INTERVISTA.
Per il grande storico Peter Brown
«L’Europa oggi ha creato una laicità troppo unilaterale e ’sottile’, con tendenze anti-religiose»
Laicismo, mitologia postmoderna
«I relativisti, che guardano il religioso con disprezzo, cadono in contraddizione.
Ma non dobbiamo arroccarci, considerando monolitica la nostra tradizione cristiana: essa nasce universalistica»
DA VICENZA LORENZO FAZZINI (Avvenire, 10.10.2009)
L’ Europa ha radici cristiane, cioè ’universali’, intrecciate con l’islam lungo un millennio. Per questo, il domani del Vecchio continente deve essere laico in senso ’largo’, ovvero non avverso alle tradizioni religiose che ne hanno intessuto i secoli. Ne è convinto Peter Brown, uno dei massimi storici viventi, docente a Princeton dal 1986 dopo aver insegnato a Oxford e Berkeley: nel 2008 ha conseguito il Kluge Prize del Congresso americano. Irlandese di nascita e giramondo per vocazione, autore di testi cult sulla fine dell’Impero romano ( La nascita della civiltà cristiana occidentale , Laterza, e Genesi della tarda antichità, Einaudi) e di una monumentale biografia su Agostino d’Ippona (Einaudi), ieri Brown è intervenuto all’istituto di Storia di Vicenza con una lectio su ’Per la cruna dell’ago. La formazione della cristianità occidentale’.
In un suo recente lavoro lei nota che la civiltà cristiana occidentale è sorta in rapporto al sorgere dell’islam. Quale rapporto tra questi due ’mondi’?
«Sbagliamo completamente quando parliamo di iato tra mondo antico e islam. Il confronto fra Europa e islam oggi è un fenomeno ovvio e grave, ma due secoli fa non era così. Noi europei abbiamo colpevolmente costruito la frattura tra Europa e islam, mentre invece le radici di questi due mondi si intrecciano per un millennio. E dimentichiamo pure le comunità cristiane maggioritarie per tanti secoli in Medio Oriente, dove l’islam allora era minoranza, con tutto il vigore che tale posizione offre. Quando si considera l’origine dell’Europa, non bisogna trattare l’islam - e nemmeno Bisanzio, cioè il cristianesimo orientale - come ’altro’. Si tratta di ’cugini’ del cristianesimo occidentale e, come capita, tra parenti le relazioni non sono sempre piacevoli. Oggi si mette in opposizione islam e Europa, ma un simile ’binario’ ha già avuto effetti tragici nella storia, vedi il caso degli ebrei. Non vorrei che l’anti-arabismo diventi il successore di quell’antisemitismo di cui oggi ci vergogniamo».
Lei ha forgiato il concetto di ’tarda antichità’ per indicare in maniera ’neutra’ gli anni dal III al IX secolo. A lungo quell’epoca venne considerata spregiativamente: perché tale ostracismo?
«Dobbiamo candidamente ammettere che abbiamo creato una ’età del buio’ per sentirci superiori rispetto al passato. Il crollo dell’Impero romano, visto come lo stadio finale di un collasso, fu inventato dagli uomini del Rinascimento che volevano sentirsi migliori dei predecessori: poi è diventato un mito illuministico. Oggi abbiamo perso questa superiorità, possiamo parlare della caduta di imperi in Cina e in India senza considerare un incubo tutto ciò. Personalmente, durante i miei studi son sempre rimasto colpito dal fatto che l’Impero romano cambiava continuamente: il cristianesimo era diventato religione di Stato, la posizione dell’imperatore mutava lungo le epoche... La drammatica fine dell’Impero non va messa sotto il segno del ’declino’: si tratta di qualcosa di normale nella storia. Il ’secolo d’oro’ è l’eccezione, la storia normale è ’grigia’».
Lei ha analizzato storicamente personaggi come Bonifacio e Cassiodoro: figure che parlano ancora all’oggi?
