[...] Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” [Amore - Charitas] e “Mammona” [Caro-Prezzo - Caritas] o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! [...]
Salviamo la Costituzione e la Repubblica che è in noi
di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)
Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.
Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...
Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).
Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!
Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?
O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!
Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” [Amore - Charitas] e “Mammona” [Caro-Prezzo - Caritas] o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!
Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!
Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore [Charitas] dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...
Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!
Federico La Sala
DA RICORDARE:
Alla Costituente, su 556 eletti, 21 erano donne:
9 NEL GRUPPO DC, SU 207 MEMBRI - LAURA BIANCHINI, ELISABETTA CONCI, FILOMENA DELLI CASTELLI, MARIA IERVOLINO, MARIA FEDERICI, ANGELA GOTELLI, ANGELA GUIDI CINGOLANI, MARIA NICOTRA, VITTORIA TITOMANLIO;
9 NEL GRUPPO PCI, SU 104 MEMBRI - ADELE BEI, NADIA GALLICO SPANO, NILDE IOTTI, TERESA MATTEI, ANGIOLA MINELLA, RITA MONTAGNANA TOGLIATTI, TERESA NOCE LONGO, ELETTRA POLLASTRINI, MARIA MADDALENA ROSSI;
2 NEL GRUPPO PSI, SU 115 MEMBRI - BIANCA BIANCHI, ANGELINA MERLIN;
1 NEL GRUPPO DELL’UOMO QUALUNQUE: OTTAVIA PENNA BUSCEMI.
Federico La Sala
Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:
AI CERCATORI DEL MESSAGGIO EVANGELICO. Una nota sulla "lettera" perduta.
Sul quotidiano dei vescovi "Avvenire" il documento di quattro intellettuali di formazione marxista: Barcellona, Sorbi, Tronti e Vacca
"Laicità e relativismo, Bersani ascolti il Papa" *
TODI - La sinistra collabori con la Chiesa, nell’interesse dell’Italia. L’invito a farlo proviene da quattro noti intellettuali di formazione marxista, ed è partito ieri con una lettera aperta pubblicata sul quotidiano dei vescovi Avvenire. Il documento è firmato da Paolo Sorbi, Pietro Barcellona, Mario Tronti e Giuseppe Vacca. Il titolo scelto, con le foto dei quattro studiosi, è "Nuova alleanza per l’emergenza antropologica".
Sorbi, Barcellona, Tronti e Vacca esortano il Pd, e il suo segretario Pierluigi Bersani, a fare i conti con l’insegnamento di Benedetto XVI sulla insopprimibile dignità della vita umana e sul primato della persona, «cercando di andare oltre tutti gli steccati». «La definizione della nuova laicità - spiegano - e l’assunzione di una responsabilità più avvertita della Chiesa per le sorti dell’Italia, esigono uno sviluppo dell’iniziativa politica e culturale volta non solo a interloquire con il mondo cattolico, ma anche a cercare forme nuove di collaborazione con la Chiesa, nell’interesse del Paese». Annota Sorbi sul quotidiano della Cei, alla vigilia dell’incontro di Todi, che «il rischio incombente per un centrosinistra rassegnato a seguire derive radicali è di non riuscire a elaborare una cultura di governo all’altezza delle gigantesche sfide del nostro tempo». (m.ans.)
* la Repubblica, 17.10.2011
La lettera aperta
Il confronto può partire dal tema antropologico
Il Pd, partito di credenti e non credenti, pronto a discutere della crisi italiana, della tenuta dell’unità della nazione, della «sostanza etica» della democrazia
di Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti, Giuseppe Vacca (l’Unità, 17.10.2011)
La manipolazione della vita, originata dagli sviluppi della tecnica e dalla violenza insita nei processi di globalizzazione in assenza di un nuovo ordinamento internazionale, ci pongono di fronte ad una inedita emergenza antropologica. Essa ci appare la manifestazione più grave e al tempo stesso la radice più profonda della crisi della democrazia. Germina sfide che esigono una nuova alleanza fra uomini e donne, credenti e non credenti, religioni e politica. Pertanto riteniamo degne di attenzione e meritevoli di speranza le novità che nel nostro Paese si annunciano in campo religioso e civile.
