le scienze sociali hanno dominato la lettura della realtà: ogni fenomeno veniva interpretato attraverso gli occhiali di questa disciplina
-  Ma tra l’invasione dei "tuttologi" e gli eccessi specialistici ora è cominciato il declino
-  E gli intellettuali di riferimento sono diventati gli economisti, i filosofi, gli antropologi

-  Il segno del declino è stata la scelta del Cnr di riunire le scienze sociali in un unico ambito di ricerca che verrà chiamato "Identità Culturale Italiana"
-  La tesi principale era che individui e Stato non si possono pensare come autosufficienti
-  Ma l’eccesso di obiettivi e di metodi, ha finito per frammentare la disciplina

di Carlo Galli (la Repubblica, 01.05.2010)

Sul sito web della Fondazione Treccani una delle figure di punta della sociologia del nostro Paese - il milanese Guido Martinotti - ha criticato aspramente la scelta del Cnr di riunire le scienze sociali in un unico ambito di ricerca denominato «Identità Culturale Italiana». Ma a partire dalla denuncia della debolezza organizzativa di una disciplina che non riesce a opporsi a simili diktat, viene introdotta una articolata riflessione - a cui hanno partecipato parecchi altri sociologi - su quella che viene definita la "crisi della sociologia": crisi di paradigmi conoscitivi, di presenza accademica, di visibilità pubblica; crisi del sociologo come «tuttologo», insomma. Una crisi d’identità che viene dopo una stagione di notevoli successi.

A partire dagli anni Sessanta, infatti, ha conosciuto un grande incremento della sua penetrazione dell’Università, grande popolarità dei suoi metodi (il questionario), grande appetibilità del suo sapere per gli enti pubblici di vari livelli che alle analisi sociologiche - il prodotto tipico delle ricerche commissionate (e finanziate) ai sociologi - affidavano e ancora oggi affidano la legittimazione delle loro politiche d’intervento sulla società italiana. Un successo anche d’immagine, tanto più notevole quanto più la cultura italiana non era stata certo benevola, inizialmente, verso la disciplina: contro la quale avevano pesato i pregiudizi della filosofia idealistica - «inferma scienza» fu definita da Croce - ma anche la chiusura del marxismo, nonché l’originaria diffidenza di altri mondi scientifici più influenti.

Una disciplina, la sociologia, che sembrava povera di pedigree e di lignaggio scientifico, insomma. Il che, però, non era vero. Nata nel grembo della filosofia del tardo Settecento e dell’Ottocento - da Bonald a Comte, da Saint-Simon a Spencer -, la sociologia si afferma tra gli ultimi decenni del XIX secolo e i primi del XX con l’opera di padri fondatori che sono dei giganti del sapere e della ricerca: da Durkheim a Tönnies, da Weber a Simmel, da Pareto a Parsons. E in seguito, nel corso del Novecento, la sociologia è stata illustrata da personaggi come Elias e Goffman, Boudon e Luhmann, Schütz e Merton, Elster e Riesman, Giddens e Beck - solo per fare qualche nome tra i più famosi, noti anche a un pubblico non specialistico.

Una simile fioritura d’ingegni - diversissimi tra loro quanto a stili e metodi di pensiero - testimonia della straordinaria rilevanza e fecondità del proposito originario della sociologia: l’analisi della società, cioè della dimensione che si colloca tra il soggetto e lo Stato, e che dà loro sostanza e fondamento. La sociologia assume infatti che i pilastri del pensiero politico moderno - individualità e statualità - non possano essere pensati come entità autosufficienti, ma siano comprensibili come momenti interni a un universo di relazioni e di interazioni reali, appunto la società, nella quale i soggetti agiscono rapportandosi variamente con altri soggetti, con le comunità, con le istituzioni, con le forme del potere.

È questa concretezza e questa multiformità relazionale della società la sfida a cui la sociologia vuole rispondere, evitando quelle che le paiono le parzialità, le semplificazioni, le astrattezze di altre discipline, come la filosofia, l’economia, il diritto. Questo progetto di analisi del Tutto si è ben presto arricchito e complicato: la sociologia si è divisa tra sostenitori del primato dell’agire soggettivo e teorici della precedenza delle grandi strutture impersonali; tra fautori dei metodi qualitativi e di quelli quantitativi o empirici; tra strutturalisti e funzionalisti; tra chi crede del ruolo applicativo della sociologia - un sapere che avrebbe la vocazione a stabilire una sorta di alleanza "illuministica" o tecnocratica col potere - e chi ne enfatizza la capacità critica e demistificatrice.