«Certamente, molto più nel nuovo millennio rispetto al Novecento. Oggi si usa il termine ’infrastruttura cibernetica’ per indicare l’asse portante della civiltà attuale. Ebbene, chi ha costruito i programmi dei computer? Un nuovo Dante o Agostino? No, ma persone umili in laboratori di ricerca. Nella nostra civiltà tecnica abbiamo la sensibilità per capire cosa significa creare un’’infrastruttura della cultura’, cui si dedicarono Cassiodoro e Bonifacio, autori di trattati di ortografia e grammatica. Essi non si sentivano gli ultimi salvatori di un’epoca, si pensavano come dei modernizzatori: Cassiodoro è uno dei primi ad usare il termine ’moderno’».
Nell’era di internet che valore ha il lavoro dello storico?
«C’è il rischio di perdere una certa sensibilità verso il particolare, ma a me la cibernetica ha aperto orizzonti immensi. Ad esempio, nel 1992 vennero scoperti ventisei sermoni inediti di Agostino. Attraverso l’informatica sono stati identificati nel giro di un anno soltanto: nel Novecento ci avremmo impiegato cinquant’anni! Sto sistematizzando tutta la letteratura cristiana siriaca del mondo, così da poter raggiungere con un solo sistema dati sparsi in India, Cina, Africa e Medio Oriente».
Laicità e religioni in Europa: è ormai assodata l’estromissione delle ’radici cristiane’ dalla Carta. Quale ruolo vede per le tradizioni europee nel futuro del continente?
«Io preferisco un domani laico rispetto ad una mitologia. Mi spiego: oggi abbiamo creato un concetto di laicità troppo unilaterale e ’sottile’. E lo dico in senso negativo. Io voglio difendere la tolleranza, cioè il sentire che ci sono anche gli ’altri’ nel mondo. Certo, c’è una tendenza antireligiosa in Europa che proviene dalle classi liberali, le quali si sentono superiori alla gente normale dopo aver considerato per decenni i musulmani come persone ignoranti. Oggi vedo due pericoli: da un lato, quel laicismo che guarda il mondo religioso con disprezzo, e così cade in contraddizione. Dall’altro, esiste il tentativo di rendere monolitica una tradizione, quella cristiana, che, invece, è universale per sua stessa natura. Ha ragione Benedetto XVI quando dice che l’Occidente è ’diventato cristiano’. L’equazione ’cristiano=occidentale’, storicamente, è una bestemmia».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"Dominus Iesus": RATZINGER, LO "STERMINATORE DI ECUMENISMO".
IL DIO DEI MAFIOSI NON E’ CRISTIANO, MA CATTOLICO-ROMANO - ’MEDITERRANEO’.
Il sapore della Roma tardo antica raccontato da Peter Brown
di Marco Tagliaferri *
«Possibile mai che rinunciassero / alla loro bella vita; ai divertimenti / quotidiani di ogni sorta; al loro splendido / teatro, luogo di incontro dell’Arte / col fervore dell’eros, della carne?». Forse i versi di Kavafis sprigionano, intrisi come sono di uno spirito agli antipodi del mero Historismus (nell’accezione che Benjamin diede a questo termine), il sapore di un’epoca, quella tardo antica, in cui, come scrisse Glen Bowersock, «poteva trovare il proprio posto un edonista, al tempo stesso cristiano e greco»; un’epoca che Peter Brown, in un volume appena pubblicato da Einaudi in una nuova edizione, Il mondo tardo antico (traduzione di Maria Vittoria Malvano), riesce a evocare coniugando la precisione dello studioso di storia e antropologia con la finezza profonda di un Montaigne, incline quindi a leggere i meri dati che la ricerca storiografica ed epigrafica comunica mutandoli in una sintassi strutturata e sensibilissima, in un discorso evocatore di molteplici significati.
Se al cultore di materie storiche il nome di Peter Brown è naturalmente ben noto, non sarà d’altro canto infruttuoso presentarne sommariamente la figura e le linee di pensiero al profano che voglia avvicinarsi al periodo sul quale la sua ricerca ha insistito e alla sua opera.
Nato a Dublino nel 1935 e laureatosi a Oxford nel 1956 sotto il magistero di Arnaldo Momigliano, Peter Brown è autore di alcuni testi fondamentali per comprendere la tarda antichità, dai quali emerge un approccio le cui principali direttrici possono essere individuate: in una visione che, a scapito di un modo di intendere la Storia come isomorfica alla vita biologica, con il suo processo ineluttabile di nascita, ascesa e decadenza (rappresentato da uno storico come Gibbon o da un autore che, invece, storico non fu: Oswald Spengler), sa cogliere al contrario le continuità, il permanere di strutture arcaiche (ma non archetipali, sempre comprese nel loro alveo storico) o superate, osservate nelle loro sopravvivenze (per usare un termine caro a Warburg) sotto le spoglie che il divenire storico ha loro imposto, allontanandole così dal significato originario (in un’epistrofe verso un’origine, come ha dimostrato abilmente Georges Didi-Huberman in un bel saggio su Blanchot, non mai raggiungibile); nella considerazione del fenomeno religioso come fatto centrale, promotore assieme ai fenomeni economici e politici dei mutamenti in atto e non attore secondario, un filo vigoroso, insomma, che innerva abitudini, idee, corpi; e, infine, nella dilatazione del periodo cosiddetto tardo antico fino al IX secolo, fino al nascere e all’attestarsi dell’Islam.
Non stupirà, quindi, che il suo testo su Il culto dei santi (sempre pubblicato da Einaudi), venga considerato da Carlo Ginzburg come l’opera più importante per comprendere un fenomeno il quale, senza le peculiarità appena esposte, sarebbe materia di un’interpretazione tanto vaga quanto inesatta nel suo volervi attribuire una natura di novità troppo radicale e ignorandone così la continuità con l’habitus pagano.
Ne Il mondo tardo antico Brown traccia un disegno pulsante e vividissimo della metamorfosi cui l’impero romano è sottoposto durante il III secolo d.C., quando l’ansia che, sottile, pervade già più di un secolo prima quell’opera straordinaria che è il De defectu oraculorum di Plutarco, si manifesta, con un’evidenza fino a quel momento inedita, nell’insicurezza che dal 240 d.C. le invasioni barbariche cominciano a instillare nel tessuto sociale, creando così un contesto che poco più di un decennio prima un autore come Dione Cassio non aveva nemmeno presentito, sicuro com’era dell’immutabilità non solo di Roma eterna, ma anche dei privilegi che quella società, rigidamente divisa fra un’aristocrazia senatoria e un mondo oscuro di contadini sottosviluppati, di “zotici” e “barbari, garantiva, attraverso un approccio che Erich Neumann avrebbe chiamato “negazione della negazione”: se, infatti, «le classi governanti dell’impero romano si erano mantenute in gran parte immuni dai più virulenti esclusivismi dei regimi coloniali moderni», tuttavia non riuscirono a evitare di esigere il conformismo al proprio stile di vita e alla propria cultura, conditio sine qua non per elevarsi dallo stadio infimo nel quale l’assenza di una paideia solidamente classica confinava.
Il perfetto realizzarsi della propria interiorità in una vita pubblica organizzata, come i templi e le cerimonie pagane, si interrompe, proprio in quegli anni, dando vita a una rivoluzione spirituale gravida di conseguenze profondissime; Plotino e Antonio, «questi due straordinari egiziani», sebbene antitetici, rappresentano con grande chiarezza la Stimmung di questa epoca: in un ripiegamento verso la propria interiorità, attraverso il quale il corpo e l’esteriorità possano perdere i propri privilegi a favore dello spirito e dell’intelletto, la dialettica di “conversione” e “rivelazione” inizia, lentamente, a creare la figura di un uomo nuovo, capace di trovare la propria fisionomia in una biografia che non contempli, per forza, episodi eclatanti, ma che sia la storia del proprio cuore e dei movimenti, allo stesso tempo sottilissimi e squassanti, che esso produce. Un processo che avrebbe trovato, in una figura monumentale come quella di Agostino, compiuta fine e stentato inizio, in un movimento che ancora oggi non vediamo esaurito.
* TRECCANI Magazine/Atlante, 28.09.2017 (ripresa parziale).
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
ROMOLO AUGUSTOLO. C’E’ CAPO E "CAPO" E STATO E "STATO" -- "REX" E "DUX". Nardò e il Sedile, l’altro ieri, ieri, e oggi.
IL MITO DELLA ROMANITÀ E IL FASCISMO: MARGHERITA SARFATTI E RENZO DE FELICE.
Federico La Sala
L’aldilà «democratico» che fece della Chiesa una potenza economica
di Marco Rizzi (Corriere della Sera, La Lettura, 07.02.2016)
Verso la fine del VII secolo, il vescovo di Toledo, Giuliano, compilò una vasta antologia di testi degli antichi Padri della Chiesa latina sul destino dell’anima dopo la morte. Il suo intento era confortare un amico malato, Idalio vescovo di Barcellona, che sentiva prossimo l’arrivo della fine. Nei fatti, il Prognosticon futuri saeculi , che si traduce con «Preannuncio del mondo che verrà», divenne uno dei testi più conosciuti e diffusi nel Medioevo.
Raccogliendo pagine dagli scritti di Cipriano, vescovo di Cartagine alla metà del III secolo, di Agostino, di Gregorio Magno e di altri ancora, Giuliano di Toledo si sforza di offrire risposte coerenti alle domande che angosciavano i cristiani dei suoi giorni: cosa accade all’anima quando si muore? Le anime dei defunti rimangono in rapporto con le cose di questo mondo? E soprattutto, cosa accade nel lungo intervallo di tempo che separa il momento della morte individuale dal giorno, terribile ma ancora lontano, del Giudizio universale, quando si consumerà il destino irreversibile di ciascuno e l’anima sarà restituita al corpo rigenerato per la beatitudine o la condanna eterna?
Proprio dall’antologia di Giuliano (che si può leggere nella recente traduzione di Tommaso Stancati per l’Editrice Domenicana Italiana di Napoli) prende avvio il saggio di Peter Brown Il riscatto dell’anima (Einaudi), che ripercorre il formarsi dell’immaginario escatologico del cristianesimo occidentale tra il III e il VII secolo, assumendo però un punto di vista particolare: quello del rapporto tra le ricchezze di quaggiù e il destino delle anime di lassù, se si vogliono utilizzare le parole di Gesù che, nel Vangelo di Luca, ammonisce a vendere ciò che si possiede e darlo in elemosina per costruire un tesoro nei cieli.
Nel mondo antico, la gloria dell’immortalità era riservata solo a pochi spiriti eletti, i filosofi, i grandi legislatori, gli eroi; la morte non cancellava, anzi in qualche misura ribadiva, la gerarchia sociale presente sulla Terra. Il cristianesimo introduce invece quella che Brown definisce una «democrazia delle anime», anzitutto riconoscendo a ciascun uomo, a prescindere dalla sua condizione, una propria natura spirituale, testimoniata appunto dall’anima individuale; poi, assegnandole la possibilità di guadagnarsi la salvezza e conseguire così l’immortalità.
Se nei primi tre secoli la condizione di marginalità o addirittura di persecuzione rendeva la scelta stessa di essere cristiani meritevole della ricompensa celeste nel giorno del Giudizio, o addirittura nel caso dei martiri nel momento stesso della morte, a partire dal IV secolo il problema inizia a porsi in termini profondamente diversi. Agostino non si preoccupa di chi è veramente buono (i martiri e i santi) o di chi è intrinsecamente malvagio: i primi godranno del paradiso, i secondi sono destinati all’inferno. Ma che dire di coloro che non sono né abbastanza buoni, né abbastanza cattivi, ovvero della grande maggioranza dei cristiani comuni? Come potranno purificarsi dai loro peccati, una volta defunti e in attesa del Giudizio?
Proprio intorno a interrogativi del genere si determina un significativo cambiamento nell’uso cristiano della ricchezza. Fino a questo momento, l’elemosina elargita ai poveri serviva al credente per obbedire al comando di Gesù e prepararsi un posto in cielo. Ora, invece, l’anima del defunto resta bisognosa anche nell’aldilà: beneficare i poveri sulla Terra contribuisce a riscattare le anime nei cieli.
Così la Chiesa assume un ruolo centrale nella gestione della ricchezza, a mezzo tra cielo e terra. I beni offerti per il sostentamento degli indigenti o per l’edificazione degli edifici di culto rappresentano una sorta di cambiale che il donatore, ricco o meno che sia, potrà incassare dopo la sua morte sotto forma di preghiere e di intercessioni; a sua volta, la Chiesa si fa garante della conservazione e del corretto uso dei beni ricevuti, che divengono un vero «patrimonio dei poveri».
Naturalmente in questo processo si intrecciano in forma tutt’altro che lineare dibattiti teologici, mutamenti culturali, trasformazioni sociali. Ancora alla fine del VI secolo, l’idea antica secondo cui l’immortalità era riservata alle anime elette, questa volta però martiri e santi, riemergeva nelle parole di un membro del clero di Tours secondo cui nel caso dei peccatori - ovvero della stragrande maggioranza dei cristiani - andavano prese alla lettera le parole rivolte da Dio ad Adamo: «Polvere sei e polvere ritornerai». Nessuna offerta, nessuna preghiera poteva redimere le anime comuni. Ma era ormai aperta la strada che avrebbe portato ai grandi possedimenti ecclesiastici, alla comparsa del purgatorio, nella seconda metà del XII secolo, e «alla somma Divina Commedia di Dante Alighieri» - conclude Brown.
Il Papa: "L’Europa difenda le proprie radici cristiane"
Benedetto XVI ha ricevuto oggi in Vaticano il capo della delegazione delle Comunità Europee, Yves Gazzo *
CITTA’ DEL VATICANO È «sempre più passata sotto silenzio», nell’Unione europea, una «verità»: la «ispirazione» cristiana dei padri fondatori dell’Ue e le sue radici cristiane tuttora attuali: è l’esortazione rivolta oggi dal Papa al capo della delegazione della Commissione delle Comunità Europee, Yves Gazzo, ricevuto in Vaticano per la presentazione delle Lettere Credenziali.
«Quando la Chiesa ricorda le radici cristiane dell’Europa, non cerca uno statuto privilegiato per se stessa. Vuole fare opera di memoria storica ricordando prima di tutto una verità - sempre più passata sotto silenzio - e cioè l’ispirazione decisivamente cristiana dei padri fondatori dell’Unione europea».
Valori, ha detto Ratzinger, che «non costituiscono un aggregato anarchico o aleatorio, ma formano un insieme coerente che si ordina e si articola, storicamente, a partire da una visione antropologica precisa. L’Europa può omettere il principio organico originale di questi valori che rivelano all’uomo al tempo stesso la sua eminente dignità e il fatto che la sua vocazione personale lo apra a tutti gli altri uomini con i quali è chiamato a costituire una famiglia? Lasciarsi andare a questo oblio - ha proseguito Benedetto XVI - non è analogo a esporsi al rischio di vedere questi valori grandi e belli entrare in concorrenza o in conflitto gli uni con gli altri? Oppure, questi stessi non rischiano di essere strumentalizzati da individui e gruppi di pressione desiderosi di far valere degli interessi particolare a detrimento di un progetto collettivo ambizioso - che gli europei attendono - che abbia la preoccupazione del bene comune degli abitanti del continente e dell’insieme del nostro mondo?».
Più specificamente, «si tratta principalmente della ricerca del giusto e delicato equilibrio tra l’efficacia economia e le esigenze sociali, della salvaguardia dell’ambiente, e soprattutto dell’indispensabile e necessario sostegno alla vita umana dalla concezione alla morte naturale e alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna». Nel suo discorso, il Papa ha chiesto all’ambasciatore Ue di inoltrare José Manuel Barroso gli auguri per il nuovo mandato alla testa della commissione Ue.
* La Stampa, 19/10/2009 (14:40)