A noi pare che negli ultimi anni un periodo storico cominciato con la crisi finanziaria del 2007 e in Italia con il crepuscolo della seconda Repubblica mentre la Chiesa italiana si impegnava sempre più a rimodulare la sua funzione nazionale, un interlocutore come il Partito democratico sia venuto definendo la sua fisionomia originale di «partito di credenti e non credenti». Sono novità significative che ampliano il campo delle forze che, cooperando responsabilmente, possono concorrere a prospettare soluzioni efficaci della crisi attuale. Il terreno comune è la definizione della nuova laicità, che nelle parole del segretario del Pd muove dal riconoscimento della rilevanza pubblica delle fedi religiose e nel magistero della Chiesa da una visione positiva della modernità, fondata sull’alleanza di fede e ragione.
Nel suo libro-intervista Per una buona ragione, Pier Luigi Bersani afferma che il «confronto con la dottrina sociale della Chiesa» è un tratto distintivo della ispirazione riformistica del Pd e che la presenza in Italia «della massima autorità spirituale cattolica» può favorire il superamento del bipolarismo etico che in passaggi cruciali della vita del Paese ha condizionato negativamente la politica democratica. Ribadendo la «responsabilità autonoma della politica», Bersani esprime una opzione decisa per una sua visione «che non volendo rinunciare a profonde e impegnative convinzioni etiche e religiose, affida alla responsabilità dei laici la mediazione della scelta concreta delle decisioni politiche».
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica vi sono due punti della relazione del cardinale Bagnasco alla riunione del Consiglio permanente dei vescovi del 26-29 settembre 2011 che meritano particolare attenzione. Il primo riguarda la critica della “cultura radicale”: essa è rivolta a quelle posizioni che, «muovendo da una concezione individualistica», rinchiudono «la persona nell’isolamento triste della propria libertà assoluta, slegata dalla verità del bene e da ogni relazione sociale». Il secondo è la proposta di nuove modalità dell’impegno comune dei cattolici per contrastare quella che in una precedente occasione aveva definito «la catastrofe antropologica»: «La possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica».
E non è meno significativa la sua giustificazione storica: «A dar coscienza ai cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza esterna, ma i valori dell’umanizzazione sempre di più richiamano anche l’interesse di chi esplicitamente cattolico non si sen- te». In altre parole, la “possibilità” di questo nuovo soggetto origina dall’impegno sociale e culturale del laicato, nel quale i cattolici sono «più uniti di quanto taluno vorrebbe credere» grazie alla bussola che li guida: la costruzione di un umanesimo condiviso. La definizione della nuova laicità e l’assunzione di una responsabilità più avvertita della Chiesa per le sorti dell’Italia esigono uno sviluppo dell’iniziativa politica e culturale volta non solo a interloquire con il mondo cattolico, ma anche a cercare forme nuove di collaborazione con la Chiesa, nell’interesse del Paese. A tal fine appare dirimente il confronto su due temi fondamentali del magistero di Benedetto XVI che nell’interpretazione prevalente hanno generato confusioni e distorsioni tuttora presenti nel discorso pubblico: il rifiuto del “relativismo etico” e il concetto di “valori non negoziabili”. Per chi dedichi la dovuta attenzione al pensiero di Benedetto XVI non dovrebbero sorgere equivoci in proposito.