Soprattutto, la sociologia si è profondamente articolata in numerosissime branche e specializzazioni, che indagano ogni angolo e ogni versante dell’esperienza individuale e dell’esistenza collettiva, stabilendo così nuovi legami - alla pari - con altre scienze umane.

Eppure, in questa crescita c’è stato anche il seme del declino. L’ampliamento dello spettro degli obiettivi, proprio in ottemperanza all’imperativo di aderire alla realtà sociale in tutte le sue molteplici dimensioni, ha fatto nascere molte sociologie quasi autoreferenziali, sprofondate nei propri oggetti anche minimi, poco capaci di dialogare tra loro e molto differenziate per metodi e obiettivi, che faticano a essere riconducibili a un’epistemologia comune, a quella "terza cultura" - non solo scientifica e non solo umanistica - che la sociologia vorrebbe essere.

A ciò si aggiunga la continua trasformazione dell’oggetto - la società -, causata dalle sconvolgenti trasformazioni del mondo contemporaneo, dei suoi spazi politici e dei suoi attori, che disorienta, oltre che altre discipline, anche e forse più la sociologia: proprio in quanto vuol essere sensibile a ogni mutamento, questa è destinata a inseguire e a volte anche a subire i cambi di struttura e di paradigma che la nostra epoca di transizione reca con sé. Il Tutto sociale si è fatto tanto complesso da risultare quasi imprendibile.

Così, benché ancora molto "utilizzati", non si può dire che i sociologi siano oggi gli intellettuali di riferimento primario, dubbio onore che tocca più ai filosofi, agli economisti, ai politologi, agli antropologi. Al netto di ogni altro problema specificamente italiano - necessità di ringiovanimento, di riorganizzazione, di internazionalizzazione - proprio nel vanto della sociologia, la sua capacità di aderire a una realtà mobile e sfuggente come la società, sta anche la fonte primaria dei suoi problemi.


Noi eravamo saliti in cattedra ma oggi un comico conta di più

La disciplina ha avuto grande successo accademico, tra facoltà e corsi di laurea Eppure non si è riusciti a intaccare la mentalità prevalente che è rimasta parolaia

di Franco Ferrarotti (la Repubblica, 01.05.2010)

Sembra ormai un dato acquisito: la sociologia è in crisi; il sociologo sta uscendo di scena. Dopo la «sbornia sociologica», come la chiamava il tardo-crociano Francesco Compagna, il sociologo appare evanescente, ha perso il passo. Ma, storicamente, la sociologia è nata da una grande crisi; è figlia ingrata della transizione dal mondo contadino alla società industriale. E ha avuto, non solo in Europa o negli Stati Uniti, ma anche in Italia, i suoi successi, se non i suoi trionfi. Una grande vittoria, però, è un grande pericolo. Il successo rende timidi. Si esita a cambiare formule o impostazioni che hanno funzionato.

In Italia, siamo al paradosso. Come in una pochade da Café du Commerce, si verifica una fulminea sostituzione di persona; il sociologo si presenta sotto mentite spoglie; è scomparso. In due tempi. Dapprima, questioni sociologicamente rilevanti sono affrontate e discusse da altri degni analisti sociali, soprattutto psicologi e antropologi. Come mai? Con tutto il rispetto per questi colleghi - già in cattedra per la sociologia ho aiutato a suo tempo Tullio Tentori ed Ernesto Valentini ad avere la loro in antropologia e psicologia - a parte il fatto che credo fermamente nell’impostazione multidisciplinare della ricerca, i committenti pubblici e privati li ritrovano probabilmente più «maneggevoli», forse meno sulfurei.

