ITALIA. NATALE, DOPO LA NASCITA DEL MESSIA...
Per il generale e comune mondo accademico (laico e religioso), la parola "Cristo" (in greco) traduce la parola "Messia" (in ebraico), che viene fatta derivare dalla parola mashìach (משיח, "unto") ...
SEMBRA TUTTO CHIARO - COME L’ACQUA. Ma qui si parla di "unto" e, quindi, di "olio". E la cosa non è affatto chiara. E la "Vox populi", fosse anche la "voce" del popolo dotto e dei dottori, non è coincisa mai con la voce di Dio (Vox Dei). E’ stata sempre e solo uno strumento e uno slogan di manipolazione del popolo-massa da parte dei vari Signori della Terra e della Guerra.
IL MESSIA NON E’ AFFATTO UN "UNTO", UN MESSO DI DIO. A rigor di logica e di testi evangelici, la differenza è abissale, come tra il messaggio dell’Imperatore (ricordiamo la lezione di Kafka) portato da un com-messo - un funzionario, e il figlio dell’Imperatore, inviato dall’Imperatore stesso, che è uno con il Padre ed è il messaggio in persona - in carne ossa e spirito.
Per risalire la corrente e, come un pesce salomonico ("Ichthus"), ritrovare la sorgente d’acqua viva, dobbiamo quanto meno ripensare al "perch’io te sovra te corono e mitria" di Virgilio a Dante (Purg.: XXVII, 142) a Lutero (sacerdozio universale) e a don Milani (sovranità universale) e ricordarci di Melchisedech.
Il MESSIA è CHI sa CHI è, CHI sa CHI lo manda, e che sa CHE COSA vuole e CHE COSA viene a fare. Non è un servo - e non è "unto" (come un pesce morto, pronto da friggere)! Porta la "spada" come Salomone, e porta la "luce", il "fuoco" che non brucia, e illumina le tenebre! Egli sa da dove viene e dove va: al di qua e al di là di Mosè e di Elia, egli è il Principio e la Fine, l’Alfa e l’Omega.
IL MESSIA E’ IL FIGLIO DI DIO, E DEL DIO AMORE ("DEUS CHARITAS EST", 1 Gv., 4, 1-16). Con il Padre e insieme al Padre, lo Spirito Santo ("Deus charitas est"), Egli è il Messaggio e il Messaggero! La Verità, tutta intera, di fronte a Pilato: Gesù, "Dio salva". E’ la Persona che è la via la verità e la vita, per tutti gli esseri umani per procedere verso la Salvezza, la Terra Promessa - il Regno di Dio (Charitas - Amore).
QUESTO E’ IL MESSIA. E questo Messia è già venuto - ed è il figlio del Dio di Giuseppe e di Maria!!!. La luce splende nelle tenebre: è nato il Messia, è nato Gesù ("Dio salva") , oggi - e per l’eternità.
La tragedia è finita. Il buon-messaggio è arrivato sulla Terra: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli esseri umani di buona volontà...
ORA TUTTO CAMBIA ED E’ TUTTO CAMBIATO. "ORA", NOI, tutti gli esseri umani, SIAMO DIVENTATI PER NOI STESSI UN GRANDE PROBLEMA!!!
DA AGOSTINO, A ROUSSEAU, A NIETZSCHE, A WITTGENSTEIN, SEMPRE LO STESSO INTERROGATIVO. La questione antropologica antica ("che cosa è l’uomo?") diventa un’altra. Ora - dopo la venuta del Messia, dopo la venuta di "Cristo", siamo sollecitati e costretti a interrogarci diversamente, con più profondità e con più altezza: "CHI SIAMO NOI, IN REALTA’?"(Nietzsche). "L’Io, l’IO, è il mistero profondo - e non in senso psicologico"(Wittgenstein).
"QUI E ORA", TOCCA A NOI DECIDERE. Siamo noi, tutti gli esseri umani, il Messia che deve venire sulla Terra.... ed è "qui e ora" che siamo chiamati a svegliarci e a decidere. Continuare ad essere servi, olive da schiacciare e farne olio dei vari Signori di Mammona di turno (come il teologo della "Dominus Jesus" e della "Deus caritas est" dell’af-faraonismo vaticano) per ungere il loro inviato di turno o, diversamente, diventare fratelli e compagni di viaggio di Gesù e quindi figli e figlie dello Spirito del Dio (Charitas)dei nostri Padri e delle nostre Madri Costituenti.... decisi, finalmente, a vivere e a operare in Spirito di Giustizia e Pace?!
SAPERE AUDE! IL MOTTO DELL’ILLUMINISMO KANT LO RIPRENDE VIENE DAL LATINO DI ORAZIO E NON SIGNIFICA SOLO AVER IL CORAGGIO INTELLETTUALE DI SAPERE. Richiama l’esperienza e la sensibilità: significa anche avere il coraggio di as-saggiare. Nella Lingua d’Amore (Charitas) della Buona Novella (Eu-angélo) e della Buona-Grazia (Eu-Charistia), significa accogliere l’invito alla tavola della Sapienza del Messia (e non di qualche Cannibale unto dal Signore del posto) ed essere accolti a nostra volta come Messia: Prendete, questo è il mio corpo... questo è il mio sangue....
E’ una rinascita e una risurrezione, non la morte e la devastazione senza fine. Amore è più forte di Morte (Ct., 8.6). E’ l’inizio di un’amicizia infinita - non di una guerra, e di un dialogo nuovo - nella Lingua d’Amore.
La tragedia è finita. Inizia la Commedia. E Dante è sempre qui a ricordarcelo...
Il Messia è nato.
Che il Messia che deve venire, venga finalmente...
Moltissimi, moltissimi Auguri...
BUON NATALE
Federico La Sala
(18.12.2008)
IDENTIFICARSI CON CRISTO PER SUPERARE EDIPO. "Frammento inedito" (1931) di Sigmund Freud
LA TERRA, LA BUONA NOVELLA, E LA COSTITUZIONE - LA LEGGE DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI... *
Pregare a occhi aperti
Il presepio di Dio
di José Tolentino Mendonça (Avvenire, giovedì 17 dicembre 2020)
Ci guadagneremmo molto a capire perché le letture bibliche del tempo di Avvento e del Natale insistono sulla dimensione visiva. Noi vediamo Dio stesso, il Dio trascendente, farsi prossimo, e il motivo della gioia è questo. Come dirà il prologo del Vangelo di Giovanni: «Noi abbiamo contemplato la sua gloria» (Gv 1,14). In effetti il Natale è l’anti-astrazione, è l’opposto delle vaghe generalizzazioni.
Ognuno di noi, con le domande che sono le sue, con la serenità o il subbuglio che si porta dentro, con la situazione concreta di vita che sperimenta, è chiamato a vedere Dio. È sfidato a contemplarlo in quel Dio con noi, in quel nascituro in carne e ossa, in quel Figlio che ci è stato dato. In Gesù di Nazaret, Dio non viene in un modo indefinito: egli viene incontro a me, a te, a ogni essere umano, dandoci nella fede la possibilità di diventare figli di Dio (Gv 1,12).
A donne e uomini fragili, imperfetti e tormentati come noi, Dio offre la possibilità di essere figli suoi. Di vivere, cioè, una vita che non sia unicamente l’espressione della nostra carne e del nostro sangue, ma che si riveli come conseguenza dell’impatto della vita divina. In questo senso, non siamo noi a fare il presepio perché Dio vi nasca: è Dio che prepara le condizioni di una nascita per ognuno di noi.
Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:
IL NOME DI DIO, SENZA GRAZIA ("CHARIS")! L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"
MEMORIA DI FRANCESCO D’ASSISI. "VA’, RIPARA LA MIA CASA"!!!
FLS
Il Papa in Asia
All’Annuncio serve il «dialetto» perché non ne siamo padroni
di Maurizio Patriciello (Avvenire, sabato 23 novembre 2019)
La paura paralizza la libertà, tarpa le aspirazioni, impedisce di guardare oltre l’orizzonte. Dio è amore, libertà, verità. Amarlo vuol dire annunciare la ’sua’ Parola, non la nostra camuffata. In ogni discorso di papa Francesco in Thailandia - come del resto dappertutto - riecheggia il Vangelo che da due millenni impregna le nostre terre. Ogni uomo traduce in immagini le parole che giungono ai suoi orecchi. La parola ’pane’, per esempio, richiama alla mia mente un mondo che ha il sapore della casa, degli affetti, del camino acceso e delle carezze della mamma. Non posso, e non mi permetto, di pretendere che le stesse sensazioni le provi un cinese, o un islandese.
Il rispetto per la persona umana, quando è vero, deve passare attraverso il rispetto della sua cultura, della sua storia, della sua lingua, del suo mondo interiore. Al Papa stanno a cuore le persone, tutte, quelle non credenti e quelle di diverse religioni; e quelle che, come lui, hanno scommesso su Gesù la loro vita. Francesco sa che il grano della Parola che salva può e deve essere separato dalla crusca.
Siamo legati alle nostre tradizioni, è un bene? Si, se riconosciamo che sono ’nostre’, appartengono a noi, alla nostra storia. Via San Gregorio Armeno è un vicolo della vecchia Napoli, che nei giorni di Natale diventa un solo, grande mercato di presepi. Qui, folkrore, fede, tradizione, affari si confondono. Ebbene, credo che proprio il presepe napoletano, nella sua ingenuità, possa assurgere ad esegesi delle parole del Papa. Il mondo che rappresenta, infatti, non è quello di Betlemme dove nacque Gesù ma la Napoli del Settecento. I napoletani lo hanno sempre saputo e non se ne sono mai scadalizzati. Al contrario.
In quelle scenografie in miniatura, oltre alla capanna con la Sacra famiglia, c’è di tutto, e altro si può aggiungere, secondo la fantasia di ognuno. Oggi diremmo che il presepe napoletano è inclusivo. Le bancarelle dei pescivendoli, i negozietti dei merciai e dei macellai, li puoi trovare ancora oggi a Porta Nolana, ai Vergini, ai Quartieri spagnoli. Le massaie sorridenti, con gli zigomi rossi fuoco e i grembiuli che servivano anche come borse per la spesa, sono le nostre bisnonne. Gli zampognari sono scesi dai monti dell’Irpinia e del Molise, per suonare, dietro una piccola offerta, la ninna nanna a Gesù davanti alle nostre case.
«Il Signore non ci ha chiamati per mandarci nel mondo a imporre alle persone carichi più pesanti di quelli che già hanno, ma a condividere una gioia, un orizzonte bello, nuovo e sorprendente» ha detto Francesco in Asia ai religiosi cattolici. Perciò «non bisogna aver paura di cercare nuove forme, simboli, immagini e musiche per inculturare sempre di più il vangelo e ridestare il desiderio di conoscere il Signore».
Il Papa invita poi i cristiani di tutto il mondo a confessare la fede «in dialetto» alla maniera in cui una mamma canta la ninna nanna al suo bambino. Bellissimo. Proprio come ha fatto Maria.
Il Papa come il grande sant’Alfonso Maria de’ Liguori.
Da più di duecento anni, la notte di Natale, nelle nostre chiese, risuona il suo Quann nascette Ninno. In dialetto, appunto. Dobbiamo impegnarci di più per imparare meglio ad annunciare Cristo «in dialetto», facendoci, cioè, «tutto a tutti». Senza tentennamenti, senza paure, senza sentirci padroni di niente. Coscienti di essere solo «servi inutili» che hanno avuto la grazia immensa di averlo conosciuto.
IL PRESEPE E LA NOTTE DI NATALE: LA LEZIONE DI MARX, E IL MESSAGGIO EVANGELICO .... *
«L’omelia del ’78 di Ratzinger:
Un mondo senza dolore non è umano»
«Ecco perche Marx aveva torto». Il tempo di Natale: Dio ha scelto di condividere con gli uomini il peso della vita
di Joseph Ratzinger (Corriere della Sera, 27.12.2018)
«Consolate, consolate il mio popolo!» (Is 40,1). Questo abbiamo appena ascoltato dalla voce del profeta Isaia. Queste grandi, antiche parole di speranza e di fiducia del popolo d’Israele, toccano sempre di nuovo il cuore. All’interno della storia dei profeti suonavano nuove: all’inizio, al tempo dei Re - a partire da Elia e, passando per Amos, Osea e Michea, fino a Isaia e Geremia - i profeti erano stati soprattutto ammonitori duri ed esigenti che, a difesa della causa dei dimenticati, delle vedove, degli orfani e dei poveri, scuotevano la coscienza degli ipocriti, potenti e sicuri di sé con la loro giustizia esteriore. Si ascoltavano parole inquietanti e sconvolgenti come queste: «Le vostre feste, le vostre preghiere non le posso più sentire, non posso più sopportare l’odore del vostro incenso. Il digiuno che voglio è piuttosto rendere giustizia all’orfano e alla vedova» (cfr. Is 1,11-17).
Geremia
Alla fine della lunga serie di ammonitori che scuotono, sta Geremia, il quale, contro l’ostinato nazionalismo che vuole appropriarsi di Dio e strumentalizzarlo, si leva con le ragioni della fede e diviene martire. Seguì il grande silenzio dell’esilio babilonese. Ma dopo settant’anni, dopo che Israele era stato schiacciato e sembrava quasi cancellato, si sente questa voce del tutto nuova! «Basta soffrire. La grande potenza, che vi ha deportato, non c’è più». Si riaprono le porte della patria. La steppa si muta in strada e ora i calpestati, i vinti, alla fine sono i veri vincitori. Dio si è ricordato di loro, ed egli è più potente delle grandi potenze di questo mondo, anche se è lui a scegliere il momento nel quale intervenire. «Consolate il mio popolo!». Dio non dimentica i sofferenti, ma li ama e li solleva.
Il cuore
Per quanto questo ci commuova e ci tocchi il cuore, permane in noi una qualche obiezione o perlomeno una domanda: questa consolazione non è troppo lontana nel tempo? E non ha forse ottenuto troppo poco? Ben presto Israele stesso è caduto di nuovo in disgrazia. E se oggi osserviamo il mondo, non mancano immagini di desolazione che ci toccano. Proprio quando vediamo come domini in mezzo ai popoli benestanti la desolazione, tanto più ci domandiamo: «Signore, dov’è la tua consolazione?». Ma forse tanto più comprendiamo che abbiamo bisogno della Chiesa, che con piena autorità oggi può pronunciare nel nome del Signore le parole di allora: «Consolate il mio popolo!». È lei che dà la vera consolazione.
Storia della salvezza
La Chiesa, nel corso del suo anno liturgico, ripercorre l’intera storia della salvezza. Per molte settimane si presenta a noi con l’atteggiamento di Osea o di Elia: e cioè ammonendoci, scuotendoci, esortandoci, volendo strapparci dal nostro egoismo, dalla nostra avidità, dal nostro autocompiacimento. Ma nell’Avvento giunge l’ora del Dio buono, del Dio che consola. Diviene evidente che la Chiesa non è solo un’agenzia morale, un’organizzazione umanitaria, che essa non esige solo il rispetto di vari precetti, indica bisogni e pone richieste, ma che è lo spazio della grazia, in cui Dio le va incontro soprattutto come colui che dona e che dà. Ma dove si trova questa consolazione? Dio come consola in realtà?
Luce e fede
Il primo livello consiste nel fatto che siamo chiamati. Egli desidera che irradiamo la luce della fede che ha posto nei nostri cuori e così riscaldiamo il mondo. Egli vuole consolare attraverso di noi e ci fa sapere che egli ama in particolar modo proprio gli afflitti, gli sconsolati, che s’identifica con loro e in essi attende noi e la nostra bontà. Il nome dello Spirito Santo è «Consolatore». Dio ci aiuta nello Spirito Santo tanto più quanto più siamo uomini che consolano, uomini di una bontà che consola. Questo significa anche che noi non dobbiamo essere come quelli per i quali la piccola consolazione della vita quotidiana è troppo poco e che dicono: no, questo sistema deve essere trasformato, abbiamo bisogno di un mondo nel quale la consolazione non sia più necessaria; ovvero, come ha detto Brecht esasperando il concetto: «Vogliamo un mondo nel quale non ci sia più bisogno di amore». Un mondo così, però, nel quale non c’è più bisogno di consolazione, sarebbe un mondo desolato; un mondo in cui l’amore non fosse più necessario, perché il sistema provvede già a tutto, sarebbe un mondo disumano. Dio vuole consolare attraverso di noi.
Solo parole
Ma invece, di continuo si solleva il sospetto che siano solo parole, promesse consolatorie. Chiediamoci allora: che cosa avviene quando un uomo consola un bambino a cui è morta la mamma? Non può annullare quella morte, non può cancellare il dolore da essa provocato, non può magicamente trasformare il mondo con ciò che esso ha di triste. Può però entrare nella solitudine generata dall’amore distrutto, che è l’autentico motivo del dolore, come uno che condivide il dolore e dà amore. Così, pur non potendo cancellare l’accaduto, non è un parolaio; se penetra, amando, nella solitudine dell’amore perduto, trasforma dall’interno, sana all’origine, sana l’essenziale. E non c’è alcun dubbio che, se egli veramente condivide il dolore e dà amore, allora le sue non saranno solo parole.
Cambiare il sistema
Dio non ha operato - come noi sogneremmo e come poi Karl Marx ha gridato a gran voce al mondo - in modo da far scomparire il dolore e cambiare il sistema, così che non ci sia più bisogno di consolazione. Questo significherebbe toglierci l’umanità. Ed è quello che nel segreto desideriamo. Sì, essere uomini ci è troppo pesante. Ma se ci venisse tolta la nostra umanità, smetteremmo di essere uomini e il mondo diverrebbe disumano. Dio non ha operato così. Ha scelto un modo più sapiente, più difficile, da un certo punto di vista, ma proprio per questo migliore, più divino. Egli non ci ha tolto la nostra umanità, ma la condivide con noi. Egli è entrato nella solitudine dell’amore distrutto come uno che condivide il dolore, come consolazione. Questo è il modo divino della redenzione. Forse possiamo capire nel modo migliore che cosa significhi cristianamente redenzione a partire da qui: non trasformazione magica del mondo, non che ci viene tolta la nostra umanità, ma che siamo consolati, che Dio condivide con noi il peso della vita e che ormai la luce del suo condividere l’amore e il dolore sta per sempre in mezzo a noi.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL PRESEPE E LA NOTTE DI NATALE. La lezione di Pirandello a Benedetto XV e a Benedetto XVI
LA TEOLOGIA DI "MAMMONA" ("caritas"), LA LEZIONE DI MARX, E IL MESSAGGIO EVANGELICO ("Charitas").
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
Federico La Sala
AUTOSTRADE PER IL CIELO: CARTE TRUCCATE E "PONTE PERICOLANTE".
L’*AMORE* Di MARIA E GIUSEPPE E LA "PREGHIERA UFFICIALE PER L’INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE 2018" :
PREGHIERA UFFICIALE PER L’INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE 2018 *
Dio, nostro Padre,
Siamo fratelli e sorelle in Gesù, tuo Figlio,
Una famiglia unita dallo Spirito del tuo amore.
Benedici ognuno di noi con la gioia dell’amore.
Rendici pazienti e gentili,
Amorevoli e generosi,
Accoglienti con i bisognosi.
Aiutaci a vivere il tuo perdono e la tua pace.
Proteggi tutte le nostre famiglie con il tuo amore,
Specialmente coloro che ti affidiamo ora con la nostra preghiera:
[facciamo un momento di silenzio per pregare per i membri della famiglia e altre
persone che ci stanno a cuore, ricordandoli per nome].
Aumenta la nostra fede,
Rendi forte la nostra speranza,
Conservaci nel tuo amore,
Aiutaci ad essere sempre grati del dono della vita che condividiamo.
Ti chiediamo questo nel nome di Cristo, nostro Signore,
Amen
Maria, madre e guida nostra, prega per noi.
San Giuseppe, padre e protettore nostro, prega per noi.
Santi Gioacchino e Anna, pregate per noi.
San Luigi e Zelia Martin, pregate per noi.
*Fonte: https://www.worldmeeting2018.ie/WMOF/media/downloads/prayerA4-IT.pdf
* L’Incontro mondiale. «Famiglia, sfida globale». Ecco il senso dell’incontro di Dublino. L’arcivescovo Martin, primate della Chiesa d’Irlanda: Amoris Laetitia, messaggio di misericordia nella complessità. Uno spazio dedicato anche al doloroso tema degli abusi (di Luciano Moia, Avvenire, venerdì 17 agosto 2018: https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/famiglia-sfida-globale-ecco-il-senso-di-dublino).
SUL TEMA, IN RETE, SI CFR.:
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo".
Federico La Sala (18.08.2018)
Quest’anno il Natale cristiano e quello musulmano cadono la stessa notte
Non accadeva da mezzo millennio. Una bella coincidenza di questi tempi
Quando gli dei si parlano
di Monika Bulaj (la Repubblica, 20.12.2015)
L’HO SENTITO NEI SOSPIRI DEI SUFI A KABUL, al Cairo e a Istanbul, durante i riti dionisiaci dei musulmani del Maghreb, tra le esplosioni di petardi e rulli di tamburi nella Tripoli agghindata con palloncini e teste di squalo. Era il canto natalizio dei musulmani. Quest’anno, per la prima volta negli ultimi quattrocentocinquantasette, quel canto si leverà nel mondo musulmano nella stessa notte in cui i cristiani celebreranno il loro Natale, quella tra il 24 e il 25 dicembre. Perché quest’anno Maometto nasce quando nasce Gesù. Sarà il secondo Mawlud del 2015, il primo è caduto tra il 3 e il 4 gennaio: l’anno liturgico dei musulmani, governato dalla Luna, corre più veloce di quello cristiano.
Coincidenze. Del resto - e oggi pare così strano ricordarlo - le due religioni si sono rispecchiate l’una nell’altra nei secoli a suon di melodie e usanze, e si sono prestate poesie e riti come i buoni vicini si prestano il sale. E fu forse proprio per resistere all’incanto della notte di Betlemme che un califfo decretò la nascita del Profeta come festa popolare. Da allora il Natale musulmano viene festeggiato dal Maghreb fino all’Indonesia con fuochi d’artificio e regali per i bambini, cortei e danze estatiche, ed è replicato a sua volta per i santi locali in una infinità di Natali minori.
Sono anni che viaggio nelle sacre periferie delle religioni del Libro, zone franche assediate dai fanatismi armati, patrie perdute di un’umanità in fuga. Come i santuari dei mistici dell’Islam, che dal Pakistan al Mali stanno scomparendo a suon di bombe. Odiati dagli ultras dell’Islam e ignorati dall’Occidente, i sufi sono forse una delle poche barriere contro la barbarie. Riempiono le biblioteche, godono della lettura come i mistici ebrei, mettono l’esperienza al di sopra della teoria, chiamano la pratica "strada" e il fanatico "asino che porta sulla groppa una pila di libri".
Sono zone franche. Come le donne armene e turche che dormono assieme sulla tomba di un santo cristiano sul Bosforo; come i monasteri nel deserto egiziano, ora assediati dai fondamentalisti, dove Abuna Fanous ascolta i sogni dei pastori beduini che per parlare con lui si fanno ore di coda sotto il sole; oppure come la venerazione dei kosovari verso lo sfortunato santo dei serbi, il re Stefano, accecato dal proprio padre e ucciso dal figlio. Zone franche sono i cristiani e i musulmani che pregavano assieme nella moschea di Damasco, o quelli che hanno rimesso a posto le pietre del monastero di Deir Mar Musa, sempre nella povera Siria.
Sono queste le ultime oasi d’incontro tra le fedi, luoghi dove gli dei ancora si parlano, terre di promiscuitˆ millenaria scomoda ai predicatori dello scontro di civilt ˆ, luoghi dove la catena delle vendette si rompe, dove si mangiano le stesse pietanze, si intonano gli stessi canti, si fanno gli stessi gesti. Accadde anche nella mia Polonia prima della Seconda guerra, nel Marocco degli anni Cinquanta prima dell’esodo degli ebrei. Il buon santo è buono per tutti. A Mea Sharim, il quartiere dei Chassidim di Gerusalemme, i nomi delle sinagoghe rievocano paludi bielorusse, pianure polacche, bianche colline ucraine.
È un mondo parallelo e invisibile che va dall’Asia centrale all’America latina, dalle Russie al Medio Oriente. Il calendario dei miei spostamenti tra Gibilterra e l’Afghanistan segue anniversari di nascita e morte di uomini e profeti, pellegrinaggi e sacrifici, lune, solstizi e stagioni che annodano il tempo: persiano, aramaico, arabo o ebraico non importa, svela comunque una trama di sorprendenti parallelismi. Elia diventa tra i musulmani “Khidr il verde”; San Giorgio viene festeggiato nei Balcani da cristiani e musulmani; attorno alle Madonne si radunano donne musulmane e greco-ortodosse, di Napoli e di Istanbul.
Accade che a un certo punto sono le stesse immagini che vengono a cercarti. Svelano una continuità che abbiamo disimparato a osservare. Quello che faccio io è una cosa quasi infantile: raccolgo schegge di un grande specchio rotto, miliardi di schegge, frammenti incoerenti, pezzi, atomi, forse mattoni della Torre di Babele, tessere di un mosaico che non sarà mai completo. Poi metto tutto nell’ordine che mi sembra giusto, o forse solo possibile.
Dalla parte dei calendari
di Enzo Bianchi
LA SINGOLARE COINCIDENZA di calendario tra la festa della natività di Gesù e la commemorazione del profeta Muhammad dovrebbe scuoterci dal nostro analfabetismo nel dialogo islamo-cristiano, distoglierci dalle polemiche insensate sulla presenza o meno del presepe nelle scuole e nei luoghi pubblici istituzionali e spingerci alla pratica di quella “ospitalità culturale” di cui c’è grande urgenza per una convivenza buona e intelligente.
Conoscere le feste dell’altro, il significato delle celebrazioni, la reale portata delle tradizioni instauratesi nel corso dei secoli è il passo più semplice e tra i più fecondi per scoprire l’universo religioso di chi ci sta accanto e, al contempo, per riscoprire il fondamento di ciò che noi stessi ricordiamo, sovente offuscato dall’abitudine.
Dai primi secoli i cristiani fanno memoria della nascita di Gesù Cristo a Betlemme di Giudea il 25 dicembre: una data scelta perché in quel giorno il mondo romano celebrava e festeggiava il “sole invitto”, il sole che in quel giorno terminava il suo progressivo declinare all’orizzonte e ricominciava a salire in alto nel cielo, vincitore sulla tenebra che offusca la terra. Essendo Gesù Cristo vero sole, luce del mondo, era naturale fare memoria della sua nascita al solstizio d’inverno.
Per i musulmani invece la “commemorazione” (non la “festa”, perché nel calendario islamico solo due sono le “feste”: Id al-Fitr alla conclusione del mese di Ramadan, e Id al-Adha, la festa del Sacrificio) della nascita del Profeta, nel dodicesimo giorno del mese lunare di Rabi’ I che quest’anno cade appunto il 24 dicembre, risale a non prima del X secolo, con ispirazione alla festa cristiana, e oggi è particolarmente sentita a livello popolare e tra i bambini, sebbene sia contestata da alcuni che la giudicano troppo modellata sul Natale cristiano.
Due feste differenti, dunque, senza possibili sincretismi né simmetrie perché nella fede non si festeggia nulla insieme: ai cristiani è chiesto rispetto per la commemorazione dei musulmani, così come ai musulmani è chiesto rispetto per la festa cristiana della nascita di colui che per loro è comunque considerato un profeta, ma non colui che i cristiani confessano quale loro Signore e loro Dio. Insieme si può solo celebrare la gioia dell’altro e scambiarsi auguri di pace, e questo non è poco in un’umanità tentata di smentire la fraternità e di far divampare conflitti religiosi.
Il Natale e l’obbligo della felicità
di Claudio Magris (Corriere della Sera, 21 dicembre 2009)
A Lima, negli ultimi anni, durante la settimana di Natale la percentuale dei suicidi aumenta del 35%. Le ragioni - dice sul Comercio , il più importante quotidiano peruviano, il direttore dell’Istituto Guestalt, Manuel Saravia Oliver - possono essere fin troppo ovvie. Natale è una celebrazione degli affetti familiari, di una raccolta felicità, e chi se ne sente privo o povero ne soffre certo sempre, ma particolarmente in quei giorni. Giorni in cui si ostenta quel calore che gli manca e la cui mancanza si fa più acuta e talora insostenibile.
Quel 35 per cento in più di morti disperati pesa come un dies irae. Chi ha detto che il Natale debba essere un karaoke della felicità, in cui Minnie e Topolino si vogliono eternamente bene, le famiglie sono sempre unite e i buoni sono anche contenti, tutte cose false sia in quella settimana sia nelle altre cinquantuno dell’anno? Il Natale ricorda la nascita di un bambino venuto al mondo nel più grande anche se finora fallito tentativo di portare la pace agli uomini - fallito non per colpa sua, ma perché la pace doveva essere portata, come sta scritto, agli uomini di buona volontà e di questi ultimi se ne vedono pochi. Quel neonato di Betlemme è inoltre destinato, nella sua opera di redenzione, a morire fra tremendi dolori fisici e morali di una morte infame, sulla croce; non promette la felicità, né in pillole né in panettoni, tant’è vero che, vedendo come va il mondo, quel bambino, cresciuto, dirà di essere venuto a portare non la pace, ma la spada. Non è un caso che, a Natale, si pensi sempre meno a lui, sostituito dal faccione paonazzo e svampito di Babbo Natale, giuliva e stolida caricatura della felicità.
Quest’ultima non sembra più essere uno struggente e lacerante desiderio del cuore, bensì un obbligo sociale. Bisogna essere felici; altrimenti, che vergogna. Ma perché la felicità dev’essere come la carta di credito in certi Paesi, nei quali chi non ce l’ha è quasi un reietto, un asociale da disprezzare o tutt’al più commiserare? Tra tante luminarie natalizie, felicità al neon, chi se ne sente escluso può sentirsi indegno, come quel personaggio di Kafka che si risveglia trasformato in scarafaggio, e perdere la stima di sé fino al punto di uscir di scena.
La felicità è una nostalgia, può bruciare come una ferita anche quando c’è, come un amore che ci piomba addosso o come l’incanto della «bella giornata» di cui scrive La Capria, la cui bellezza ferisce il cuore a morte, perché fa sentire tutto quello che ci manca. Non è un rango o un ruolo che si può avere, ma è un mare che ci avvolge; non possiamo avere la felicità, ma essere nella felicità, come in una risata insieme a un figlio che ci fa sentire un’armonia profonda o in un’ora magica e semplice in cui la vita assomiglia al vino che esce da una bottiglia stappata con un amico.
Ogni brandello di gioia e anche di minimo e fugace piacere va afferrato e tenuto stretto più che si può, perché non siamo al mondo per fare stupide, spesso torbide rinunce; ogni dolore va lenito il più possibile e un analgesico che fa sparire un forte mal di testa libera - e dunque eleva - lo spirito non meno di una grande poesia che lo incanta.
Ma non abbiamo il dovere di essere felici, belli e in forma; la vita è certo anche stupida, come sapevano Shakespeare o Flaubert, ma comunque meno dell’Isola dei famosi. Dovremmo lamentarci o addirittura vergognarci quando ci tocca il grigiore dei giorni, la solitudine, la rancorosa stanchezza di un amore che sopravvive a se stesso, la sconfitta, il decadimento fisico e intellettuale, l’invitabile malinteso fra noi e gli altri e pure fra noi e noi stessi? Non è il caso di assumere una posa stoica di eroica forza d’animo, ma piuttosto di arrangiarsi come si può, scansando se possibile i colpi, senza recriminare e senza far troppe domande al tempo che passa, aiutandosi con tutte le protesi fisiche e morali di cui c’è bisogno e cercando di barare un po’ col destino.
Anche a Natale, come in ogni altro giorno dell’anno. Può essere triste - non sempre - essere soli, ma questo vale per ogni giorno, come l’aver fame che non è mai allegro. L’anno scorso, in questo periodo, mi è capitato di leggere, nel giornaletto di un liceo di Schio, l’articolo di una ragazzina, Giulia Baldassarre, che protestava contro lo sciagurato dovere di fare regali di Natale, che rende quella settimana più affannosa di ogni altra. Quell’articolo si poneva la stessa domanda posta giorni fa sul Comercio di Lima da un giornalista peruviano, Adolfo Bazán Coquis, che non credo legga la stampa scolastica di Schio. A Natale c’è un unico «cumpleañero», uno solo di cui festeggiare il compleanno: quel bambino di Betlemme. È a lui che andrebbero fatti i regali, non ad altri - se non a quegli «ultimi» della terra con cui lui si è esplicitamente identificato. E potremmo imitare, anche per nostro sollievo, la sua festa di Natale, l’unica vera. Nella grotta di Betlemme, quella notte, non ci sono suoceri, prozii, cognati, cugini di nipoti acquisiti; tutto quel clan che il 25 dicembre si ha il dovere di invitare e frequentare, anche se in esso ci sono, accanto a persone amate, persone del tutto estranee e alle quali siamo estranei, persone le quali negli altri 364 giorni dell’anno per noi sostanzialmente non esistono e per le quali non esistiamo.
Nella o davanti alla grotta di Betlemme, invece, quella notte c’è solo chi ha voluto venire, senza averne l’obbligo e senza averlo deciso né saputo prima, come i pastori. Ci sono un bue, un asino, verosimilmente alcune pecore; animali alieni da quei nascosti livori, ambivalentemente mescolati agli affetti, spesso latenti - o esplodenti - nelle grandi famiglie riunite a Natale.
Come sarà stato, in quella grotta, il pranzo di Natale? Niente cena di magro, la vigilia; nessuna ipocrisia di far penitenza rinunciando per un giorno alla carne e rimpinzandosi di pesci prelibati. E immaginabile che i pastori abbiamo portato del latte, formaggi, frutta, uova, forse un po’ di vino, di quel vino col quale, non molti anni dopo, quel neonato compirà il suo primo miracolo. Mangiare e bere insieme in semplicità, senza menù obbligato ma con amore delle buone cose che allietano il palato ed il cuore, è far festa alla vita e a sé stessi - e ogni occasione è buona per farlo, ogni giorno dell’anno. È difficile invece immaginare Maria, Giuseppe e i loro nuovi amici intorpiditi da quelle succulente e mortali portate dei pranzi di Natale che non è lecito rifiutare neanche quando la sazietà, la sonnolenza e la greve digestione danno l’impressione che vita mastichi e macini per la morte.
La Chiesa tuona contro la secolarizzazione, ma - forse ritenendo di dover patteggiare con la sua potenza crescente - quasi sempre esita a dire troppo apertamente che col Natale, con la nascita di Cristo, il nostro Natale non c’entra proprio niente e somiglia piuttosto alla festa delle zucche di Halloween. Ma per una zucca vuota, almeno, non si è mai suicidato nessuno.
Adista mi ha chiesto il commento alle letture di queste festività. Anche per aiutarvi a ridare un’anima al Natale, vi invio il mio commento. Auguri. Aldo
NATALE: IL DIO POSSIBILE
Come un filo rosso, sotto tensione, esso percorre tutta la narrazione biblica e, direi, la storia del fidanzamento tra Dio e gli uomini; si tratta del grido di salvezza strozzato in gola ai popoli come invocazione e proclamato da Dio come offerta. I pilastri fondanti di questa architettura sono l’autopresentazione di Dio a Mosè: “Ho osservato la miseria del mio popolo, ho udito il suo grido... Sono sceso per liberarlo” (Es.3,7-8) e il prologo che Giovanni prepone al suo Vangelo: “Verbum caro factum est et habitavit in nobis. Colui che è ‘la Parola’ è diventato un uomo e ha vissuto in mezzo a noi” (Gv 1,14).
Due tralicci che tengono alto il discorso di una trascendenza immanente che nel corso dei secoli ha spezzato, da una parte, il gioco evasivo in cui la religione vorrebbe soggiogare un Dio insequestrabile e, dall’altra, ha infranto le catene della necessità con le quali il potere irreggimenta e paralizza il fare e l’operare degli uomini.
Il Dio della cura e della premura, che va in cerca dei disobbedienti nel giardino dell’Eden, che si fa protettore del fratricida, che infrange l’impero del faraone e diventa bastone di viaggio per il popolo nel deserto; il Dio che distoglie il suo volto dall’odore degli incensi e dal sangue dei sacrifici, mentre s’impietosisce del popolo assetato e fa piovere manna per la sua fame; questo Dio non può che immedesimarsi nell’uomo per il quale egli, semplicemente, “È”!
Il Natale, come suo farsi carne, e l’Eucaristia, come suo farsi pane, sono una necessità-necessitata del suo “dover essere” e non un optional della sua “benevolenza”.
Sì! Perché l’amore per la bibbia è «questo sguardo con cui Dio si prende cura dell’alterità umana, facendole spazio e sostenendola; è il movimento di discesa con cui, andando incontro all’altro, invocazione di pane e di perdono, l’alterità divina inverte e converte la sua alterità in prossimità e la sua trascendenza in vicinanza; è l’irriducibile differenza che si rivela come ostinata non indifferenza nei confronti di chi, povero e nemico, è attesa di vita e di amicizia» (Carmine di Sante: L’io ospitale; p.12).
Contro questa narrazione si pone, nel segno opposto dell’indifferenza e del disprezzo, l’”Homo Oeconomicus”, autocefalo e senza relazioni, autofago e onnivoro, che tutto consuma, trasformando in merce e in merce di rifiuti, persone e cose, valori e affetti, progetti e speranze.
Avvezzi come siamo a incorniciare l’“Evento-Incarnazione” nella composizione agropastorale del presepe, nessuno stupore viene più a farci visita; ancor meno ci tocca l’ondata rivoluzionaria per cui storia e trascendenza, finito e infinito, frammento e totalità, umano e divino sono una cosa sola. Tutto al più ci facciamo invadere dalla tenerezza nostalgica di un mondo-non-più. In questa lettura bucolica del Natale risiede la sterilizzazione dell’evento, incapace ormai a sovvertire i loschi connubi tra spiritualità e mercantilismo, universalità e localismo, filantropia e xenofobia, amore e odio. Sono, questi, matrimoni funzionali alla deriva liberista di una economia senza anima e di una politica senza etica, in Italia prima e più che nel resto del mondo.
Dal Brasile, invece, ci viene il richiamo alla logica del Regno di cui l’Incarnato è Messia: «Il regno è come un semino che accetta di scomparire sotto terra, per rinascere come albero che si fa casa per tutti. O, anche, sì, il regno succede quando c’è chi accetta di essere come lievito nell’impasto, che c’era, ma non c’è già più, eppure tutti ne vedono gli effetti. Nel pane soffice e buono, per esempio. Gesù è quel semino che accetta di sparire, perché avvenga il regno. Perché questa, e solo questa, è la logica del regno: morire (anche poco a poco) perché l’altro viva, come è in ogni amore vero. E Lui cerca solo pochi amici e amiche che facciano lo stesso. Altro che cultura della presenza, capace solo di vanificare la croce e il suo significato. A Lui non interessano le chiese piene, o le belle e inutili liturgie, il suo nome strombazzato in tutte le maniere, le sue immagini profanate negli edifici del potere, no, Lui preferisce di gran lunga le chiese delle catacombe, che addestrano cospiratori della sua Parola, silenziosi e nonviolenti testimoni del principio universale della cura: non mi importa chi tu sia o che cosa tu pensi di me. Io sono niente, ma sono tuo fratello (sorella), puoi fidarti, ti difenderò, lotterò con te per i tuoi diritti, vivrò e nel caso morirò per vederti felice».(Fraternitade 31 Ottobre 2006).
TUTTO NATALE
Un testo di Giuseppe Barbaglio
Mi sembra di leggere tra le righe di questa sbobinatura la ricerca insonne di Giuseppe di capire e di tenere il più possibile distinti i confini tra storia e fede. Non perché i due filoni si depotenzino, ma anzi perché fioriscano più significati e pensieri. Per questo lui parla di "credenza". Vorrei anche ricordare che il primo libro che mi ha dedicato diceva: "L’annuncio diventa carne e abita in noi". Fino all’ultimo Giuseppe mi ha ripetuto la domanda: qual è l’annuncio di gioia da dare al mondo di oggi, alle persone discriminate?
Carla Busato Barbaglio
L’infanzia di Gesù nel vangelo di Matteo
Gesù è l’uomo che nasce dalla terra, a Nazaret, in Galilea. L’origine di questo uomo fa volgere i nostri occhi verso il cielo perché lui esprime il mondo di Dio, lo incarna, è l’epifania della benevolenza e della filantropia di Dio. Questo uomo singolo e singolare, frutto della nostra terra, è la parola di Dio, incarna la vicinanza di Dio all’uomo.
Soltanto i vangeli di Matteo e di Luca riservano i primi due capitoli alla narrazione della nascita e dell’infanzia di Gesù. Essi nascono come espressione plastica, narrativa della fede dei primi credenti in Gesù figlio di Dio. Sono due racconti molto diversi, espressione degli ambienti culturali e religiosi a cui Matteo e Luca appartenevano.
Il vangelo dell’infanzia di Matteo, che comincia con la genealogia, centra l’attenzione su Giuseppe. A lui parlano gli angeli in sogno, è lui l’anello centrale che collega Gesù alla stirpe di Davide. Perché Giuseppe ha questa importanza? I circoli cristiani a cui partecipa Matteo credono nel concepimento verginale di Gesù, ma hanno il problema di come inserire Gesù nella storia ebraica, nella storia delle promesse di Dio fatte ad Abramo (In te saranno benedette tutte le nazioni) e a Davide (Io susciterò sul tuo trono uno che regnerà in eterno).
Come si fa a collocare questo figlio in una genealogia dove i fili sono tenuti dai maschi, dai padri, se Gesù non è figlio di Giuseppe? Matteo risponde, attraverso il suo racconto, che "Gesù è il figlio di Dio ma è anche il figlio legale di Giuseppe". In questo modo collega Gesù alle promesse fatte da Dio a Abramo e a Davide. All’inizio della genealogia Matteo scrive: "Libro dell’origine di Gesù Cristo, figlio di Abramo, figlio di Davide": Gesù è l’erede delle promesse. Alla fine della genealogia, conclude: "Giacobbe generò Giuseppe, il marito di Maria dalla quale fu generato Gesù detto il Cristo". C’è uno scarto. Il racconto dell’infanzia serve a sanare questo scarto. Tutta la narrazione, i simboli, i luoghi, i personaggi vogliono confermare questa origine e collegare la vita di Gesù alla storia ebraica.
Intervengono allora gli angeli: "Giuseppe non pensare che Maria sia infedele, è la potenza di Dio che ha generato in lei il bambino, tu però sei quello che deve prendere Maria in casa, devi dare il nome al figlio e cioè lo devi inserire nella genealogia". Da una parte si afferma l’interesse alla paternità di Giuseppe, dall’altra che è il figlio di Dio. La credenza nel concepimento verginale di Gesù, ai tempi dei primi cristiani, era un modo per dire che lui era il figlio di Dio, era un’espressione di fede sull’identità di Gesù. La sua origine risale misteriosamente a Dio, è lui l’attore che sta dietro alle quinte.
La nascita avviene a Betlemme, dettaglio importante perché era la città di Davide, che conferma la discendenza davidica. Betlemme è il luogo dell’anagrafe di Dio, mentre secondo l’anagrafe umana e giudaica Gesù è il nazareno, nato a Nazaret.
I magi che vengono dall’oriente sono l’immagine dei pagani che vengono da lontano, una immagine che prefigura la missione al mondo pagano.
La fuga in Egitto, dettata in sogno a Giuseppe, e il successivo ritorno a Nazaret, rappresenta la storia del popolo ebraico, che Gesù rivive profeticamente.
Tutta la vita di Gesù incarna la storia nuova del popolo. I racconti dell’infanzia sono espressione di questa credenza in Gesù, figlio di Dio e erede delle promesse abramitiche e davidiche.
(il testo è tratto da un intervento tenuto da Giuseppe Barbaglio nella sede di Oreundici di via Ottaviano a Roma, alcuni anni fa)
Articolo tratto da:
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CATTOLICI SENZA DIRITTI
di Atrio
Due pesi e due misure: nel 60.mo della dichiarazione dei diritti umani, la chiesa continua a negarli al suo interno.
Questo articolo del teologo spagnolo juan josé tamayo è stato pubblicato sul sito internet spagnolo di informazione religiosa progressista “atrio” (10/12/2008). Titolo originale: “derechos humanos en la iglesia: la incoherencia vaticana”*
La celebrazione del sessantesimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti umani invita a riflettere sulla situazione dei diritti umani nella Chiesa Cattolica, una delle istituzioni che storicamente ha opposto maggiore resistenza alle libertà moderne.
La Legge Fondamentale dello Stato della Città del Vaticano, promulgata nel febbraio del 2001, stabilisce nel suo 1.mo articolo che “il Papa detiene nella sua persona la pienezza del potere legislativo, esecutivo e giudiziario”.
Dopo il Concilio c’era l’intenzione di scrivere una Legge Fondamentale della Chiesa, ma il progetto non andò in porto. Solo nel 1983 venne promulgato il Codice di Diritto Canonico che, sebbene sia valido solo per la Chiesa Latina, praticamente con i suoi 1752 articoli (o canoni) è la Magna Carta della Chiesa cattolica. Qui non c’è la divisione dei poteri, ma la potestà suprema: “Il vescovo della Chiesa di Roma, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente” (can. 331).
Di conseguenza, la cultura dei diritti umani è assente dalla sua organizzazione, che si configura con una struttura bipolare (chierici e laici, Chiesa docente e Chiesa discente, gerarchia e popolo di Dio), funziona in modo gerarchico-piramidale (pastori-gregge) e rifiuta la democratizzazione sostenendo che è di istituzione divina e che ha fini spirituali. Cosa che, di primo impatto, cozza con il titolo di capo di Stato della Città del Vaticano che ostenta il papa. Per questo la trasgressione dei diritti umani nella Chiesa cattolica non è una patologia, ma una pratica strutturale, inerente al paradigma ecclesiastico attuale che non corrisponde all’intenzione del fondatore né alle origini del cristianesimo.
Il papa e i vescovi cattolici difendono i diritti umani nella società e ne denunciano la trasgressione, ma disconoscono e non rispettano i diritti dei cristiani e delle cristiane in seno alla Chiesa. Difendono la libertà nella società, ma si dimenticano della libertà cristiana, riconosciuta in molteplici forme nei testi fondamentali del cristianesimo. Come si può negare la libertà ai cristiani e alle cristiane quando Paolo di Tarso dichiara: “Cristo ci ha liberato per essere liberi” (Gal 5,1)? È l’incoerenza vaticana. Vediamone alcuni esempi.
Le donne sono escluse dal sacerdozio, dall’episcopato e dal papato e dai posti di responsabilità ecclesiale, con la giustificazione che Gesù era maschio e che può essere rappresentato solo da maschi. Si fa diventare Gesù di Nazaret un maschilista quando è stato quello che ha messo in moto il movimento egualitario di donne e uomini. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha minacciato di scomunica il teologo nordamericano Roy Bourgeois perché ha affermato che le donne hanno la stessa dignità degli uomini per essere sacerdoti e che nella Bibbia non c’è niente che si opponga all’ordinazione delle donne. La sua risposta è stata che il sessismo e il razzismo sono peccati e che la discriminazione di genere è immorale. Come si può praticare la discriminazione contro le donne impunemente nella Chiesa cattolica quando Paolo di Tarso ha scritto, a metà del primo secolo, che “non c’è greco, né schiavo, né libero, né uomo, né donna, perché tutti sono uno in Cristo Gesù” (Gal 3,26)?
Si obbligano i sacerdoti ad essere celibi e a rinunciare al matrimonio quando teologicamente e storicamente non esiste un vincolo intrinseco fra sacerdozio e celibato. Non si riconoscono né si rispettano libertà quali quelle di espressione, ricerca, insegnamento e stampa. Ci sono decine di teologhe e teologi condannati per i loro scritti e le loro dichiarazioni pubbliche, che, inoltre, vengono obbligati a sottomettere a censura previa tutto quello che scrivono. In qualche caso, libri pubblicati “con i nullaosta” ecclesiastici vengono ritirati dal commercio. Anche l’opzione per i poveri è condannata talvolta con pene severissime, come nel caso della teologia della liberazione - demonizzata dal cardinal Ratzinger quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede nell’Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione - e di alcuni suoi principali rappresentanti, per esempio Leonardo Boff. I processi contro i teologi e le teologhe non sono precisamente un esempio di trasparenza e di rispetto dei diritti umani; al contrario, gli accusati constatano come questi processi violino sistematicamente i diritti riconosciuti dalla giustizia civile. Si sentono soli davanti al pericolo, senza difesa né possibilità d’appello. Inoltre, la sentenza è dettata a priori.
E non contenta di reprimere i diritti umani all’interno della Chiesa, la gerarchia cattolica si oppone all’esercizio di alcuni diritti e libertà fondamentali nella società: il diritto al libero esercizio della sessualità, condannando l’omosessualità, opponendosi alla sua totale depenalizzazione e generando con le sue condanne atteggiamenti omofonici. Condanna la ricerca sulle cellule staminali embrionali a fini terapeutici, pratica che alcuni leader della Chiesa cattolica paragonano agli esperimenti nazisti nei campi di concentramento. Nega i diritti riproduttivi e sessuali delle donne.
I rappresentanti della Chiesa cattolica giocano un ruolo molto attivo contro i diritti delle donne nelle Conferenze Internazionali su Ambiente, Sviluppo e Povertà, Emancipazione della donna, ecc., facendo causa comune con altre realtà religiose integriste. Succede che, in questi casi, estendono la proibizione di questi diritti a tutti i cittadini e le cittadine. Ancor più, si oppongono alle leggi che regolano questi diritti, sollecitando che non siano rispettati, perché considerano che sono contrari alla legge naturale. Si ripete l’atteggiamento di condanna delle libertà e dei diritti umani adottato dalla gerarchia cattolica durante il secolo XIX e buona parte del XX. Sembra che la storia della Chiesa sia tornata indietro e che si sia fermata a due secoli fa.
Due fatti recenti mettono a nudo l’insensibilità del Vaticano in questo campo: il suo rifiuto di firmare la convenzione dell’Onu sui diritti delle persone disabili e l’opposizione alla proposta avanzata dalla Francia alle Nazioni Unite di depenalizzare totalmente l’omosessualità nel mondo, visto che in vari Paesi l’omosessualità viene punita con la pena di morte. Non accettare la depenalizzazione implica la condanna a morte di gay e lesbiche che vivono in questi Paesi. Con il suo atteggiamento, il Vaticano sta violando in modo flagrante il primo fra tutti i diritti umani: quello alla vita. Che credibilità ha quando reclama il diritto per i non nati se legittima la pena di morte di cittadini e cittadine a causa del libero esercizio della loro sessualità?
La celebrazione del 60.mo anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani mi sembra una buona occasione perché la Chiesa cattolica nel suo insieme, a partire dai suoi dirigenti, faccia un “esame di coscienza” sulla violazione dei diritti umani al suo interno, manifesti un fermo proposito di ammenda, elabori una carta dei diritti e delle libertà dei credenti e metta in pratica i principi della Dichiarazione a tutti i livelli della sua organizzazione. Recentemente il Vaticano ha ampliato il catalogo dei peccati, ma non ne ha inserito uno che certamente è un “peccato mortale”: la trasgressione dei diritti umani in seno alla Chiesa.
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La corruzione inconsapevole che affonda il Paese
di ROBERTO SAVIANO *
La cosa enormemente tragica che emerge in questi giorni è che nessuno dei coinvolti delle inchieste napoletane aveva la percezione dell’errore, tantomeno del crimine. Come dire ognuno degli imputati andava a dormire sereno. Perché, come si vede dalle carte processuali, gli accordi non si reggevano su mazzette, ma sul semplice scambio di favori: far assumere cognati, dare una mano con la carriera, trovare una casa più bella a un costo ragionevole. Gli imprenditori e i politici sanno benissimo che nulla si ottiene in cambio di nulla, che per creare consenso bisogna concedere favori, e questo lo sanno anche gli elettori che votano spesso per averli, quei favori. Il problema è che purtroppo non è più solo la responsabilità del singolo imprenditore o politico quando è un intero sistema a funzionare in questo modo.
Oggi l’imprenditore si chiama Romeo, domani avrà un altro nome, ma il meccanismo non cambierà, e per agire non si farà altro che scambiare, proteggere, promettere di nuovo. Perché cosa potrà mai cambiare in una prassi, quando nessuno ci scorge più nulla di sbagliato o di anomalo. Che un simile do ut des sia di fatto corruzione è un concetto che moltissimi accoglierebbero con autentico stupore e indignazione. Ma come, protesterebbero, noi non abbiamo fatto niente di male!
E che tale corruzione non vada perseguitata soltanto dalla giustizia e condannata dall’etica civile, ma sia fonte di un male oggettivo, del funzionamento bloccato di un paese che dovrebbe essere fondato sui meccanismi di accesso e di concorrenza liberi, questo risulta ancora più difficile da cogliere e capire. La corruzione più grave che questa inchiesta svela sta nel mostrarci che persone di ogni livello, con talento o senza, con molta o scarsa professionalità, dovevano sottostare al gioco della protezione, della segnalazione, della spinta.
Non basta il merito, non basta l’impegno, e neanche la fortuna, per trovare un lavoro. La condizione necessaria è rientrare in uno scambio di favori. In passato l’incapace trovava lavoro se raccomandato. Oggi anche la persona di talento non può farne a meno, della protezione. E ogni appalto comporta automaticamente un’apertura di assunzioni con cui sistemare i raccomandati nuovi.
Non credo sia il tempo di convincere qualcuno a cambiare idea politica, o a pensare di mutare voto. Non credo sia il tempo di cercare affannosamente il nuovo o il meno peggio sino a quando si andrà incontro a una nuova delusione. Ma sono convinto che la cosa peggiore sia attaccarsi al triste cinismo italiano per il quale tutto è comunque marcio e non esistono innocenti perché in un modo o nell’altro tutti sono colpevoli. Bisogna aspettare come andranno i processi, stabilire le responsabilità dei singoli. Però esiste un piano su cui è possibile pronunciarsi subito. Come si legge nei titoli di coda del film di Francesco Rosi "Le mani sulla città: "I nomi sono di fantasia ma la realtà che li ha prodotti è fedele".
Indipendentemente dalle future condanne o assoluzioni, queste inchieste della magistratura napoletana, abruzzese e toscana dimostrano una prassi che difficilmente un politico - di qualsiasi colore - oggi potrà eludere. Non importa se un cittadino voti a destra o a sinistra, quel che bisogna chiedergli oggi è esclusivamente di pretendere che non sia più così. Non credo siano soltanto gli elettori di centrosinistra a non poterne più di essere rappresentati da persone disposte sempre e soltanto al compromesso. La percezione che il paese stia affondando la hanno tutti, da destra a sinistra, da nord a sud. E come in ogni momento di crisi, dovrebbero scaturirne delle risorse capaci di risollevarlo. Il tepore del "tutto è perduto" lentamente dovrebbe trasformarsi nella rovente forza reattiva che domanda, esige, cambia le cose. Oggi, fra queste, la questione della legalità viene prima di ogni altra.
L’imprenditoria criminale in questi anni si è alleata con il centrosinistra e con il centrodestra. Le mafie si sono unite nel nome degli affari, mentre tutto il resto è risultato sempre più spaccato. Loro hanno rinnovato i loro vertici, mentre ogni altra sfera di potere è rimasta in mano ai vecchi. Loro sono l’immagine vigorosa, espansiva, dinamica dell’Italia e per non soccombere alla loro proliferazione bisogna essere capaci di mobilitare altrettante energie, ma sane, forti, mirate al bene comune. Idee che uniscano la morale al business, le idee nuove ai talenti.
Ho ricevuto l’invito a parlare con i futuri amministratori del Pd, così come l’invito dell’on del Pdl Granata ad andare a parlare a Palermo con i giovani del suo partito. Credo sia necessario il confronto con tutti e non permettere strumentalizzazioni. Le organizzazioni criminali amano la politica quando questa è tutta identica e pronta a farsi comprare. Quando la politica si accontenta di razzolare nell’esistente e rinuncia a farsi progetto e guida. Vogliono che si consideri l’ambito politico uno spazio vuoto e insignificante, buono solo per ricavarne qualche vantaggio. E a loro come a tutti quelli che usano la politica per fini personali, fa comodo che questa visione venga condivisa dai cittadini, sia pure con tristezza e rassegnazione.
La politica non è il mio mestiere, non mi saprei immaginare come politico, ma è come narratore che osserva le dinamiche della realtà che ho creduto giusto non sottrarmi a una richiesta di dialogo su come affrontare il problema dell’illegalità e della criminalità organizzata. Il centrosinistra si è creduto per troppo tempo immune dalla collusione quando spesso è stato utilizzato e cooptato in modo massiccio dal sistema criminale o di malaffare puro e semplice, specie in Campania e in Calabria. Ma nemmeno gli elettori del centrodestra sono felici di sapere i loro rappresentanti collusi con le imprese criminali o impegnati in altri modi a ricavare vantaggi personali. Non penso nemmeno che la parte maggiore creda davvero che sia in atto un complotto della magistratura. Si può essere elettori di centrodestra e avere lo stesso desiderio di fare piazza pulita delle collusioni, dei compromessi, di un paese che si regge su conoscenze e raccomandazioni.
Credo che sia giunto il tempo di svegliarsi dai sonni di comodo, dalle pie menzogne raccontate per conforto, così come è tempo massimo di non volersela cavare con qualche pezza, quale piccola epurazione e qualche nome nuovo che corrisponda a un rinnovamento di facciata. Non ne rimane molto, se ce n’è ancora. Per nessuno. Chi si crede salvo, perché oggi la sua parte non è stata toccata dalla bufera, non fa che illudersi. Per quel che bisogna fare, forse non bastano nemmeno i politici, neppure (laddove esistessero) i migliori. In una fase di crisi come quella in cui ci troviamo, diviene compito di tutti esigere e promuovere un cambiamento.
Svegliarsi. Assumersi le proprie responsabilità. Fare pressione. È compito dei cittadini, degli elettori. Ognuno secondo la sua idea politica, ma secondo una richiesta sola: che si cominci a fare sul serio, già da domani.
* la Repubblica, 20 dicembre 2008
Signor Prof. Federico La Sala...lei ha’ fatto e scritto un capo-lavoro; da copiare e mettere in una bella cornice e attaccarlo, al muro difronte a quello che noi ci troviamo in primo contatto nel svegliarci ogni mattina, per il resto dei giorni della nostra vita terrena...come ricordo ed ammonizione e sprono ad aggire e comformarsi con la verita’ esposta.
MESSIA
Dal verbo ebraico mashàch, che significa “spalmare” e quindi “ungere”. Messia (mashìach) significa “unto”. L’equivalente greco è Christòs o Cristo. Nelle Scritture Ebraiche l’aggettivo verbale mashìach viene riferito a molti uomini. Davide fu ufficialmente nominato re essendo unto con olio, e per questo è chiamato “unto” o, all’ebraica, “messia”. Altri re, fra cui Saul e Salomone, sono definiti “unto” “l’unto di Geova”. (1Sa 2:10, 35; 12:3, 5; 24:6, 10; 2Sa 1:14, 16; 2Cr 6:42; La 4:20) Lo stesso termine viene applicato anche al sommo sacerdote. Patriarchi Abraamo, Isacco e Giacobbe vengono chiamati “unti” di Geova. Ciro re di Persia è definito “unto” in quanto avrebbe ricevuto da Dio un certo incarico. Intendimento nel I secolo E.V. Le informazioni storiche permettono di avere un quadro generale di ciò che la maggioranza degli ebrei del I secolo E.V. sapeva del Messia. Queste informazioni sono tratte primariamente dai Vangeli. Re e figlio di Davide. Generalmente gli ebrei riconoscevano che il Messia sarebbe stato un re della discendenza di Davide. Quando Erode il Grande chiese ai capi sacerdoti e agli scribi dove doveva nascere il Messia, questi risposero: : “A Betleem di Giudea”, dopo di che citarono Michea 5:2. (Mt 2:3-6) Questo lo sapevano anche alcuni del popolo comune. Un profeta che avrebbe compiuto molti segni. Ai giorni di Gesù gli ebrei lo attendevano. Anche la samaritana al pozzo pensava che il Messia sarebbe stato un profeta.
Aspettative sbagliate. Fonti ebraiche convengono con Luca 2:38 che la popolazione attendeva in quell’epoca la liberazione di Gerusalemme. La Jewish Encyclopedia osserva: “Essi attendevano ansiosamente il promesso liberatore della casa di Davide, che li avrebbe liberati dal giogo dell’odiato usurpatore straniero, che avrebbe posto fine alla spietata dominazione romana e che avrebbe instaurato il Suo regno di pace”. (1976, vol. VIII, p. 508) Cercarono di fare di lui un re terreno. (Gv 6:15) Quando non soddisfece le loro aspettative, lo respinsero. Molti; si chiedevano...‘Dobbiamo aspettare un altro ancora che soddisfi tutte le speranze degli ebrei?’ Gesu’ disse loro: “Felice chi non ha inciampato in me”.
Falsi Messia. . (The Jewish Encyclopedia, cit., vol. X, p. 251) Poi nel 132 E.V. Bar Kokeba (Bar Koziba), uno dei più noti pseudomessia, fu acclamato re Messia. Nel reprimere la rivolta da lui capeggiata, i soldati romani uccisero migliaia di ebrei. Tutto ciò rivela che a molti ebrei interessava in primo luogo un Messia politico, Questa è una prova che coloro che attendono ancora la venuta del Messia sono in errore). ( In carne e ossa) Fra i presunti Messia comparsi in seguito ci furono un certo Mosè di Creta, che asserì di poter dividere il mare fra Creta e la Palestina, e un certo Sereno, che sviò molti ebrei spagnoli. La Jewish Encyclopedia elenca 28 falsi Messia fra il 132 E.V. e il 1744 E.V. - Cit., vol. X, pp. 252-255.
Gesù fu riconosciuto quale Messia. Le prove storiche contenute nei Vangeli dimostrano che Gesù era davvero il Messia.
NOTEVOLI PROFEZIE RELATIVE A GESÙ E LORO ADEMPIMENTO
Profezia Avvenimento Adempimento
Ge 49:10 Nato nella tribù di Mt 1:2-16; Lu 3:23-33; Giuda Eb 7:14
Sl 132:11; Della famiglia di Mt 1:1, 6-16; 9:27; Isa 9:7; Davide figlio di Iesse At 13:22, 23; Ro 1:3; 11:1, 10 15:8, 12
Mic 5:2 Nato a Betleem Lu 2:4-11; Gv 7:42
Isa 7:14 Nato da una vergine Mt 1:18-23; Lu 1:30-35
Ger 31:15 Bambini uccisi dopo la Mt 2:16-18 sua nascita
Os 11:1 Chiamato fuori d’Egitto Mt 2:15
Mal 3:1; 4:5; Via preparata in Mt 3:1-3; 11:10-14; Isa 40:3 anticipo 17:10-13; Lu 1:17, 76; 3:3-6; 7:27; Gv 1:20-23; 3:25-28; At 13:24; 19:4
Isa 61:1, 2 Incaricato di una Lu 4:18-21 missione
Isa 9:1, 2 Il suo ministero fece Mt 4:13-16 vedere una gran luce in Neftali e Zabulon
Sl 78:2 Usò illustrazioni Mt 13:11-13, 31-35
Isa 53:4 Portò le nostre Mt 8:16, 17 infermità
Sl 69:9 Fu pieno di zelo per Mt 21:12, 13; la casa di Geova Gv 2:13-17
Isa 42:1-4 Quale servitore di Mt 12:14-21 Geova non avrebbe disputato per le vie
Isa 53:1 Non fu creduto Gv 12:37, 38; Ro 10:11, 16
Zac 9:9; Ingresso a Gerusalemme Mt 21:1-9; Mr 11:7-11; Sl 118:26 su un puledro d’asina; Lu 19:28-38; acclamato come re e Gv 12:12-15 come colui che viene nel nome di Geova
Isa 28:16; 53:3; Rigettato, ma diventa Mt 21:42, 45, 46; Sl 69:8; la principale pietra At 3:14; 4:11; 118:22, 23 angolare 1Pt 2:7
Isa 8:14, 15 Diventa una pietra Lu 20:17, 18; d’inciampo Ro 9:31-33
Sl 41:9; 109:8 Un apostolo diventa Mt 26:47-50; infedele, lo tradisce Gv 13:18, 26-30; At 1:16-20
Zac 11:12 Tradito per 30 pezzi Mt 26:15; 27:3-10; d’argento Mr 14:10, 11
Zac 13:7 I discepoli si Mt 26:31, 56; Gv 16:32 disperdono
Sl 2:1, 2 Autorità romane e capi Mt 27:1, 2; d’Israele cooperano Mr 15:1, 15; contro l’unto di Geova Lu 23:10-12; At 4:25-28
Isa 53:8 Processato e condannato Mt 26:57-68; 27:1, 2, 11-26; Gv 18:12-14, 19-24, 28-40; 19:1-16
Sl 27:12 Falsi testimoni Mt 26:59-61; Mr 14:56-59
Isa 53:7 Tace di fronte agli Mt 27:12-14; Mr 14:61; accusatori 15:4, 5; Lu 23:9
Sl 69:4 Odiato senza ragione Lu 23:13-25; Gv 15:24, 25
Isa 50:6; Mic 5:1 Percosso, sputacchiato Mt 26:67; 27:26, 30; Gv 19:3
Sl 22:16, nt. Messo al palo Mt 27:35; Mr 15:24, 25; Lu 23:33; Gv 19:18, 23; 20:25, 27
Sl 22:18 Vesti tirate a sorte Mt 27:35; Gv 19:23, 24
Isa 53:12 Annoverato fra i Mt 26:55, 56; 27:38; peccatori Lu 22:37
Sl 22:7, 8 Oltraggiato sul palo Mt 27:39-43; Mr 15:29-32
Sl 69:21 Gli vengono dati aceto Mt 27:34, 48; e fiele Mr 15:23, 36
Sl 22:1 Abbandonato da Dio ai Mt 27:46; Mr 15:34 nemici
Sl 34:20; Nessun osso rotto Gv 19:33, 36 Eso 12:46
Isa 53:5; Trafitto Mt 27:49; Zac 12:10 Gv 19:34, 37; Ri 1:7
Isa 53:5, 8, Muore di una morte di Mt 20:28; Gv 1:29; 11, 12 sacrificio per togliere Ro 3:24; 4:25; i peccati e apre la via 1Co 15:3; Eb 9:12-15; per avere l’approvazione 1Pt 2:24; 1Gv 2:2 di Dio
Isa 53:9 Sepolto con il ricco Mt 27:57-60; Gv 19:38-42
Gna 1:17; 2:10 Nella tomba per parte Mt 12:39, 40; 16:21; di tre giorni, poi 17:23; 27:64; risuscitato 28:1-7; At 10:40; 1Co 15:3-8
Sl 16:8-11, nt. Risuscitato prima di At 2:25-31; 13:34-37 decomporsi
Sl 2:7 Geova lo dichiara suo Mt 3:16, 17;
Figlio generandolo Mr 1:9-11; mediante lo spirito e Lu 3:21, 22; risuscitandolo At 13:33; Ro 1:4; Eb 1:5; 5:5
Cordialissimi Saluti Allo TUTTO STAFF...a tutti quelli che hanno in mano le staffette-retini; della briglia nella bocca del cavallo...(IL MONDO)
Caro JOHN
non abbiamo parole per la tua attenzione e per la tua cortesia - straordinarie!!!
GRANDE NONNO
Moltissimi, moltissimi auguri a Te, alla tua famiglia, e al tuo nipotino!!!
BUON NATALE E BUON ANNO
Per la redazione
Federico La Sala