La condanna del “relativismo etico” non travolge il pluralismo culturale, ma riguarda solo le visioni nichilistiche della modernità che, seppur praticate da minoranze intellettuali significative, non si ritrovano a fondamento dell’agire democratico in nessun tipo di comunità: locale, nazionale e sovranazionale. Il “relativismo etico” permea, invece, profondamente, i processi di secolarizzazione, nella misura in cui siano dominati dalla mercificazione. Ma non è chi non veda come la lotta contro questa deriva della modernità costituisca l’assillo fondamentale della politica democratica, comunque se ne declinino i principi, da credenti o da non credenti. D’altro canto, non dovrebbero esserci equivoci neppure sul concetto di “valori non negoziabili” se lo si considera nella sua precisa formulazione. Un concetto che non discrimina credenti e non credenti, e richiama alla responsabilità della coerenza fra i comportamenti e i principi ideali che li ispirano. Un concetto che attiene, appunto, alla sfera dei valori, cioè dei criteri che debbono ispirare l’agire personale e collettivo, ma non nega l’autonomia della mediazione politica. Non si può quindi far risalire a quel concetto la responsabilità di decisioni in cui, per fallimenti della mediazione laica, o per non nobili ragioni di opportunismo, vengano offese la libertà e la dignità della persona umana fin dal suo concepimento. Ad ogni modo, se nell’approccio alle sfide inedite della biopolitica ci sono stati e si verificano equivoci e cadute di tal genere non solo in scelte opportunistiche del centrodestra, ma anche nel determinismo scientistico del centrosinistra, la riaffermazione del valore della mediazione laica che sembra ispirare «la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica» rischiara il terreno del confronto fra credenti e non credenti. Quindi dipenderà dall’iniziativa culturale e politica delle forze in campo se quella “possibilità” acquisterà un segno progressivo o meno nella vicenda italiana. A tal fine noi riteniamo che il Pd debba promuovere un confronto pubblico con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose operanti in Italia oltre che sui temi cosiddetti “eticamente sensibili”, su quelli che attengono in maniera più stringente ai rischi attuali della nazione italiana: la tenuta della sua unità, la “sostanza etica” del regime democratico. Tanto sull’uno, quanto sull’altro, la storia dell’Italia unita dimostra che la funzione nazionale assolta o mancata dal cattolicesimo politico è stata determinante e lo sarà anche in futuro.
Così il Cristianesimo salverà la borghesia
Per Mario Tronti il capitalismo ha omologato la società: solo la religione può arginare la volgarizzazione della vita
di Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera, 7.11.2015)
Se mezzo secolo fa, nel 1966, Operai e capitale fu sul piano ideologico il segnale d’inizio di una stagione di scontro sociale con al centro l’operaio-massa - una stagione in cui avvenne la più grande trasformazione sociale e politica attraversata dal nostro Paese - quest’ultimo libro di Mario Tronti (Dello spirito libero. Frammenti di vita e di pensiero, Il Saggiatore) appare innanzi tutto il referto dell’esito di quello scontro: alla fine, tra gli operai e il capitale ha vinto il capitale (sebbene oggi in vesti assai diverse da quelle di ieri). O meglio, e per dirla con maggiore completezza, ha vinto quella che l’autore trascina sul banco degli accusati senza alcun tabù reverenziale: ha vinto la democrazia.
Con toni che suonano a metà tra Tocquevile (esplicitamente richiamato) e un radicalismo di sapore francofortese, Tronti descrive la democrazia come la tirannia del senso comune che concede la libertà di pensiero per meglio impedire un «pensiero di libertà», un regime nemico di ogni differenza perché in realtà animato dalla tendenza al più totale organicismo. Non a caso, dopo aver «fatto del popolo una borghesia, e non (come avrebbe dovuto) della borghesia un popolo, (...) essa è riuscita dove là dove è fallito il socialismo reale: ha creato l’uomo nuovo», il «borghese-massa».
Non solo, ma paradossalmente, mentre il socialismo reale, che in teoria doveva produrne l’estinzione, ha provocato di fatto la crescita esponenziale dello Stato, è proprio la democrazia, invece, che attraverso la progressiva spoliticizzazione della società sta lentamente realizzando l’antico obiettivo del marxismo. Certo, Tronti pure riconosce che è meglio avere diritti che non averne. Ma chi l’ha detto, osserva, che non essere democratico voglia dire per forza essere antidemocratico?
Al nostro autore evidentemente non sembra interessare molto il problema, forse non proprio trascurabile, che solo la democrazia, però, si è dimostrata capace storicamente di assicurare i diritti ora detti. La storia, del resto, è la grande assente di questo libro, il cui procedere, invece, si svolge per intero entro il recinto chiuso di una dozzina di «grandi pensatori» (per lo più filosofi) e dei loro sistemi concettuali chiamati a testimoniare del fallimento del Moderno e del Progresso, e dunque del fallimento del Novecento, «il secolo in cui tutto finisce». Nel quale il trionfo della Zivilisation sulla Kultur («qui sta il fondo della nostra sconfitta», si legge) annuncia una «devastazione spirituale» senza pari.
La storia dicevo è la grande assente: nella crisi del politico e nella vittoria della vituperanda democrazia qui lamentate nulla sembrano contare, ad esempio, cose come - enumero le prime che mi vengono alla mente - la sconfitta dell’Europa nel 1945, la sua nessuna tradizione culturale di tipo realmente liberale, il ruolo del Welfare State , la qualità delle nuove élite postbelliche e della loro cultura, lontana ormai anni luce dagli alti orizzonti umanistici d’un tempo. Tutto in queste pagine, infatti, sembra ridursi a una sorta di arena metafisica in cui si affrontano in singolar tenzone il Movimento Operaio, il Moderno, il Politico, il Capitalismo e quant’altro, astratti da ogni loro specificità storica, cioè da ogni loro concreta e vivente realtà.
«Stiamo dentro una storia nemica» scrive Tronti, con un pessimismo culturale davvero molto novecentesco. Una conclusione che nella sua prospettiva si spiega, innanzitutto, con la sconfitta della Rivoluzione: a cominciare da quella del 1917, la rivoluzione per antonomasia, la cui presenza da sola, si dice, segnerebbe comunque positivamente il Novecento rispetto al nostro tempo.
È a questo proposito soprattutto che l’indifferenza per la storia, per la storia vera, rischia di divenire accecamento: che cosa s’intende per rivoluzione? In che senso quella russa lo fu? E quando e perché smise di esserlo o «fallì»? E per fare un esempio: i massacri di migliaia di ostaggi (non controrivoluzionari: ostaggi) ordinati da Lenin, o le camere di tortura della Ceka, erano la rivoluzione? O in che rapporto erano con essa?
Sono domande e questioni che l’autore non si cura neppure di porsi, perduto com’egli è dietro una raffigurazione mitica del Movimento Operaio quale agente della Storia Universale. Agente che viene presunto tuttora all’opera (magari a dispetto dell’esistenza degli operai veri) e comunque senza prendere mai nella minima considerazione l’ipotesi che forse il suddetto Movimento, più che esistere in quanto tale, spesso sia consistito in qualcuno che credeva di parlare e agire in nome e per conto del medesimo. (Ma non a caso: infatti l’idea che il Novecento possa, anzi debba, essere necessariamente letto anche in chiave di rapporti massa/élite è un’idea che Tronti non si pone mai neppure come ipotesi).
Ci si chiederà a questo punto, perché mai occuparsi di un libro così pieno di contraddizioni. Perché si tratta a suo modo, io credo, di un libro che ha il valore di un sintomo. Il sintomo di un fuoco che cova sotto la cenere, di un’insofferenza che sta crescendo nelle società secolarizzate dell’Occidente per un modello di vita che, enfatizzando all’estremo tutti gli aspetti materiali dell’esistenza, facendo dell’economia e delle sue compatibilità un metro pressoché assoluto, relegando nell’insignificanza le grandi domande di senso, infligge quotidianamente ferite profonde a quella sostanza umana che ancora è la nostra. Ferite tanto più profonde in quanto non sembrano aver diritto ad alcuna adeguata rappresentazione pubblica.
Certamente ha il forte valore di un sintomo la direzione verso cui Tronti spinge la sua ricerca di una possibile alternativa. Verso la lotta, verso la speranza rivoluzionaria, com’è ovvio: in una parola verso la politica. Ma - e sta qui la parte a mio giudizio più nuova e interessante del libro - verso una politica che si dimostri capace di accettare come sua parte essenziale la spiritualità. La spiritualità oggi, infatti, si presenterebbe come l’unico argine possibile alla «crescente volgarizzazione della vita»; di più: essa costituirebbe la sostanza per eccellenza di un vero e proprio «linguaggio della crisi». Dove alla fine spiritualità significa null’altro che la religione, e per essere più chiari il Cristianesimo.
La contrapposizione tra l’orizzonte cristiano e il comunismo, si legge, «è stata una sciagura per la modernità: una differenza è stata trasformata in una incompatibilità»; e la colpa è stata del comunismo stesso, il quale invece di scegliere Feuerbach - come esso ha fatto seguendo Marx (il cui vero e massimo errore fu secondo Tronti quello di prevedere per l’appunto la fine della religione) - avrebbe piuttosto dovuto scegliere Kierkegaard. Sta di fatto che la libertà dal potere promessa dai liberali, leggiamo, non porterà mai alla libertà dello spirito, e dunque non sarà mai «vera libertà umana». Solo la libertà del cristiano è, sì, «libertà dei moderni rispetto a quella degli antichi, ma, nel Moderno, è libertà radicale, dirompente degli equilibri dati, sovversiva dell’ordine costituito, libertà liberante l’umanità fin qui oppressa».
Poco varrebbe obiettare che la «liberazione» cristiana o la metanoia predicata dal Vangelo sono di una sostanza fondamentalmente diversa dalle rotture richieste dal Comunismo. Ciò che importa agli occhi di Tronti è che Cristianesimo e Rivoluzione abbiano un’identica sostanza di «follia», com’egli scrive - a quella cristiana della morte di Dio per la resurrezione dell’uomo corrispondendo la «follia» dell’abbattimento del dominio per la liberazione umana. Due follie non integrabili dall’omologazione democratico-capitalistica, e che per questo si contrappongono radicalmente al «buon senso borghese progressista» a cui oggi si è ridotta la Sinistra.
Sarebbe facile concludere ironizzando sul comunismo che, cacciato dal mondo, si rifugia in sacrestia. Troppo facile, ma soprattutto sbagliato. Infatti - a parte le perduranti ingenuità della mitografia leninista, a parte tutte le ormai francamente insopportabili supponenze «rivoluzionarie» che le costellano - le pagine di Tronti esprimono al fondo, come ho già detto, qualcosa di profondamente vero: un disagio, un malessere, che ormai appaiono i tratti di un’intera fase storica. Quella che stiamo vivendo.
Sopra le nostre società, infatti, la democrazia sembra avere steso una cappa di grigio buon senso, sembra ormai identificarsi con l’assenza di speranze, di ideali e di progetti forti, con una sorta di narcosi della mente e dello spirito che troppo spesso ci impedisce di vedere il male e l’ingiustizia che sono tra noi, e di chiamarli con il loro nome. Ma una fase storica che, proprio per questo, forse prepara un’inaspettata ripresa del pensiero antagonista, della divisione e dell’opposizione politiche oggi spente. E insieme prepara, forse, un ruolo nuovamente attivo del Cristianesimo sul piano sociale, una sua rinnovata capacità di richiamo. La storia non è finita, ogni partita può essere sempre riaperta.
Ben venga allora chiunque ci riporti a pensare tutto questo: anche se mostra di credere tuttora a fallite utopie dei cui misfatti è solito disfarsi con un po’ troppa facilità, chiamandoli pudicamente «fallimenti».
*
Politico e filosofo, senatore e docente ha fondato i «Quaderni rossi» *
Mario Tronti (Roma, 1931) filosofo e politico, è senatore del Pd (era già entrato a Palazzo Madama nel 1992 con il Pds) e presidente della Fondazione Centro per la riforma dello Stato. Considerato il padre dell’operaismo italiano, ha insegnato per trent’anni Filosofia politica all’Università di Siena. Militante del Partito Comunista durante gli anni Cinquanta, con Raniero Panzieri è stato tra i fondatori della rivista «Quaderni Rossi», da cui si separò nel 1963 per fondare e dirigere la rivista «Classe operaia». Operai e capitale, il suo libro del 1966 (Einaudi), ha profondamente influenzato la contestazione giovanile ed è stato inserito tra le 2.250 opere del Dizionario delle opere della Letteratura Italiana Einaudi .
* Corriere della Sera, 07.11.2015
intervista di Antonio Gnoli (la Repubblica, 28.09.2014)
SOTTO la suola delle sue scarpe è ancora riconoscibile il fango della storia. «È tutto ciò che resta. Miscuglio di paglia e sterco con cui ci siamo illusi di erigere cattedrali al sogno operaio ». Ecco un uomo, mi dico, intriso di una coerenza che sfonda in una malinconia senza sbavature. È Mario Tronti, il più illustre tra i teorici dell’operaismo. Ha da poco finito di scrivere un libro su ciò che è stato il suo pensiero, come si è trasformato e ciò che è oggi. Non so chi lo pubblicherà (mi auguro un buon editore). Vi leggo una profonda disperazione. Come un diario di sconfitte scandito sulla lunga agonia del passato che non passa mai del tutto, che non muore definitivamente. Ma che non serve più. «Sono gli altri che ti tengono in vita», dice ironico. Quando la vita, magari, richiede altre prove, altre scelte. Forse è per questo, si lascia sfuggire, che ha cercato un diversivo nella pratica del Tai Chi: «I gesti di quella tecnica orientale rivelano, nella loro lentezza, un’armonia segreta. Tutto si concentra nel respiro. L’ho praticato per un po’. Con curiosità e attenzione. Ma alla fine mi sentivo inadatto. Fuori posto. L’Oriente esige una mente capace di creare il vuoto. La mia vive di tutto il pieno che ho accumulato nel tempo».
Come è nata la curiosità per il Tai Chi?
«Grazie a mia figlia che ama e pratica la cultura orientale. Avrebbe voluto farsi monaca, poi ha scelto con la stessa profonda coerenza quel mondo che io ho solo sfiorato».
E come ha vissuto quella decisione familiare?
«Con il rispetto che occorre in tutte le cose che ci riguardano e ci toccano da vicino».
C’è un elemento di imprevedibilità nei figli?
«C’è sempre: negli individui, come nella storia».
Si aspettava che la storia - la sua intendo - sarebbe finita così?
«Ci si aspetta sempre il meglio. Poi giungono le verifiche. Sbattere contro i fatti senza l’airbag può far male. Sono stato comunista, marxista, operaista. Qualcosa è caduto. Qualcosa è rimasto. Ho capito e applicato la lezione del realismo politico: non si può prescindere dai fatti».
E i fatti parlano oggi di una grande crisi.
«Grande e lunga. Ci riguarda, a livelli diversi, un po’ tutti. Dura da almeno sette anni e non c’è nessuno in grado di dire come se ne uscirà. Viviamo un tempo senza epoca».
Cosa vuol dire?
«C’è il nostro tempo, manca però l’epoca: quella fase che si solleva e rimane per il futuro. La storia è diventata piccola, prevale la cronaca quotidiana: il chiacchiericcio, il lamento, le banalità».
L’epoca è il tempo accelerato con il pensiero.
«Non solo. È il tempo che fa passi da gigante. Si verifica quando accadono cose che trasformano visibilmente i nostri mondi vitali».
Nostalgia delle rivoluzioni?
«No, semmai del Novecento che fu anche il secolo delle rivoluzioni. Ma non solo. Dove sono il grande pensiero, la grande letteratura, la grande politica, la grande arte? Non vedo più nulla di ciò che la prima parte del Novecento ha prodotto».
Quando termina l’esplosione di creatività?
«Negli anni Sessanta».
I suoi anni d’oro.
«Ironie della storia. C’è stato un grande Novecento e un piccolo Novecento fatto di una coscienza che non è più in grado di riflettere su di sé».
È un addio all’idea di progresso?
«Il progressismo è oggi la cosa più lontana da me. Respingo l’idea che quanto avviene di nuovo è sempre meglio e più avanzato di ciò che c’era prima».
Fu una delle fedi incrollabili del marxismo.
«Fu la falsa sicurezza di pensare che la sconfitta fosse solo un episodio. Perché intanto, si pensava, la storia è dalla nostra parte».
E invece?
«Si è visto come è andata, no?».
Si sente sconfitto o fallito?
«Sono uno sconfitto, non un vinto. Le vittorie non sono mai definitive. Però abbiamo perso non una battaglia ma la guerra del ‘900».
E chi ha prevalso?
«Il capitalismo. Ma senza più lotta di classe, senza avversario, ha smarrito la vitalità. È diventato qualcosa di mostruoso».
Si riconosce una certa dose di superbia intellettuale?
«La riconosco, ma non è poi una così brutta cosa. La superbia offre lucidità, distacco, forza di intervento sulle cose. Meglio comunque della rinuncia a capire. In tutto questo gran casino vorrei salvare il punto di vista ».
Il punto di vista?
«Sì, non riesco a mettermi sul piano dell’interesse generale. Sono stato e resto un pensatore di parte».
Quando ha scoperto la sua parte?
«Ero giovanissimo. Alcuni l’attribuiscono al mio operaismo degli anni Sessanta. Vedo in giro anche degli studi che descrivono il mio percorso».
In un libro di Franco Milanesi su di lei - non a caso intitolato Nel Novecento ( ed. Mimesis) - si descrive il suo pensiero. Quando nasce?
«Ancor prima dell’operaismo sono stato comunista. Un padre stalinista, una famiglia allargata, il mondo della buona periferia urbana. Sono le mie radici».
In quale quartiere di Roma è nato?
«Ostiense che era un po’ Testaccio. Ricordo i mercati generali. I cassisti che vi lavoravano. Non era classe operaia, ma popolo. Sono dentro quella storia lì. Poi è arrivata la riflessione intellettuale».
Chi sono stati i referenti? Chi le ha aperto, come si dice, gli occhi?
«Dico spesso: noi siamo una generazione senza maestri ».
Lei è stato, a suo modo, un maestro.
«Trova?».
Operai e capitale , il suo libro più noto, ha avuto un’influenza molto grande. Lo pubblicò Einaudi.
Cosa ricorda?
«Fu un caso fortunoso. Non avevo rapporti con la casa editrice torinese. Mi venne in mente di inviare il manoscritto senza immaginare nessuna accoglienza positiva. So che ci fu una grossa discussione e molti dissensi tra cui, fortissimo, quello di Bobbio».
Era prevedibile.
«Assolutamente, viste le posizioni. A quel punto scrissi direttamente a Giulio Einaudi spiegando quale fosse il senso del mio libro».
E lui?
«Lo comprese pienamente. Contro il parere di quasi tutta la redazione si impuntò e il libro venne pubblicato. L’edizione andò rapidamente esaurita. Era il 1966. