IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
NEO CLERICALISMO E NUOVE INDICAZIONI
NAZIONALI PER LA SCUOLA DELL’INFANZIA
RIFLESSIONI SULLO SCEMPIO DELLE NUOVE
INDICAZIONI NAZIONALI PER L’INFANZIA*
Sono uscite in questi giorni le nuove indicazioni nazionali per il curriculum della scuola dell’infanzia (3-6 anni), elementare e media, in pratica i nuovi programmi.
Nel testo, che propone una sostanziale continuità con i programmi predisposti dalla Legge Moratti, si legge che “la scuola dell’infanzia, scelta liberamente dalle famiglie, ha le sue origini nei comuni e intorno alle chiese....”. Poi che essa “si esprime in una pluralità di modelli istituzionali e organizzativi gestiti da diversi soggetti, la scuola promossa da ordini religiosi e comunità parrocchiali come esempio di sussidiarietà orizzontale e di risposta a specifici orientamenti valoriali delle famiglie, la scuola dei comuni e la scuola statale come manifestazione della volontà dello Stato di estendere a tutti i bambini il diritto di frequentarla”. Testualmente in questo ordine.
La scuola statale viene considerata aggiuntiva a quella privata religiosa e a quella comunale.
L’art. 33 della Costituzione si basa su due principi fondamentali: la libertà di insegnamento e l’obbligo di istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi. L’art. 34 afferma che “la scuola è aperta a tutti”.
Nelle indicazioni viene meno il ruolo istituzionale della scuola dell’infanzia statale e si considera indifferente l’accesso a scuole, che ispirano il loro insegnamento a logiche confessionali e sono a pagamento, oppure a scuole statali gratuite, ispirate al principio di laicità e pluralismo culturale.
Decine di migliaia di genitori sono già oggi costretti a iscrivere proprio figli alle scuole materne private per carenza di offerta pubblica sito possibilità. Nonostante ciò la percentuale di bambini che frequentano la scuola dell’infanzia statale è in continua crescita e raggiunge il 58%. A qualcuno evidentemente ciò non sta bene.
Gravi e non casuali sono poi le amnesie: non viene citata Maria Montessori, una delle fondatrici della nostra scuola dell’infanzia, che riteneva fondamentale la libertà del bambino, poiché "solo la libertà favorisce la creatività già presente nella sua natura". Altrettanto grave la dimenticanza del ruolo dell’associazionismo femminile U.D.I. nella nascita del modello emiliano di scuola dell’infanzia, che ha saputo collegare la spinta all’emancipazione sociale delle donne con quella alla promozione culturale dei figli. Questa esperienza è poi stata raccolta dai Comuni solo alle fine degli anni 60 ed è diventata un riferimento organizzativo e culturale per tutto il paese.
In pratica il testo riporta la scuola per i bambini da 3 a 6 anni a prima del 1968, anno in cui fu istituita la scuola materna statale, prevedendo una supremazia del privato, per di più lautamente finanziato con risorse pubbliche dello Stato, delle Regioni e dei Comuni per un totale annuale di 700 milioni di euro, 100 milioni dei quali sono quelli reintrodotti da Fioroni questo anno. E pensare che i tagli alle scuole statali previsti dall’ultima finanziaria sono di 1.400 milioni.
È totalmente assente nel testo l’idea della scuola della Repubblica, la scuola di tutti e per tutti, istituzione fondamentale per “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini e impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Bruno Moretto
Comitato bolognese Scuola e Costituzione
(PER IL TESTO INTEGRALE DELLE "iNDICAZIONI", si cfr: Comitato Bolognese SCUOLA E COSTITUZIONE)
* Fonte:
Foglio di comunità n. 9/07
"Associazione Viottoli - Comunità cristiana di base di Pinerolo (To)"
[info@viottoli.it]
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
SALVIAMO LA COSTITUZIONE E LA REPUBBLICA CHE E’ IN NOI
FLS
Il "Grande fratello" nei nidi, la proposta ha il "sì" del Senato
160 milioni di euro per l’installazione di sistemi di videosorveglianza negli asili nido e nelle strutture socio assistenziali per anziani e disabili. Un provvedimento discutibile che lede la crescita serena dei più piccoli e la dignità di tanti bravi insegnanti.
di Orsola Vetri (Famiglia Cristiana, 31/05/2019)
E’ stato approvato al Senato un emendamento al disegno di legge Sblocca Cantieri che prevede lo stanziamento di 160 milioni di euro per l’installazione di sistemi di videosorveglianza negli asili nido e nelle strutture socio assistenziali per anziani e disabili. Da 10 anni si batte per questo provvedimento Gabriella Gianmanco vicepresidente di Forza Italia al Senato perché «nei luoghi che ospitano soggetti deboli siano obbligatorie le telecamere e siano stanziate risorse sufficienti a tale scopo».
Con l’emendamento si vuole istituire un fondo al Ministero dell’Interno con 5 milioni di euro per il 2019 e 15 milioni per ciascuno degli anni dal 2020 al 2024 per l’erogazione di risorse finanziarie per “l’installazione di sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso presso ogni aula di ciascuna scuola” dell’infanzia statali e paritarie. Le stesse risorse, e sempre dal 2020 al 2024, saranno da destinare alle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità, a carattere residenziale, semiresidenziale o diurno. Sia per quest’ultime che per i nidi i fondi dovranno coprire anche l’acquisto delle apparecchiature per la conservazione delle immagini “per un periodo temporale adeguato”.
Una legge controversa che vede schierati su opposti versanti coloro che credono nel controllo dei lavoratori, soprattutto di quelli che lavorano con soggetti deboli, e coloro che credono nella via della formazione e della fiducia.
«Con l’introduzione delle videocamere di sorveglianza in ogni sezione del nido e in ogni sezione di scuola dell’infanzia, si avvia una stagione di controllo sistematico sulle relazioni tra i bambini, docenti e educatori esponendo i processi educativi a controlli esterni. Sarà un Grande fratello a controllare tutto, conserverà le immagini e potrà usarle in qualsiasi momento contro gli adulti - che sono stati bambini - per indicizzare, giudicare selezionare in base a comportamenti che qualcuno potrà ritenere sbagliati». Questa la riflessione del Coordinamento nazionale dell’Infanzia, formato da sindacati e associazioni, che ritiene il provvedimento, inutile, pericoloso, antipedagogico.
«Quali saranno gli effetti sullo sviluppo e sulla crescita, e quali le conseguenze sui cittadini che questi bambini diventeranno un giorno, se, fin dalla più tenera età, sarà instillato loro invece che un rapporto di fiducia verso le istituzioni, un rapporto di timore, insicurezza, paura, mitigato in modo improprio dalle videocamere che tutto potranno filmare registrare ed esporre in futuro come prova di una tendenza precoce a comportamenti non graditi?»,
Inoltre, quale sarà l’impatto sulla libertà di insegnamento e sulla ricaduta sulla genuinità della relazioni educative che sempre deve mantenersi, è il tema posto dal Coordinamento. «I rari comportamenti, inadeguati e riprovevoli che si sono verificati in questi anni non trovano giustizia attraverso un video controllo indistinto. La cura appare peggiore della malattia. Ciò che serve a bambini e insegnanti è maggiore rispetto ed attenzione ai processi educativi, non strumenti meccanici coercitivi e sanzionatori, a prescindere. Ora che una legge sciagurata va verso la definitiva approvazione è necessario riflettere attentamente sulle modalità della sua attuazione. I rapporti tra individui e istituzioni, tra operatori dell’educazione e dell’istruzione tra cittadini e istituzioni, siano immediati e diretti - sottolineano dal Coordinamento dell’Infanzia - senza mediazioni interposte da macchine, riprese e videosorveglianza. La scuola e i bambini non sono soggetti da Grande Fratello».
Scuola
Fermiamo la trasformazione della scuola in impresa
Appello. La scuola ha bisogno di un arricchimento dei programmi disciplinari, di una loro più avanzata e originale cooperazione, di nuovi rapporti tra docenti e alunni. Forze politiche, cittadini e intellettuali dicano un no definitivo a questi ciechi legislatori, che vogliono la scuola come un gigantesco apprendistato senza anima e senza futuro
La scuola italiana ha bisogno di maggiori risorse per rendere sicuri gli edifici che ospitano i nostri ragazzi, servizi più avanzati, per recuperare l’evasione che consegna tanti giovani alla marginalità, talora alla criminalità. La scuola italiana ha bisogno di un arricchimento dei programmi disciplinari, di una loro più avanzata e originale cooperazione, di nuovi rapporti tra docenti e alunni, nuove modalità di insegnamento, in grado di trasformare la classe in una comunità di studio e dialogo.
LA SCUOLA ITALIANA ha bisogno di formare ragazze e ragazzi emotivamente e psicologicamente equilibrati, culturalmente ricchi, consapevoli dei problemi del Pianeta, muniti di sguardo critico sulla società oggi inghiottita entro una bolla pubblicitaria. Ma chi decide il destino della nostra scuola è sordo a questi bisogni irrinunciabili del presente e del futuro. Impone ai nostri ragazzi- ad esempio con l’alternanza scuola-lavoro - un apprendistato per un lavoro che non troveranno, competenze per mansioni che saranno rese obsolete dall’innovazione tecnologica incessante.
EBBENE, dal prossimo giugno maestri e docenti della scuola elementare e media dovranno certificare le competenze dei loro allievi, utilizzando i nuovi modelli nazionali predisposti dal Ministero dell’istruzione. Per i ragazzini delle medie, la scheda di certificazione conterrà una parte dedicata a 8 «competenze europee» redatta dai loro insegnanti e una parte a cura dell’INVALSI.
Per i bambini delle elementari, la scheda di certificazione riferita alle otto competenze europee, riguarda anche quella denominata «spirito di iniziativa e imprenditorialità», che in Italia è diventata semplicemente «spirito di iniziativa», pur mantenendo in nota il riferimento originario all’entrepreneurship, l’imprenditorialità. I consigli di classe delle varie scuole del Paese dovranno adoperarsi per «testare» la capacità di «realizzare progetti», essere «proattivi» in grado di «assumersi rischi», «assumersi le proprie responsabilità» fin da piccoli.
Si stenta a credere, ma è proprio così: le istituzioni europee chiedono agli insegnanti di fare violenza ai nostri bambini, di plasmarli in una fase delicatissima della loro formazione emotiva e spirituale, incitandoli alla competizione, alla realizzazione di cose, all’intraprendenza «rischiosa».
Verrebbe da ridere di fronte all’enormità di tale pretesa. Ma essa fa parte ormai di una gabbia fittissima di imperativi a cui è sottoposta la scuola, diventata luogo di ubbidienza di comandi ministeriali.
DOPO ANNI di ciarle sull’autonomia, sulle libertà di scelta, su tutte le chimere della letteratura neoliberistica, appare evidente che la scuola è assoggettata a un progetto di centralismo neototalitario. Una pianificazione dall’alto mirata a sottrarre libertà agli insegnanti, obbligandoli a compiti subordinati ai miopi interessi del capitalismo attuale. Passo dopo passo, la scuola cessa di essere il progetto educativo di una comunità nazionale per diventare il luogo dove si riproduce un solo tipo di individuo, l’uomo economico ossessionato da finalità produttive. Chiediamo a tutte le forze politiche, agli intellettuali, ai cittadini italiani ed europei di dire un no definitivo a questi ciechi legislatori, che vogliono trasformare la scuola in un gigantesco apprendistato senza anima e senza futuro.
di Alain Goussot (Comune-info, 17 dicembre 2015)
Nelle ultime settimane si parla molto delle vicende che riguardano la presenza o meno del Presepe nelle scuole per Natale con fronti contrapposti, tradizionalisti e laici ; fronti anche falsi poiché la questione è mal posta in partenza. Si parte da impliciti erronei: da una parte è come se le tradizioni che sono varie e anche vissute fossero per definizione opposte all’apertura e al riconoscimento delle differenze, dall’altra parte è come se il pluralismo culturale fosse per definizione contrario alle tradizioni.
Pensiamo che queste due posizioni siano false culturalmente e anche pedagogicamente. Sono posizioni che tendono ad escludere, a sottrarre: per i tradizionalisti le culture diverse, per i laici pluralisti le tradizioni considerate come problematiche.
In realtà sul piano pedagogico ma anche su quello dei vissuti, stiamo parlando dei bambini e delle loro famiglie, le cose sono molto più complesse e anche viste, per fortuna, con maggiore buon senso. Anzi bisognerebbe ritornare a una pedagogia del buon senso, come la chiamava Célestin Freinet, il fondatore dell’approccio cooperativo in educazione.
La questione non è di non fare il presepe insieme in classe oppure di non fare l’albero di Natale (ci si potrebbe chiedere perché l’albero sì e il presepe no?); la questione non è di escludere il presepe dalle aule perché potrebbe offendere la sensibilità di chi non è cattolico, personalmente non lo sono ma dubito fortemente che questo offenda i bambini presenti che provengono da diversi orizzonti culturali e familiari, quindi anche religiosi. In realtà se lo si vive come una costruzione comune, un gioco, un momento di festa e di convivialità, di curiosità, nessuno si sente offeso.
Ma per essere veramente inclusivo sul piano pedagogico bisogna anche festeggiare il Ramadan con i bambini musulmani e la festa ebraica con quegli ebrei presenti, oppure anche buddista e induista se necessario, trasformare tutti quei momenti come momenti d’incontro, di conoscenza e anche di convivialità poiché le emozioni positive che creano comunione e prossimità nel rispetto delle specificità di ognuno possono diventare delle mediazioni costruttive per crescere insieme e imparare a stare insieme nel rispetto della varietà culturale che forma la società.
Il laicismo che vorrebbe sottrarre finisce per fare della scuola un mondo ascetico, senza anima, senza vita, e soprattutto non rispecchiando la realtà socio-culturale, la sua logica è, purtroppo, quella di una nuova religione o cultura che esclude le altre.
Come affermava il grande pedagogista italiano Raffaele Laporta occorre rispecchiare pedagogicamente la pluralità dei mondi presenti nella società, la laicità è additiva e non sottrattiva, pluralista e non monoculturale, aperta a tutti e non chiusa a tutti in nome di una norma laica decisa da non si sa chi. Importante è il vissuto comune dei bambini, le loro percezioni e quella delle loro famiglie.
Quindi apriamo e non chiudiamo: facciamo il presepe a Natale, mettiamo insieme l’albero, mangiamo i pasticcini e leggiamo un racconto del Corano durante il Ramadan, festeggiamo la festa ebraica, oppure le feste cinesi e quelle civili, come quella del 25 Aprile: la logica dell’arricchimento e dell’accoglienza di tutti e di tutte è il terreno sul quale si costruisce le condizioni dell’educazione all’alterità, alla varietà e al meticciato. Mettiamoci in cammino sulla strada di una pedagogia transculturale che fa emergere al di là delle differenze il nostro fondo comune.
* Alain Goussot è docente di pedagogia speciale presso l’Università di Bologna. Pedagogista, educatore, filosofo e storico, collaboratore di diverse riviste, attento alle problematiche dell’educazione e del suo rapporto con la dimensione etico-politica, privilegia un approccio interdisciplinare (pedagogia, sociologia, antropologia, psicologia e storia). Il suo ultimo libro è L’Educazione Nuova per una scuola inclusiva (Edizioni del Rosone)
Quanto realismo magico nelle parole dei bambini
Il mistero del linguaggio infantile ci interroga da sempre. Perché per i più piccoli parlare non è uno strumento ma un incontro che “crea” il mondo e apre all’Altro
di Massimo Recalcati (la Repubblica, 5.11.2015)
I bambini non sono minorati che necessitano di un padrone che li guidi, ma soggetti di parola, inventori di teorie, sognatori, incarnazioni viventi della speranza. È questo il ritratto che di loro ci offre il bel libro di Angela Maria Borello, direttrice didattica di una Scuola d’infanzia di Torino. Il lettore che lo incontrerà farà una esperienza nuova.
Non dovrà sorbirsi le dottrine psicopedagogiche più paludate o più in voga, spesso anni luce distanti dall’esistenza singolare dei bambini e destinate fatalmente a morire esangui in qualche scaffale di una biblioteca universitaria. Il lettore farà l’esperienza dell’incontro con le parole viventi dei bambini.
La parola dei bambini trova la sua matrice prima nel grido. Lo sappiamo: la vita viene alla vita attraverso il grido. Il piccolo dell’uomo è sempre, all’inizio della vita, un grido, solo un grido, un grido perduto nella notte. Questo grido è una invocazione rivolta all’Altro affinché l’Altro risponda. È questa la prima responsabilità (il cui etimo deriva appunto da “risposta”) che l’esistenza di un bambino attribuisce alla vita di coloro che si occupano di lui.
È questa, se volete, una definizione primaria della genitorialità ma, più in generale, della funzione di chi deve promuovere l’umanizzazione della vita: non lasciare la vita sola, persa, non abbandonarla alla notte, rispondere al grido. L’accesso alla lingua sposta i bambini dall’universo chiuso della famiglia a quello aperto del mondo.
La lingua per loro non è solo uno strumento che devono imparare ad usare, ma un incontro generativo che apre a mondi sconosciuti prima; la lingua dei bambini sa essere incantevole perché fa risorgere ogni volta l’atto mitico della prima nominazione quando fu la parola a fare esistere le cose.
È così: le parole dei bambini aprono e ci aprono al mistero del mondo. È la pioggia la prima pioggia, è la lumaca schiacciata sotto la pietra la prima lumaca schiacciata sotto la pietra, è la scoperta del proprio corpo la prima scoperta del proprio corpo. Manca in queste parole l’interrogazione inquieta, forsennata, acida e assetata, dell’adolescenza; manca il pensiero critico che vuole ribaltare le convenzioni, manca la necessità spasmodica della contestazione dell’Altro.
Il mondo appare al loro sguardo come un puro fenomeno ancora sottratto alle griglie corrosive della teoria critica. Il loro sguardo non è teoretico. Si posa semplicemente sulle cose del mondo con meraviglia.
Per questo le parole dei bambini assomigliano a quelle dei grandi mistici. Si adagiano sulle cose trasformando le cose in parole. Facendo esistere le cose come cose; la rosa come la rosa, la pietra come la pietra. Non c’è ancora l’ansia - che irromperà con l’adolescenza - di cambiare il mondo, di trasformarlo, ma la visione del mondo come un miracolo che si ripete sempre nuovo: «Maestra lo sa che oggi la scuola è proprio bella? Grazie ma è proprio come ieri. Sì ma io ieri non l’avevo capito», dice una bimba stupita.
Le parole non servono solo a comunicare. I bambini ci insegnano che le parole servono innanzitutto a fare esistere le cose. «In bagno - Mi passi il phon? - Quale phon? - Inventalo no! Non vedi che stiamo giocando!». «Maestra, vogliono sempre farmi fare il cane... dice Paolo - Ma tu sei un cane... risponde Giacomo e ride ». «No! Io non sono un cane e mi sono stufato di fare il cane, anzi adesso il cane lo devono fare un po’ anche loro, se non non è valido, vero maestra?». «Maestra, lo sai che mi è venuta un’ape sul mio prosciutto ma io gli ho detto che se ne voleva ne poteva mangiare un po’ e lei ha mangiato e poi mi ha fatto zzzz che era un grazie e poi è volata via? Che bello! Eh sì, adesso quella è una mia amica».
Anche la morte non ha uno statuto separato dalla parola, ma è innanzitutto una parola: «Maestra, lo sai che io avevo un nonno che prima era vivo e poi è morto e da quando è morto non l’ha più visto nessuno?».
I bambini trasfigurano costantemente la realtà perché hanno una necessità vitale dell’illusione. Non solo di pane vive, infatti, l’essere umano, ma di parole, segni, gesti, desideri. L’illusione è come un secondo pane, un altro alimento, un lievito che separa la vita umana da quella meramente animale. Il bambino si nutre di fantasia per non restare ustionato dal carattere osceno del reale. La scoperta del mondo, della vita e della morte, del reale del sesso, della violenza e dell’amore, deve poter avvenire attraverso il velo dell’illusione. Altrimenti la luce senza schermi del reale potrebbe bruciare le fragili pupille dei bambini.
Ce ne ha dato una immagine indimenticabile Roberto Benigni n e La vita è bella: l’orrore del campo di sterminio è filtrato dalla parola di un padre capace di inventare, raccontare, generare una storia dentro la quale il proprio figlio può trovare riparo dal trauma violento e illegittimo del reale. Per questo il fondamento del mondo per loro resta sempre l’amore dei genitori. L’affidabilità dell’Altro - il suo amore - rende affidabile il mondo. La vita riceve sempre un senso dall’Altro. Nessuno può farsi da sé il suo nome. «Io so che non sono nato dalla pancia di mia madre, però sono nato nel suo cuore, l’ho seguito e lei mi ha trovato».
Anche l’interrogazione sul mistero del mondo non assume mai le forme critiche che ritroveremo con lo sviluppo adolescenziale del potere acuminato del ragionamento astratto. Non c’è astio verso il mondo, non c’è odio verso l’essere, non c’è rivendicazione risentita. Il pensiero di Dio non è mai un pensiero fanatico. «Dio è forte come Star Trek?» chiede un bimbo alla sua maestra. L’umano non è in competizione con Dio, non lo combatte, non lo sfida ancora.
Il sapere dei bambini mostra che c’è un limite al sapere, che non si può sapere tutto il sapere. È il mistero stesso della loro esistenza fa risuonare questo limite. C’è un impossibile da sapere che i bambini sanno custodire con cura perché sanno di essere figli, cioè di non poter bastare a se stessi. Loro sanno che senza l’Altro sprofonderebbero nella notte più fredda. Sanno bene che solo l’amore dell’Altro può dare fondamento al carattere infondato del mondo. Per questo la parola evangelica affida proprio a loro il destino del Regno.
Romano Prodi contro Francesco Guccini:
il referendum sulla scuola che spacca Bologna
Endorsement del professore, in campo per mantenere il finanziamento alle scuole materne private: "E’ un accordo che funziona benissimo, perché bocciarlo?". In campo anche il cantautore, che invece scandisce: "Difendere la scuola pubblica" *
BOLOGNA - Scende in campo anche Romano Prodi in merito al referendum di domenica 26 maggio nel quale si dovrà decidere se il Comune dovrà continuare o no a finanziare le scuole materne private con un milione di euro l’anno. Il Professore, senza molti giri di parole, dice che voterà "B", ovvero l’opzione che mantiene la convenzione tra pubblico e privato. La stessa che hanno auspicato personalità come il cardinale Bagnasco. "Se, come spero, riuscirò a tornare in tempo da Addis Abeba, domenica prossima voterò sui quesiti riguardanti le scuole dell’infanzia e voterò l’opzione B" scrive l’ex premier sul suo sito.
Ma, a pochi minuti di distanza, arriva anche il messaggio di Francesco Guccini a sostegno dei referendari: "Accompagno con il cuore la vostra campagna". Un sostegno non isolato, quello del cantautore, visto che il primo firmatario dell’appello per la "A" è Stefano Rodotà. Insomma, non è solo uno scontro politico ma anche uno scontro di simboli per Bologna, mentre l’atmosfera si fa incandescente.
Prodi spiega anche il perché della sua scelta, partendo da una premessa: "Dico subito che, a mio parere, il referendum si doveva evitare perché apre in modo improprio un dibattito che va oltre i ristretti limiti del quesito stesso". E continua: "Il mio voto è motivato da una semplice ragione di buon senso: perchè bocciare un accordo che ha funzionato bene per tantissimi anni e che, tutto sommato, ha permesso , con un modesto impiego di mezzi, di ampliare almeno un po’ il numero dei bambini ammessi alla scuola dell’infanzia e ha impedito dannose contrapposizioni? Ritengo che sia un accordo di interesse generale".
Il professore critica poi il comitato referendario, che si batte per l’eliminazione dei contributi alle materne private: "La motivazione più forte di chi vota l’opzione A è che i mezzi forniti alla scuola statale e comunale siano così scarsi che le casse comunali non possono allargare il loro impegno al di fuori del loro stretto ambito. Credo tuttavia che le restrizioni che oggi drammaticamente limitano l’azione del Comune e in generale penalizzano la scuola siano dovute a una errata gerarchia nella soluzione dei problemi del Paese e non ad accordi di questo tipo".
Il messaggio di Guccini ai referendari. "Sono qui con il cuore ad accompagnare la vostra campagna - scrive invece il cantautore Francesco Guccini al Comitato articolo 33, che si batte per l’abolizione del finanziamento alle materne private -. Questa sera sono a Pistoia a discutere di viaggi e incontri ai Dialoghi sull’Uomo e questa coincidenza mi porta a pensare proprio alla scuola - e alla scuola dell’infanzia, pubblica laica e plurale - come uno dei luoghi fondamentali dove l’uomo prende forma e inizia il suo viaggio. Entrare alla scuola pubblica, ove si opera senza discriminazioni e senza indirizzi confessionali, è il primo passo di ogni individuo che voglia imparare l’alterità e la condivisione; è il primo passo di ogni essere umano per diventare uomo, per diventare donna... Insomma, non posso non fare mia la lezione di Piero Calamandrei, quella contenuta nel suo celebre Discorso in difesa della scuola nazionale, e da quelle parole traggo il mio augurio e il mio saluto per tutti voi: "Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale."
"Con le paritarie si aiutano le donne a lavorare". Dalle colonne di Bologna sette, il settimanale di Avvenire, si difende il sistema integrato pubblico-privato perché sono un modo per aiutare le donne ad andare a lavorare. Nell’editoriale, a firma di Paolo Cavana, si contesta tanto il quesito "equivoco" del referendum quanto "il richiamo al principio di laicità". Infatti, "il quesito referendario ha per oggetto un segmento dell’offerta formativa, quello delle scuole dell’infanzia, non ricompreso nella fascia dell’istruzione obbligatoria e gratuita, la sola garantita dallo Stato". Del resto le scuole dell’infanzia "assolvono ad un compito non tanto di istruzione quanto di socializzazione primaria dei bambini, consentendo inoltre ai genitori e in particolare alla madre di poter accedere al mondo del lavoro". Perciò "l’attuale sistema, che rende accessibile la scuola dell’infanzia ad un maggior numero di bambini, risponde anche ad un interesse, costituzionalmente tutelato, della donna lavoratrice", garantito appunto dall’articolo 37. Tutti "valori e principi" questi, conclude poco dopo Cavana, "che i promotori del referendum sembrano aver completamente dimenticato".
I bambini del futuro
di Giuseppe Caliceti (l’Unità, 23 novembre 2011)
Chiedo ai miei alunni di otto anni se considerano il loro compagno di classe Hassan e gli altri alunni di origine straniera presenti in classe - nati in Italia ma con i genitori di origine straniera - dei bambini italiani o stranieri. Tutti rispondono che sono italiani. Tranne due, che specificano: «Per me Hassan, per esempio, e italo-marocchino». Ecco risolto il problema della cittadinanza per i bambini. Con semplicità, lucidità, fermezza. Forse perché i bambini vengono dal futuro, come ha scritto il poeta Andrea Zanzotto. Ascoltando le loro parole, noi adulti abbiamo la possibilità di parlare con chi sarà adulto domani. Di vedere come sarà domani il nostro mondo, quando noi saremo vecchi o non ci saremo più.
L’intervento deciso di Giorgio Napolitano riapre con forza un tema centrale per l’Italia. Negare la cittadinanza italiana ai bambini che nascono nelle nostre città è sicuramente «un’autentica follia, un’assurdità». Nessuno più dei docenti italiani sa quanto sia vera e appassionata questa aspirazione. Un’altra mia alunna di qualche anno fa, Vera, undici anni disse in classe con semplicità: «Io sono nata in Italia, però mia mamma e mio papà sono albanesi. Io ho fatto l’asilo qui, la scuola qui. Vorrei chiedere al maestro due cose. La prima cosa è questa: io sono italiana o albanese o tutti e due? La seconda: ma io, se non mi sono mai spostata da qui, sono immigrata?».
A queste domande noi adulti italiani, per troppo tempo, non abbiamo saputo rispondere. Perché la nostra legge al riguardo è vecchia, fa riferimento a una concezione ottocentesca che immagina l’identità legata al sangue, più che al luogo in cui noi nasciamo, viviamo e cresciamo. A differenza di quanto accade negli Stati Uniti e in tanti altri Paesi europei, per esempio, che sono certamente, almeno su questo problema specifico, molto più evoluti dal punto di vista legislativo.
Napolitano ieri ha parlato della necessità di «acquisire nuove energie in una società per molti versi invecchiata se non sclerotizzata ». Ad ascoltarle bene, le sue parole assomigliavano quasi a un appello al governo italiano. In particolare ad Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio e nuovissimo ministro della Cooperazione e dell’integrazione sociali, per «riprendere politiche di integrazione che hanno uno sviluppo ormai lontano» e arrivare al più presto a una nuova legge sul diritto di cittadinanza. Quasi ci fosse la volontà di girare finalmente pagina rispetto ai recenti governi di centrodestra che, di fatto, in questi anni hanno sdoganato contro i migranti parole come “razzismo” - che non sentivamo dalla fine della Seconda Guerra mondiale. E lo hanno fatto senza alcun pudore, quasi che “razzismo” fosse diventato sinonimo di una nuova identità nazionale.
Ora il clima politico in Italia è cambiato e ci sono le condizioni per cambiare. E per rilanciare con convinzione la campagna per i diritti di cittadinanza “L’Italia sono anch’io” cui aderiscono Acli, Arci, Caritas Italiana, Cgil, Emmaus Italia, Fondazione Migrantes, Ugl, Rete G2 - Seconde Generazioni e tante altre associazioni della società civile. Come sostiene Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia e presidente del comitato promotore, ormai si fa strada la consapevolezza che «una riforma non è più rinviabile». Per questo la mobilitazione prosegue in tutto il Paese per due leggi di iniziativa popolare affinché questi italiani di fatto, ma non di diritto, che nascono, crescono e vivono in Italia, siano anch’essi le risorse morali e intellettuali del nostro futuro.
La Lega Nord, che si è già buttata in una disperata campagna elettorale in cui si ripetono parole a vanvera, si è dichiarata ovviamente pronta «a fare le barricate in Parlamento e nelle piazze». Che dire? Vorrei rispondere con le parole di Damian, un alunno di 10 anni con i genitori di origine albanese: «Secondo me i bambini, se non sapevano che erano nati tutti in paesi diversi, era più facile andare d’accordo. Anche da grandi».
Di fronte alla diversità, qualsiasi diversità, il sentimento prevalente nei bambini e nei ragazzi che nascono e crescono oggi in Italia è la curiosità e la solidarietà. Per tanti, troppi adulti, invece, è stata la paura: c’è qualcosa che non va. C’è qualcosa che forse possiamo imparare: dai bambini e dal nostro Capo dello Stato. Ascoltiamoli attentamente. E muoviamoci.
Monitoraggio indicazioni nazionali e nuovo testo *
Per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo, attualmente, sono in vigore due documenti: le Indicazioni nazionali (Moratti) e le Indicazioni per il curricolo (Fioroni). La elaborazione di un nuovo testo era previsto come esito di un processo che, nel corso di un triennio, doveva veder coinvolte le scuole, le associazioni professionali, gli attori istituzionali interessati, grazie alla “... cura dell’amministrazione (nell’) accompagnare questo complessivo processo con opportune misure. In particolare saranno programmate, attivate e incentivate iniziative finalizzate a raccogliere, valutare e diffondere le migliori esperienze di ricerca didattica ed educativa anche in collaborazione con l’ANSAS e l’INVALSI. Nel corso del triennio saranno previsti ed adottati strumenti e metodiche comuni per il sostegno e il riconoscimento del lavoro delle scuole. Un piano di monitoraggio e di valutazione, assistito dalla peri odica consultazione del CNPI, verificherà l’efficienza e gli esiti dell’intera fase triennale finalizzata all’armonizzazione delle Indicazioni nazionali e delle Indicazioni per il curricolo in vista della messa a regime." (Atto di Indirizzo 8 settembre 2009, punto 2 della Premessa).
Ma due anni sono già passati, anni nel corso dei quali il Ministero è stato troppo impegnato nel suo disegno “destruens” della scuola dell’infanzia e del primo ciclo per dar corso a quanto dichiarato nell’atto di indirizzo. Si è deciso così di procedere con piglio autoritario e tecnocratico. È stato predisposto un monitoraggio (affidato all’ANSAS), tramite formulari. Basta una rapida lettura per rendersi conto che quei formulari non servono a capire quale dei due documenti vigenti le scuole abbiano applicato, bensì come le scuole stanno reagendo all’impatto del Regolamento sul primo ciclo. O meglio, servono a pilotare gli esiti del monitoraggio stesso in modo da dimostrare che le scuole hanno già accettato una serie di elementi peggiorativi, che si sta cercando di introdurre, ma ai quali, nella realtà e faticosamente, le scuole stanno cercando di opporsi.
Nel frattempo è già stato costituito un gruppo tecnico con il mandato di scrivere il nuovo testo. Altro che riconoscimento del lavoro delle scuole, altro che condivisione, altro che comprensione da parte dell’intera koinè scolastica e della pubblica opinione!
Non possiamo permettere che si giunga a definire in questo modo un documento di cruciale importanza come le Indicazioni. Scuola dell’infanzia e primo ciclo sono fondamentali nella formazione delle giovani generazioni. Le loro finalità, obiettivi, traguardi, ovvero le indicazioni, sono questione importantissima. Non può essere risolta attraverso operazioni sbrigative e autoritarie. È importante innanzitutto che le scuole facciano pervenire al MIUR le loro elaborazioni, considerazioni, valutazioni in merito.
* Conoscenzanews Edizione Scuola n. 36 dell’11 novembre 2011
"Salviamo l’asilo perfetto"
la gara di Reggio Emilia per restare in cima al mondo
Pochi fondi, via all’azionariato popolare. Appello a mamme, nonni ed ex alunni
Nidi e materne sono un esempio imitato in tutto il pianeta, dagli Stati Uniti alla Cina
«Il bambino ha cento lingue, ma gliene rubano novantanove... Ha cento mani, cento pensieri, cento modi di stupire, di amare... e poi cento, sempre cento». Così scriveva negli anni Ottanta il pedagogista Loris Malaguzzi, ispiratore e fondatore dei famosi asili di Reggio Emilia.
di Maria Novella De Luca (la Repubblica, 27.09.2011)
ASILI considerati fino a ieri tra le scuole più belle del mondo, ma che oggi nell’assedio feroce di tagli e di riduzioni agli enti locali, rischiano una veloce erosione di qualità ed eccellenza. E per salvare questo esperimento educativo unico in Italia, la grande rete degli asili chiede aiuto, lanciando una fondazione a cui chiunque potrà partecipare, una sorta di "azionariato popolare" che chiama all’appello ex bambini e genitori, nonni ed insegnanti, cuoche ed ex cuoche, partner famosi e semplici cittadini.
E bisogna entrare in un asilo comunale di Reggio Emilia, in questi spazi ariosi e luminosi fatti di legno e colore, di vetri e leggerezza, immersi tra le piante, i disegni, i giochi d’acqua e di ombre, l’odore di buon cibo e gli arredi che ricordano le onde del mare o gli oblò delle navi, per capire e vedere i "cento linguaggi" di cui sono fatti i bambini, così come li descriveva Loris Malaguzzi. Un pensiero educativo forte e radicato a cui si ispirano oggi ottanta servizi frequentati da quasi settemila alunni, che fanno di Reggio Emilia la città italiana con il più alto tasso di scolarizzazione dai zero ai sei anni, e che nel 1991 portò Newsweek ad inserire gli asili emiliani nella lista delle scuole più belle del pianeta.
Adesso però, dopo 40 anni in cui il "Reggio approach" è stato esportato e adottato in centinaia di scuole, dagli Stati Uniti alla Cina, la grande rete degli asili e dei nidi rischia di dover dimezzare orari, personale, materiali, strutture. «Tra due giorni - spiega Claudia Giudici, presidente dell’Istituzione scuole e nidi d’infanzia del Comune di Reggio - nascerà la "Fondazione internazionale Reggio Children Centro Loris Malaguzzi", che servirà proprio a raccogliere fondi per mantenere alta la qualità pedagogica delle nostra scuole, e il funzionamento stesso degli asili. Perché il taglio di risorse è ormai drammatico, da noi come nel resto d’Italia, nonostante il Comune destini gran parte delle risorse ai servizi educativi, e basta pensare che se quattro anni fa per la manutenzione delle strutture avevamo a disposizione 800mila euro, quest’anno per 80 asili i fondi sono stati soltanto di 130mila euro». Una specie di grande sottoscrizione popolare, di micro e grandi donazioni. Tra i soci fondatori, oltre ai network internazionali, il Gruppo Feltrinelli, da sempre vicino all’esperienza degli asili di Reggio ed editore di Howard Gardner, psicologo di Harvard e grande sostenitore della filosofia di Loris Malaguzzi.
Nella "piazza" della scuola dell’infanzia e primaria del "Centro internazionale Malaguzzi", una struttura avveniristica inaugurata nel 2009 e ricavata dentro gli ex magazzini Locatelli, i bambini, tra cui tanti piccoli immigrati ghanesi e cinesi, lavorano in piccoli gruppi, assemblano oggetti, inventano, sperimentano forme sui tavoli luminosi. Le maestre li osservano discretamente, prendono appunti, ogni tanto consigliano. Altri bambini invece passano negli "atelier", dove una figura ad hoc, l’atelierista, li guida in ambienti in cui si crea con le piante, l’argilla, le pietre e i travestimenti, i computer, la fotografia, tra specchi e riflessi dove i bambini, proprio come Alice nel paese delle meraviglie cercano di scoprire se stessi, rispondendo alla domanda «Chi sono dunque io? Ditemi questo prima di tutto... «. «In ognuno dei nostri asili - racconta Maddalena Tedeschi, pedagogista, una lunghissima esperienza nei nidi del "Reggio approach" - è presente uno spazio centrale che noi chiamiamo "piazza".
Il bambino infatti, così pensava Loris Malaguzzi, è un cittadino dotato di diritti e saperi, che deve essere ascoltato, e può scegliere da solo cosa fare e come muoversi nello spazio, uno spazio simile ad un acquario, con grandi oblò che rendono i muri trasparenti, dove tutto diventa esperienza. Dalla lettura di una favola al cibo, dalla sperimentazione della luce ai giochi che si fanno lavandosi le mani, in vasche pensate proprio per divertirsi con l’acqua, alla torta preparata in cucina con le cuoche. E i bambini non vorrebbero mai andare via...
Tempo pieno alle elementari, è caos
"Non c’è posto per 150mila bambini"
Tagli alle prime classi, rivolta dei genitori. Proteste in tutta Italia
La scure del ministro Tremonti chiuderà le porte a migliaia di famiglie
di Salvo Intravaja (la Repubblica, 08.06.2010)
ROMA - Oltre 150 mila bambini di prima elementare restano fuori dal tempo pieno e fioccano le proteste dei genitori. Ma il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, spiazza tutti. «Aumenta il tempo pieno nella scuola italiana: nel prossimo anno scolastico saranno attivate 782 classi a tempo pieno in più, per un totale di 37.275 classi. E per il secondo anno consecutivo aumentano gli alunni che potranno usufruire di questo quadro orario». In effetti, come sostiene la ministra, le classi a tempo pieno cresceranno, ma le prime (quelle condizionano le scelte anche per gli anni successivi) in moltissime realtà sono in netto calo.
Così le proteste non si placano, perché dopo il boom dell’anno scorso (1.505 prime classi a tempo lungo in più dell’anno precedente) quest’anno la scure del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, si è abbattuta sulle prime classi, chiudendo le porte a migliaia di famiglie. A Milano, per due giorni, insegnanti e famiglie hanno dato vita alla "protesta festosa anti-Gelmini": saranno almeno 3 mila i piccoli fuori dal tempo lungo. A Roma, le famiglie deluse saranno 4 mila. Nella Capitale, la protesta è partita dalle scuole che si sono viste tagliare le prime a tempo pieno: 4, anziché 6 al Principe di Piemonte e alla Leonardo da Vinci. Mentre una delegazione di genitori del circolo Iqbal Masih nei giorni scorsi si è incatenata davanti ai locali dell’Ufficio scolastico provinciale (l’ex provveditorato). A Firenze il comune pensa a un servizio di "custodia" post-scuola per i bambini a cui sarà negato il tempo prolungato, ma occorrono 300 mila euro. E a Bologna, i genitori hanno impacchettato le scuole con volantini e manifesti facendo partire la campagna "Tutti devono sapere" e il 10 giugno torneranno a protestare. Lo slogan è: "La scuola non è finita".
Dopo la comunicazione degli organici relativi al prossimo anno, la protesta si è allargata in quasi tutte le città italiane: Torino, Napoli, Bari, Palermo. Con l’occupazione simbolica degli uffici scolastici provinciali e degli uffici scolastici regionali ad opera della Flc Cgil, supportata da genitori e insegnanti. Ma, se il tempo pieno aumenta, come afferma la Gelmini, allora, perché i genitori protestano? A spiegarlo è Giuseppe Adernò, preside dell’istituto comprensivo Parini di Catania che ieri, dopo avere invitato la ministra a presiedere l’evento, ha sorteggiato i posti a tempo pieno. «Nel corrente anno scolastico - spiega Adernò - all’Istituto Parini sono state attivate due classi a tempo pieno, servizio molto apprezzato dai genitori dei 50 bambini frequentanti. Per il prossimo anno le richieste sono aumentate a 77. Pertanto - prosegue - sono state richieste tre prime classi a tempo pieno». Ma sugli organici della scuola elementare incombe come un macigno il taglio di 8.709 cattedre. «In prima battuta - prosegue Adernò - non sono state autorizzate prime a tempo pieno nel mio istituto e solo dopo tante richieste ne è "arrivata" soltanto una».
In provincia di Milano ne salteranno 154, tra Roma e provincia 97 e a Palermo trovare una prima a tempo pieno sarà una specie di lotteria: appena 9 classi in tutto. E coloro che non avranno il tempo pieno a settembre, non lo otterranno neppure nelle classi successive. Il calo delle prime a tempo pieno è solo la punta dell’iceberg di un servizio richiesto in massa soprattutto dai genitori che lavorano, ma che il governo lesina. Per comprenderlo basta confrontare due dati. Gli alunni della scuola materna (ora dell’Infanzia) che fruiscono del tempo lungo (Tempo normale) sono 90 su 100, ma quando si accede all’elementare la percentuale precipita al 27%. Il calcolo è abbastanza semplice e dice che circa 150 mila bambini ogni anno restano fuori dal tempo pieno. Ecco spiegate proteste e sorteggi.
I genitori bocciano la Gelmini: no al maestro unico e ai tagli
di Gioia Salvatori *
Le famiglie chiedono il tempo prolungato e bocciano il maestro unico. Vorrebbero che il bambino di sei anni andasse a scuola per 30 ore settimanali o per 40. Il 90 per cento delle famiglie vorrebbe che il figlio passasse in aula ogni mattina e un pomeriggio a settimana o tutte le mattine e tutti i pomeriggi. Lo dicono i dati parziali del ministero dell’Istruzione secondo i quali il 56 % dei genitori, su un campione di 900 scuole, ha scelto le 30 ore e il 34 % le 40. Segno, il trend era chiaro già negli anni precedenti, che la scuola vecchio stile, bambino a scuola 4 ore al giorno per sei giorni a settimana, non va bene per le famiglie di oggi. Meglio 30 ore di lezioni settimanali, secondo il più classico dei modelli del pre- Gelmini: bimbo a scuola la mattina e un pomeriggio o 5 giorni per 6 ore a settimana a seconda dell’organizzazione dell’istituto.
TEMPO PIENO IN FORSE Cosa farà il bambino a scuola durante le 30 ore è un’incognita. Con i tagli di organico e l’abolizione delle ore di mensa e compresenza, infatti, settembre potrebbe riservare sorprese amare. Sorprese di cui, d’altronde, le famiglie, sono state in avvertite: tempi pieni e prolungati, infatti, verranno forniti «compatibilmente con l’organico» recita il modulo d’iscrizione del ministero che, onestamente, mette le mani avanti. Sa, infatti, il ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini, che sarà dura garantire 30 e 40 ore con i tagli in finanziaria pari agli stipendi di 42mila insegnanti.
TAGLI DI ORGANICO Al momento l’unica garanzia è che i bambini non vedranno più due maestri insieme e che ai genitori il modulo unico di 24 ore, scelto solo dal 3 % delle famiglie, non piace. Bocciate anche le 27 ore scelte da un misero 7%. Dati inequivocabili per il responsabile educazione del Pd, Giuseppe Fioroni: «La maggioranza - prosegue Fioroni - ha scelto 30 ore per la prima elementare basandosi sul modello precedente che prevedeva mensa e compresenza di docenti. Sorge spontanea una domanda, come farà questo governo con i tagli economico finanziari e le scelte fatte, a garantire gli standard di qualità a cui i genitori italiani erano abituati?». Il governo ritorna a trenta anni fa e con i tagli di organico è certo che il maestro sarà «prevalente» in tutti le opzioni d’orario come d’altronde, la Gelmini ieri ha ribadito replicando a Fioroni: «Tutti i modelli orari prevedono il maestro unico di riferimento e non solo quello a 24 ore come qualcuno sostiene in maniera imprecisa». Addio compresenza ma, secondo alcuni dirigenti, anche i laboratori articolati: con la diminuzione degli organici non si potrà scegliere, chi è a disposizione completa le ore di lezione fino ad arrivare a 30 o 40, a prescindere dalle competenze. Ci rimetterà la formazione, dunque, e i dirigenti dovranno giocare d’incastro per dare il migliore del servizio, con i pochi docenti a disposizione.
DECIMATI I DOCENTI DI LETTERE I docenti andranno a casa, 30mila già a settembre, si prevede, e tra gli insegnanti di lettere delle medie sarà una strage. Tra tagli sulle ore in cui gli insegnanti erano a disposizione e ore opzionali per le famiglie, vanno a casa 3 insegnanti ogni 6 sezioni. La Gelmini, infatti, non solo ha tagliato le compresenze ma anche l’opzione di fare 11 ore di lettere settimanali anziché nove che, da settembre, saranno l’opzione unica.
* l’Unità, 02 marzo 2009
Viaggio nelle scuole elementari emiliane, che l’Ocse indica come le migliori in assoluto
Tra le maestre imitate in tutto il mondo "Berlusconi ha fatto male i conti"
Bologna, la trincea delle maestre
"Una legge che tocca i figli, tutti la leggono bene, e la propaganda non funziona"
"Nelle nostre aule si mantengono vivi i valori della tolleranza, altrove minacciati"
di Curzio Maltese (la Repubblica, 28.10.2008)
. A New York sono sorte negli ultimi dieci anni scuole materne ed elementari che copiano quelle emiliane perfino negli arredi. Via i banchi, le classi prendono l’aria delle fattorie reggiane che ispirarono Loris Malaguzzi, con i bambini impegnati a impastare dolci sui tavolacci di legno, le foglie appese alle finestre per imparare a conoscere i nomi delle piante.
Si chiama "Reggio approach", un metodo studiato in tutto il mondo, dall’Emilia al West, con associazioni dal Canada all’Australia alla Svezia. Se la scuola elementare italiana è, dati Ocse, la prima d’Europa, l’emiliana è la prima del mondo, celebrata in centinaia di grandi reportage, non soltanto la famosa copertina di Newsweek del ’91 o quello del New York Times un anno fa, e poi documentari, saggi, tesi di laurea, premi internazionali. Non stupisce che proprio dalle aule del "modello emiliano", quelle doc fra Reggio e Bologna, sia nata la rivolta della scuola italiana. La storia dell’Emilia rossa c’entra poco.
A Bologna di rosso sono rimaste le mura, tira forte vento di destra e sul voto di primavera incombono i litigi a sinistra e l’ombra del ritorno di Guazzaloca. «C’entra un calcolo sbagliato della destra, che poi fu lo stesso errore dell’articolo 18», mi spiega Sergio Cofferati, ancora per poco sindaco. «Il non capire che quando la gente conosce una materia, perché la vive sulla propria pelle tutti i giorni, allora non bastano le televisioni, le favole, gli slogan, il rovesciamento della realtà. Le madri, i padri, sanno come lavorano le maestre. E se gli racconti che sono lazzarone, mangiapane a tradimento, si sentono presi in giro e finisce che s’incazzano».
Che maestre e maestri emiliani siano in gamba non lo testimonia soltanto un malloppo alto così di classifiche d’eccellenza, o la decennale ripresa della natalità a Bologna, unica fra le grandi città italiane e nonostante le mamme bolognesi siano le più occupate d’Italia. Ma anche il modo straordinario in cui sono riusciti in poche settimane a organizzare un movimento di protesta di massa. Stasera in Piazza Maggiore, alla fiaccolata per bloccare l’approvazione dei decreti sulla scuola, sono attese decine di migliaia di persone. «È il frutto di un lavoro preparato con centinaia di assemblee e cominciato già a metà settembre, da soli, senza l’appoggio di partiti o sindacati che non si erano neppure accorti della gravità del decreto», dice Giovanni Cocchi, maestro.
Il 15 ottobre Bologna e provincia si sono illuminate per la notte bianca di protesta che ha coinvolto 15 mila persone, dai 37 genitori della frazione montana di Tolè, ai tremila di Casalecchio, ai quindicimila per le strade di Bologna. Genitori, insegnanti, bambini hanno invaso la notte bolognese, ormai desertificata dalle paure, con bande musicali, artisti di strada, clown, maghi, fiaccole, biscotti fatti a scuola e lenzuoli da fantasmini, il logo inventato dai bimbi per l’occasione. Ci sarebbe voluto un grande regista dell’infanzia, un Truffaut, un Cantet o Nicholas Philibert, per raccontarne la meraviglia e l’emozione. C’erano invece i giornalisti gendarmi di Rai e Mediaset, a gufare per l’incidente che non è arrivato.
Perché stavolta la caccia al capro espiatorio non ha funzionato? Me lo spiega la giovane madre di tre bambini, Valeria de Vincenzi: «Non hanno calcolato che quando un provvedimento tocca i tuoi figli, uno i decreti li legge con attenzione. Io ormai lo so a memoria. C’è scritto maestro "unico" e non "prevalente". C’è scritto "24 ore", che significa fine del tempo pieno. Non c’è nulla invece a proposito di grembiulini e bullismo». Il fatto sarà anche che le famiglie vogliono bene ai maestri, li stimano. Fossero stati altri dipendenti statali, non si sarebbe mosso quasi nessuno.
Marzia Mascagni, un’altra maestra dei comitati: «La scuola elementare è migliore della società che c’è intorno e le famiglie lo sanno. Con o senza grembiule, i bambini si sentono uguali, senza differenze di colore, nazionalità, ceto sociale. La scuola elementare è oggi uno dei luoghi dove si mantengono vivi valori di tolleranza che altrove sono minacciati di estinzione, travolti dalla paura del diverso». Come darle torto? Ci volevano i maestri elementari per far vergognare gli italiani davanti all’ennesimo provvedimento razzista, l’apartheid delle classi differenziate per i figli d’immigrati. Rifiutato da tutti, nei sondaggi, anche da chi era sfavorevole alla schedatura dei bimbi rom. «Certo che il problema esiste», mi dicono alla scuola "Mario Longhena", un vanto cittadino, dove è nato il tempo pieno «ma bastava non tagliare i maestri aggiuntivi d’italiano».
E se domani il decreto passa comunque, nel nome del decisionismo a tutti i costi? «Noi andiamo avanti lo stesso», risponde il maestro Mirko Pieralisi. «Andiamo avanti perché indietro non si può. Non vogliono le famiglie, più ancora di noi maestri. Ma a chi la vogliono raccontare che le elementari di una volta erano migliori? Era la scuola criticata da Don Milani, quella che perdeva per strada il quaranta per cento dei bambini, quella dell’Italia analfabeta, recuperata in tv dal "Non è mai troppo tardi" del maestro Manzi».
Ve lo ricordate il maestro Alberto Manzi? Un grande maestro, una grande persona. Negli anni Sessanta fu calcolato che un milione e mezzo d’italiani sia riuscito a prendere la licenza elementare grazie al suo programma. Poi tornò a fare il maestro, allora con la tv non si facevano i soldi. Nell’81 fu sospeso dal ministero per essersi rifiutato di ritornare al voto. Aveva sostituito i voti con un timbro: «Fa quel che può, quel che non può non fa». È morto dieci anni fa. Altrimenti, sarebbe stasera a Piazza Maggiore.
Messaggio al Presidente della Repubblica: NON FIRMI IL DECRETO GELMINI!
Scriviamo tutti insieme al Presidente della Repubblica
Scriviamo al Presidente della Repubblica chiedendo di non firmare il decreto Gelmini; sul sito del Quirinale stanno arrivando migliaia di questi messaggi!
https://servizi.quirinale.it/webmail/
IO L’HO FATTO!
ECCO IL TESTO:
Esimio Presidente della Repubblica, come docente/genitore e soprattutto cittadino italiano le chiedo di fermare lo smantellamento della scuola pubblica ad opera del Decreto Legge 137.
In fede
Firma
La protesta di migliaia di ragazzi, 300mila secondo l’Uds. Numerose manifestazioni contro il
ministro Gelmini. Lo slogan: "Non è che l’inizio"
Studenti in piazza in tutta Italia
Cortei a Roma, Milano e in 100 città
Contro il decreto la Toscana ricorre alla Corte Costituzionale
ROMA - "Non è che l’inizio": questo striscione ha aperto questa mattina i cortei in più di cento città d’Italia organizzati dall’Unione degli studenti contro il decreto Gelmini. Manifestazioni a suon di musica, con tanti ragazzi che hanno portato chitarre, tamburi e fischietti ’’per suonarle alla Gelmini’’. Trecentomila i giovani che hanno aderito secondo l’Uds che ha fornito dati dettagliati anche per le singole città: a Roma in 40.000 hanno preso parte alla manifestazione, 30mila a Milano, 40mila a Napoli e altrettanti a Torino, 15mila a Salerno, Firenze e Genova, 10mila a Bologna, Bari e Trieste, 2mila a Brindisi, 3mila a Bergamo. Altre migliaia di studenti hanno manifestato nelle altre città.
Gli studenti sono scesi in piazza per protesta contro il ministro dell’Istruzione e per replicare con cinque no alle innovazioni e ai provvedimenti più contestati: i tagli per 8 miliardi di euro all’istruzione con la conseguente riduzione del personale docente e non, il maestro unico, l’abbassamento dell’obbligo scolastico dai 16 anni ai 14, i finanziamenti alle strutture private e il voto in condotta. L’Unione degli studenti, che ha promosso la protesta, ha reso noto che il 30 ottobre sarà di nuovo in piazza accanto ai lavoratori delle scuole nello sciopero generale proclamato dai sindacati. La mobilitazione degli studenti, ha concluso l’Uds, culminerà nella settimana del 17 novembre, giornata internazionale di mobilitazione studentesca. In molte città, le manifestazioni si sono svolte insieme agli studenti universitari (Udu), anch’essi critici verso le iniziative dell’esecutivo nei confronti degli atenei; contestano, in particolare, il numero chiuso, il blocco delle assunzioni, le poche risorse.
A Roma gli studenti si sono dati appuntamento in piazza di Porta San Paolo dove verso le 10 è partito il corteo diretto al ministero della Pubblica istruzione in viale Trastevere. Fuori dalla sede i ragazzi hanno occupato le scalinate del palazzo ballando e cantando a ritmo di musica, ma anche protestando attraverso microfoni e megafoni mentre una delegazione di cinque rappresentanti è stata ricevuta all’interno da due dirigenti. Numerosi gli slogan cantati dagli studenti tra cui "Gelmini ministro della d-istruzione" e "Chi non salta la Gelmini è". Nel corteo bandiere, striscioni, cori e volantini contro il governo, il ministro Gelmini e il sindaco di Roma Alemanno.
Anche a Milano lo striscione "Non è che l’inizio" apre il corteo, accompagnato da un furgone che diffonde musica a pieno volume dietro al quale migliaia di ragazzi delle scuole superiori sono partiti verso il parco Ravizza, nei pressi del provveditorato agli studi di Milano in via Ripamonti. La proposta pensata per arginare il fenomeno del bullismo è stato protagonista di numerosi cori: "Con il voto di condotta - gridano gli studenti - ci tappano la bocca". A Milano, a testimoniare i possibili effetti della riforma, in testa al corteo viene trasportata da due giovani una bara nera con la scritta "scuola".
Anche a Napoli migliaia di studenti hanno aderito al corteo di protesta partito da piazza Garibaldi. A Palermo gli studenti si sono dati appuntamento in piazza Politeama, da lì è partito il corteo verso la prefettura, a suon di musica e slogan scanditi o impressi sugli striscioni, per chiedere un incontro con il prefetto Giancarlo Trevisone, cui chiederanno di farsi portavoce del malessere della scuola e degli studenti palermitani. Promotori della manifestazione sono la Rete Degli Studenti e i Giovani Comunisti che parlano di "demolizione della scuola pubblica" riportata "a quarant’anni fa attraverso il ripristino dei grembiuli alle elementari, del maestro unico e del 5 in condotta".
A Genova i giovani di una quindicina di scuole superiori, mobilitati dall’Unione e dal Coordinamento degli studenti, hanno sfilato in corteo fino a raggiungere l’ufficio scolastico regionale in via Assarotti, provocando anche disagi alla circolazione stradale. Nel corso della manifestazione, tra striscioni quali "Scuole come prigioni ci avete rotto i ...", ci sono stati numerosi lanci di fumogeni, sono volati insulti contro il ministro e slogan come "Se non cambierà lotta dura sarà". Alcuni indossavano una maglietta "Moratti+Fioroni+Gelmini= scuola senza cervelli".
A Firenze una bara nera con il necrologio "Qui giace l’università pubblica" ha sfilato in corteo per le vie del centro insieme agli studenti che urlavano slogan "contro la scuola dell’indecenza ora e sempre Resistenza" e poi ancora "non chino la testa continuo la protesta". Studenti liceali, universitari, dottorandi e ricercatori tutti insieme a urlare "contro la 133 tutti uniti senza bandiere né partiti". Hanno sfilato anche studenti liceali col grembiule nero e ricercatori in camice bianco con il lutto al braccio.
E sempre a Firenze l’assessore toscano all’istruzione, formazione e lavoro, Gianfranco Simoncini, ha ribadito oggi che farà ricorso alla Corte Costituzionale per difendere le proprie competenze in materia di istruzione. "E’ un atto arrogante, irresponsabile, irrispettoso e illegittimo, contro il quale ci opporremo con ogni mezzo, compreso il ricorso alla Corte Costituzionale" ha commentato Simoncini a proposito dell’articolo 3 del decreto legge 154 con il quale il governo impone alle Regioni di attenersi alle sue recenti decisioni per quanto riguarda il dimensionamento scolastico, dà loro una scadenza ravvicinata (il 30 novembre) e prevede, per le Regioni inadempienti, il ricorso al commissariamento. Le Regioni e gli Enti locali che ancora non lo hanno fatto avrebbero appena quindici giorni di tempo per mettersi in linea con i parametri, come noto molto restrittivi, della legge 133 dello scorso agosto, parametri che si prevede produrranno consistenti tagli al numero di scuole e classi.
* la Repubblica, 10 ottobre 2008.
Assemblea delle scuole del milanese
DICONO CHE UNA BUONA SCUOLA PER TUTTI E PER TUTTE È UN LUSSO CHE NON CI POSSIAMO PERMETTERE.
E I BAMBINI E LE BAMBINE? BASTA CHE SAPPIANO LEGGERE, SCRIVERE
E FAR DI CONTO.
PER QUESTO HANNO DECISO DI DISTRUGGERE
LA SCUOLA DELLA COSTITUZIONE.
NOI NON CI STIAMO
La mappa della protesta
Università, cortei e occupazioni
Scuola, migliaia di email al Quirinale: non firmi il decreto. Napolitano: decide l’Aula
MILANO - Alle 11, davanti all’università Statale di Milano, gli studenti «contestatori» sono un centinaio. Raggiungono i piani alti dell’ateneo. Per un’ora occupano l’ufficio del rettore, Enrico Decleva. Gli chiedono (senza riuscirci) di firmare contro «la scure della coppia Tremonti-Gelmini», pena lo stop alle lezioni. Anche Roma protesta: «Blocco dell’anno accademico», annunciano i collettivi della Sapienza occupando la presidenza di Scienze. E così fanno Torino, Napoli, Palermo. No ai tagli all’università. Ma anche il mondo della scuola torna (di nuovo) a farsi sentire. Con una valanga di email che da qualche giorno sta intasando il sito del presidente della Repubblica: «No al maestro unico». Una giornata per contestare il crollo dei finanziamenti destinati ad atenei e accademie, la riduzione delle borse di studio, la «precarizzazione» del corpo docente. No alla legge 133/2008. Lo gridano gli studenti, lo ripetono ricercatori, dottorandi, assegnisti, professori. Di tutta Italia.
Tanto da azzardare un paragone: il 2008 come il ’68? Presto per dirlo. Ma le premesse, giurano in molti, ci sono tutte. Le proteste: blocco della didattica a Firenze e Napoli, stop alle cerimonie di apertura dell’anno accademico a Torino, volantinaggi con conseguenti ingorghi del traffico a Parma, consigli straordinari a Pisa, lezioni all’aperto a Palermo, raccolte di firme a Roma. A Cagliari i docenti hanno consegnato le rinunce agli incarichi di presidenza, mentre negli atenei calabresi è stato proclamato lo stato di agitazione. I
l mondo dell’istruzione mobilitato: un tam-tam che passa per le aule, tocca le famiglie, scova professori, raggiunge riunioni di Senato Accademico (oggi a Milano è previsto l’«assalto» da parte dei ragazzi e dei ricercatori). E arriva fino al Quirinale. Via internet. Il ritmo è di una email ogni due-tre minuti (c’è quella inviata dalla scrittrice Dacia Maraini). Il testo: «Presidente Napolitano non firmare la legge Gelmini sul maestro unico». Un appello senza precedenti: migliaia di sms che da qualche giorno rimbalzano sui telefonini di tutto il Paese. Istruzioni: «Vai sul sito www.quirinale.it e scrivi al presidente della Repubblica di non firmare il decreto Gelmini».
Qualcuno altro si è spinto oltre: «Se raggiungeremo quota ventimila mail, il capo dello Stato dovrà tenere conto del nostro appello». Ipotesi remota. Anzi, Napolitano è stato costretto a ricordare, pubblicamente, i suoi compiti. «La riforma della scuola è ancora all’esame del Parlamento. Inoltre, secondo la Costituzione, è proprio del Parlamento la responsabilità delle scelte politiche». E dunque: «Il presidente ha, in ogni caso, l’obbligo di promulgare le leggi, qualora le stesse siano nuovamente approvate, anche nel medesimo testo».
Altra protesta virtuale, altrettanto veloce e numerosa: su Facebook sono più di undicimila gli italiani che hanno aderito all’iniziativa di sostegno all’istruzione pubblica contro la legge 133. Le motivazioni: «Questo governo vuole ridurre i fondi alle università di 500 milioni di euro nei prossimi tre anni, limitare il turnover al 20 per cento dei pensionamenti provocando un’inevitabile fuga di cervelli».
Elementari, medie, accademie. La rivolta cresce. Dagli Stati Generali degli atenei agli scioperi di venerdì 17 e di giovedì 30. Perfino Alessandro Mazzucco, rettore a Verona, osserva: «Se le cose continueranno a seguire questa direzione, nel 2010 tutte e 66 le università statali italiane saranno in emergenza».
Alessandra Arachi
Annachiara Sacchi
* Corriere della Sera, 14 ottobre 2008
’’Migliaia di scuole resteranno chiuse’’
Scuola, ’’venerdì una marea in sciopero e in corteo’’
Lo annunciano i Cobas: ’’Attesi a Roma centinaia di pullman, treni e navi. Molti operai sciopereranno in difesa dei salari, dei servizi pubblici e contro lo scandalo delle morti bianche’’
Roma, 15 ott. (Adnkronos) - ’’Lo sciopero generale del 17 ottobre sarà il più partecipato di tutta la storia del sindacalismo antagonista e la manifestazione nazionale di Roma (da piazza della Repubblica, ore 10, a S.Giovanni) la più grande che abbiamo mai organizzato’’.
Così il portavoce nazionale dei Cobas della Scuola, Piero Bernocchi, parla della mobilitazione prevista per dopodomani sottolineando come ’’da tutta Italia una marea di lavoratori e lavoratrici convergerà a Roma con centinaia di pullman, treni, navi e con migliaia di automezzi privati’’.
’’Massiccia - prosegue Bernocchi - sarà sopratutto la presenza del popolo della scuola pubblica, docenti, Ata, studenti, genitori e cittadini impegnati a difendere e a migliorare la scuola, a impedirne la distruzione programmata da Tremonti-Gelmini, i catastrofici tagli di duecentomila posti di lavoro, di scuole, classi, orari, la riesumazione della anacronistica ’maestra unica’, l’espulsione in massa dei precari.
Migliaia di scuole resteranno chiuse e la maggioranza di docenti ed Ata non farà per 24 ore lezione’’. ’’Essi -aggiunge il leader dei Cobas- si raccoglieranno in testa al corteo, che sara’ aperto dallo striscione ’Basta con la distruzione di lavoro, salari, scuola e servizi pubblici’ e da uno spezzone unitario con le bandiere e gli obiettivi delle tre organizzazioni promotrici (Cobas, Cub e SdL). Il popolo della scuola pubblica sfilerà dietro lo striscione ’No alla distruzione della scuola’’’.
’’Insieme ad esso -prosegue Bernocchi- saranno in piazza tantissimi lavoratori/trici che trovano intollerabile che il governo, mentre decide di investire somme stratosferiche per salvare le banche fraudolente e i banchieri corsari, continui a tagliare posti di lavoro, salari, scuola e servizi pubblici. Oltre alla scuola, lo sciopero coinvolgerà sopratutto il pubblico impiego e i trasporti: nelle citta’ i mezzi pubblici si fermeranno con modalità differenti (a Roma dalle 8.30 alle 16.30), i ferrovieri dalle 9 alle 17, il trasporto marittimo dalle 8 alle 16, quello aereo tra le 10 e le 18’’.
’’Ma anche molti operai sciopereranno in difesa dei salari, della scuola e dei servizi pubblici, contro l’orrenda strage che ogni giorno gli omicidi ’bianchi’ compiono nei posti di lavoro. Sarà una grande iniezione di fiducia -conclude Bernocchi- per quei milioni di cittadini/e che vogliono invertire radicalmente le catastrofiche politiche liberiste che da decenni provocano l’impoverimento dei salariati e dei pensionati e la disgregazione della Stato sociale, della scuola e dei servizi pubblici’’.
Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (Adsn), a Roma l’11 febbraio 1950
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.
Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.
Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.
Pubblicato nella rivista Scuola Democratica, 20 marzo 1950
SCUOLA: SCIOPERO GENERALE IL 30 OTTOBRE *
ROMA - Sciopero generale della scuola giovedì 30 ottobre. Lo hanno deciso i sindacati di categoria per protestare contro i provvedimenti varati dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini.
ANSA» 2008-10-09 11:44 (Per ulteriori aggiornamenti, cliccare su ANSA rosso).
l’Unità 9.10.2008
Scuola, contro la Gelmini sarà sciopero generale
di Giuseppe Vittori
Approvato dall’aula, il decreto Gelmini «sul maestro unico» è invece bocciato dal mondo della scuola che si prepara a scendere in piazza rispondendo all’appello dei sindacati. Ieri sera Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda hanno deciso lo sciopero generale. Per conoscere la data della mobilitazione bisognerà però aspettare l’esito del tentativo di conciliazione previsto oggi al Miur. Un appuntamento, quello messo in cantiere dai sindacati di categoria, al quale si arriva dopo una marcia di avvicinamento cominciata già da settimane e costellata da sit-in davanti al ministero, iniziative spontanee di protesta, occupazioni, «notti bianche», dal Nord al Sud della penisola.
Domani un assaggio del malcontento arriverà ancora dagli studenti che manifesteranno in decine di città. «L’approvazione del voto di fiducia alla Camera sul decreto Gelmini - spiega l’Unione degli studenti - rappresenta un ulteriore atto antidemocratico di un governo che elude le tante manifestazioni di dissenso e con violenza prova ad affermare il proprio autoritarismo. Per questo domani porteremo in piazza tutta un’altra musica, alle 70 manifestazioni da noi organizzate». «Ci mobilitiamo - spiega un’altra associazione studentesca, la Rete degli studenti - contro i tagli di 8 miliardi di euro alla scuola pubblica, che è la vera riforma messa in campo dal governo Gelmini-Tremonti-Berlusconi. Contro un governo che conta balle, per rivelare la verità all’opinione pubblica».
Dai ragazzi la contestazione passerà quindi nelle mani del sindacalismo di base: i Cobas guidati da Piero Bernocchi, tra i primi, hanno proclamato uno sciopero, in calendario per il 17 ottobre. Insomma, il fronte della protesta è ampio e non si ferma certo alla scuola. Anche le università sono in subbuglio per i tagli previsti in Finanziaria.
L’ateneo di Firenze è in prima linea: dopo l’occupazione delle aule del polo scientifico di Sesto Fiorentino e della facoltà di agraria, ieri si è passati al volantinaggio e agli striscioni srotolati dai ponti Santa Trinità e Carraia contro tagli e privatizzazione; e domani si farà lezione per strada. Anche a Pisa ieri assemblea in piazza: circa 3.000 persone fra ricercatori, impiegati amministrativi e tecnici precari, più studenti e professori, si sono ritrovati in piazza dei Cavalieri per discutere dei provvedimenti presi dal governo, a partire dal precariato. Proteste anche nella Capitale, dove, dopo una settimana di agitazione, sono scesi di nuovo in piazza i precari degli enti pubblici di ricerca, per protestare, sotto il ministero dell’Istruzione, contro l’emendamento che sopprime di fatto le stabilizzazioni.
Intanto, ieri la Camera si è dedicata all’esame dei 242 ordini del giorno, per la maggior parte presentati dall’opposizione, al decreto legge Gelmini. Oggi pomeriggio è previsto il voto finale sul provvedimento che dovrà, poi, passare al Senato.
In piazza contro la riforma del maestro unico voluta dalla Gelmini
Decisione unitaria dei sindacati. La data si conoscerà domani, forse il 30
Scuola, i sindacati hanno deciso
Anche l’Università in lotta. Firenze in prima linea
Brunetta ai prof: guadagnate troppo
"Sarà sciopero generale"
di Mario Reggio
ROMA - La scuola scende in piazza. Ieri sera i segretari di Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda hanno raggiunto l’accordo. Sciopero nazionale e manifestazione a Roma. La data sarà ufficializzata oggi, dopo il tentativo di conciliazione al ministero della Pubblica Istruzione. Ma probabilmente sarà giovedì 30 ottobre. Oggi alla Camera il voto di fiducia sul decreto Gelmini. Poi il provvedimento passerà al Senato. Una vera corsa contro il tempo perché, per diventare legge, dovrà essere approvato entro e non oltre il 31 ottobre. Domani saranno gli studenti della "Rete" a scendere in piazza in settanta città, «contro i tagli di 8 milioni di euro, contro un governo che racconta balle, per rivelare la verità all’opinione pubblica».
In attesa delle manifestazioni e del voto di fiducia il ministro Renato Brunetta ha deciso di gettare benzina sul fuoco. «I nostri insegnanti lavorano poco, quasi mai sono aggiornati e in maggioranza non sono neppure entrati per concorso - afferma - ma grazie a sanatorie. E poi 1.300 euro sono comunque due milioni e mezzo di vecchie lire, oggi l’insegnamento è part-time e come tale è ben pagato». Piero Bernocchi, portavoce dei Cobas della scuola, risponde per le rime: «Senti chi parla, Brunetta da docente universitario prende quattro volte lo stipendio di un insegnante di scuola e ha un orario molto più ridotto. Parla delle ore di insegnamento ma si scorda quelle che il docente impegna per preparare le lezioni, aggiornarsi e valutare gli studenti. La sua uscita bizzarra contribuirà al successo del nostro sciopero e della manifestazione del 17 ottobre a Roma».
Maria Pia Garavaglia, ministro ombra dell’Istruzione del Pd, invita Brunetta «ad avere maggior rispetto per chi lavora nel mondo della scuola. Il governo la finisca con questa opera diffamatoria e metta a disposizione i fondi, invece di tagliarli». Secondo Giorgio Rembado, presidente dell’associazione nazionale presidi, «lavorano poco i docenti che lavorano male. Chi prepara le lezioni, si aggiorna e corregge i compiti facendolo con coscienza fa un lavoro a tempo pieno. Bisogna rivedere le modalità di reclutamento, legando l’assunzione a criteri meritocratici ed eliminando le graduatorie che prevedono che si faccia carriera per anzianità e non per le abilità conseguite». Ma il fronte di protesta non si ferma alla scuola. L’ateneo di Firenze è in prima linea: dopo l’occupazione delle aule del polo scientifico di Sesto Fiorentino e della facoltà di agraria, ieri si è passati al volantinaggio e agli striscioni srotolati dai ponti Santa Trinità e Carraia. Anche a Pisa oggi assemblea in piazza: circa 3.000 persone fra ricercatori, impiegati amministrativi e tecnici precari. Proteste anche nella capitale, dove, dopo una settimana di agitazione, sono scesi di nuovo in piazza i precari degli enti pubblici di ricerca, per protestare, sotto il ministero dell’Istruzione, contro l’emendamento che sopprime di fatto le stabilizzazioni.
Ansa» 2008-10-03 19:44
SCUOLA: PROTESTE A MILANO E ROMA, CISL MINACCIA SCIOPERO
ROMA - Non si fermano le proteste del mondo della scuola e delle opposizioni contro il piano del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, difesa a spada tratta dalla maggioranza, anche se non mancano i distinguo, soprattutto nel centrodestra a livello locale. In una giornata che ha visto gli studenti scendere in piazza a Milano e a Roma, dove davanti a Viale Trastevere hanno manifestato anche gli Unicobas e l’Italia dei Valori, c’é da registrare il forte malumore della Cisl che si è detta pronta allo sciopero, dopo l’altolà posto dal leader della Cgil, Guglielmo Epifani, sabato scorso.
Davanti alla sede del ministero si sono concentrati gli insegnanti degli Unicobas, che hanno protestato contro "questo ministro che vuole reintrodurre insieme al maestro unico il pensiero unico, con un meccanismo autoritario che porta a una scuola di regime". Parole condivise da Antonio Di Pietro, leader dell’Idv che ha organizzato il sit in con gli Unicobas: "La destra è convinta che può decidere senza ascoltare nessuno come succedeva nel ventennio e che il popolo obbedisce di conseguenza. Questo sta facendo la Gelmini".
Qualche momento di tensione si è avuto quando un gruppo di studenti ha criticato proprio Di Pietro: "Questa manifestazione è auto-organizzata e non ci devono essere bandiere di partito". A Milano, al grido di "Gelmini noi ti bocciamo", hanno protestato un migliaio di ragazzi delle scuole superiori organizzati dal Coordinamento dei comitati studenteschi: sotto accusa "tagli per 8 miliardi di euro in tre anni, riduzione del personale docente e non, voto in condotta, conferma degli esami di riparazione, buoni scuola per le private e "una scuola sempre più simile a una azienda".
In attesa della mobilitazione in 40 città organizzata dall’Unione degli Studenti per il 10 ottobre e della manifestazione nazionale dei Cobas di una settimana dopo, resta alta la tensione anche a livello dei sindacati confederali. Dopo l’annuncio della disponibilità della Cgil per uno sciopero generale, anche la Cisl si è detta pronta allo sciopero se il Governo non si siederà ad un tavolo di discussione con le forze sociali, le Regioni ed i Comuni sulla riforma della Scuola.
Lo ha annunciato il segretario nazionale della Cisl, Raffaele Bonanni: "Siamo d’accordo con quello che ha detto il Presidente della Repubblica: le riforme - ha detto Bonanni - vanno fatte ma devono sempre rafforzare il diritto allo studio e ogni cittadino deve esser messo in grado di essere pari ad un altro. La fretta del Governo testimonia che non si vuole discutere per tagliare e non render conto di un servizio che và riformato ma anche meglio garantito".
Mentre la Camera ha concluso il dibattito generale sugli emendamenti al decreto Gelmini (il testo tornerà all’esame dell’aula lunedì con le votazioni sugli emendamenti e sugli articoli e la possibile fiducia) la politica si divide nettamente pro e contro la riforma. Anche se non mancano i distinguo nel centrodestra a livello locale "Se toccano una sola scuola della Valsesia mi farò incatenare ai cancelli del ministero a Roma" ha detto il presidente del Consiglio provinciale di Vercelli, Piero Bondetti, della Lega Nord Piemonte.
CITTADINANZA E COSTITUZIONE (Cliccare sul rosso, per leggere i testi integrali.
" (...) E considero positiva e importante la decisione annunciata dal ministro Gelmini di avviare - nel primo e nel secondo ciclo di istruzione - la sperimentazione di una nuova disciplina dedicata ai temi "Cittadinanza e Costituzione". Mi auguro che si consolidi una concreta e impegnativa scelta in questo senso.
Perché, cari ragazze e ragazzi, e cari insegnanti, la Costituzione costituisce la base del nostro stare insieme, come italiani, nel rispetto di tutte le diversità, le esigenze e le opinioni, ma nel comune rispetto di principi e regole fondamentali.
Lo stesso senso della Patria che ci unisce, che ci deve unire, trova il suo ancoraggio, nel presente storico che viviamo, negli indirizzi e nelle istituzioni della solenne Carta entrata in vigore sessant’anni orsono (...) (Sito del Presidente della Repubblica).
MA...L’"ORA DI COSTITUZIONE" NON C’E’ PIU’!!! (ESECUTIVO NAZIONALE DI PROTEO FARE SAPERE)
DECRETO-LEGGE 1 settembre 2008, n. 137
Disposizioni urgenti in materia di istruzione e universita’. (GU n. 204 del 1-9-2008 )
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;
Ritenuta la straordinaria necessita’ ed urgenza di
attivare
percorsi di istruzione di insegnamenti relativi alla cultura della
legalita’ ed al rispetto dei principi costituzionali,
disciplinare le
attivita’ connesse alla valutazione complessiva del comportamento
degli studenti nell’ambito della comunita’ scolastica,
reintrodurre
la valutazione con voto numerico del rendimento scolastico degli
studenti,
adeguare la normativa regolamentare all’introduzione
dell’insegnante unico nella scuola primaria,
prolungare i tempi di
utilizzazione dei libri di testo adottati,
ripristinare il valore
abilitante dell’esame finale del corso di laurea in scienze della
formazione primaria e semplificare e razionalizzare le procedure di
accesso alle scuole di specializzazione medica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 28 agosto 2008;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e l’innovazione;
E m a n a
il seguente decreto-legge:
Art. 1.
Cittadinanza e Costituzione
1. A decorrere dall’inizio dell’anno scolastico 2008/2009, oltre ad una sperimentazione nazionale, ai sensi dell’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, sono attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione nel primo e nel secondo ciclo di istruzione delle conoscenze e delle competenze relative a «Cittadinanza e Costituzione», nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse. Iniziative analoghe sono avviate nella scuola dell’infanzia.
2. All’attuazione del presente articolo si provvede entro i limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Art. 2. Valutazione del comportamento degli studenti
1. Fermo restando quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni, in materia di diritti, doveri e sistema disciplinare degli studenti nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado, in sede di scrutinio intermedio e finale viene valutato il comportamento di ogni studente durante tutto il periodo di permanenza nella sede scolastica, anche in relazione alla partecipazione alle attivita’ ed agli interventi educativi realizzati dalle istituzioni scolastiche anche fuori della propria sede.
2. A decorrere dall’anno scolastico 2008/2009, la valutazione del comportamento e’ espressa in decimi.
3. La votazione sul comportamento degli studenti, attribuita collegialmente dal consiglio di classe, concorre alla valutazione complessiva dello studente e determina, se inferiore a sei decimi, la non ammissione al successivo anno di corso o all’esame conclusivo del ciclo. Ferma l’applicazione della presente disposizione dall’inizio dell’anno scolastico di cui al comma 2, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca sono specificati i criteri per correlare la particolare e oggettiva gravita’ del comportamento al voto insufficiente, nonche’ eventuali modalita’ applicative del presente articolo.
Art. 3. Valutazione del rendimento scolastico degli studenti
1. Dall’anno scolastico 2008/2009, nella scuola primaria la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite e’ espressa in decimi ed illustrata con giudizio analitico sul livello globale di maturazione raggiunto dall’alunno.
2. Dall’anno scolastico 2008/2009, nella scuola secondaria di primo grado la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite e’ espressa in decimi.
3. Sono ammessi alla classe successiva, ovvero all’esame di Stato a conclusione del ciclo, gli studenti che hanno ottenuto un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline.
4. L’articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e’ abrogato e all’articolo 177 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) i commi 2, 5, 6 e 7, sono abrogati;
b) al comma 3, dopo le parole: «Per la valutazione» sono inserite
le seguenti: «, espressa in decimi,»;
c) al comma 4, le parole: «giudizi analitici e la valutazione
sul» sono sostituite dalle seguenti: «voti conseguiti e il»;
d) l’applicazione dei commi 1 e 8 dello stesso articolo 177 resta
sospesa fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al
comma 5;
e) e’ altresi’ abrogata ogni altra disposizione incompatibile con
la valutazione del rendimento scolastico mediante l’attribuzione di
voto numerico espresso in decimi.
5. Con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca, si provvede al coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli studenti e sono stabilite eventuali ulteriori modalita’ applicative del presente articolo.
Omissis artt 4,5,5,7.............................
Art. 8. Norme finali
1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara’ presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addi’ 1° settembre 2008
NAPOLITANO
Berlusconi, Presidente del Consiglio
dei Ministri
Gelmini, Ministro dell’istruzione,
dell’universita’ e della ricerca
Tremonti, Ministro dell’economia e
delle finanze
Brunetta, Ministro per la pubblica
amministrazione e l’innovazione
Visto, il Guardasigilli: Alfano
Con i criteri di calcolo del Piano programmatico del ministri
7.000 delle 14.000 cattedere da eliminare sono nel Meridione
Maestro unico, toccherà il Sud
il 50% dei tagli della Gelmini
di SALVO INTRAVAIA *
Sarà il Sud a pagare il prezzo del "maestro unico" reintrodotto dalla Gelmini. Negli ambienti politici e sindacali la voce circola da giorni e basta fare due conti per rendersi conto che, in effetti, usando gli stessi criteri di calcolo contenuti nel Piano programmatico messo a punto dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, e dal collega dell’Economia, Giulio Tremonti, saranno le regioni meridionali a rimetterci di più in termini di posti di lavoro e servizio scolastico.
Se, come è scritto nel Piano che taglierà 87.000 posti di lavoro in tre anni, il ridimensionamento colpirà le sole classi a tempo normale, il Sud dovrà dire addio a 7.000 delle 14.000 cattedre messe in conto dal governo: il 50 per cento. Nell’Italia centrale Toscana, Lazio, Umbria, Marche sacrificheranno sull’altare delle economie 2.250 cattedre e le sei regioni settentrionali 4.700: un terzo dell’intero balzello.
Domani mattina, in aula alla Camera approda il decreto-legge 137, quello che ha reintrodotto il maestro unico e i deputati del Pd stanno affilando le armi.
"Il duo Tremonti-Gelmini - dichiara Alessandra Siragusa, deputato siciliano del Partito democratico - mira a distruggere la scuola del Sud: secondo i numeri in nostro possesso, in Sicilia e Campania il giochetto del maestro unico costerà 4 mila dei 14 mila posti che il governo intende tagliare. E a parte il taglio dei posti di lavoro la manovra determinerà una contrazione del servizio scolastico. Con 24 ore di lezione in sei giorni i bambini della scuola elementare uscirebbero ogni giorno alle 12.30: non so se le famiglie sono a conoscenza di tutto questo".
Il dibattito parlamentare si annuncia lungo e acceso. "Presenterò tre emendamenti - aggiunge la parlamentare dell’opposizione - che mirano ad allungare il tempo scuola nelle zone in cui la dispersione scolastica è elevata e nelle realtà dove le carenze degli edifici scolastici non consente il tempo pieno".
Secondo i calcoli contenuti nel Piano-Gelmini il maestro unico colpirà soprattutto le 103 mila classi che in Italia funzionano a tempo normale (27 ore a settimana). Tempo normale alla scuola primaria che, per ragioni spesso legate a carenze strutturali determinate dalla mancanza di locali idonei per essere adibiti a refettori/mense, è parecchio diffuso al Sud e molto meno al Nord. Tanto per non restare sul vago, regioni come Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna viaggiano con tassi di tempo prolungato (di 40 ore a settimana), che per stessa ammissione del ministro Gelmini non verranno "toccati", variabili tra il 45 e il 39 per cento. Sicilia e Campania sono attorno al 4 per cento.
* la Repubblica, 28 settembre 2008
Se la scuola ritorna all’età della pietra
di Cristina Di Geronimo (l’Unità, 28.09.2008)
Il primo grande errore che si compie in Italia quando i media affrontano il tema della scuola, sotto la spinta di iniziative legislative, è quello di parlarne al singolare. Molto più corretto sarebbe parlare di scuole, sia in senso verticale che orizzontale, cioè per ordini e anche per distribuzione territoriale nello stesso ordine (basti pensare alla diffusione del tempo pieno al centro- nord e al ritardo del sud). Gli ordini di scuola, infatti, sono molto diversi fra loro per storia, tradizione culturale e caratteristiche del personale docente. Per l’ultimo aspetto basti pensare alle competenze pedagogiche e didattiche degli insegnanti di scuola materna ed elementare e all’assoluta assenza di tali competenze nella formazione dei docenti delle scuole medie e superiori.
Questo aspetto, estremamente trascurato, è a fondamento della riconosciuta efficienza dei primi due ordini di scuola, materna ed elementare. C’è poi l’elemento della «missione» dei vari ordini di scuola. Detto più semplicemente, dei Programmi scolastici. Fermandoci solo alla scuola elementare, e alla discussione intorno al maestro unico, sarebbe importante, prima di stabilire quanti ne occorrono, conoscere i Programmi scolastici, cioè cosa lo Stato chiede agli insegnanti di insegnare e agli alunni di apprendere.
Quelli attualmente in vigore si titolano «Indicazioni nazionali» e sono un allegato al Decreto legislativo di riordino dei cicli n. 59/04 a firma Letizia Moratti. Sarebbe un dovere, per tutti coloro che vogliono parlare di scuola elementare, leggerli. Basterebbe l’esempio della disciplina nuova «Cittadinanza e Costituzione», recentemente introdotta per Decreto Legge. Nelle «Indicazioni» di cui sopra, si chiama «Educazione alla Convivenza civile» e comprende educazione alla cittadinanza (Costituzione, carte dei diritti, concetti di diritto/dovere ecc.) educazione stradale, ambientale, alla salute, alimentare e all’affettività.
Ecco le altre discipline: religione cattolica (non obbligatoria), italiano, inglese, storia, geografia, matematica, scienze, tecnologia e informatica (uno degli obiettivi della classe prima elementare: utilizzare il computer per eseguire semplici giochi anche didattici - accendere e spegnere la macchina con le procedure canoniche, attivare il collegamento a Internet - Accedere ad alcuni siti Internet, ad esempio quello della scuola) arte e immagine, scienze motorie e sportive, musica. Tutte le discipline si sviluppano su obiettivi per i cinque anni ed,inoltre, si richiede, in premessa, ai docenti di elaborare, per singoli alunni il «Piano di studio personalizzato che resta a disposizione delle famiglie e da cui si ricava anche la documentazione utile per la compilazione del Portfolio delle competenze individuali».
Ora, la domanda è la seguente: bastano 24 ore settimanali ed un unico docente per raggiungere almeno una parte degli obiettivi prescrittivi dei programmi statali? No, non bastano. Per coerenza, allora, si dovrebbe avere il coraggio, e contemporaneamente, di tornare indietro tutta. Ripristinare i programmi del 1945, che, fra l’altro, furono ispirati al lavoro di una commissione presieduta, già nel 1943, dal grande pedagogista americano Washburne, seguace di Dewey, e che sono chiari anche nelle indicazioni su cosa si richiede alla fine della quinta elementare. Più moderni anche, nell’aspetto valutativo: «...questo esame, ridotto nel numero delle materie e dei programmi, acquisterà maggior valore se,....più che del voto per ogni materia... si terrà conto del giudizio complessivo da cui apparirà la personalità, appena in formazione, dell’uomo e del cittadino di domani». E poi bisognerà ridare alle nostre maestre penne rosse e blu, ceci e bacchetta, libertà di bocciare chi non studia, senza sottoscrivere patti di corresponsabilità con nessuno.
In conclusione, c’è da augurarsi almeno che la scuola elementare non vada a pescare principi e valori più indietro del 1945! Dico questo perché, più della crisi economica e quindi della necessità dei tagli (sarebbe stato meglio tagliare le spese per la politica) è preoccupante il clima culturale così dispregiativo nei confronti di chi prende nelle mani il destino delle nuove generazioni. Il ministro continua a ripetere che vuole eliminare le «compresenze», facendo credere che tutti i giorni vi siano tre maestre in una sola classe, magari anche solo composta di dieci alunni. In realtà, molto spesso i maestri vengono utilizzati per prolungare il tempo scolastico previsto per i rientri pomeridiani. Il famoso modulo tre su due o quattro su tre non esiste più da anni.
Esiste invece un maestro prevalente, affiancato da altre figure la cui presenza varia in realzione all’orario scolastico. Le ore di vera compresenza non sono mediamente più di tre a settimana per classe, al contario di quanto si va dicendo. Gli organici degli insegnanti sono assegnati infatti sul numero degli alunni e delle classi, e naturalmente sul tempo scuola previsto. Il tempo scuola obbligatorio era di 27 ore settimanali elevabile fino a 36 con la Riforma del 1990, con la Moratti è diventato 27 più 3 opzionali, e poi, con Fioroni, sono rimaste 30 obbligatorie senza opzioni da parte dele famiglie. Ridurre il tempo scuola a 24 ore obbligatorie è l’unico modo per consentire la riduzione dei posti, e dunque l’applicazione della «Riforma Gelmini».
L’orario del docente (22 ore di lezione e due di programmazione settimanale)- eliminando le due ore di programmazioni che non serviranno più all’insegnante unico - potrà coprire l’intero orario obbligatorio di una classe. Anche sull’impegno di mantenere l’insegnamento di inglese già la Moratti aveva avviato un massiccio piano obbligatorio di formazione in tale disciplina per tutti i docenti. Oggi è obbligatorio, e giustamente, utilizzare prima i docenti che hanno il titolo per l’insegnamento della lingua inglese e poi gli insegnanti specialisti.
Se si riduce il tempo scuola si riduce anche l’offerta formativa. Bene, basta dirlo e non favoleggiare intorno all’urgenza pedagogica del bambino contemporaneo di avere un unico punto di riferimento. Nessun pedagogista o studioso dell’età evolutiva serio potrebbe mai sostenerlo. Scriveva Piaget, molti decenni fà, che il diritto all’istruzione è un diritto inalienabile, come quello alla vita e alla salute, perché quello che una persona potrà diventare nella vita dipenderà da come avrà avuto accesso alle conoscenze. A chi serve un mondo di ignoranti?
* Dirigente scolastico Istituto comprensivo di Casal Velino(Sa)
E’ stata presentata ai sindacati una bozza della riforma messa in campo dal governo
Nel documento non c’è neppure un accenno alla questione del tempo pieno
Maestro unico, trenta per classe
ecco il decalogo della Gelmini
Molti condizionali, ma proviamo a fare il punto su come potrebbe cambiare la scuola
di SALVO INTRAVAIA *
Classi più numerose: fino a 29 alunni all’asilo, fino a 30 nelle prime di medie e superiori. Lo prevede la bozza di regolamento per la riorganizzazione della rete scolastica presentata ieri dal Ministero dell’Istruzione ai sindacati di categoria. Non ancora il piano programmatico promesso dal ministro Maria Stella Gelmini. E in più i sindacati, che hanno visionato il documento, fanno sapere che non c’è nessun accenno alla questione del tempo pieno.
Il documento contiene i nuovi criteri per la formazione delle classi, l’accorpamento degli istituti, l’impiego del personale in esubero. "Il piano deve essere definito nei dettagli con il ministro dell’Economia", è stato spiegato ai sindacati.
E infatti la riforma parte proporio dalla attuazione della manovra economica estiva. Comunque tra mille illazioni, polemiche e incertezze ("assurde", dicono i sindacati) proviamo a fare il punto su quali dovrebbero essere - il condizionale è d’obbligo - le norme che in pochi anni dovrebbero cambiare volto alla scuola italiana.
Due parole d’ordine, "essenzialità" e "continuità": la seconda con le riforme precedenti, compresa quella del Centro-sinistra, e la prima per semplificare e rendere più efficiente l’intero sistema-scuola. Il Piano si muove su tre direttici: Revisione degli ordinamenti scolastici, Dimensionamento della rete scolastica italiana e Razionalizzazione delle risorse umane, cioè tagli.
Scuola dell’infanzia. L’organizzazione oraria della scuola materna rimarrà sostanzialmente invariata. Saranno reintrodotti gli anticipi morattiani (possibilità di iscrivere i piccoli già a due anni e mezzo) e nelle piccole isole o nei piccoli comuni montani l’ingresso alla scuola dell’infanzia potrà avvenire, per piccoli gruppi di bambini, anche a due anni. L’esperienza delle "sezioni primavera" per i piccoli di età compresa fra i 24 e i 36 mesi sarà confermata.
Scuola primaria. E’ il ritorno al maestro unico la novità che ha messo in subbuglio la scuola elementare. Già dal 2009 partiranno prime classi con scansione settimanale di 24 ore affidate ad un unico insegnante che sostituisce il "modulo": tre insegnanti su due classi. Le altre opzioni possibili, limitatamente all’organico disponibile, saranno 27 e 30 ore a settimana. La Gelmini "promette" anche di non toccare il Tempo pieno di 40 ore settimanali che potrebbe essere addirittura incrementato ma, su questo punto, pare che il ministero dell’Economia non sia d’accordo. E l’insegnamento dell’Inglese sarà affidato esclusivamente ad insegnanti specializzati, non più specialisti, attraverso corsi di 400/500 ore.
Scuola secondaria di primo grado. La scuola media è al centro di un autentico tsunami che si pone come obiettivo quello di scalare le classifiche internazionali (Ocse-Pisa) che vedono i quindicenni italiani agli ultimi posti. L’orario scenderà dalle attuali 32 ore a 29 ore settimanali. Per questo verranno rivisti programmi e curricoli. Il Tempo prolungato (di 40 ore a settimana) sarà mantenuto solo a determinate condizioni, in parecchi casi verrà tagliato. Per cancellare l’onta dei test Pisa, si prevede il potenziamento dello studio dell’Italiano e della Matematica. Stesso discorso per l’Inglese, il cui studio potrà essere potenziato solo a scapito della seconda lingua comunitaria introdotta dalla Moratti.
Secondaria di secondo grado. La scuola superiore, rimasta fuori da riforme strutturali per decenni, vedrà parecchi cambiamenti. Gli 868 indirizzi saranno ricondotti ad un numero "normale". I ragazzi che opteranno per i licei (Classico, Scientifico e delle Scienze umane) studieranno 30 ore a settimana. Saranno rivisti, anche al superiore, curricoli e quadri orario. Al classico saranno privilegiati Inglese, Matematica e Storia dell’Arte. Allo scientifico, in uno o più corsi, le scuole autonome potranno si potrà sostituire il Latino con lingua straniera. I compagni degli istituti tecnici e professionali saranno impegnati per 32 ore a settimana. Stesso destino per i ragazzi dei licei artistici e musicali.
Riorganizzazione rete scolastica. Attualmente, la scuola italiana funziona attraverso 10.760 istituzioni scolastiche che lavorano su 41.862 "punti di erogazione" del servizio: plessi, succursali, sedi staccate, ecc. Secondo i calcoli di viale Trastevere, 2.600 istituzioni scolastiche con un numero di alunni inferiore alle 500 unità (il minimo stabilito dalla norma per ottenere l’Autonomia) o in deroga (con una popolazione scolastica compresa fra le 300 e le 500 unità) dovrebbero essere e smembrate e accorpate ad altri istituti. Dal ondata di tagli della Gelmini si salverebbero soltanto le scuole materne. Dovrebbero, invece, chiudere i plessi e le succursali con meno di 50 alunni: circa 4.200 in tutto. In forse anche i 5.880 plessi con meno di 100 alunni. Ma l’intera operazione, che il ministro vuole avviare già a dicembre, dovrà trovare il benestare di Regioni ed enti locali.
Razionalizzazione risorse umane: i tagli. Il capitolo dei tagli è lunghissimo. Alla fine del triennio 2009/2010-2011/2012 il governo Berlusconi farà sparire 87.400 cattedre di insegnante e 44.500 posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata): 132 mila posti in tutto. Il personale Ata verrà ridotto del 17 per cento. Il rapporto alunni/docente dovrà crescere di una unità. Maestro unico, soppressione di 11.200 specialisti di Inglese alle elementari, contrazione delle ore in tutti gli ordini di scuola, compressione del Tempo prolungato alla scuola media, rivisitazione delle classi di concorso degli insegnanti e ulteriore taglio all’organico di sostegno contribuiranno alla cura da cavallo che attende la scuola italiana. L’intera operazione dovrebbe consentire risparmi superiori a 8 miliardi di euro che in parte (30 per cento) potranno ritornare nelle tasche degli insegnanti, ma solo dei più meritevoli.
* la Repubblica, 25 settembre 2008.
Non c’è democrazia senza scuola pubblica
Caro Direttore, *
Le scrivo da dietro il “ponte di Governo” di una delle tante scuole private d’Italia e della Sicilia. Le scuole che dirigo, paritarie e parificate, si trovano a Riesi ed operano da oltre 45 anni. Siamo, e qui arriva l’eccezione, una scuola non confessionale nel mare magnum delle scuole cattoliche. Benché la scuola si chiami “monte degli ulivi” e sia parte del Servizio Cristiano Istituto Valdese, nelle nostre aule non troverà né forma e né sostanza di insegnamenti religiosi e dogmatici di parte. S’immagini nemmeno l’ombra di un crocifisso.
Superate le presentazioni mi preme aggiungere la mia modesta voce a quella delle decine e centinaia di insegnanti della scuola pubblica che gridano al pericolo che sta oggi correndo il sistema scolastico statale. Mi dicono, voci interessate, che dovrei gioire, tacere e tifare Gelmini e Berlusconi. Che quest’ennesima riforma riempirà non solamente le private aule della scuola che dirigo, ma soprattutto le casse la cui gestione mi consentirà chissà quali mirabolanti arricchimenti.
Francamente credo sia opportuno unire la voce di una scuola laica, democratica e pluralista, come quella che dirigo, alle voci di cui sopra per impedire che lo sfacelo si compia.
A che vale avere le casse piene, magari per alimentare clientele tra insegnanti in cerca di punteggi (che domani varranno meno che nulla) e di lavoro così da creare nuovi tesoretti elettorali da barattare per nuovi premi legislativi, se la società che stiamo costruendo si avvia verso l’autoritarismo ed un nuovo medioevo?
Mi dirà, caro Direttore, “dr. Fiusco lei esagera”! Eppure vorrei, se me lo permette, cercare di spiegare perché, da direttore di una struttura scolastica privata, mi schiero a difesa del sistema scolastico pubblico di cui le scuole statali fanno parte.
Innanzitutto perché l’educazione non è una merce, né la didattica un’opzione di cui poter fare a meno. Educare, oltre le definizioni classiche, è un quotidiano impegno per costruire le generazioni del futuro. Questo, tradotto in soldoni (che parrebbe l’unica parola cui questa società sembra prestare veramente attenzione), significa che sono le aule i primi “consigli comunali” dove si costruisce e rafforza il tessuto democratico. Il confronto, lo studio, il reciproco sostegno tra alunni ed alunne, i valori della solidarietà e della reciprocità, vengono coltivati tra i nostri figli a scuola. Meno scuole pubbliche nel complesso significa meno “vivai” dove incubare i valori più preziosi della democrazia.
Meno investimenti nella scuola, ovvero impoverimento delle risorse e degli strumenti, significa una scuola pubblica destrutturata, resa fragile, pronta per essere colpita ed affondata.
Vede, caro Direttore, dei proclami della Ministra Gelmini non deve preoccupare il detto quanto il non detto. Mi pare che, in questi giorni, ci si stia concentrando troppo sul dito e si stia dimenticando di guardare alla luna.
L’obiettivo della riforma, al di la del grembiulino, del maestro unico, del tempo pieno non più tanto pieno e così via, è quello di sbriciolare le fondamenta su cui, fino ad oggi, poggiava il sistema dell’istruzione italiano.
Quando infatti si parla di riduzione di insegnanti, prima che di risorse, significa che si vuole un sistema più “controllabile”, ristretto perciò più condizionabile.
Quando si parla di “accorpamenti”, ovvero classi più corpose, meno plessi scolastici, ovvero più difficoltà di fruizione e di capillarità della presenza delle scuole, significa che il sistema sta creando un vuoto. Un vuoto che poi, certamente, i privati riempiranno seguendo logiche altre legate a rette, mercato, e razionalizzazione delle risorse.
Da privato vorrei competere sui contenuti dell’offerta formativa. A che vale stravincere sol perché il pubblico è stato costretto all’eutanasia dal Governo?
Quando un paese giunge a valutare dentro le categorie dell’utilità e della razionalità il sistema scolastico allora siamo in presenza di un paese che non ha più chiaro a cosa serva l’istruzione, che reputa la scuola un qualcosa di cui poter fare a meno.
Quando un Governo rincorre lo spauracchio delle spese, ovvero parte da un presupposto di buon senso come quello di voler eliminare gli sprechi, per giustificare non tanto i tagli quanto lo smantellamento della scuola pubblica, allora ci troviamo in presenza di un progetto diverso che non punta alla lotta agli sprechi quanto piuttosto all’impoverimento dell’offerta formativa del settore pubblico.
Da direttore di una scuola privata non posso tacere dinanzi a questo tentativo brutale e volgare di polverizzazione delle risorse pubbliche sol perché, alla fine, si deve favorire la nascita di una sorta di “CAI” scolastica.
Il privato che si occupa di educazione ed istruzione non può nascondersi dietro il dito che indica la luna sol perché si aspetta nuovi introiti. I nuovi introiti per i quali sono disposto a lottare sono quelli che consentano al sistema della formazione pubblica di mettersi al passo coi tempi, che consentano alle insegnanti di sperimentare, aggiornarsi, formarsi.
La pubblica istruzione, di cui da privato mi sento di far parte, se perde la spinta al confronto con le scuole statali, è misera, povera di valori e di progetti. A perderci, alla fine, non sarà soltanto la scuola statale, ma il sistema scuola nel suo complesso.
E, più di tutti, a rimetterci saranno i nostri figli che, orfani del confronto e del pluralismo delle idee e dei programmi, non diverranno cittadini democratici ma soltanto utili idioti da rincitrullire con la didattica derivata dai catechismi piuttosto che dai libri mastri dei partner di qualche più o meno pessima scuola privata generata da cordate di mercenari.
Se neghiamo alle giovani e giovanissime generazioni le opportunità di un sistema scolastico che formi alla democrazia, noi tutti saremo responsabili del tramonto della democrazia.
E, per favore, si cominci a guardare alla scuola dalla prospettiva dei più piccoli che, anche senza la maggiore età, sono i primi e più competenti “ministri” della scuola cui, di tanto in tanto, bisognerebbe seriamente ascoltare le esigenze senza la più falsa delle scuse: ovvero quella di dovere, alla fine, batter cassa.
Dr. Gianluca Fiusco, direttore della Servizio Cristiano Istituto Valdese Scuola Privata Paritaria e Parificata “monte degli ulivi”, via Monte degli Ulivi 6 - 93016 Riesi (CL)
* Fonte: l’Espresso -Scritto Mercoledì, 17 Settembre, 2008 alle 00:05
Scuola, il grande imbroglio del piano Gelmini: solo tagli
di m.fr. *
Un piano-imbroglio pieno di inganni. Il Gelmini pensiero nell’incontro con i sindacati viene distillato in tanti piccoli impegni che ai suoi occhi dovrebbero accontentare i sindacati. Ma basta leggere il documento per capire come le cose non stiano così e si tratti solo di tagli. Un piano che porterà risparmi per ben 2 miliardi di euro.
Maestro unico e tempo pieno Il piano dice: sarà aumentato del 50% del tempo pieno: «Con il passaggio al maestro unico nella scuola primaria ci saranno più docenti per aumentare il tempo pieno del 50%". L’insegnante unico ha un carico obbligatorio di lezioni di 24 ore settimanali a fronte del carico orario di 27 o 30 ore settimanali attuali dei docenti del modulo. La differenza oraria tra 27/30 ore e 24 potrà essere reinvestita in attività di tempo pieno, da assegnare o allo stesso docente unico o ad altro docente. Oltre al docente unico per le classi di scuola primaria funzionanti 24 ore a settimana sarà presente anche l’insegnante di inglese. ».
Peccato che la matematica non sia un opinione: i conti non tornano. Se il maestro unico deve fare 24 ore come fa a farne di più? Quelle ore come gli vengono pagate? Rimarrebbe da solo con una classe di 30 bambini per tutta la giornata? Come si può aumentare il tempo pieno se gli insegnanti sono di meno?
Altro impegno; non venngono toccati gli insegnanti di sostegno e le scuole di montagna. «Il personale docente che si occupa degli alunni diversamente abili viene confermato». Inoltre, è scritto in una nota, «non si toccano le scuole di montagna: in Italia ci sono più di 10.000 classi con meno di 10 studenti. È indispensabile analizzare caso per caso i singoli istituti per verificare una razionalizzazione del sistema che eviti gli sprechi. Per questo - conclude Viale Trastevere - è escluso che verranno chiuse le scuole di montagna e tutte quelle di rilevanza sociale».
Termini vaghi che non garantiscono in ogni caso.
Rimangono le sezioni Primavera La Gelmini salva una sola cosa della gestione Fioroni-Bastico: le sezioni primavera. A scuola già a due anni e mezzo, più fondi per le Sezioni Primavera. Le sezioni primavera, il nuovo servizio educativo per bambini tra i due e i tre anni, attualmente a gestione regionale, viene confermato e implementato, con uno stanziamento di 30 milioni di euro per il 2008-2009 e 50 milioni nel 2009-2010. È previsto che nelle aree montane possano essere accolti piccoli gruppi di bambini di 2-3 anni anche nelle scuole dell’infanzia. Il piano sarà di concerto con regioni e comuni.
Anticipo: si torna alla Moratti La riforma Moratti, ricorda il ministero, aveva introdotto anticipi di iscrizione anche nella scuola dell’infanzia oltre che nella scuola primaria. Anticipi poi abrogati dal governo Prodi con la Finanziaria 2007. Ora se ne prevede il ripristino.
Taglio dell’orario alle superiori Meno ore di lezioni negli istituti tecnici e professionale, che passeranno da 32 a 36 ore la settimana e nei licei classici, scientifici, linguistico e delle scienze umane (da 33 a 30 ore). Lo prevede il piano sulla scuola che il ministro Mariastella Gelmini sta presentando ai sindacati.
Gli indirizzi di studio nella scuola secondaria superiore sono 900, troppi per il Ministero dell’istruzione, che ne prevede una riduzione.
Gli attuali indirizzi, sottolinea una nota del Ministero, sono «sproporzionati alle esigenze formative e hanno prodotto inefficienza». Si interverrà soprattutto negli istituti tecnici e professionali, eliminando le duplicazioni (esempio istituto tecnico-commerciale e istituto professionale per il commercio), che «confondono l’utenza senza apportare valore aggiunto».
Altra novità è l’accorpamento delle classi di concorso: quella «con una comune matrice culturale e professionale» verranno accorpate. Ad esempio, oggi matematica e matematica applicata rappresentano classi di concorso diverse, «creando talvolta difficoltà nell’efficiente gestione del personale».
Via libera agli istituti comprensivi Per quanto riguarda gli istituti comprensivi, il piano intende privilegiare dove possibile questo modello, degli istituti che uniscono sotto un’unica istituzione scolastica (e sotto un’unica presidenza) scuole dell’infanzia, elementari e medie. «Si ritiene che tali istituti, che oggi rappresentano già quasi la metà delle istituzioni scolastiche del primo ciclo, favoriscano la continuità didattica e l’orientamento scolastico. Ne vedremo - è detto in una nota - molti di più. Questa nuova modalità organizzativa consentirà di produrre economie perchè ogni istituto avrà un solo direttore scolastico e personale amministrativo minore».
* l’Unità, Pubblicato il: 19.09.08. Modificato il: 19.09.08 alle ore 17.09
Scuola, si allarga la protesta anti-Gelmini
Si allarga la protesta studentesca contro l’operato del ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini.
Le scuole romane dove lunedì l’anno scolastico è cominciato con il lutto al braccio degli insegnanti contro le riforme del ministro Gelmini hanno deciso di portare la loro protesta fin sotto Montecitorio. È in corso un sit-in contro il maestro unico e i tagli alla scuola a cui stanno prendendo parte docenti, mamme, bambini e dirigenti scolastici. «Il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini», si legge sulle magliette dei manifestanti. Alla elementare Iqbal Masiq è in corso una occupazione che finirà solo il 19. Tra gli istituti in piazza, oltre alla Masiq, ci sono la scuola Ghandi, la Trilussa, la Romolo Balzani, la Pisacane, la Ada Negri. «Siamo qui - spiegano gli organizzatori - perchè in commissione istruzione è partita la discussione del decreto sul maestro unico che contestiamo». «I bambini sono nell’era di internet- commenta Francesca, una mamma della scuola Ghandi - il maestro unico viene dalla preistoria».
Dopo le contestazioni portate avanti lunedì dall’Unione degli studenti, in occasione del primo giorno di scuola, a Roma è stato presentato il programma di mobilitazione realizzato dal neonato sindacato studentesco delle scuole superiori la "Rete degli studenti".
Nel nuovo sindacato confluiscono tre sigle studentesche: i Reds, l’Isim ed gli Sds. «Il nostro vuole essere un progetto apolitico - spiega Giulia Tosoni, tra i promotori della Rete degli studenti - che ha voluto riunire tre soggetti studenteschi attivi che credono fortemente nella contrapposizione alla politica di questo governo».
«Il sindacato - continua Tosoni - è nato infatti questa estate all’indomani della presentazione dei decreti legge che intendono introdurre tagli, maestro unico, voto in condotta ed il terribile piano di ridimensionamento del sistema scolastico: tutti provvedimenti che non tengono conto degli studenti, ma che li penalizzano fortemente».
L’obiettivo principale della Rete degli Studenti è il responsabile del ministero di viale Trastevere: «attraverso le sue parole siamo ormai arrivati - sottolinea Tosoni - ad una vera e propria "emergenza ballismo": ci impegneremo al massimo per svelare tutte le balle del ministro Gelmini, che continua a prendersi gioco degli italiani con i suoi progetti di riforma».
Il programma di mobilitazione della Rete degli studenti prevede la prima manifestazione già per venerdì prossimo, il 19 settembre, con striscioni in diverse città italiane: «i nostri studenti - fanno sapere dal sindacato - sfileranno sicuramente a Roma, Venezia, Torino, Perugia, Sassari, Ancona, Foggia e Lecce». È stata fissata anche una manifestazione nazionale per il 4 ottobre a Roma sotto il Miur.
Intanto Gelmini, in un’intervista al "Sole 24 ore" ne "spara" altre. «Il nostro obiettivo è affiancare al sistema dei licei una riqualificazione della formazione professionale e degli istituti tecnici», applicando «la riforma dal 2009» in cui «stiamo valutando di ridurre le ore settimanali delle superiori».
Sulla scelta di tornare al maestro unico, Gelmini dice che «è ingiustificato l’allarme della sinistra», poichè «con questo piano siamo in grado di mantenere il tempo pieno ma anche di migliorarne la qualità e di estenderne l’orario del 50 per cento».
Sul futuro dei precari della scuola, Gelmini afferma che «ad alcuni docenti che risultassero in esubero chiederemo uno sforzo per apprendere altri insegnamenti». E aggiunge: «in futuro ridurremo da due anni a un anno il corso per accedere all’insegnamento» e «daremo un mano ai precari anche con la riforma delle classi di concorso».
Infine, sulla "manovra d’estate" che prevede il taglio di 87 mila cattedre in tre anni, Gelmini spiega che «il principio cardine del mio piano è l’individuazione del costo standard» in modo che questo costo «venga finanziato in ogni Regione».
* l’Unità, Pubblicato il: 16.09.08, Modificato il: 16.09.08 alle ore 16.58
Nastro scuro al braccio in tutta Italia contro la riforma Gelmini
A Firenze, in alcuni plessi, le insegnanti accolgono gli alunni interamente vestite di nero
"No ai tagli e al maestro unico"
La protesta delle maestre in lutto
Il ministro: "E’ vergognoso strumentalizzare i bambini per cavalcare proteste politiche" *
ROMA - Questa volta le maestre proprio non ci stanno. E in tutta Italia il primo giorno di scuola decidono di protestare contro la riforma Gelmini, silenziosamente, con un nastro nero legato al braccio, in segno di lutto. Se a Firenze i bambini di alcune scuole materne ed elementari hanno trovato gli insegnanti vestiti completamente di nero, a Roma prof e genitori hanno deciso di occupare un istituto. Pronta la risposta del ministro: "E’ vergognoso strumentalizzare i bambini per cavalcare proteste che sono solo politiche".
Tutti in nero a Firenze. Vestite a lutto contro la riforma Gelmini le insegnanti della scuola pubblica materna Andrea del Sarto, la scuola dell’infanzia Giotto e la scuola primaria Capponi a Firenze. Le maestre hanno atteso gli studenti davanti ai plessi scolastici, fuori dal portone con tutto l’abito nero e uno striscione: "No ai tagli, no al maestro unico". Solo nelle prime elementari, all’arrivo a scuola dei piccoli studenti, la protesta è stata più sobria, con le maestre che comunque indossavano qualcosa di nero. Altre forme di contestazione contro la riforma Gelmini sono state annunciate per oggi e i prossimi giorni in tutti gli istituti scolastici che fanno parte del circolo 11 di Firenze.
A Roma scatta l’occupazione. Si protesta attivamente anche nella capitale. Volantinaggi e assemblee alla scuola elementare "Iqbal Masih" di via Ferraironi. Mamme con la maglietta "il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini", striscioni e quella fascia nera al braccio degli insegnanti per sostenere il tempo pieno e dire "no" al maestro unico. Stessa situazione alla succursale di via Balzani, nel quartiere Casilino 23. Come già annunciato, anche qui il primo giorno di scuola è iniziato con la protesta di insegnanti e genitori contro la riforma Gelmini e l’introduzione del maestro unico.
"L’occupazione della scuola inizierà alle 12.30 e andrà avanti per una settimana - ha spiegato l’insegnante Paola De Meo della Iqbal Masih - Questa mattina, come annunciato, abbiamo messo il lutto al braccio, ma entrati in classe l’abbiamo tolto per non impressionare i bambini. Durante il pomeriggio, alla fine delle lezioni che andranno avanti regolarmente, abbiamo organizzato attività, teatrali e musicali nonché informative sul funzionamento delle dinamiche scolastiche, una materia che, purtroppo, non tutti conoscono e per cui non sempre viene compresa l’importanza e il significato delle nostre proteste".
La mobilitazione è stata decisa quasi all’unanimità dal Collegio dei docenti ("ci sono stati un’astenuta e un voto contrario"). Anche alla succursale di via Balzani, alle 8 si è svolto un volantinaggio e alle 8,30 una breve assemblea tra genitori e docenti.
Gli studenti: in mutande con le orecchie d’asino. Anche l’Unione degli Studenti, che all’apertura di questo anno scolastico ha distribuito nelle scuole di tutto il Paese il volantino "Jurassic School. Benvenuti nella scuola del passato" - un testo provocatorio contro i tagli, il voto in condotta e l’abbassamento dell’obbligo scolastico - ha protestato contro i provvedimenti del ministero dell’Istruzione. Dal volantinaggio davanti diverse scuole a striscioni calati in più punti della città (anche al Pincio).
Ma il vero show anti-riforma è iniziato alle 11.30 quando una quindicina di ragazzi si sono presentati davanti al ministero con indosso orecchie d’asino di cartone, capitanati da uno studente in mutande e canottiera a simboleggiare la "povertà della scuola pubblica". Sulle gradinate di viale Trastevere i giovani hanno distribuito il volantino contro "la jurassic school" e allestito un "cimitero della conoscenza" con lumini e libri di testo sparpagliati sulle scale. I ragazzi hanno poi srotolato uno striscione con su scritto "Non è che l’inizio. Mobilitazione studentesca nazionale 10 ottobre ’08" per lanciare la data di mobilitazione del prossimo mese che vedrà iniziative su tutto il territorio nazionale.
Le reazioni politiche. E contro la protesta di insegnanti e genitori si schiera subito il mondo politico di centrodestra. A partire, ovviamente, dal ministro accusa i maestri che si sono presentati a scuola listati a lutto e dice che è "vergognoso strumentalizzare i bambini per cavalcare proteste che sono solo politiche. Per tutti i bambini - precisa Gelmini - il primo giorno di scuola è una festa, un momento di gioia e allegria, non certo un’occasione per terrorizzarli. La scuola non può essere utilizzata come un luogo di battaglie politiche" conclude il ministro.
"I dirigenti e i docenti" che oggi hanno festeggiato in lutto il primo giorno di scuola "sbagliano e abusano del loro potere" commenta l’assessore alle politiche scolastiche del Comune di Roma Laura Marsilio. "Sono dei dipendenti ministeriali - continua l’assessore - e per questo sono sanzionabili: mi auguro che l’ufficio scolastico provveda in tal senso. Utilizzare le istituzioni per far propaganda politica è un messaggio inopportuno da mandare ai ragazzi.
Per Giovanni Donzelli (An) è "un’iniziativa irresponsabile e diseducativa" che "non danneggia il Governo ma i bambini, che dovrebbero vivere il rientro a scuola con serenità e gioia". "Il primo atto dei maestri è stato quello di una protesta di sinistra" per Alessandra Mussolini, presidente della Commissione Bicamerale per l’Infanzia e segretario nazionale di Azione Sociale-PdL. "I primi giorni di scuola costituiscono per i ragazzi momenti di ansia per il futuro impegno - continua - ci si dovrebbe aspettare da tutti, a partire dagli insegnanti, responsabilità e saggezza. Invece, per privilegiare le polemiche strumentali e faziose è stato mortificato il benessere dei giovani".
Sulla stessa linea d’onda anche Mariella Bocciardo, membro della Commissione Affari Sociali e Parlamentare Infanzia (PdL), che ha definito il gesto ’’imbarazzante e vergognoso". ’’Quest’anno - commenta Bocciardo - grazie alla riforma proposta dal Ministro Gelmini, è iniziata una nuova era per la scuola italiana. Con questi insegnanti, o pseudo tali sarà difficile battere il bullismo".
Dall’altra parte della barricata Silvana Mura, Idv. Per la deputata è vergognoso e preoccupante" il modo in cui "il governo sta demolendo la scuola italiana". E in una nota precisa: "Di fronte ad una riforma che mette in mezzo ad una strada 200 mila precari, che riduce la qualità dell`insegnamento della scuola primaria, che eliminerà inevitabilmente il tempo pieno scaricando ulteriori costi sulle famiglie italiane i docenti hanno tutto il diritto e forse il dovere di protestare per tutelare i propri diritti di lavoratori e il diritto di tutti i bambini di ricevere un insegnamento di qualità".
"Ai maestri e alle maestre che sono andati a scuola con il segno del lutto va tutta la solidarietà attiva dei comunisti italiani" afferma Manuela Palermi, Pdci. E continua: "Il Pdl farà bene a tenere giù le mani dai maestri e dalle maestre, a non minacciarli o ricattarli, e a rispettare la loro protesta se vuole evitare che il malessere profondo del Paese contro i tagli alla scuola non diventi incontrollabile". Il Pdci sarà al fianco degli insegnanti "per respingere le misure della Gelmini".
* la Repubblica, 15 settembre 2008.
Tagli previsti dal ministero: elementari e materne in classe solo di mattina
Tecnici e professionali i più colpiti. Su richiesta delle famiglie, possibile prolungare le lezioni
Gelmini: "Troppo tempo sui banchi
l’orario scolastico va ridotto"
di MARIO REGGIO *
ROMA - Tempi duri per i più piccoli. E per i loro genitori. Il piano dei tagli alla scuola del ministro Gelmini è pronto. Verrà presentato venerdì 16 settembre ai sindacati della scuola. Tempi duri per chi frequenta le scuole materne ed elementari. Per quella dell’infanzia l’orario verrà ridotto a 24 ore a settimana con una sola maestra.
Oggi le maestre sono due e assicurano 40 ore a settimana. In sostanza, tutti a casa a mezzogiorno e mezzo. Però con le maestre di ruolo in esubero potrà essere esteso il servizio. Stessa musica per le elementari con qualche variazione sullo spartito. Il principio base è: maestro unico e 24 ore a settimana. Ma se le famiglie lo richiedono alla scuola l’orario potrà essere prolungato a 27 o 30 ore, a condizione però che l’organico lo consenta. Peccato che il numero degli insegnanti venga stabilito sull’orario base, cioè 24 ore.
Nello "Schema di piano programmatico del Ministero dell’Istruzione di concerto con il Ministero dell’Economia" c’è di tutto: considerazioni pedagogiche, tabelle, numeri, proiezioni. Il ministro Gelmini insiste: il maestro unico rafforza il rapporto educativo tra docente e alunno e tra maestro e famiglia. "Nell’arco tra i 6 ed i 10 anni si avverte il bisogno di una figura unica di riferimento - si legge nel piano - con cui l’alunno possa avere un rapporto continuo e diretto". C’è però qualcosa che non va: nel decreto approvato dal governo, il maestro unico è previsto solo nelle prime tre classi delle elementari.
"Ci sono molte cose che non si comprendono - commenta il segretario nazionale della Cgil Enrico Panini - nelle tabelle si parla di 10 mila tagli per i maestri, ma si tratta solo del primo anno, nell’arco dei 5 anni diventeranno 50 mila. Poi non è mai citato il tempo pieno. Anche per medie e superiori vengono tagliate le ore, ma quali materie subiranno un ridimensionamento? La Gelmini ce lo faccia sapere".
Cosa succederà alle scuole medie inferiori? Solo nel prossimo anno scolastico, con la riduzione dell’orario settimanale da 32 a 29 ore, secondo il ministero 10.300 insegnanti dovranno fare i bagagli. E che fine farà il potenziamento dell’insegnamento di italiano, matematica e lingua inglese?
A dire il vero, sul tempo prolungato alle medie inferiori qualche problema esiste. Ci sono scuole che fanno un orario di 36 ore a settimana pur non disponendo di servizi e strutture in grado di assicurare le attività alternative nel pomeriggio. Alle superiori, comunque, la mazzata colpirà soprattutto gli istituti tecnici e professionali. Quattro ore in meno a settimana, compresi i laboratori.
Troppe ore di lezione rispetto altri paesi europei, come afferma il ministro? "Fandonie. Esempio di incompetenza o malafede - commenta il professor Benedetto Vertecchi, ordinario di Pedagogia sperimentale a Roma Tre e consulente dell’Ocse - si gioca sul numero di ore di lezione all’anno, mentre negli altri paesi è l’orario scolastico complessivo a valere: cioè le ore pomeridiane di laboratorio di matematica e scienze che da noi non esistono".
* la Repubblica, 14 settembre 2008
Maestro unico
Possiamo ancora fermarli basta che il decreto legge decada in Parlamento
Il primo giorno di scuola dimostriamo con un segno nero di lutto la nostra indignazione per come questo paese tratta i suoi bambini
La protesta cresce giorno dopo giorno *
Unità, Corriere della Sera, Stampa ed altri giornali riportano la notizia che il movimento, anche da noi sostenuto, “Il primo giorno di scuola dimostriamo con un segno nero di lutto la nostra indignazione per come questo paese tratta i suoi bambini” sta prendendo piede nelle grandi città.
Sono attualmente 325 le scuole che da tutta l’Italia ci hanno inviato una e mail per aderire all’iniziativa, per raccontarci la loro volontà di contrastare il Ministro Gelmini e la loro voglia di difendere l’esperienza dei moduli e del tempo pieno della scuola elementare cancellata dal DL 137/2008.
Raccolte di firme, il “lutto per la tristezza” anche da noi proposto, le sempre più numerose mobilitazioni dei sindacati territoriali, le prese di posizione contro la sciagurata proposta del DL 137/2008 da parte dei sindacati scuola nazionali, dei partiti, dal PD, passando da Rifondazione ad IDV (persino Bossi non è contento!) stanno creando le condizioni per far sì che per il Governo, la trasformazione definitiva in legge del DL del maestro unico, non si riveli proprio una passeggiata.
Un coro di iniziative creative che si fanno forza l’una con l’altra permetteranno insieme di raggiungere il risultato.
da l’Unità del 10/09/2008: 40 istituti con il «lutto» al braccio
ROMA Le scuole di Roma si vestono a lutto contro la riforma Gelmini. Il ritorno al maestro unico, così come i tagli ai fondi per la scuola pubblica, hanno scatenato le proteste dei docenti di quasi quaranta istituti della capitale, la maggior parte elementari, riuniti in coordinamento per organizzare una forma di protesta efficace ed impedire che il decreto venga convertito in legge. Da qui l’idea, fortemente simbolica, di raccogliere l’invito dei sindacati di categoria e presentarsi il 15 settembre, primo giorno di scuola, con un nastro nero legato al braccio e l’esposizione di drappi neri in segno di lutto per «la fine del nostro sistema scolastico», spiegano gli aderenti al coordinamento. A reggere le file della protesta è la scuola elementare "Iqbal Masih", che deve il suo nome al bambino pakistano simbolo della rivolta contro il lavoro minorile.
da Il Corriere della sera del 10/09/2008: Gli anti-Gelmini - La protesta: in classe listati a lutto
ROMA - Quaranta scuole di Roma si vestono a lutto contro la riforma del ministro Mariastella Gelmini. I docenti degli istituti, la maggior parte elementari, hanno raccolto l’invito dei sindacati di categoria a presentarsi il 15 settembre, primo giorno di scuola nella capitale, con un nastro nero legato al braccio e di esporre drappi in segno di lutto per «la fine del nostro sistema scolastico». Il coordinamento genitori-insegnanti in difesa della pluralità docente si è riunito per la prima volta nella scuola elementare "Iqbal Masih". Tra le elementari romane, quelle colpite direttamente dalla decisione di reintrodurre il maestro unico, hanno dato la propria adesione 25 istituti, circa il 13 per cento del totale, tra cui la "Gandhi" e la "Marconi".
Ma la partecipazione non è mancata nemmeno tra le scuole medie, sia inferiori (la "D’Acquisto") che superiori (L’Itis "Hertz" e l’Ipssar "Artusi"), tra gli istituti comprensivi e, da fuori provincia, dagli istituti di Fiumicino e Latina.
da La Stampa del 10/09/2008: Maestre in rivolta a Roma e a Torino con il lutto al braccio
Le maestre raccontano di classi formate per il 60% di bambini di origine non italiana, di piccoli rom e di disabili anche gravi, in carrozzina, alimentati con il sondino. Di famiglie che i figli sono costretti a lasciarli soli una volta usciti da scuola, magari già dopo il tempo pieno, e che un’alternativa al tempo pieno non potranno pagarla. «Nonostante tutto questo, la scuola elementare italiana merita i complimenti dell’Ocse. Sarà un caso? Non sarà un buon modello così com’è?». La battuta è di Anna Cresto, una delle 300 maestre delle scuole di Barriera di Milano (di tutta la città il territorio più disagiato), che ieri hanno partecipato a un convegno di formazione del Cidi sul curricolo e la quotidianità del fare scuola: giovani e «anziane» accomunate da una passione che in questo grande territorio è cresciuta con l’evolvere dei problemi della gente provano rabbia e tristezza di fronte alla prospettiva dello smantellamento di quanto proprio ieri l’Ocse ha ancora premiato. Tanto che lunedì, da Torino a Roma, andranno in classe con il lutto al braccio.
«Se hai un pezzo di sistema che funziona non lo demolisci, semmai lo migliori», dice Nunzia Del Vento, direttrice della «Gabelli», una scuola dove per andare incontro alle famiglie italiane e immigrate si organizzano Natale e Pasqua Ragazzi. «Non cancelli le competenze che gli insegnanti si sono costruite nel corso di 30 anni. Il desiderio di chi crede nella scuola è che questa sia al passo con la società». Daniela Braidotti è una delle sue maestre, una delle tantissime ad esprimersi in maniera totalmente negativa sull’insieme della «riforma Gelmini». «Insegno da 33 anni - racconta - e mi sono sempre occupata dell’area linguistica. Non potrei davvero essere una “maestra unica” e insegnare matematica o scienze».
Anna Cresto della scuola «Cena» rincara: «Abbiamo speso anni per uscire dalla tuttologia all’acqua di rose fatta di violette e cornicette e oggi ci sentiamo specialiste utili». Aggiunge: «La reintroduzione del voto alla scuola elementare è gravissimo. In quella fascia di età si tiene conto della condizione di partenza, bisogna conoscere il bambino... Come si fa ad esprimere tutto questo, con la pluralità di bambini che oggi sono nelle nostre classi, con un voto secco? E la condotta? Il 5 affascina, ma solo se sarà dato ai figli altrui». Anna Maria Barbero, rsu alla «Cena»: «È l’inizio. Butteranno fuori i ragazzini dalla scuola e li ritroveremo a spaccare le panchine, come un tempo. E non meno bulli». Filomena Filippis, scuola "Sabin": «Il ministero pensa che l’orario scolastico si risolva in un parcheggio. Ma chi ha il 60% di bambini stranieri, molti dei quali arrivano non parlanti, non può che lavorare in squadra e in un arco di tempo certo più ampio di 24 ore settimanali».
La collega Rosanna Passanisi: «Reintrodurre il maestro unico, smantellare il tempo pieno, significa togliere gli strumenti utili per alleviare le differenze. Perché?». Domenico Chiesa e Mario Ambel, i pedagogisti che hanno coordinato la giornata, sottolineano che «il risultato positivo che ci assegna l’Ocse deriva dall’impianto culturale originale della nostra scuola elementare, l’unico basato sulla l’età dei bambini. Tutto ciò che viene dopo è banalizzazione del sapere adulto».
Del Ministro Gelmini e del tempo pieno nella scuola elementare
Il Ministro Gelmini, attraverso una massiccia campagna mediatica, “sostiene” che il tempo pieno nella scuola elementare non sarà toccato, perché così “Lascia intendere il decreto”.
Il testo all’art 4 recita: “è .. previsto che le istituzioni scolastiche costituiscano classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con un orario di ventiquattro ore settimanali. Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze correlate alle domande delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo scuola”.
Si torna, dunque, al maestro unico, poi, “per regolamento” si vedrà di venire incontro alle richieste delle famiglie!!!
Le leggi “non lasciano intendere” ma “dicono” in modo chiaro ed esplicito. Se il ministro voleva davvero sostenere il tempo pieno avrebbe dovuto scrivere all’art. 4 del DL 137/2008: “sono fatte salve le norme che regolano il tempo pieno per la scuola elementare”. Perché non lo ha fatto? Oggi la "carta" (DL 137) del Consiglio dei Ministri "canta" diversamente dalle dichiarazioni del Ministro.
Roma, 10 settembre 2008
* proteofaresaperenews n. 9 del 10/09/2008
Sindacati e genitori pronti alla mobilitazione contro il ministro Gelmini
I Cobas: sciopero il 17 ottobre. La Sicilia: diremo no ai tagli
Rivolta contro il maestro unico
Precari in piazza il 27 settembre
di MARIO REGGIO *
ROMA - Assemblee nelle scuole, volantinaggi, raccolte di firme. Insegnanti e genitori si mobilitano contro il ritorno del maestro unico alle elementari ed il taglio di 87 mila cattedre nei prossimi tre anni. I Cobas stanno preparando un fitto calendario d’iniziative: il 27 settembre a Roma convegno nazionale dei precari, il 17 ottobre sciopero nazionale e manifestazione nella Capitale. E davanti alle scuole, il giorno d’inizio delle lezioni, mobilitazione "frozen", in italiano congelamento: gli insegnanti si sdraieranno in strada per simulare la morte della scuola pubblica.
Anche la Cgil sta affilando le armi: ieri, assieme a Cisl e Uil, a Venezia ha affittato cinque vaporetti che sono sfilati davanti alla Mostra del Cinema per protestare contro i tagli nella scuola e la politica del ministro Brunetta, vessillifero della crociata governativa contro i fannulloni nel pubblico impiego. Domani sempre a Venezia, in occasione della Regata, storica verranno stesi lungo il Canal Grande quattro striscioni dei confederali sui temi della scuola e dell’università. Per il ministro Mariastella Gelmini non sarà un autunno tranquillo.
L’idea di tornare al maestro unico alle elementari, rassicurando che il tempo pieno non verrà toccato, anzi potenziato, non convince il mondo della scuola e molti genitori. Padri e madri degli oltre 850 mila bambini che frequentano le elementari statali dalle 8 e mezza di mattina alle quattro e mezzo di pomeriggio. Ma non sono solo le organizzazioni sindacali a protestare. Il segretario regionale del Movimento per l’Autonomia Lino Leanza, il partito del presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo, ha annunciato: "Ci opporremo ai tagli previsti dal ministero della Pubblica Istruzione.
Saremo al fianco di docenti, studenti e sindacati per le grandi mobilitazioni già previste alla ripresa dell’anno scolastico e per tutto l’autunno. Dopo le sue poco felici dichiarazioni sulla qualità dell’istruzione in Sicilia - conclude Leanza - adesso la Gelmini conferma i timori paventati, tagliando 2.500 insegnanti e 160 non docenti, e di questo passo la Sicilia perderà nei prossimi tra anni 15 docenti".
Insorgono anche i sindaci dei piccoli Comuni: "I sindaci sono giustamente preoccupati - si legge in un comunicato della Lega autonomie - dal progetto di accorpamento per molte scuole elementari nei territori collinari e montani, con gravi disagi per gli studenti che già a sei anni si troveranno nella condizione di pendolari. E i costi ricadranno sulle famiglie e le casse dei Comuni che dovranno organizzare i servizi di scuola bus".
Ma serve davvero tornare al maestro unico? "È una vera patacca ad uso e consumo dell’opinione pubblica, una pura operazione di propaganda - commenta Benedetto Vertecchi, ordinario di Pedagogia Sperimentale a Roma Tre - quando tenteranno di farlo si accorgeranno che anziché degli attuali tre, i maestri diventeranno cinque". Ecco la spiegazione: "Il maestro unico dovrebbe essere competente ed in grado di insegnare la lingua italiana, le norme sul traffico, la salute, la matematica, le scienze, la geografia - afferma Vertecchi - e chi lo dice sarebbe un ciarlatano. Allora dovranno trovare altri maestri che siano in grado di insegnare una lingua straniera, la musica, la ginnastica e coprire l’ora di religione. In tutti i Paesi moderni esiste un sistema di presenze multiple di insegnanti, perché a differenza di 30 o 40 anni fa la società è mutata e le conoscenze si sono moltiplicate. Leggere, scrivere e far di conto non basta più".
* la Repubblica, 6 settembre 2008
Manca solo l’insegnante con manganello e fischietto *
di Andrea Bajani (l’Unità, o9.o9.2008)
Ogni fascia anagrafica ha il suo spauracchio confezionato ad hoc. Per gli adulti, è disponibile l’extracomunitario. È uno spauracchio di comprovata efficacia, estesa applicazione e referenza millenaria. Funziona bene come catalizzatore della frustrazione e dell’odio sociale, provare per credere. Per i giovani in età scolare, invece, da poco è stato lanciato sul mercato il prodotto «bullo». Il bullo è una sorta di «extracomunitario italiano adolescente» che mena le mani contro il prossimo, preferibilmente se portatore di handicap, sovrappeso, ritardato, omosessuale. In entrambi i casi (extracomunitari e «extracomunitari italiani adolescenti») la parola d’ordine è una sola: disciplina. L’ultima conferma l’abbiamo avuta nella nuova riforma della scuola firmata dal Ministro Gelmini, che taglia risorse all’istruzione, mortifica la funzione degli insegnanti, e però invita a dibattere su folkloristici provvedimenti disciplinari, buoni appunto per distrarre e catalizzare l’aggressività sociale. La violenza (dentro e fuori le scuole) si sconfigge con la disciplina.
Forse è una strada, però bisogna intendersi sul significato del termine «disciplina», che improvvisamente sembra diventato prerogativa della destra. La disciplina proposta è: bocciatura per l’insufficienza in condotta e grembiulino obbligatorio a scuola. Il che significa declinare sulla fascia anagrafica adolescenti l’istituzione dell’esercito in strada. Ovvero: obbedienza pena la punizione, l’insegnante come vigile urbano seduto dietro la cattedra con manganello, fischietto e in tasca le manette e il taccuino per emettere multe. Ecco, credo semplicemente che quest’idea della disciplina riveli una concezione desolante del cittadino e del rapporto tra stato e cittadino. Il cittadino è relegato a mero esecutore meccanico di un ordine di cui non è tenuto né a capire né a condividere il senso.
Per dirla con Antonio Gramsci, fondatore di questo giornale, è venuto il momento di contrapporre disciplina a disciplina. C’è un tipo di disciplina in cui tutti, semplicemente, pedestramente obbediscono: «i muli della batteria al sergente di batteria, i cavalli ai soldati che li cavalcano. I soldati al tenente, i tenenti ai colonnelli dei reggimenti; i reggimenti a un generale di brigata; le brigate al viceré (...). Il viceré alla regina (...). La regina dà un ordine, e il viceré, i generali, i colonnelli, i tenenti, i soldati, gli animali, tutti si muovono armonicamente e muovono alla conquista». E poi c’è un’altra disciplina. Questa disciplina nasce dalla consapevolezza di essere parte di una collettività, dalla condivisione di un progetto. Soprattutto nasce dalla cultura, che è quello che chiediamo allo stato, agli insegnanti e alla scuola: «La cultura (...)è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri». Ma questo fa paura: meglio le istruzioni che l’istruzione. È più rassicurante avere dei consumatori in grembiulino che dei cittadini consapevoli. Se seguiamo bene le istruzioni, diventeremo uguali alla figura disegnata sulla scatola.
* Esce oggi nelle librerie italiane il nuovo libro di Andrea Bajani: «Domani niente scuola», Einaudi
Maestro unico
Possiamo ancora fermarli basta che il decreto legge decada in Parlamento
Il primo giorno di scuola dimostriamo con un segno nero di lutto la nostra indignazione per come questo paese tratta i suoi bambini
Lettera aperta ad Insegnanti, Genitori, Cittadini,
Parlamentari, Associazioni e Sindacati
Il primo settembre 2008, a tradimento, senza che nulla trapelasse, è comparso sulla Gazzetta Ufficiale il DL 137/08 che contiene l’articolo 4, di cui finora nessuno ne aveva parlato, che con la reintroduzione dell’insegnante unico nella scuola elementare riporta indietro d’un solo colpo il mondo della scuola, cancellando i moduli ed il tempo pieno nella scuola elementare.
Dal 2009 i bambini italiani avranno una scuola povera; saranno privati della possibilità di utilizzare spazi e tempi di arricchimento personale. Gli insegnanti saranno privati del tempo necessario per seguire, in mondo personalizzato, gli alunni in difficoltà e permettere agli "eccellenti" di esprimersi al meglio. Molti bambini, con i genitori che lavorano, passeranno da soli interminabili pomeriggi davanti alla televisione o saranno lasciati in mezzo alla strada.
D’un colpo, senza alcuna discussione nel paese e in Parlamento, hanno azzerato la scuola elementare, proprio mentre tutti gli indicatori internazionali la riconoscono come una tra le più qualificate del mondo.
Hanno fatto una radicale “riforma” di “nascosto”. Con un Decreto Legge! Cosa senza precedenti! Un disastro fatto solo per fare cassa a spese delle opportunità e delle speranze dei bambini. Il Parlamento Italiano è stato espropriato della propria sovranità.
L’attuale complessità culturale richiede, in modo più pressante che mai, la disponibilità di persone che collaborino ad una formazione integrale ed integrata, fatto completamente ignorato da questo Governo.
Hanno umiliato gli insegnanti e la loro professionalità.
Le famiglie saranno messe in seria difficoltà, in particolare i genitori con bambini frequentanti il tempo pieno, se vorranno conservare il lavoro, dovranno affidarsi a improbabili doposcuola a pagamento che rischieranno di trasformarsi, come un tempo, in ghetti sociali.
L’associazione professionale Proteo Fare Sapere fa appello a TUTTI gli insegnanti perché dimostrino con un gesto fortemente simbolico la loro tristezza e contrarietà: andiamo TUTTI a scuola il primo giorno con un segno nero di lutto.
E’ un’ idea che gira su internet, ci sembra buona; un’idea che può essere sostenuta da ogni insegnante, a cui chiediamo di organizzare i colleghi facendo il passaparola, dalle altre associazioni professionali, dai sindacati.
Chiede a tutti gli insegnanti di rivolgersi ai loro Parlamentari perché, quando si tratterà di convertire il decreto legge definitivamente in legge dello Stato (c’è tempo 60 giorni), intervengano a favore di una buona scuola, e per disapprovare chi vuol fare cassa a spese dei bambini.
Chiede a tutti i Parlamentari, anche di maggioranza, di non votare la conversione in legge definitiva del Decreto.
Chiede in particolare all’Opposizione di fare anche ostruzionismo pur di far decadere un dannoso e non necessario Decreto Legge. Infatti anche gli altri contenuti del decreto possono aspettare.
L’esecutivo nazionale di Proteo Fare Sapere
Roma, 4 settembre 2008
Scuola, scontro Bossi-Gelmini
"Maestro unico rovina i bambini"
Il Senatùr: "La prossima volta prendiamo noi il ministero"
La replica del ministro: "Sono stupefatta della sua confusione mentale"
Contrasti, a poche ore dall’inizio dell’anno scolastico, tra il leader della Lega Bossi e il ministro dell’Istruzione. Bossi, intervenendo a un comizio a torino prima esprime, tra gli applausi, la sua idea sul maestro unico: è facile, se è un cattivo insegnante, che rovini il bambino. Poi parla del ruolo del ministro dell’istruzione: "Per capire che cosa serve alla scuola devi averci vissuto dentro, essere stato insegnante, aver sentito l’odore della polvere".
Bossi poi ammette: "Quando non ci sono i soldi bisogna aguzzare l’ingegno. Costa un sacco di soldi in meno, onestamente, e in un momento in cui non ci sono soldi è normale che salti fuori anche (la proposta, ndr) l’insegnante unico. Ma se c’è un solo insegnante è facile che si rovini il bambino". Poi conclude tra gli applausi: "La scuola la prossima volta, magari, la chiederà la Lega". Durante il suo intervento Bossi è stato interrotto da una donna, che ha urlato: "Mandala a casa la Gelmini". La risposta: "Se comincio a mandare un ministro a casa è facile che si ingrippi il governo. Facci fare il federalismo fiscale figliola, poi ci pensiamo".
Dura e immediata replica del ministro dell’istruzione: ’Sono stupefatta - afferma Gelmini - della confusione mentale di Bossi, che a metà agosto ha detto che tre maestri erano troppi e ne bastava uno perché serviva un riferimento unico. Il 7 settembre dice esattamente l’opposto. Si metta d’accordo con sè stesso prima di parlare di scuola. Per fortuna - conclude il ministro dell’istruzione - il governo, con le misure previste da Tremonti e da me attuate, grazie al voto del parlamento ha già deciso"
* la Repubblica, 8 settembre 2008.
Con un decreto cambiano le elementari
Maestro unico e solo 24 ore. Sparirà il tempo pieno, a rischio 80mila insegnanti.
Gelmini: dal 2009 e solo in prima
di Maristella Iervasi ( l’Unità, 03.08.2008)
LA SIGNORA dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ha spiazzato tutti. Il maestro unico è già legge. Il decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale che doveva sancire solo il 5 in condotta, i voti in numeri in pagella e la nuova materia: Cittadinanza e Costituzione, riforma invece in toto la scuola elementare: uno dei modelli di qualità vantati in Europa. Un blitz in piena regola che ha spiazzato genitori e insegnanti e provocato un terremoto nelle scuole da ieri aperte per organizzare le classi, i programmi di studio, coprire i «buchi» sul sostegno e le malattie. Un mossa quella del duetto Gelmini-Tremonti «studiata» per blindare la restaurazione del ritorno dell’insegnante unico nella scuola primaria con un orario già fissato per decreto: 24 ore settimanali, 6 ore di lezione in meno rispetto ad oggi. Un modo per sancire la fine del modulo e la conseguente agonia del tempo pieno. Una strategia per dare «forza giuridica» al «massacro» della scuola - il taglio di 90mila docenti e 43 mila tra bidelli e segretari in meno entro il 2012. Ma che di fatto «tappa la bocca» al confronto e alla concertazione politica e sindacale. E fuori sacco è stata introdotta anche - con «raccapriccio» degli editori - la disposizione che i testi scolastici dovranno durare per 5 anni.
Mondo della scuola e famiglie in subbuglio. Così si è svegliata ieri l’Italia. 104mila le classi di primaria funzionanti a modulo (tre insegnanti per due classi); 33mila quelle a tempo pieno. Un totale di circa 245mila insegnanti, di cui 6mila non di ruolo. 5mila invece i pensionamenti previsti nell’anno. Se si aprisse la sperimentazione del maestro unico solo dalla prima elementare verrebbero spazzati via 16.640 posti docente. Se si partisse a regime su tutte e cinque le classi (modulo e tempo pieno), il «risparmio» conseguente del taglio sarebbe di 80mila posti per maestro. Una rivoluzione da restaurazione contro il sapere. Gli studenti imparerebbero appena a leggere, scrivere e contare. E con questo scarso bagaglio nozionistico entrerebbero poi alla scuola dei “grandi”, le medie. Un avvio d’anno scolastico, dunque, al cardiopalma. «Sciopero» unitario e mobilitazione dei docenti è la risposta del sindacato Flc-Cgil, Uil e Cisl-scuola. E non è detto che non coincida con l’ingresso o giù di lì degli studenti nelle aule. Mentre il tam tam corre anche su Internet e nelle città della penisola spuntano Comitati contro il ritorno al passato del maestro generalista: raccolte di firme e fax di protesta per «inondare» la Gelmini. Mentre i precari della scuola invitano gli italiani ad appendere un drappo nero sui balconi. «Un calcio nei denti ai bambini e alle bambine» commenta Enrico Panini, segretario nazionale della Federazione lavoratori della conoscenza. «Un attacco spietato del governo al loro diritto ad avere una scuola più ricca e non più povera di opportunità», precisa. Durissimo anche il sindacato degli insegnanti, il Gilda: «Un colpo di mano che fa tornare indietro di oltre 20 anni. Non è mai capitato nella storia d’Italia - sottolinea Rino Di Meglio - che una riforma dell’ordinamento scolastico venisse varata con un decreto legge». Massimo Di Menna della Uil, chiede chiarezza e trasparenza: «Il governo - dice - ha introdotto una rigidità prima ancora della discussione con i sindacati». E Fracesco Scrima della Cisl-scuola parla di «pedagogia da cassa». Intanto, leggendo l’art.4 del decreto salta agli occhi il mancato uso del congiuntivo: «è ulteriormente previsto che le istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate ad un unico insegnante...». Ancora un errore da matita rossa blu per il ministero dell’Istruzione dopo la «gaffe» sulla poesia di Montale alla maturità?.
Il ritorno del maestro unico in classe - mandato in pensione dal’90 dal ministro Mattarella - non scatterebbe subito solo per questioni organizzative ma l’insegnante sarebbe solo in cattedra dall’anno 2009-2010. La stessa Gelmini vista la «furia» della polemica e dello sconcerto in atto della popolazione è stata costretta a precisare: «Sarà un ritorno soft e verrà introdotto solo nella prima classe del ciclo. Quindi entrerà a regime gradualmente». Ha rassicurato anche sul tempo pieno: «Non è affatto incompatibile con il ritorno del maestro unico», ha detto la responsabile dell’Istruzione. Poi, a chiusa della nota è tornata sul bilancio della scuola, speso per il 97% per pagare gli stipendi di un milione e 300 mila dipendenti. «Così la scuola non ha futuro» - ha concluso Gelmini, ribadendo la sua litania: meno insegnanti ma meglio pagati».
Dure le reazioni del Piddì. «Il maestro unico non è un romantico ritorno al passato. Significa una settimana di 24 ore, senza pomeriggi a scuola, senza attività integrativa e bambini in casa», sottolineano il ministro ombra Maria Garvaglia e Maria Coscia, responsabile scuola del partito.
Ansa» 2008-09-02 20:08
MAESTRO UNICO DAL PROSSIMO ANNO SOLO IN PRIMA
di Tiziana Caroselli
ROMA - Annunciato in punta di piedi, il ’’maestro unico’’ torna nella scuola italiana a passo di carica. I sindacati non gradiscono e annunciano battaglia. Non e’ piaciuto loro il metodo e anche il merito non convince, nonostante il ministro abbia assicurato oggi che non ha intenzione di toccare il tempo pieno e che la novita’ sara’ introdotta gradualmente: il prossimo anno interessera’ soltanto le prime classi del ciclo.
Mariastella Gelmini, la settimana scorsa aveva parlato del ritorno del ’maestro unico’ a Palazzo Chigi come di un ’’indirizzo’’ del Governo, ma, poi, nel tragitto dalla presidenza del consiglio al Quirinale il decreto su valutazione della condotta e ritorno dei voti, si e’ arricchito anche di questa novita’.
E ’’fuori sacco’’ e’ stata introdotta anche, con ’’raccapriccio’’ degli editori, la disposizione che i testi scolastici dovranno ’’durare’’ almeno cinque anni.
Il ritorno del ’’maestro unico’’ nella scuola elementare (dal 2009-2010 perche’ quest’anno non si fa in tempo), mandato in pensione nel ’90 dall’allora ministro Sergio Mattarella e sostituito da un team di tre insegnanti, rappresenta una rivoluzione, con conseguenze devastanti, a sentire sindacati e rappresentanti dell’opposizione, dal punto di vista pedagogico e occupazionale.
Di tutt’altro parere il ministro. ’’Aver introdotto un team di tre insegnanti non corrispondeva esigenze pedagogiche e formative. Ho piuttosto l’impressione che sia servito soltanto a far aumentare il numero degli insegnanti’’.
E insiste. ’’Una scuola che attualmente conta circa un milione e 300 mila dipendenti, un numero sproporzionato di personale, conseguenza anche di scelte come quella del team di insegnanti nel primo ciclo, e’ una scuola che non ha futuro. Non ha futuro perche’ spende il 97% del proprio bilancio in stipendi, una spesa ’ingessata’ che non consente al settore di rinnovarsi’’.
Considerazioni che per ora non cancellano le perplessita’ dei sindacati. ’Non e’ mai capitato nella storia d’Italia che una riforma dell’ordinamento scolastico venisse varata con un decreto legge. Ci troviamo di fronte a un colpo di mano che fa tornare la scuola italiana indietro di oltre 20 anni in un contesto che pero’, nel frattempo, ha subito profondi cambiamenti e peggioramenti’’, tuona la Gilda.
E i confederali non intendono stare a guardare. I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil scuola si accingono a buttar giu’ un documento unitario e intendono promuovere iniziative nelle scuole per far sentire la voce degli insegnanti. Al ministro Gelmini chiedono di aprire subito il confronto che aveva promesso. ’’Va presentato subito l’intero piano programmatico previsto dal decreto 122, piano che riguarda l’intero sistema scolastico (scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo e di secondo grado e personale Ata)’’ dice il segretario generale della Uil scuola, Massimo Di Menna, secondo il quale il Governo ’’ha introdotto nei suoi provvedimenti una rigidita’ ancor prima della discussione con i sindacati del piano programmatico’’.
Non usa mezzi termini il leader della Flc-Cgil, Enrico Panini che parla di ’’calcio nei denti ai bambini. Riuscire a distruggere la quinta scuola per qualita’ al mondo rappresenta la concreta attuazione di un attacco spietato al diritto dei bambini ad avere una scuola piu’ ricca e non piu’ povera di opportunita’. A fronte di questa situazione e’ necessario definire un calendario di mobilitazione e di lotta per contrastare scelte sbagliate e inaccettabili’’.
Dure le reazioni del Pd. ’’Il maestro unico - affermano parlando di ’’colpo di mano della Gelmini’’ il ministro ombra Maria Pia Garavaglia e la responsabile scuola del partito Maria Coscia - non e’ un romantico ritorno al passato. Significa una settimana di 24 ore, senza pomeriggi, senza attivita’ integrative e con i bambini a casa. In breve, un duro attacco alla scuola elementare, una scuola di altissimo livello, come dimostrano i dati Ocse-Pisa: seconda in Europa, ottava nel mondo’’.
A fianco della Gelmini si schierano, invece, il Pdl e il Moige. ’’Il maestro unico favorisce il rapporto tra bambino e insegnante’’ afferma la presidente del Movimento italiano genitori Maria Rita Munizzi che definisce ’’eccessive’’ le polemiche di queste ore. ’’Con il maestro unico, il bambino, che e’ alla prima vera esperienza scolastica, ha un passaggio piu’ graduale verso la figura dell’insegnante. Inoltre - aggiunge - ha una figura di riferimento piu’ definita, un rapporto piu’ diretto, mentre con piu’ docenti spesso ci sono problemi di disorientamento’’.
Un colpo all’Università
di Fabio Mussi (l’Unità, 24.07.2008)
La sorte dell’università italiana è segnata, allo stato dei fatti. Segnata da un decreto «finanziario», il 112 del 25 giugno, presentato da Tremonti e approvato in nove minuti dal Consiglio dei ministri, che mina una parte essenziale delle conquiste sociali e culturali di età repubblicana. Tre o quatto norme, quasi distrattamente gettate qua e là nel testo, bastano a cambiare radicalmente, in una direzione che sembrerebbe - sembrerebbe... - priva di senso, l’università e la ricerca scientifica. Fatto questo, non c’è più bisogno di portare in Parlamento alcunché. La cosa di cui mi pare ci sia ancora poca consapevolezza, nel campo di quello che fu il centrosinistra, è che patto costituzionale e patto sociale stanno, sotto la potente e debolmente contrastata spinta della destra, rovinando insieme.
Il decreto prevede innanzitutto un costante definanziamento per i prossimi cinque anni. Cinque. Sono gli anni in cui l’Italia dovrebbe onorare gli impegni presi a Lisbona: costruire lo «spazio europeo dell’università e della ricerca», portare gli investimenti al 4.5% del pil. Parlo naturalmente non di spesa, ma di investimenti.
Anche a prescindere dal valore assoluto, fuori da una logica di merce, della conoscenza, è noto che il principale fattore di produttività economica si chiama istruzione, formazione superiore, ricerca. Ci sono stime internazionali: ogni dollaro, o euro, che metti nella ricerca, ne produce tre. Gli obiettivi di Lisbona, che altri Paesi europei hanno già raggiunto, o fortemente avvicinato, sono per il nostro irraggiungibili: ci vorrebbero nei prossimi anni incrementi fino a 40 miliardi di euro l’anno. Scendere, assomiglia al suicidio di una nazione. Formazione superiore e ricerca sono assolutamente sottofinanziati: 0.8% sul pil l’Università, 1.1% la ricerca scientifica (era 1.4%anni fa). Lisbona no, ma almeno le medie europee, almeno le medie di area OCSE! Si tratta per l’Italia di una cifra intorno ai 10 miliardi di euro aggiuntivi. Non dimenticando che negli ultimi venti anni c’è stata nel mondo una impressionante crescita degli investimenti, di cui sono stati protagonisti Stati Uniti, Cina e India, a seguire l’Europa, ma una moltitudine ancora di Paesi di tutti i continenti. Spesa pubblica e privata: in Italia lo Stato ci mette un po’ meno degli altri Stati della Ue, le imprese italiane, mediamente, clamorosamente meno delle loro sorelle europee.
Nei venti mesi del governo Prodi questa è stata una questione molto combattuta. Lo dico per personale esperienza. Quando si decise, con il primo provvedimento finanziario del 2006, con il mio dissenso di ministro, il taglio dei consumi intermedi -che poteva valere intorno ai 100 milioni di euro, norma in extremis poi revocata, si accese un torrido dibattito pubblico, paginate di giornali. Ora Tremonti- Gelmini prevedono un taglio di circa 1.5 miliardi euro nel quinquennio, e si sono letti qua e là degli articoli (per esempio sull’Unità), rari Nantes nel mare magno di una informazione sempre più conformistica e d’intrattenimento, ma nessuna discussione pubblica all’altezza del problema che si apre. Il governo di centrosinistra, nelle sue due finanziarie, aveva stabilizzato la spesa, anzi l’aveva un po’ incrementata, accompagnandola con misure di serietà. Insufficienti? Insufficienti. Con la destra si scende d’un colpo sotto il livello di sopravvivenza. Si apre semplicemente una lotta darwiniana tra istituzioni universitarie e centri di ricerca. Di dove cominceranno i tagli? Certamente riguarderanno tanto la didattica quanto la ricerca, e saranno colpiti i più giovani. Vedo che ci sono gà atenei che dichiarano di non poter rispettare la norma dell’aumento delle borse di dottorato, che era garantito dal Fondo di finanziamento 2008. Lo stesso passaggio dalla biennalità alla triennalità degli scatti di carriera (che non ha nulla a che fare con la premialità del merito e dell’impegno) colpirà soprattutto i docenti e i ricercatori più giovani, all’inizio della carriera. Una cosa è sicura: aumenteranno fortemente le tasse. E così, per un certo numero di nonni che potranno comprare qualche pacco di pasta al supermercato con la social card , ci saranno milioni di nipoti le cui famiglie dovranno versare molto molto di più. Però, com’è noto, la destra non mette le mani in tasca dei cittadini, mai e per definizione...
Ma la trappola mortale per giovani, nel decreto del governo Berlusconi, è la norma che limita il turn over al 20% delle uscite. Abbiamo il corpo docente universitario più vecchio del mondo, organizzato in una struttura di ordinari, associati e ricercatori, bizzarra e altrove sconosciuta. In pochi anni, almeno la metà dei docenti in attività andrà in pensione. Una occasione importante di riequilibrio e di rinnovamento. Se ne entra solo uno ogni cinque che escono, si brucerà una generazione intera di giovani di talento, quelli stessi che già oggi a migliaia emigrano, senza essere compensati da loro coetanei che arrivano da altri Paesi. Si ridurrà drasticamente il corpo docente, senza ridurne significativamente l’età media. Nella legge che proibisce ai giornali di pubblicare certe notizie giudiziarie in loro possesso, sarebbe opportuno allora fare un emendamento: "Di qui in avanti è proibito, per decenza, scrivere e stampare la frase: fuga dei cervelli".
È evidente che tutta questa roba non ha niente a che fare con una strategia della qualità e di innalzamento degli standard del sistema universitario. E che le nuove norme creeranno un groviglio inestricabile di problemi. Sono sicuro che lo sa bene Giulio Tremonti, visore globale e autore della geniale irresistibile gag nella quale appaiono quali responsabili del mercatismo liberista l’Illuminismo, la Rivoluzione francese e il comunismo. Lo vede talmente bene che una soluzione l’ha trovata: le università possono trasformarsi in fondazioni di diritto privato. A parte il fatto che il trasferimento diretto dallo Stato è in Italia due punti sotto la media europea (documentazione presentata al Meeting di Londra sul "Processo di Bologna" nel giugno 2007), e già molte università , oltre al gettito tutt’altro che trascurabile delle tasse degli studenti, già attingono a rilevanti risorse autoprocurate. A parte il fatto che in Italia non ci sono né i Rockfeller che mettono soldi nelle Foundations, né i Guggenheim che li mettono nell’arte, né mecenati che elargiscono con liberalità alla scienza e alla cultura (anche lì. negli Usa, non sempre disinteressatamente, magari per comprarsi l’accesso a prestigiose ed esclusive università per i figli bighelloni).
Si capisce l’idea del governo di destra: privatizzare. E magari si muoverà di certo qualche privato (e magari qualche privato che prende molti soldi dallo Stato, magari un qualche otto per mille).
Il punto è che, con tutti gli innegabili guai dei grandi sistemi pubblici, l’eccellenza è pubblica: nella sanità, nella scuola, nell’università, nella ricerca. Che qualità, merito ed efficienza siano una esclusiva del privato, non è un fatto, ma, come diceva Norman Mailer, un "fattoide", cioè una balla: Una balla di successo, ma una balla. Tutti i nostri sistemi sono misti, c’è il pubblico e c’è il privato. Quando relazioni sono pulite, questo è un valore.
Ma se si smantella il pubblico -in quei territori che hanno a che fare per esempio con la salute, il patrimonio culturale e la conoscenza - non è il moderno che arriva, è il passato che torna. Come è tornato il passato remoto con il "Lodo Alfano", un pezzo di diritto medievale scagliato nel presente. Bisogna muoversi, ora.
I sindacati hanno ottenuto la prima bozza dei tagli
previsti all’interno del decreto fiscale
150 mila posti in meno in 3 anni
"Un colpo alla scuola pubblica"
Il governo vuole recuperare otto miliardi, cura shock
"Vogliono tornare al maestro unico nella primaria"
di SALVO INTRAVAIA *
ROMA - "Attacco alla scuola pubblica", "Scuola statale a rischio smantellamento" e "scelte pesantissime sulla scuola". Sono i commenti dei leader sindacali della scuola sul cosiddetto decreto fiscale di cui si conosce una prima bozza attendibile. Per tagliare gli sprechi nella pubblica amministrazione e avviare il meccanismo virtuoso del merito il governo Berlusconi avrebbe previsto per la scuola una cura da cavallo. Nei prossimi tre anni dovrebbero saltare qualcosa come 150 mila posti di lavoro (100 mila cattedre e 47 mila posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata) per recuperare la cifra record di 8 miliardi di euro.
Il decreto. I tagli andrebbero sotto la voce "Disposizioni in materia di organizzazione scolastica" e sono espressi rigorosamente in percentuali o rapporti che devono essere tradotti per emergere in tutta la loro dimensione. "Ai fini di una migliore qualificazione dei servizi scolastici e di una piena valorizzazione professionale del personale docente", recita il testo provvisorio del decreto, dall’anno scolastico 2009/2010 occorrerà aumentare il rapporto alunni/docenti di un punto. Attualmente siamo attorno a 9,1 alunni per ogni insegnante. L’obiettivo è quello di arrivare entro l’anno 2011/2012 a 10,1. Il costo in termini di cattedre è stimato dai sindacati attorno alle 62 mila unità, cui occorre aggiungere le 33 mila cattedre previste dalla Finanziaria 2008 del governo Prodi incrementate di altre 6 mila unità per una "interpretazione" dell’attuale governo sulla manovra 2008. In tutto 101 mila cattedre che andranno in fumo.
C’è poi la partita del personale Ata. Entro l’anno scolastico 2011/2012 è prevista una riduzione pari al 17 per cento della dotazione organica di bidelli, personale di segreteria e tecnici di laboratorio. I sindacati hanno contabilizzato 47 mila posti che spariranno attraverso la "revisione dei criteri e dei parametri per la definizione delle dotazioni organiche del personale Ata". Secondo questa ipotesi, le scuole avranno meno bidelli per vigilare gli alunni, meno addetti elle segreterie e meno tecnici presenti nei laboratori.
Le reazioni. Francesco Scrima della Cisl scuola parla di governo che "decide all’ingrosso pesantissimi tagli del personale senza considerare le conseguenze sul piano della qualità dei servizi erogati". Parla si esecutivo che "non si interessa degli obiettivi che oggi la scuola deve ottenere, ma attacca semplicemente un pezzo di welfare". E continua: "Si taglia il futuro, si tagliano le radici su cui il Paese può crescere".
"Tagliare altri 100 mila cattedre nel prossimo triennio - dichiara Rino Di Meglio, della Gilda degli insegnanti - significherebbe smantellare la scuola statale". Il perché è presto detto. "Sbaglia chi attribuisce alla scuola sprechi di denaro pubblico - spiega Di Meglio - basta vedere, per esempio, lo stato di fatiscenza in cui versa la maggior parte degli edifici scolastici, sovraffollati, a rischio sicurezza e carenti persino di banchi, sedie e gessi, e il rapporto docenti-alunni sempre più sproporzionato. Risultato: per investimenti nell’istruzione, l’Italia si trova agli ultimi posti nella classifica dei paesi sviluppati".
Enrico Panini, leader della Flc Cgil sostiene: "Nella scuola si spremono oltre 8 miliardi di tagli, compresi quelli contabilizzati per il 2012". E paventa conseguenze disastrose. "Per realizzare questa perversa scelta, alla devastazione della rete scolastica (ottenuta peggiorando le attuali regole per formare le classi e per determinare i posti dei lavoratori ATA) - continua Panini - si aggiunge la devastazione degli ordinamenti che per la prima volta nella storia del nostro Paese saranno più poveri di quelli precedenti. Si ipotizza, infatti, il ritorno al maestro unico nella scuola primaria e, nella secondaria, meno ore e meno materie per tutti, a partire dalle scuole tradizionalmente destinate ai ceti più popolari".
Gli scenari. Ma come è possibile tagliare 150 mila posti se il governo precedente ha faticato a tagliarne 10 mila? "Se la manovra venisse confermata - dichiara l’ex viceministro alla Pubblica istruzione, Mariangela Bastico - Non si tratta di azioni volte alla razionalizzazione e all’efficienza del sistema, come quelli messi in atto dal governo precedente. Si tratta di interventi volti allo scardinamento della scuola pubblica. I tagli in questione possono essere realizzati - continua - sono smantellando pezzi del sistema scuola". In che modo? "Utilizzare il rapporto alunni/docenti - spiega la Bastico - è improprio perché in Italia le anomalie cui fa cenno il governo attuale sono dovute, per esempio, alle politiche per l’integrazione dei disabili". "In Italia i posti determinati dalla integrazione dei disabili sono circa 150 mila, negli altri pesi o ci sono le scuole speciali o questi posti sono a carico delle Politiche sociali".
E quali altri settori rischiano? "Il tempo pieno e il tempo prolungato alla scuola elementare - risponde l’ex inquilino di viale Trastevere - ma anche l’intera scuola dell’infanzia pubblica e l’istruzione degli adulti". Si potrebbe ritornare al maestro unico alla scuola elementare e si potrebbero ritoccare gli orari della scuola superiore. "Su quest’ultimo punto - continua la Bastico - siamo disponibili al dialogo. È possibile ridurre da 40 a 34 le ore nei tecnici e professionali ma questa manovra non consente di tagliare 100 mila posti. La cosa che mi meraviglia maggiormente è che il ministro Gelmini, nelle sue relazioni in Commissione, non ha accennato minimamente a politiche di riduzione così drastiche". E ancora, "la scuola non può reggere con un’assunzione ogni dieci pensionamenti", conclude. E per i 300 mila precari in attesa delle immissioni in ruolo il futuro si tinge di nero.
* la Repubblica, 24 giugno 2008.
Milano, il giudice della Prima sezione civile dà ragione a una donna marocchina
che adesso potrà iscrivere suo figlio alla materna. "Quella norma va cambiata"
Asili, sì al ricorso anti Moratti
"Abolire la circolare: discrimina"
MILANO - Il giudice della Prima sezione civile di Milano, Claudio Marangoni, ha accolto il ricorso presentato da una cittadina marocchina contro una delle più contestate circolari emanate dal Comune: vale a dire quel provvedimento, fortemente voluto dal sindaco Letizia Moratti, che esclude dall’iscrizione alle scuole materne i figli di immigrati irregolari. Secondo il legale della donna, l’avvocato Livio Neri, è stato "riconosciuto il carattere discriminatorio della circolare, nella parte contestata".
Risultato: ora la sua cliente potrà iscrivere la propria figlia in una materna milanese. Si tratta di una persona che, come spiega il difensore, "risiede da anni in Italia", e "pur disponendo di un lavoro e di un alloggio in Milano - ove risiedono le due figlie - ed essendo pienamente inserita nel tessuto sociale locale, si trova attualmente in condizioni di irregolarità del soggiorno sul territorio nazionale".
In sostanza il giudice, nel dispositivo di una ventina di pagine con cui ha accolto il ricorso della donna marocchina, afferma il principio secondo cui un minore, in Italia, gode del diritto di rimanere sul territorio nazionale, con la conseguente possibilità di accedere a tutti i diritti di assistenza che ciò comporta, a prescindere dalla condizione di regolarità o irregolarità dei genitori.
Definendo "discriminatorio" la parte della circolare del Comune che i minori con genitori senza permesso di soggiorno dall’iscrizione alle scuole materne, il giudice ha in sostanza ordinato al Comune di rimuovere o riformulare quella parte del testo. Altrimenti, è prevista una sanzione penale.
* la Repubblica, 11 febbraio 2008
Corte Costituzionale: cos’è la laicità. Un documento imprescindibile *
La Corte Costituzionale ha affermato a più riprese che la laicità costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento italiano, il quale emerge dal combinato disposto di più norme costituzionali: gli artt. 2, 3, 7, 8 e 19, e consiste nell’equidistanza e nell’imparzialità che lo stato deve mantenere per tutelare la libertà religiosa in un contesto di pluralismo religioso e culturale (Sentenze n. 203/1989; n. 259/1990; n. 13/1991; n. 195/1993; n. 421/1993; n. 334/1996; n. 329/1997; n. 508/2000; n. 327/2002.). Nella lettura della Corte, e cioè dell’unico organo legittimato a fornire un’interpretazione dei principi costituzionali, il significato del principio di laicità è dunque inequivocabile.
Nonostante questo, però, è diventato di moda nel dibattito politico (e non solo) accreditare una versione della laicità che è stata acutamente definita “confessionalista” (Dieni). Non si nega cioè la vigenza del principio di laicità, né che esso costituisca un fondamento dell’ordinamento costituzionale, ma lo si interpreta alla luce della dottrina della chiesa, che costituisce ovviamente un sistema di valori esterno rispetto a quello statale, finendo con l’attribuire ad esso valenze e significati incompatibili con la nozione che ne ha elaborato la Corte Costituzionale.
Un’interpretazione che ha trovato la più paradossale delle sue espressioni nella sentenza del TAR Veneto, confermata dal Consiglio di Stato, secondo cui il crocifisso “. può essere legittimamente collocato nelle aule della scuola pubblica, in quanto non solo non contrastante ma addirittura affermativo e confermativo del principio della laicità dello Stato repubblicano” (T.A.R. Veneto, sentenza n. 1110 del 17 marzo 2005, punto 16.1). Riecheggiando il linguaggio di Bauman, c’è chi ha suggerito lo stato “liquido” che caratterizza il principio di laicità nell’attuale dibattito politico e nelle sue applicazioni in sede legislativa e giudiziale, per cui esso cambia di significato a seconda del contenitore in cui è versato (Fiorita).
Alla “sana” laicità confessionalista si contrappone poi la sua declinazione peggiorativa, il militante “laicismo” alla francese, che consisterebbe nell’atteggiamento di ostracismo a tutto campo nei confronti del fenomeno religioso. In realtà, il principio di laicità non prescrive affatto in Francia neppure la semplice indifferenza statale al fattore religioso, l’astensione dello stato e l’irrilevanza pubblicistica degli interessi religiosi, dal momento che ben si concilia con una legislazione statale che regola la forma obbligatoria delle associazioni di culto, riconosce con decreto del Consiglio di Stato le congregazioni (che sono necessariamente soggette alla giurisdizione ordinaria) assicura lo svolgimento delle funzioni religiose nelle carceri e negli ospedali, e consente l’obiezione dal servizio militare in ragione delle convinzioni religiose nonché il finanziamento pubblico delle scuole confessionali.
La presenza del papa all’apertura dell’anno accademico viola il principio di laicità, perché, suggerisce un favore da parte dell’istituzione pubblica nei confronti della religione della maggioranza, ed un.legame di reciproca appartenenza dello stato con la chiesa dominante. E’ evidente, infatti, che lo stato laico deve essere, ma anche apparire imparziale per non escludere (neppure visivamente) i gruppi e i soggetti che non appartengono alla cultura dominante, mantenendo un atteggiamento autenticamente pluralista. A meno che, come il crocifisso nelle scuole, anche il papa all’università non assolva la nuova funzione di rappresentante della laicità dello stato.
Susanna Mancini
Professore di Diritto Pubblico Comparato
Facoltà di Giurisprudenza, Bologna
E’ ora di fermare il Ministro Fioroni e la sua indefessa opera a favore delle scuole private. *
La nomina di Giuseppe Fioroni a Ministro dell’Istruzione, avvenuta all’ultimo momento e al di fuori di ogni previsione, aveva fatto sorgere dubbi sulla sua origine.
Il suo impegno come medico obiettore e come politico a favore dell’astensione al referendum sulla procreazione assistita avevano fatto pensare ad una benevolenza della Chiesa cattolica.
L’insieme dei provvedimenti da lui promossi in favore della scuola privata cattolica rafforza tale impressione.
La prima mossa di Beppe consiste nell’introduzione nella finanziaria per il 2007 di uno stanziamento di 100 milioni all’anno in più nei capitoli di spesa relativi alle scuole private.
Nella stessa finanziaria introduce il principio dei finanziamenti diretti a tutte le scuole paritarie, senza fini di lucro o con fini di lucro, per il solo fatto di esistere. (vedi commi 635 e 636).
Il 21 maggio 2007 emana poi il decreto che estende i finanziamenti statali a tutte e scuole paritarie private, dalla scuola materna alle superiori. Tale decreto prevede una cifra per scuola, che arriva a 19.367 per le primarie, e una per classe che arriva a 15.000 euro per le materne. Occorre anche osservare che la cifra per classe prevede che le stesse debbano avere almeno 8 studenti, a differenza della scuola statale nella quale una classe si può costituire con almeno 16 studenti.
Non contento dei primi stanziamenti riesce in fase di assestamento di bilancio a reperire altri 51 milioni di euro.
Eh sì, l’aveva promesso che avrebbe “restituito” quanto la finanziaria dell’ultimo Governo Berlusconi aveva tagliato. A tale proposito si veda la Lettera ai gestori delle scuole private del 12 settembre.
Non contento ha fatto approvare il 12 ottobre scorso dal Consiglio dei Ministri (a proposito gli altri che ci facevano alla riunione ?) lo schema di regolamento in materia di convenzioni con le scuole primarie paritarie, che prevede finanziamenti aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal decreto del 21 maggio in base a parametri quali numero di classi e di ore di sostegno.
In pratica tutta l’azione di Fioroni ha come scopo il raggiungimento della parità economica fra le scuole private paritarie e quelle statali, dopo che quella giuridica era stata definita con la Legge 62/2000, promossa dall’on. Berlinguer.
Allo scopo vedi scheda sulla parità.
L’obiettivo di Fioroni è introdurre il principio di sussidiarietà nella scuola, al fine di rendere equivalenti l’offerta scolastica statale a quella privata.
Verrebbe meno in tal modo il principio costituzionale di cui all’art. 33, comma 2 che obbliga la Repubblica ad istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi, assegnando a queste il compito di garantire a tutti i giovani un’istruzione laica e pluralista, tesa a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana..” (art. 3 Costituzione).
Se questo progetto non verrà fermato una parte degli studenti sarà costretta ad iscriversi a scuole private confessionali a pagamento a causa della carenza di offerta statale, come già accade nella scuola dell’infanzia.
Verrà messo in discussione l’impegno statale per l’istruzione.
Poiché i privati non sono certo tenuti a farsi carico dei problemi di ordine economico e sociale dei cittadini verrà messo in discussione il diritto all’uguaglianza di istruzione che la nostra Costituzione garantisce a tutti.
Solo chi avrà i mezzi per potersi permettere l’iscrizione a scuole private potrà accedere ad un’istruzione di qualità, agli altri verranno destinati servizi pubblici minimi.
Non è un caso che nella finanziaria 2007 all’aumento degli stanziamenti per 151 milioni a favore dei privati, corrispondano tagli dei finanziamenti alle scuole statali per 1.400 milioni.
Bruno Moretto, Comitato bolognese Scuola e Costituzione 22. 10.2007, ripresa parziale
Egr. Signor Bruno Moretto, ma questa mia è diretta anche tutti gli altri interlocutori del sito
Sono una insegnante di una scuola superiore (Liceo). Ho 48 anni e 15 anni di insegnamento. Vorrei esprimere un mio piccolo parere su ciò che avete scritto. Ho esperienaza sia nella scuola pubblica che in quella privata (di recupero anni). Mio figlio (II elementare) frequenta una scuola privata (Istituto delle Suore Mercedarie). In questa scuola arrivano le sovvenzioni del Comune che permettono anche a chi non può, di poter iscrivere i figli e dargli una preparazione decente. La nostra scelta è avvenuta dopo un attento confronto con l’offerta formativa di diverse scuole pubbliche della mia città, che ci hanno spaventato moltissimo per la precarietà e continuità dell’attività didattica negli anni di corso che il bimbo doveva seguire: in pratica avrebbe canbiato insegnanti ogni anno, con tutto ciò che questo comporta nella psicologia infantile e nei cambiamenti didattici e di metodica che ogni insegnante possiede. In questa scuola privata almeno è garantita la continuità didattica nei cinque anni del ciclo delle elementari. Questo significa anche stessa metodica e collaborazione con i genitori per l’apprendimento del propri figli. Non mi risulta che ciò avvenga nella scuola pubblica. Non sono ne a favore ne contro la scuola private perchè non tutte le scuole private sono in grado di offrire tutto ciò che un genitore vorrebbe per l’apprendimento e l’intrecominicabilità tra alunni ed insegnanti e tra genitori ed insegnanti, però devo riconoscere che (e sono in grado di valutarlo) nella scuola paritaria che frequenta mio figlio per la modica cifra di 100 euro al mese l’insegnamento e l’apprendimento vanno di pari passo in una classe di 24 alunni!!! Anche le altre I, III, IV e V sono allo stesso livello. Per quanto riguarda la scuola superiore che è il mio pane quotidiano, assisto ogni giorno allo scempio che è stato fatto nelle elementari e nelle medie nei miei alunni, che arrivano da noi con lacune mostruosamente grandi e difficili da colmare in pochi mesi di scuola. I problemi li abbiamo noi insegnanti della scuola superiore che ci ritroviamo a svolgere un programma senza che i nostri ragazzi abbiano una base culturale e scolastica decente. Detto ciò esprimo il parere che ripeto da anni, da quando studiavo all’università. Il problema non sono le differenze tra scuola privata e pubblica, il problema sono gli insegnanti demotivati e tanti di noi che finiscono nell’insegnamento perchè "non trovano un altro lavoro", così se vengono chiamati grazie alla graduatoria iniziano con tutto ciò che ne consegue: NON TUTTI GLI INSEGNANTI SANNO INSEGNARE!! Credo che il nodo cruciale sia proprio questo: la scelta degli insegnanti per ogni scuola. Penso che la graduatoria alla fine non abbia portato miglioramenti nè nel collocamento dei colleghi, nè cultura scolastica perchè molti noi dovrebbero effettivamente fare un altro mestiere! Quindi in conclusione penso che la scelta dell’insegnante debba avvenire in ogni singola scuola da parte del Dirigente Scolastioco e se non va bene si cambia. Non è a nostro discapito il cambiamento ma a nostro vantaggio perchè alla fine ci fa capire se questo è il nostro mestire oppure no. Se la scuola pubblica avesse questa oppurtunità tenderebbe ad essere più flessibile e a tenere dentro i colleghi migliori dal punto di vista professionale, culturale e di rapporto con gli alunni e genitori, ci sarebbe insomma alla fine una sorta di autoselezione dovuta alla "concorrenza", e si "concorrenza" per l’accapparamento degli individui che sanno comunicare meglio il loro sapere ai nostri ragazzi. Questa scuola pubblica ,in questo caso, sarebbe scelta dai genitori perchè la migliore e non perchè è la "più vicina a casa". Il criterio di scelta sarebbe bene diverso! E le scuole private in questo caso entrerebbero in concorrenza con quelle pubbliche e non ciceversa come accade ora. Per quanto riguarda il Ministro Fioroni: credo che alcuni sui interventi vadano bene ed altri no. Penso che i Ministri compreso quello della Pubblica Istruzione dovrebbero entrare nelle scuole e nelle classi per un intero anno scolastico e vedere di persona in che razza di mondo vive l’insegnante e l’alunno sia nelle scuole private che in quelle pubbliche e quali sono i problemi che quotidianamente si devono affrontare per far entrare nella testa dei ragazzi concetti culturali di base. Ragazzi che sono distratti da miliardi di cose che li circondano, cominciando dai mass media e computer, per dirne solo due! Non si può tornare alla scuola degli anni ’60, cioè quella ho frequentato io perchè i tempi erano diversi e le opportunità culturali erano infinitamente più piccole di quelle che vengono offerte oggi. Quindi il Ministro dovrebbe prima capire in che mondo vivono i ragazzi di oggi senza falsi paternalismi che non servono, ma solo essere obiettivo con i nostri tempi e prendere le misure appropriate e non secondo la corrente politica che spinge al momento!!! Dall’altra parte della barricata: una insegnante
Cara "Insegnante"
.... che dire della sua preziosa ("Deus caritas est" - un’altra cosa è la "charitas"!) "fotografia" della "sua" scuola "italiana"?! Che la gran parte dei cittadini-insegnanti e delle cittadine-insegnanti non ha più (nel caso l’abbia avuta) la memoria dell’ abc della Costituzione e della stessa dignità civile e democratica!!!
Se una insegnante delle superiori e madre di figli non arriva nemmeno a firmarsi e a scrivere il suo nome e cognome alla fine di un suo intervento, vuol dire che il terribile è già accaduto ... e tutto è stato finalmente "liberalizzato", "sussidiariatizzato" e "privatizzato". "Italiani" e "Italiane", ancora uno sforzo: "Forza Italia"!!! "Forza Vaticano"!!!
Per la Redazione
Federico La Sala
Esclusivo
Nuovo trucco di Fioroni per finanziare le private
Una bozza di un regolamento allo studio
di Simone Verde (il manifesto, 13.10.2007)
Generalizzare e consolidare i finanziamenti alle scuole private. È l’obiettivo di un regolamento allo studio del ministero della pubblica istruzione, di cui il manifesto è riuscito a intercettare una bozza. Una bozza che, qualora invariata, permetterebbe di distribuire indiscriminatamente fondi pubblici a tutte le scuole elementari paritarie. Il tentativo è sempre lo stesso, ma il processo per aggirare il divieto di finanziamenti dello stato questa volta è più macchinoso del solito e per essere compreso richiede qualche passo a ritroso. Tutto cominciò nel 2000, con una legge dell’allora ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer che, dando seguito alla Costituzione, stabilì i criteri per parificare l’istruzione pubblica e privata. Nel 2003, poi, arrivò Letizia Moratti, che si servì del provvedimento per giustificare aiuti alle famiglie con figli iscritti nelle scuole private. Il provvedimento fece molto discutere, ma funzionò. E permise di affermare il principio che lo stato, per promuovere la parità scolastica e per garantire a tutti un’ampia offerta formativa, dovesse investire denaro.
Cambiata maggioranza, fu compiuto un ulteriore passo, questa volta ad opera dell’attuale ministro Giuseppe Fioroni. Il quale grazie a un decreto dello scorso giugno è riuscito nella quadratura del cerchio, affermando apertamente la necessità di «sostenere la funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell’ambito del sistema nazionale di istruzione» attraverso «contributi destinati alle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo e secondo grado in possesso del riconoscimento di parità». Un passo fin qui impensabile con cui si aggira definitivamente il dettato costituzionale e si riesce a stabilire che lo stato deve assumersi l’onere di finanziamenti diretti alle scuole private. Il provvedimento è tanto più scaltro che non avviene attraverso nuove leggi, ma a colpi di decreti ministeriali e di interpretazioni estensive di norme già esistenti per evitare polemiche e scomodi dibattiti parlamentari. Ne scaturisce una vera e propria rivoluzione di velluto, con conseguenze estremamente negative sull’amministrazione scolastica che vede moltiplicare regolamenti, bizantinismi e cavilli, in un caos burocratico in cui tutto diventa possibile.
In un decreto ministeriale dello scorso maggio, così, sono stati stanziati «alle scuole primarie paritarie (...)19.367 euro per ciascuna delle classi»; «a ciascuna scuola paritaria secondaria di I grado (...) 2.500 euro» e «1000 euro per ciascuna classe»; «a ciascuna scuola paritaria secondaria di II grado (...) 4000 euro a scuola e 2000 euro a classe». Prossimo passo, il regolamento delle convenzioni con le scuole elementari, la cui uscita è prevista per la prossima settimana e di cui è riprodotta a lato la bozza. Una bozza in cui viene ribadita la volontà di finanziare direttamente il privato, con il pretesto di garantire la pluralità dell’offerta formativa e di promuovere la parità stabilita nel 2000 dal ministro Berlinguer. Nel caso della bozza, i finanziamenti alla scuola elementare parificata fino ad oggi destinati soltanto agli istituti gratuiti, ora sono estesi a tutti: omettendo il vincolo della gratuità, infatti, anche se avrà rette costosissime, la scuola privata riceverà comunque i soldi dello stato. «L’ufficio scolastico regionale - si legge così all’art. 5 - si impegna a corrispondere al gestore, nei limiti dello stanziamento di bilancio sull’apposito capitolo di spesa, il contributo annuo fissato dal decreto del Ministro». In assenza di limiti, dunque, gli stanziamenti sono estesi a qualsiasi istituto che abbia ottenuto la parificazione.
Ma i vantaggi non si fermano qui. Oltre al denaro, infatti, agevolazioni sono garantite da ulteriori omissioni. Prima tra tutte quella che riguarda la percentuale massima di precari che possono essere assunti da ogni istituto. Un aspetto che richiede da anni un chiarimento definitivo e su cui il documento tace, permettendo così che continui lo sfruttamento indiscriminato di docenti con contratti atipici, salari bassissimi, contributi inferiori ai colleghi di ruolo e stipendi che non coprono i periodi di ferie. Un ulteriore vantaggio che rafforzerà l’integrazione tra pubblico e privato teorizzata da Fioroni nell’ambito di «un sistema misto» in cui la scuola pubblica continua a subire restrizioni finanziarie mentre vengono moltiplicati i fondi per le scuole confessionali.
La contestazione durante l’inaugurazione dell’anno scolastico
Fischi, cori e striscioni da parte di associazioni, studenti e precari
Napoli, Fioroni contestato in piazza
I disabili: "Perché non ci volete?" *
NAPOLI - Fischi, cori e striscioni a Napoli contro il ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni. È accaduto in piazza del Gesù, dove il ministro ha inaugurato l’anno scolastico, nel corso di una manifestazione promossa dall’associazione ’Tutti a scuola’, che si batte per la soluzione dei problemi degli studenti disabili. In piazza c’erano circa mille persone tra studenti disabili e i loro familiari, studenti, insegnanti e precari del mondo della scuola.
Sul palco insieme al ministro dell’Istruzione, c’era Antonio Nocchetti presidente dell’associazione "Tutti a scuola", il sindaco Rosa Russo Iervolino, l’assessore regionale al Lavoro Corrado Gabriele, l’assessore al Comune di Napoli Giuseppe Gambale e il parroco anticamorra don Luigi Merola.
La protesta. "Diritti per tutti", "Perché non ci volete più?", ma anche un ironico "Peppe ’a bucìa (il bugiardo in dialetto napoletano), sono alcuni degli striscioni esposti ai lati della piazza e innalzati davanti al palco. Poi, una gabbia con all’interno palloncini colorati.
Prima dell’intervento del ministro, ha preso la parola dal palco il presidente dell’associazione ’Tutti a scuola’, Antonio Nocchetti, che raggruppa i genitori di alunni disabili. "Complimenti signor ministro - ha detto Nocchetti - per aver complicato la vita a milioni di italiani, per le originali intuizioni che avete inserito in Finanziaria elevando il numero di alunni per classe e congratulazioni per aver reso sempre più complessa la certificazione della disabilità provando a far sparire i bambini disabili".
Fischi anche da parte degli insegnanti precari, che chiedono da tempo un incontro pubblico con il ministro Fioroni e la pubblicazione delle graduatorie per gli incarichi annuali.
La replica del ministro. "La scuola da sola non può garantire insegnanti di sostegno e operatori per il sostegno materiale, il cui impiego non compete al Ministero". E’ questa la risposta che il ministro ha dato ai genitori dei bambini disabili che hanno protestato davanti al palco.
"L’ errore di fondo - secondo Fioroni - "è quello di considerare l’ insegnante di sostegno, che è un supporto degli insegnanti ordinari, anche un assistente sociale ed un educatore". Tali compiti vanno invece "affidati ad altre figure professionali", che debbono essere reclutati dalle scuole "grazie all’impegno congiunto degli enti locali".
* la Repubblica, 18 settembre 2007.
Al meeting di Cl a Rimini, il ministro scopre le carte. Proteste a sinistra (Sd): è incostituzionale.
ItaliaOggi: Paritarie, Fioroni più della Moratti *
Il decreto, a firma del ministro della pubblica istruzione, Beppe Fioroni, è stato pubblicato, sul sito del ministero, l’8 agosto scorso. La registrazione da parte della Corte dei conti risaliva a oltre un mese prima, il 2 luglio. Il decreto fissa, recita l’incipit, «criteri e parametri per l’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie per l’anno scolastico 2007/08».
Un semplice atto ministeriale, dunque, di ripartizione dei fondi che, in base alla legge sulla parità scolastica, fino all’anno precedente riguardava gli istituti dell’infanzia e le elementari. Un atto in verità dalla portata fortemente innovativa, che mette le lancette in avanti nella storia dei finanziamenti alle scuole private, molto più di quanto avesse osato, e sognato, fare l’ex ministro dell’istruzione, Letizia Moratti.
A svelare la portata del decreto è stato lo stesso Fioroni, al meeting di Comunione e liberazione di Rimini: i finanziamenti andranno a tutte le scuole paritarie, anche ai licei fino all’altro anno esclusi dal novero dei beneficiari. Un’esclusione che era motivata dal fatto che solo per l’infanzia e le elementari sussistevano convenzioni per prestazioni di servizio necessarie a sopperire alle carenze del sistema pubblico.
«Un passaggio storico per la scuola privata, è stata avviata la parità non solo giuridica, come deciso dal ministro Berlinguer, ma anche economica», è stato il commento di Giorgio Vittadini, presidente della fondazione per la sussidiarietà, che ha così sintetizzato l’entusiasmo riscosso da Fioroni al meeting di Cl.
«Quando sono arrivato al ministero non speravo di riuscire a fare quanto avviato dal governo precedente», ha spiegato Fioroni, «poi ho scoperto che i 500 milioni previsti dalla legge sulla parità erano stati tagliati, che mancavano 166 milioni, che ho ripristinato. Con il decreto ultimo abbiamo precisato il loro uso, ovvero che vanno a tutte le scuole che non cercano il profitto«. Uno dei requisiti fissati dal decreto è infatti che gli istituti richiedenti non abbiano scopo di lucro. Un requisito che dovrà essere autocertificato e che prescinde da una verifica sui bilanci degli istituti in questione. Per chiedere il finanziamento le scuole, inoltre, devono essere costituite «da corsi completi e da classi funzionanti con un minimo di otto alunni effettivamente iscritti e frequentanti».
Oltre alla Cgil di Enrico Panini, sul piede di guerra tutta la sinistra. Alba Sasso, responsabile scuola dello Sd e vicepresidente della commissione cultura della camera, spara a zero sulla riforma via decreto. «Fioroni ignora totalmente la Costituzione, che vieta finanziamenti alle scuole private, ma anche la legge 27 del febbraio 2006 con la quale la Moratti prevedeva un apposito regolamento governativo per stabilire le prestazioni in servizi che le scuole paritarie avrebbero dovuto erogare per continuare a conseguire tali contributi, regolamento che non c’è. E poi», sbotta la Sasso, «si fanno classi con 30 alunni nelle scuole statali e si finanziano le private che di alunni ne hanno solo otto».
Scuole pubbliche e private, la concorrenza non paga
di Nicola Acocella *
Recita l’articolo 33 della Costituzione italiana: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato».
Come può allora un ministro di stato asserire che i fondi alle scuole private possono arrivare sulla base della loro semplice esistenza? In realtà, il sistema attuale già indulge agli incentivi alla scuola privata attraverso vari sistemi, come quello dei voucher. Dal 2000 esistono due tipi di buoni scuola.
Un primo tipo è finanziato direttamente dallo stato e è praticamente irrilevante negli importi pro-capite per le famiglie, ma non per le casse pubbliche. Un secondo tipo, con importi pro-capite decisamente più elevati, è finanziato da alcune regioni.
E’ ampiamente documentato che, con la parziale eccezione delle regioni Emilia Romagna e Toscana, questo tipo di voucher, pur favorendo formalmente le famiglie relativamente poco abbienti, si risolva in un’integrazione di reddito di famiglie con redditi medio-alti e non tenga in nessun conto il merito degli studenti. Soltanto in piccola parte finora questo tipo di voucher si è tradotto in un aumento dei profitti delle scuole private e pertanto nella sostanza la violazione della Costituzione è stata marginale.
Si può pensare che le dichiarazioni del ministro Giuseppe Fioroni siano motivate dall’idea che la scuola italiana abbia bisogno attualmente di una buona dose di concorrenza per superare le inefficienze e le iniquità che la caratterizzano. Il problema dovrebbe essere più ampiamente dibattuto prima di procedere decisamente su questa strada.
In particolare, la concorrenza fra pubblico e privato può essere foriera di esiti assolutamente negativi sul piano proprio dell’efficienza e dell’equità, nonché per i risvolti che essa può avere sulla coesione sociale.
Sul piano dell’efficienza le posizioni di eccellenza che vanno riconosciute a alcune (poche) scuole private (come a alcune, poche, scuole pubbliche) sono difficilmente replicabili, almeno nel medio periodo. Inoltre, il meccanismo di «uscita» dalla scuola pubblica, affievolirebbe la «voce» (ossia, l’interesse e la partecipazione dei politici e delle famiglie al funzionamento della scuola pubblica stessa) e ridurrebbe quella varietà di esperienze, capacità e posizioni che arricchisce l’apprendimento (e favorisce la coesione sociale).
Infine, l’efficienza della scuola pubblica potrebbe addirittura peggiorare, per l’esistenza di costi fissi e di possibili capacità inutilizzate. Dal punto di vista dell’equità, le conseguenze di una maggiore concorrenza fra scuole private e scuole pubbliche stimolata da incentivi pubblici alle prime si tradurrebbe semplicemente in una redistribuzione perversa (ossia, a danno del contribuente medio e a favore delle famiglie con redditi medio-alti). Sul piano della coesione sociale, vanno enfatizzate la possible accentuazione della stratificazione sociale dovuta alla formazione di ghetti, la riduzione della tolleranza e della mobilità intergenerazionale, la crescita del fondamentalismo ideologico.
La nostra scuola non ha bisogno di più incentivi alla concorrenza, ma di maggiore attenzione ai suoi problemi strutturali, e questi hanno a che fare con la serietà della selezione degli insegnanti, degli incentivi e dei disincentivi per essi e per gli studenti, delle dotazioni scarse e antiquate.
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Dipartimento
di Economia Pubblica
Università degli Studi di Roma
«La Sapienza»
29/08/07 Manifesto:Rassegna Nazionale
Il nuovo anno scolastico si apre con molti cambiamenti nel cassetto
Introdotte le "classi primavera", torna l’ammissione all’esame di terza media
Dall’asilo agli adulti, le novità a scuola
Obbligo a 16 anni e debiti da saldare
E si punta anche sulla formazione dei "grandi" con i corsi di aggiornamento
di SALVO INTRAVAIA *
ROMA - Oltre 7 milioni e 700 mila alunni italiani si apprestano al rientro in classe. Ma quali novità troveranno rispetto all’anno scorso? Sezioni primavera, modifica degli esami di licenza media, obbligo a 16 anni e ripristino degli "esami di riparazione", sono alcune di quelle confezionate, o in dirittura d’arrivo, dal ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni e dai suoi più stretti collaboratori negli ultimi mesi. La scuola italiana è in rapida evoluzione. La difficilissima sfida che aspetta il governo in carica è quella di coniugare una serie di esigenze non sempre conciliabili.
Crescita economica e sociale del sistema-paese, conti pubblici in ordine e ammodernamento dell’intero apparato scolastico nazionale sono solo alcuni degli obiettivi che l’Europa ci spinge a raggiungere. Ma in che modo? In sedici mesi l’esecutivo Prodi ha messo mano alla scuola con la cosiddetta "tecnica del cacciavite": niente rivoluzioni, insomma. Dopo avere accantonato buona parte delle novità introdotte dal precedente governo, ha modificato gli esami di maturità dichiarando guerra ai diplomifici. Poi, è iniziato il lavoro per rendere il sistema di istruzione nazionale più efficace e giusto. Sono state introdotte una serie di novità, alcune delle quali partiranno proprio dall’anno scolastico ormai alle porte.
Sezioni primavera. Sono bastati 30 milioni di euro per fare spazio per la prima volta in assoluto nelle aule italiane anche ai piccoli di due anni. Le prime 1.158 sezioni per piccoli di età compresa fra i 24 e i 36 mesi partiranno a settembre. Un esperimento che toglierà da ogni imbarazzo almeno 15mila famiglie italiane alle prese con la caccia all’asilo più economico e affidabile della città. L’operazione è stata accolta bene visto che le richieste provenienti da tutte le regioni sono state 2.802. La speranza è che entro pochi anni l’esperienza possa essere estesa. "Nasce una tipologia innovativa di servizio educativo integrativo, che risponde in tempi rapidi ad un’alta domanda delle famiglie, di fronte alla quale fino ad oggi c’era un’offerta insufficiente", spiega Mariangela Bastico, viceministro della Pubblica istruzione. Sarà compito dei comuni, fornendo i servizi e garantendo i requisiti necessari, rendere attive le sezioni primavera.
Elementare. Dopo essersi sbarazzato di tutor e portfolio, Fioroni costruisce tutto sulle nuove "Indicazioni nazionali". Per l’intero primo ciclo di istruzione (che comprende la scuola dell’infanzia, la primaria e la media) sono indicate le competenze e le conoscenze che gli alunni dovranno possedere alla fine di ogni segmento scolastico. Non più quindi programmi dettagliati, quindi. Le scuole nella loro autonomia possono, sempre entro certi limiti, scegliere cosa e quali argomenti fare studiare a bambini e ragazzini che, alla fine, dovranno mostrare di poter competere con i coetanei degli altri paesi europei. Il tutto dovrebbe rimanere in fase di sperimentazione per due anni. Successivamente arriveranno i nuovi curricoli.
Scuola media. Le Nuove indicazioni nazionali partiranno anche per la scuola secondaria di secondo grado, ma la novità più interessante all’orizzonte riguarda gli esami di terza media. Due le novità in vista per l’anno 2007/2008. Per i circa 556mila ragazzini di terza media sarà quasi certamente reintrodotta l’ammissione agli esami cancellata dall’ex ministro, Letizia Moratti, e gli scritti passeranno da tre a quattro, con una prova nazionale predisposta dall’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione).
Scuola superiore. Salvati gli istituti tecnici e i professionali dalla licealizzazione spinta varata dal vecchio esecutivo, il governo Prodi mette sul tavolo l’obbligo di istruzione a sedici anni. I 553mila ragazzini che quest’anno hanno superato gli esami di terza media dovranno proseguire gli studi scegliendo una scuola superiore o un corso di formazione professionale triennale. Intanto gli studenti del primo anno degli istituti professionali al loro ingresso in aula troveranno una gradita sorpresa: dovranno studiare quattro ore in meno rispetto ai compagni degli anni precedenti. Entra, infatti, in vigore da settembre la riduzione dell’orario scolastico da 40 a 36 ore per la prima classe, stabilita dalla Finanziaria.
Altro capitolo su cui si è soffermato Fioroni è quello dei debiti. I ragazzi del quinto anno saranno gli ultimi a potere accedere alla maturità senza avere saldato i debiti scolastici contratti a fine anno. Per gli studenti del terzo e del quarto anno saldare i debiti sarà una condizione necessaria per sostenere la maturità. Il dibattito sul ripristino degli esami di riparazione è stato già avviato. Forse entro quest’anno, viale Trastevere stabilirà tempi e modalità per certificare il superamento dei debiti: se non a settembre, come un tempo, gli esami occorrerà comunque sostenerli. Per gli stessi alunni, nel 2007/2008, cambierà anche il credito scolastico, non più espresso in ventesimi ma in venticinquesimi.
Adulti. Novità in vista anche per gli adulti. Da quest’anno, l’educazione degli adulti entra a far parte in modo organico del sistema di istruzione nazionale. In Italia sono ancora pochissimi coloro che dopo avere concluso il ciclo canonico degli studi partecipano a corsi di aggiornamento. Ce lo rimprovera l’Europa dove per educazione degli adulti (lifelong learning), considerata una risorsa strategica, ci collochiamo agli ultimi posti. Il 6,1 per cento certificato dall’Eurostat (nel 2006) è poca cosa rispetto alll’11,1 dei paesi Ue e al 26,6 del Regno Unito.
* la Repubblica, 2 settembre 2007
ARRIVANO I RANGERS DI FIORONI *
Come i rangers dei grandi parchi americani vigileranno perché tutto fili liscio. Nelle scuole. Sono i circa 350 ispettori della Pubblica Istruzione che Fioroni intende sguinzagliare sul territorio per evitare che le indicazioni partite da viale Trastevere restino lettera morta. Controlleranno che le norme vengano applicate ma aiuteranno anche le scuole a farlo. Il ministro ha, infatti, avviato le procedure per rimettere in sesto un corpo ispettivo che negli anni si era andato via via prosciugando, nel numero e nel ruolo.
Intanto, sta per partire il reclutamento (attraverso un concorso) di circa 150 nuovi ispettori (che si aggiungono ai circa 200 già in ruolo), ma la vera novità è che si tratterà di persone alle dirette dipendenze del ministro. Questa Task Force - che rappresenta l’anello di collegamento tra l’Amministrazione centrale e le istituzioni scolastiche - interverrà nella formazione e nell’informazione dei dirigenti scolastici ma anche verificando il corretto funzionamento della scuola secondo le regole vigenti e intervenendo su eventuali patologie.
Distorsioni rispetto alla naturale missione della scuola ("istruire ed educare" ha più volte insistito il ministro) che non sono certo mancate nel passato anno scolastico: dalla vicenda dell’alunno disabile che a Ragusa picchiava i compagni e disturbava le lezioni, al suicidio dello studente sedicenne di un istituto tecnico commerciale di Torino stanco di essere deriso dai compagni al caso di Rignano Flaminio, tante sono state le occasioni in cui viale Trastevere ha inviato ispettori per accertare i fatti.
I compiti specifici degli ispettori - spiegano al ministero - sono tanti: verifica e controllo dell’applicazione delle norme nelle scuole, statali e paritarie; assistenza e vigilanza sugli esami di Stato (nell’ultima edizione delle maturità un centinaio di scuole scelte a campione sono finite sotto la lente degli ispettori); verifica dell’andamento didattico con specifici riferimenti all’insegnamento delle varie discipline; sostegno ai collegi dei docenti per la progettazione, nell’ambito del Piano dell’offerta formativa, delle diverse attività, curricolari ed extracurricolari; supporto ai processi di miglioramento della qualità della didattica e della formazione dei docenti; aiuto nelle operazioni di valutazione degli apprendimenti; verifica e sostegno alle attività di laboratorio, soprattutto negli istituti tecnici, professionali e artistici. Insomma, una mole di lavoro considerevole.
"E’ importante - spiega Fioroni - che non ci si fermi alla politica degli annunci. E il contributo degli ispettori perché quel che è stato deciso si faccia davvero è fondamentale. Soltanto così si potrà restituire serietà alla scuola e serenità a genitori e ragazzi".
* ANSA» 2007-09-01 16:50
Presentate le nuove indicazioni per il ciclo dell’infanzia e dell’obbligo
L’obiettivo: dare più capacità nelle materie scientifiche e nella conoscenza della lingua
Fioroni: "Non bastano le "tre i"
tornano grammatica e tabelline
di SALVO INTRAVAIA *
ROMA - Tabelline, grammatica, sintassi, nomi di fiumi, mari, monti sin dalle elementari, storia del Novecento in terza media: sono le priorità dei curricoli scolastici della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione.
E’ la sintesi con cui il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, ha presentato le Nuove Indicazioni appunto per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione: "Il curricolo - ha spiegato - diventa più snello e si privilegiano italiano, matematica, storia e geografia a informatica, inglese e impresa. Insomma, prima di passare ad altro (che pure serve), è indispensabile, per il ministro, conoscere l’essenziale.
Un vero e proprio vademecum che accompagnerà nei prossimi anni gli insegnanti del primo ciclo. Tutto quello che i bambini della scuola dell’infanzia (la ex materna), della scuola primaria (un tempo elementare) e i ragazzini della media (secondaria di primo grado) dovranno imparare in otto e più anni di frequenza scolastica è contenuto nel documento presentato dal ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, questa mattina. Ma, soprattutto, il documento contiene ’cosa dovranno ’saper fare’ gli alunni al termine della scuola materna, della scuola elementare e della media per recuperare il gap esistente con gli altri paesi europei. Il documento sancisce il definitivo passaggio dalla scuola dei programmi (che diventano semplici canovacci) a quella delle competenze. Non importa, entro certi limiti, cosa studieranno gli alunni, ma cosa sapranno fare al termine di ogni segmento scolastico. E ancora. Spariscono gli acronimi (Pecup e Psp) inventati dall’ex ministro, Letizia Moratti, che hanno fatto impazzire migliaia di insegnanti, così come tutor e portfolio, e viene rivalutato il ’curricolo’.
"Sono Indicazioni di una fase sperimentale e il decreto è modificabile tra due anni", ha detto il ministro Fioroni nella presentazione presso la sede del ministero. "Le nuove indicazioni - si legge nel comunicato - tracciano le linee e i criteri per il conseguimento delle finalità formative e degli obiettivi di apprendimento per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo in sostituzione delle precedenti. Le scuole sono tenute da quest’anno alla elaborazione dei curricula per una prima fase di sperimentazione che si chiuderà nel 2009. In seguito, dal 2009/2010 le indicazioni entreranno a regime". Per questa prima fase ci sono a disposizione anche 36 milioni di euro provenienti dalla Finanziaria 2007. "La centralità della persona - ha detto Fioroni - è il soggetto e l’oggetto del nostro nuovo percorso formativo". Tre grandi aree disciplinari: linguistico-artistico-espressiva, storico-geografico, matematico-scientifico-tecnologica per un’interconnessione tra saperi". Per gli insegnanti che dovessero incontrare difficoltà è previsto ’un gruppo di coordinamento al ministero e un aiuto sul portale del ministero anche per i professori’. Nella primavera del 2008 è prevista una Consultazione nazionale per la raccolta di dati e di riflessione.
Quattro le direttrici tracciate nel documento. La scuola nel nuovo scenario delinea il ruolo del sistema scolastico nella società moderna. In Italia, non è più l’unica agenzia di formazione che nel secolo scorso ha contribuito ad affrancare milioni di italiani dall’analfabetismo. Oggi la scuola deve confrontarsi con una società in continua evoluzione, attraversata da nuove opportunità e ambivalenze. E per i giovani rappresenta una delle tante agenzie formative disponibili. La centralità della persona è uno degli snodi cruciali del documento. Gli interventi didattici degli insegnanti devono essere personalizzati e indirizzati a veri studenti. Non rivolti ’a studentì astratti. La sfida del terzo millennio si affronta non più con le conoscenze ma attraverso le ’chiavi per apprendere ad apprendere, per costruire e per trasformare le mappe dei saperì adattandole all’evoluzione sempre più rapida delle conoscenze. Un modello totalmente differente da quello dei nostri padri.
La scuola affronterà anche la sfida di una nuova cittadinanza. I nostri figli e nipoti saranno cittadini europei e del mondo. Genitori e insegnanti, in piena sintonia, dovranno formare cittadini ’in grado di partecipare consapevolmente alla costruzioni di collettività più ampie e composite’. La Storia e la valorizzazione dei beni culturali costituiranno il presupposto per affrontare il futuro. I problemi della globalizzazione, ’il degrado ambientale, il caos climatico, le crisi energetiche, la distribuzione ineguale delle risorse, la salute e la malattia, l’incontro e il confronto di culture e di religioni, i dilemmi bioetici, la ricerca di una nuova qualità della vita’ pongono la questione del rapporto tra microcosmo personale e macrocosmo umano: una nuova relazione fra uomo e mondo.
La scuola dovrà, quindi, ’promuovere i saperi propri di un nuovo umanesimo’: la capacità di cogliere gli aspetti essenziali dei problemi; la capacità di comprendere le implicazioni, per la condizione umana, degli inediti sviluppi delle scienze e delle tecnologie; la capacità di valutare i limiti e le possibilità delle conoscenze; la capacità di vivere e di agire in un mondo in continuo cambiamento. Dovrà diffondere la consapevolezza che i grandi problemi dell’attuale condizione umanà possono essere affrontati e risolti attraverso una stretta collaborazione non solo fra le nazioni, ma anche fra le discipline e fra le culture. Ecco i riferimenti dell’insegnamento di domani.
Le singole scuole dovranno costruire ’i curricoli’ - che alla materna si organizzano in ’campi di esperienza’, mentre all’elementare e media in discipline e aree disciplinari - nel rispetto dei ’traguardi per lo sviluppo delle competenzè e degli ’di apprendimentò posti dalle Indicazioni.
Qualche esempio chiarirà meglio le idee. Al termine della scuola primaria, per l’Italiano, i bambini dovranno sapere ’leggere, comprendere e produrre testi di vario genere estrapolando dai testi scritti informazioni su un dato argomento utili per l’esposizione orale e la memorizzazione.
Per la Matematica, dopo avere consolidato le conoscenze teoriche acquisite, al termine della scuola media, i ragazzini dovranno essere in grado di ’riconoscere e risolvere problemi di vario genere analizzando la situazione e traducendola in termini matematici’.
* la Repubblica, 4 settembre 2007.
Politica - Il dibattito sugli sconti fiscali al Vaticano
La doppia identità del Vaticano
di Rosario Amico Roxas *
La volontà di confondere le idee e creare confusione domina sovrana il panorama delle opinioni; tutto ciò serve solo ai mestatori che profittano sempre delle situazioni di incertezza per imporre le proprie opinioni. Il riferimento attuale riguarda la richiesta di chiarimenti da parte della UE circa i rapporti tra lo Stato italiano e il Vaticano, con particolare riferimento ai privilegi che lo Stato italiano concede attraverso sgravi fiscali, esenzioni, favoritismi.
Ovviamente di ciò profittano i nuovi difensori del Vaticano spinti dalla speranza di cogliere al volo l’occasione di carpire i consensi dei cattolici, indignati per quello che viene presentato come un attacco alla Chiesa. Necessita mettere in chiaro che il Vaticano esercita un doppio ruolo, né si riesce a capire quale dei due abbia il primato. Il ruolo istituzionale sarebbe quello confessionale, religioso, di sostegno alle opere caritatevoli e assistenziali, ma c’è il secondo ruolo che incombe, ed è quello burocratico di uno Stato assoluto, continuatore di un assolutismo vecchio e superato che l’avvento delle democrazie, nelle varie forme ed espressioni, ha ridotto al rango di reperto di archeologia politica.
Lo Stato Città del Vaticano miscela in un unico calderone il suo duplice aspetto, secondo la convenienza e l’opportunità della situazione, trasferendo gli aspetti che coinvolgono l’identità statale in quella confessionale, senza distinzione di ruoli.
L’UE chiede chiarimenti circa i privilegi che lo Stato italiano concede allo Stato Città del Vaticano, che si ritrova, così, in condizione di vantaggio nei confronti di altri concorrenti nei medesimi interessi. Il patrimonio immobiliare dello Stato Città del Vaticano è fra i più consistenti del pianeta, ma viene presentato come una riserva economica per favorire le opere assistenziali. Falso.
Gli immobili vengono ceduti in affitto a prezzi di mercato, senza sconti o occhi di riguardo anche per i casi in cui la Chiesa dovrebbe manifestare maggiore sensibilità.
Si tratta di un patrimonio in costante crescita in quanto i proventi vengono ulteriormente investiti in successive operazioni immobiliari; le eccedenze vanno a finire presso l’Istituto per le Opere Religiose, meglio noto come IOR, una vera e propria banca che opera nel circuito dell’alta finanza, e non sempre con la chiarezze e la trasparenze che il nome originario imporrebbe.
Tutto ciò mi ricorda lo scandalo del burro che travolse il Vaticano negli anni 60, quando ingenti quantitativi di burro attraversavano le frontiere dai paesi produttori verso l’Italia, dirette a un non meglio identificato “Istituto per gli Italiani all’estero e ai popoli infedeli”, che avrebbe avuto, in Italia, tutta una serie di asili nido, dove i bambini sarebbe stati nutriti esclusivamente a base di burro; in realtà all’indirizzo dei vari asili corrispondevano le aziende dolciarie che utilizzavano il burro esentato dalle tasse doganali in quanto “destinato ad opere di beneficenza”, il tutto con la connivenza vaticana che lucrava sulle eccedenze.
Me ne occupai personalmente con un lungo e documentato articolo (Dacci oggi il nostro burro quotidiano) pubblicato su una rivista a carattere universitario “Nuove Dimensioni”, che allora provocò lo scombussolamento di tali operazioni. La storia si ripete: il patrimonio dello Stato Città del Vaticano viene gabellato come riserva economica per le opere assistenziali, pretendendo e ottenendo il trattamento fiscale riservato a tali opere; la realtà è ben diversa, si tratta di operazioni economiche mirate ad incrementare il medesimo patrimonio, a mantenere la burocrazia di uno Stato autonomo e indipendente, nel quale l’aspetto confessionale esercita un ruolo marginale, essendo trattato, prevalentemente, da oscuri personaggi che dedicano la loro vita ad alleviare le sofferenze altrui, senza alcun intervento da parte di quello Stato Città del Vaticano, che per tali opere gode dei tanti privilegi, dei quali, adesso, l’UE chiede spiegazioni.
Non è un “attacco alla Chiesa”, bensì una richiesta legittima di esaurienti motivazioni, circa i privilegi accordati allo Stato Città del Vaticano, che deve, finalmente, decidere la sua definitiva identità.
Rosario Amico Roxas
L’obbligo fantasma della scuola Fioroni
di Marina Boscaino *
Una domanda a bruciapelo, se fosse possibile avere un riscontro immediato delle risposte, darebbe il senso inquietante della realtà. Quanti - tra i cittadini, le famiglie che mandano i ragazzi a scuola, gli insegnanti - sono consapevoli del fatto che dall’inizio di quest’anno scolastico andrà in vigore la normativa che innalza l’obbligo di istruzione a 10 anni nel nostro Paese? Non ho prove concrete: fidatevi della parola di chi a scuola ci vive, di chi con gli insegnanti ha un contatto quotidiano e - soprattutto - segue con passione e interesse le politiche scolastiche italiane e l’impatto che esse hanno nel mondo della scuola. La risposta è: pochissimi, anche tra gli insegnanti.
Dunque, un po’ di storia. L’art. 1, comma 622 della legge del 27 dicembre 2006 n. 296 (la Finanziaria) stabilisce che «l’istruzione impartita per almeno 10 anni è obbligatoria e finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età». Significa un innalzamento dell’obbligo di ulteriori due anni, fino al secondo anno di superiori incluso. Un assunto che - al netto della riforma del ’62, che istituzionalizzò la scuola media unica - rappresenta di fatto un balzo in avanti in termini di civiltà, di inclusione, di progresso etico, culturale e civile del Paese talmente evidente e macroscopico che avrebbe meritato ben altra visibilità e una partecipazione orgogliosa e motivata di scuola, società civile, mondo della cultura.
Qualcosa, però, non è andato per il verso giusto. Un po’ perché quello della scuola, anche quando propone novità di rilievo assoluto e quasi rivoluzionario come questa, non fa audience, non cattura interesse, non smuove entusiasmi nel nostro distorto sistema dell’informazione, totalmente sedotto dalla logica del profitto immediato. Un po’ perché, rispetto alle premesse consegnate al programma dell’Unione (un ricordo ormai sbiadito e quasi inutile da rievocare), passa un «obbligo di istruzione» - non «scolastico» - che di fatto consente, seppure in via provvisoria, l’esistenza di quei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale partoriti dalla Moratti e osteggiati nei tempi del «resistere, resistere, resistere» dal mondo della scuola e dall’allora opposizione. Percorsi legittimati dal regolamento attuativo della manovra di bilancio che il Ministero dell’Istruzione ha sottoposto all’esame del Consiglio di Stato, che il 23 luglio scorso ha dato parere favorevole.
Durante l’anno-ponte la strategia del ministero è stata prevalentemente rivolta a far passare il provvedimento con l’eccezione di cui si diceva - contro l’opposizione dei partiti della cosiddetta sinistra radicale e della scuola consapevole, che auspicavano un obbligo scolastico da spendere a scuola senza se e senza ma - accreditandola come unico e quindi essenziale deterrente al fenomeno della dispersione; in realtà non potendo scontentare le clientele trasversali che il sistema della formazione professionale configura. Ma che avrebbero potute essere convertite, ad esempio, in educazione per gli adulti. Un po’ per la formula ambigua, un po’ per l’afasia dell’informazione, l’intera operazione è stata dunque gestita piuttosto in sordina. Al punto che il regolamento promosso dal Consiglio di Stato - che contiene un documento tecnico con due allegati in cui sono indicati i saperi (articolati in conoscenze, abilità e capacità) e le competenze relative ai settori linguistico, matematico, scientifico-tecnologico e storico-sociale e che di fatto consacra definitivamente l’innalzamento a partire da settembre - non è che l’ultimo di una serie di provvedimenti completamente ignorati da scuole e famiglie.
Fatto quantomeno curioso: innalzare l’obbligo significa, sinteticamente, individuare un biennio della scuola superiore comune con aree di indirizzo differenziate; un’operazione tutt’altro che banale, che richiede grande impegno in termini di risorse economiche, umane, culturali. La ciliegina sulla torta in questo sottile e un po’ dilettantesco gioco del dico e non dico è rappresentata da una lettera che il ministro Fioroni ha inviato qualche giorno fa ai dirigenti scolastici, per presentare il percorso che si prevede di attuare nei prossimi due anni per sperimentare l’innalzamento dell’obbligo di istruzione. È giustamente insorta la Cgil, che ha lamentato il mancato coinvolgimento dei docenti che, non meno dei presidi, «hanno un ruolo centrale nella messa in atto di questa importante innovazione». A dire il vero - molto più dei presidi - saranno proprio gli insegnanti a concretizzare quanto deliberato in sede di collegio in ogni singola scuola. L’impressione è che una profonda confusione regni presso il ministero; e che si stia approfittando dello stato di ormai endemica apatia che caratterizza la gran parte della classe docente, probabilmente anche demotivata dall’alternanza di provvedimenti presi in un altrove lontano. Tutto ciò ha suggerito di rinunciare a una campagna di orientamento e informazione su una innovazione che - se metabolizzata con convinzione e motivazione - potrebbe avere effetti notevoli. La domanda - banale, ma obbligata - è: come si può pensare di far funzionare una riforma senza coinvolgere in maniera capillare chi quella riforma tra meno di un mese dovrà applicare quotidianamente?
Come insegna Bruner, una riforma mediocre applicata da insegnanti motivati e consapevoli può produrre effetti notevoli; e una riforma anche eccezionale, senza l’apporto e il coinvolgimento degli insegnanti, è destinata a fallire.
A pochi giorni dalla riapertura delle scuole l’impressione amara è che stiamo per perdere un altro importante treno: tra il non vedo, non sento e non parlo di molti di noi, rassegnati esecutori più o meno solerti di direttive che piovono dall’alto. E un ministero criptico e spesso insensibile al puro buon senso che la situazione paradossale in cui ci troviamo richiederebbe; e avrebbe richiesto già da tempo.
* l’Unità, Pubblicato il: 04.09.07, Modificato il: 04.09.07 alle ore 12.12
Sindacati cauti, opposizione critica
Cisl scuola: passo importante Gilda: docenti non coinvolti Le materne Fism: condivisa l’attenzione dei programmi alla centralità dello studente
Da Milano Enrico Lenzi (Avvenire, 05.09.2007)
Soddisfazione per il continuo richiamo «alla centralità della persona», anche se i commenti alle nuove indicazioni per il primo ciclo attendono di verificare sul campo l’applicazione e il conseguimento degli obiettivi illustrati ieri dal ministro della Pubblica Istruzione. «Se c’è un punto su cui non possiamo non trovarci d’accordo - commenta Luigi Morgano, segretario nazionale della Federazione scuole materne di ispirazione cristiana - è che il nostro compito è quello di educare la persona, un essere unico e irripetibile in tutti i suoi aspetti. Le Indicazioni richiamano giustamente l’attenzione al nuovo bambino, con le sue potenzialità e fragilità, assumendolo per come si presenta oggi nella scuola, rilanciando l’esigenza anche della individualizzazione dell’intervento educativo». Soddisfatto il matematico Mariano Giaquinta della Scuola Normale Superiore di Pisa per la maggior attenzione alla «formazione scientifica», anche se «ora bisognerà aiutare i docenti nella formazione». Di «evento significativo» parla anche il segretario nazionale della Cisl scuola, Francesco Scrima, che sottolinea come questo documento «offre un testo più chiaro, snello ed essenziale che superasse la farraginosità delle precedenti indicazioni e restituisce progettualità alla scuola dell’autonomia». Un plauso congiunto ad una pressante richiesta: «le grandi sfide della conoscenza e dei saperi si affrontano anche con i mezzi finanziari necessari e riconoscendo ai lavoratori il diritto sacrosanto di vedersi rinnovare il proprio contratto di lavoro».
Decisamente più dura la posizione della Gilda, una delle sigle del fronte sindacale autonomo. «L’intera operazione delle nuove Indicazioni - denuncia l’associazione - è stata organizzata in modo da lasciare in secondo piano i soggetti maggiormente interessati: docenti e scuole». Non meno duri i commenti dal centrodestra. «Per Fioroni al centro deve stare una scuola, con i suoi organismi amministrativi e sindacali, quelli che devono scodellare il mitico curricolo e non gli studenti e le famiglie che sono destinatari di ciò che la scuola sovranamente decide di concedere» commenta Valentina Aprea, responsabile scuola di Forza Italia e già sottosegretario all’Istruzione. «Fioroni copia in peggio la Moratti nelle Indicazioni nazionali per il primo ciclo. C’è da chiedersi per quale motivo, questo ministro talvolta sospenda le riforme del centrodestra per poi replicarle tali e quali» le fa eco Giuseppe Valditara, responsabile scuola di Alleanza Nazionale.
La lettera aperta al ministro Fioroni della madre di un bambino con ritardi
"Era migliorato grazie al sostegno, ma ora scopriamo che il servizio è stato dimezzato"
"Il mio Luca, bello e difficile
che ha perso l’aiuto della scuola"
Attraverso Repubblica.it mi rivolgo al Ministro della Pubblica Istruzione.
Ill. mo dott. Fioroni, chi le scrive non è una delle venti donne più potenti della Terra. Chi Le scrive è soltanto una mamma, la mamma di Luca. Un bambino che - senza mascherarsi dietro il politically correct - è un bambino ritardato. Proprio così: Luca è bello, fisicamente perfetto ma "non ci arriva".
Finché ha frequentato la Scuola Materna, tutto era come velato. "Si farà", mi dicevano le sue insegnanti. Ed io un po’ ci ho creduto. Quando poi è giunto il momento di iniziare la scuola Elementare, la neuropsichiatra che lo ha in cura da qualche anno, mi ha consigliato di presentare domanda per un insegnante di sostegno. E così lo scorso anno scolastico a Luca e alla sua classe è stato assegnato un insegnante in più che ha svolto un ottimo lavoro: Luca alla fine dell’anno sapeva distinguere le lettere dell’alfabeto e scriverle in stampatello.
Tutto insomma sembrava procedere bene finché io e gli altri genitori del GLH, ossia Gruppo Lavoro Handicap, siamo stati informati degli imminenti tagli della Finanziaria alla scuola e in particolare alle ore per gli insegnanti di sostegno. Attoniti, abbiamo chiesto spiegazioni alla Dirigente: i nostri figli non riceveranno più la stessa copertura dell’anno scorso, nei dettagli ancora non si sapeva. Ci ha consigliato di attendere luglio per eventuali sviluppi, e noi abbiamo diligentemente aspettato. Poi a luglio ci ha consigliato di attendere settembre e noi abbiamo atteso. Finché il 10 settembre, primo giorno di scuola, mi viene confermato che le ore di sostegno per Luca sono state ridotte del 50%.
Gent. mo Ministro, Le faccio ora il classico conto della serva: Luca frequenta la scuola per quaranta ore settimanali, ma verrà seguito in modo particolare soltanto per undici. Nelle restanti ore verrà preso in carica dalle insegnanti di classe che hanno già ventidue bambini. Ormai è palese per tutti gli italiani: nell’odierna società non c’è destra né sinistra che tenga: contano solo potere e denaro. Ma io che non sono né ricca né potente e che con dignità voglio permettere a mio figlio di studiare senza incatenarmi al cancello della scuola, che cosa posso fare per offrirgli un futuro se non posso neppure garantirgli l’istruzione elementare?
Io che sono solo una mamma, la mamma di Luca.
Ivana Leone
Milano
* la Repubblica, 14 settembre 2007.
Un problema che rischia di agitare l’anno scolastico appena iniziato Le denunce dei tagli al servizio contestate dal Ministero della Pubblica istruzione
La protesta dai genitori ai sindacati "Il sostegno non si può ridurre"
di SALVO INTRAVAIA *
Arrivano proteste, lettere, contestazioni da parte di associazioni e sindacati. Il ministero della Pubblica istruzione nega. Ma il problema degli insegnanti destinati ai portatori di handicap sta agitando la scuola, in particolare genitori e sindacati. E rischia di diventare ancora più grave man mano che i genitori scoprono che i propri figli quest’anno avranno a disposizione ’l’angelo custode’ in classe per un numero inferiore di ore rispetto al 2006. Non tutti, ovviamente.
Tagli. Un allarme arriva dalla stessa maggioranza. Riguardo ai tagli nella scuola Alba Sasso, vicepresidente della commissione Cultura della Camera, giorni fa commentava: "Non è il modo migliore per incominciare il nuovo anno scolastico. Soprattutto, non è affatto nuovo. Sembra quasi che si ripeta stancamente un rituale che credevamo di avere ormai alle spalle. Fanno bene i sindacati della scuola a protestare: non è accettabile che ci siano tagli in un settore fondamentale per la vita del paese. In più, vengono tagliati, nella scuola, posti di lavoro particolari, come quelli degli insegnanti di sostegno, di particolare valore sociale ed etico". Un j’accuse che trova i sindacati pronti a rincarare la dose e a fornire dati e cifre precise.
Da Nord a Sud. Da Treviso a Messina, dal Friuli Venezia Giulia a Roma, passando per Lombardia Basilicata e Liguria, è sempre la stessa musica. "Con 258 studenti disabili in più l’amministrazione autorizza alla fine solo 19 posti di sostegno in più. I dati si commentano da soli. Una diminuzione così drastica ai posti di sostegno colpisce la fascia più debole e rischia di compromettere la qualità dei processi di integrazione degli alunni disabili su cui la scuola italiana da anni lavora, ed anche bene", è l’amaro commento di Flc Cgil, Cisl e Uil scuola di Treviso. Manifestazione di piazza a Messina cui partecipa anche Sfida, il ’Sindacato famiglie italiane diverse abilità’. In Sicilia le cose vanno ancora peggio. "A fronte di 350 alunni H in più sono stati tagliati 176 posti" dicono i sindacati.
Le Associazioni. In una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, ’Sfida’ scrive: "E’ amorale togliere gli insegnanti di sostegno agli studenti disabili per fare quadrare i conti. Al ministero - insiste il presidente Andrea Ricciardi - asseriscono che il numero delle richieste di insegnanti di sostegno è superiore al bisogno reale. Forse non sanno che chi fa la richiesta è la scuola ’reale’, costituita da un’equipe di professionisti (medici, psicologi, insegnati, assistenti sociali), dipendenti pubblici, che a loro volta rappresentano le Istituzioni. Se oggi - conclude il segretario delle famiglie con soggetti disabili - si decide di risparmiare sugli insegnanti di sostegno per far quadrare i conti dello Stato, domani si deciderà di risparmiare sulle cure sanitarie e poi..., per "non farli soffrire", si deciderà di ...". La Lega per i diritti delle persona con disabilità (Ledha) invia un preoccupata Lettera alla scuola. "Ci sono state manifestazioni in pieno agosto, interventi indignati di associazioni, sindacati e gruppi di insegnanti. Proteste e articoli di giornale. Ma purtroppo la situazione non è cambiata: è arrivato l’inizio dell’anno scolastico, che si preannuncia indimenticabile. In negativo. Il problema è il taglio degli insegnanti di sostegno, che ha colpito tutte le regioni e di conseguenza moltissime scuole. Minima polemica politica: fa ancora più strano - siamo ingenui a crederlo? - che provvedimenti di questo genere vengano da un governo di sinistra".
* la Repubblica, 14 settembre 2007
Scuola
ANNO NUOVO SCUOLA NUOVA?
di Lucio Garofalo *
In questi primi giorni di settembre, dopo la lunga pausa estiva, presidi ed insegnanti hanno ripreso a lavorare, a discutere ed incontrarsi nelle sedute dei Collegi dei docenti, nelle riunioni delle commissioni tecniche, nei Consigli di Istituto ecc., per organizzare e progettare le attività didattico-curricolari ed aggiuntive relative al nuovo anno scolastico. Ovunque, nelle case e nelle scuole fervono gli ultimi preparativi per l’imminente avvio delle lezioni. Il ministro, alti dirigenti e funzionari scolastici, i presidi, nonché varie figure di esperti, gareggiano per lanciare qualche utile imput, per offrire consigli preziosi agli insegnanti, per imprimere un segno indelebile nella (labile) memoria collettiva del paese, per indicare ed illuminare la "retta via" a chi (eventualmente) l’avesse smarrita. Intanto, continuano ad essere alimentate campagne ideologiche assolutamente capziose e strumentali, cariche di pregiudizi, livori e malanimi piccolo-borghesi. In seguito ad incessanti e martellanti notizie demagogico-propagandistiche, che assumono toni ed accenti rancorosi ed infamanti, è praticamente inevitabile che si scatenino polemiche astiose e velenose, e piovano accuse e giudizi screditanti sul corpo docente, già fin troppo mortificato, bistrattato e diffamato. Stiamo parlando di una categoria professionale che è chiamata ad assolvere il delicato e difficile compito istituzionale di educare ed istruire le future generazioni, di formare e preparare i cittadini del futuro, per cui meriterebbe maggior rispetto e considerazione. Invece è accusata di essere composta in gran parte da "nullafacenti", "fannulloni", "lavativi", "perditempo", "assenteisti", "ritardatari" ed altro ancora. Simili campagne ideologico-strumentali sul presunto "parassitismo" dei lavoratori statali non costituiscono affatto una novità; inoltre mi indignano, nella misura in cui celano interessi puramente affaristici e mercantilistici. Insomma, oltre al danno anche la beffa! Le retribuzioni salariali degli insegnanti italioti sono tra le più basse in Europa. Peggio di noi stanno solo i colleghi greci e portoghesi. Il governo in carica continua a prevedere e ad imporre pesanti tagli ai fondi e alle risorse per le scuole pubbliche (si pensi, ad esempio, alla vergognosa riduzione dell’organico relativo agli insegnanti di sostegno, a quelle fondamentali figure preposte all’integrazione e alla formazione dei più bisognosi tra i bisognosi, vale a dire i soggetti diversamente abili). Tutto ciò comporta ed arreca gravi danni al (già misero) budget finanziario riservato alla scuola pubblica, per dirottare i soldi (che ci sono) verso altre destinazioni. Si pensi alle sempre più ingenti sovvenzioni riservate agli armamenti militari e ai contributi statali regalati (in barba ai principi fondamentali della nostra Costituzione) alle scuole private , gestite da agenzie in gran parte asservite agli interessi dei poteri forti (il Vaticano, l’alto clero, le industrie belliche ed altri gruppi industriali privilegiati - leggi MaFiat - , le forze e le strutture economiche della borghesia imperialista, i soggetti legati alle cospicue rendite finanziarie ed altri gruppi sociali evasori e parassitari). Scuole elitarie riservate ai figli delle famiglie economicamente più ricche e benestanti. Ebbene, per quanto mi riguarda, io continuo e continuerò a seguire sempre il nobile principio politico-educativo sintetizzato nella celebre frase contenuta in "Lettera a una professoressa" scritta dai ragazzi della scuola di Barbiana "diretti" dal maestro don Milani: "Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali". Un concetto assai caro al sottoscritto, in quanto richiama una visione anomala ed anticonformista (diciamo pure antiborghese), ma sincera, della "democrazia" riferita alla scuola e al complesso e articolato ordinamento sociale. La nostra è una scuola di disuguali inserita e operante in una società sempre più disuguale, in contesti reali segnati da pesanti disuguaglianze e distanze materiali e sociali, destinate purtroppo a crescere (a forbice) e ad aggravarsi ulteriormente. Pertanto, dinanzi a simili, crescenti sperequazioni economico-sociali, di fronte ad allarmanti situazioni di grave disagio e bisogno materiale, riconducibili alle nuove povertà, rispetto alle istanze ed alle contraddizioni derivanti dai sempre più vasti fenomeni migratori provenienti dai paesi extracomunitari del Terzo mondo, la scuola non sembra minimamente attrezzata e preparata a fronteggiare tali richieste di intervento, anzitutto per ragioni di ordine finanziario già spiegate in precedenza. Ogni valida azione è affidata alla buona volontà, alle capacità, allo zelo spontaneo (altro che fannulloni!), all’iniziativa autonoma delle istituzioni scolastiche e dei lavoratori - docenti e non docenti - che operano nelle singole scuole pubbliche. La cosiddetta "democrazia" non può ridursi ad un’ipotetica, chimerica offerta di "pari opportunità", ovvero esplicarsi in un’arida ed insufficiente prassi di uniformità distributiva delle risorse, così come avviene nel modello finora adottato di welfare universalistico e indifferenziato. Al contrario, occorre rilanciare e rafforzare l’attenzione di tutti verso l’uguaglianza e la giustizia (re)distributiva del reddito sociale, intese in termini di equità sociale e redistribuzione delle ricchezze monetarie, possibili solo in un diverso assetto dello Stato sociale (e, dunque, dell’ordinamento statale medesimo) che sia in grado di fornire "a ciascuno secondo i propri bisogni" e chiedere ad ognuno "secondo le proprie possibilità". Il che significa rivoluzionare l’ordinamento sociale vigente, rivoluzionare e capovolgere l’idea e la prassi finora applicata e conosciuta di democrazia, di scuola e di Stato sociale, rivoluzionare l’esistente...
Lucio Garofalo
LA MOLTIPLICAZIONE DEI P.O.N. E DEI PESCI
Anche quest’anno, in molte scuole d’Italia si è rinnovato il "miracolo" della moltiplicazione (e della spartizione) dei P.O.N. e dei pesci.
Il "miracolo" s’è avverato pure nella mia scuola. Molto più che in passato ho potuto seguire il turpe spettacolo messo in scena nel "progettificio scolastico" nel quale lavoro. Si è consumato l’ennesimo “mercato delle vacche”, senza offesa per le vacche e i loro venditori. Con la differenza, non secondaria, che un vero mercato delle vacche denota una maggiore dignità e legittimità, una maggiore serietà e nobiltà, almeno rispetto alle oscenità affaristiche e venali a cui si assiste in un "progettificio scolastico".
Ma perché mi dichiaro apertamente contro i cosiddetti "progettifici scolastici"?
E’ presto detto. Sono contro i "progettifici" non per ragioni ed istanze ideologiche astratte, non per partito preso o una posizione aprioristica, bensì per riflessioni legate alla mia cognizione ed esperienza diretta, avendoli sperimentati personalmente nel corso della mia carriera professionale, in modo particolare negli ultimi anni.
Nulla mi impedirebbe di essere propenso verso l’offerta, il finanziamento e l’esecuzione di progetti di qualità, purché siano creati, presentati e realizzati seriamente, ma mi accorgo che i casi positivi sono eccezioni molto rare, anzi rarissime.
Invece, i "progettifici scolastici" si caratterizzano negativamente per vari motivi, anzitutto per un’assenza di intelligenza, di creatività e trasparenza, per scarsa correttezza ed equità, per mancanza di razionalità e rispondenza ai reali bisogni psicologici, formativi, sociali e culturali degli studenti, mentre obbediscono solo ad una logica cinica e affaristica. Per non parlare dei continui strappi alle regole, delle reiterate violazioni di norme e diritti sanciti dalla legge, delle innumerevoli e meschine scorrettezze commesse all’interno delle scuole.
Dunque, ribadisco di essere favorevole ai progetti di qualità ma fermamente contrario ai "progettifici", in quanto i primi si basano (appunto) sulla qualità, mentre i secondi sulla quantità, in molti casi addirittura sulla quantità "industriale". Non a caso i "progettifici" sono definiti in tal modo, proprio perché si configurano come "fabbriche di progetti".
In gran parte si tratta di progettini vuoti ed insulsi, privi di intelligenza e valore culturale, di estro creativo e progettuale, senza armonia e rispondenza alla realtà del territorio, anzi in grave disaccordo con le istanze effettive degli alunni. In molti casi si tratta di "progetti-fantasma", esistenti solo sulla carta, la cui attuazione non è sottoposta ad alcun sistema di controllo. Gli stessi meccanismi e strumenti di monitoraggio e verifica sono inefficaci o inesistenti, ovvero esistenti solo sulla carta.
Sono sempre più numerose le scuole italiane che tendono a configurarsi come "progettifici" senza valore, per la semplice ragione che la produzione e l’offerta di progetti e progettini su scala industriale conviene economicamente ai dirigenti scolastici e ai colleghi più venali ed affaristi. I quali, non a caso, puntano sui "progettifici" e non sulla qualità, perseguendo esclusivamente la "produttività economica", vale a dire il facile guadagno.
In particolare nella mia scuola, quest’anno i progetti (mi riferisco non solo e non tanto ai P.O.N., quanto soprattutto ad altre tipologie di progettazione e di finanziamento economico) hanno conosciuto una proliferazione impressionante, si sono moltiplicati a dismisura, si sono scissi, frammentati e ricomposti "magicamente", sono stati riciclati e riesumati in modo "prodigioso", cambiando natura e caratteristiche, veste, tipologia e denominazione, persino il nome del referente. Perciò, sono nauseato e indignato!
Lucio Garofalo, insegnante