Gli antropologi fanno ancora pensare ai popoli detti «primitivi». Sanno di post-colonialismo. Gli psicologi riducono la società a stati d’animo, predicano l’adattamento, se non la rassegnazione. I sociologi chiamano in causa le strutture della società, sospendono un interrogativo sul potere, sui gruppi sociali che lo detengono, sulla legittimità non solo formale, ma sostanziale. Misurano lo scarto fra le cose dette e le cose fatte. Scoprono, qualche volta, che una classe dirigente mira più a durare che a dirigere, che si comporta come una truppa d’occupazione in un paese che non conosce.

In un secondo momento, specialmente in Italia, il sociologo è surrogato dal professore di estetica e dal comico. Niente da dire sulla professionalità di queste figure. Ma non hanno mai fatto una ricerca, come si dice, sul campo. E perché dovrebbero? A loro basta la battuta, la strizzatina d’occhio, il gesto. Non hanno bisogno di fare ricerca. Intuiscono. Vengono direttamente dalla «commedia dell’arte». Sono collegati con la più collaudata tradizione politica e culturale italiana: tradurre i problemi etici in atteggiamenti estetici; far ridere per dimenticare di piangere. Crozza e Benigni invece di Vilfredo Pareto o, più modestamente, Alfredo Niceforo, quello che aveva studiato la pellagra al Nord Est e di cui i nuovi ricchi di quelle parti farebbero bene a ricordarsi.

Per riassumere e concludere, la sociologia in Italia, nel corso degli ultimi cinquant’anni, ha ottenuto un grande successo accademico-burocratico-organizzativo. Ci sono oggi cattedre, facoltà, corsi di laurea, dottorati in sociologia. Non è riuscita a intaccare, tanto meno a trasformare la mentalità prevalente, che è rimasta ciceroniana, parolaia, ciarlatanesca - in una parola, incapace di ragionare pacatamente e di operare efficacemente con riguardo alle questioni specifiche di un paese in bilico, divenuto industriale ma senza una cultura industriale, privo di una lucidità condivisa.

Le tre grandi tradizioni culturali italiane - cattolica, marxistica, liberaldemocratica - non sono strumentalmente in grado di aiutare e portare al compimento della transizione. Ma hanno un temibile potere di veto. Gli intellettuali più aperti al nuovo si sentono esuli in patria. Rispetto ai problemi quotidiani della loro comunità, sono dei «separati in casa».


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  ULTIMA NOTIZIA. Una riunione di grandi intellettuali (uomini e donne) delle Accademie e delle Università della Penisola ha deciso all’unanimità di approvare ...

-  "La freccia ferma" (Elvio Fachinelli) e "La banalità del male" (Hannah Arendt). A "Regime leggero", verso la catastrofe...
-  IL BERLUSCONISMO E IL RITORNELLO DEGLI INTELLETTUALI.

-  VOLONTA’ DI POTENZA E DEMOCRAZIA AUTORITARIA. CARLO GALLI NON HA ANCORA CAPITO CHE, NEL 1994, CON IL PARTITO "FORZA ITALIA", E’ NATO ANCHE IL "NUOVO" PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA.

-  GIUSEPPE DE RITA, BERLUSCONI, E LA FALSA TERZIETA’. IN ITALIA E’ IL PATTO COSTITUZIONALE (IL "CHIASMA") A FONDARE E A REGOLARE GLI ANTAGONISMI (LA DIALETTICA POLITICA), NON VICEVERSA. Il vicolo cieco attuale (1994-2009) è un golpe strisciante

-  L’ITALIA RECINTATA: LA NAZIONE OSCURATA. Il sonno dogmatico degli intellettuali sul "valore simbolico e politico delle affermazioni".

-  VERGOGNA E "LATINORUM": UNA GOGNA PER L’ITALIA INTERA.

-  L’OCCUPAZIONE DELLA LEGGE E DELLA LINGUA ITALIANA: L’ITALIA E LA VERGOGNA.

-  FILOSOFIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO ....
-  MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIU’ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIU’ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!!

-  L’IDENTITA’ ("TAUTOTES") E IL DESTINO DELL’ITALIA, NELLE MANI DI UN "UOMO PRIVATO" ("IDIOTES") E DEL SUO PARTITO ("FORZA ITALIA")!!! Gloria e de-stino della Necessità?! Boh?! Bah?!

FLS


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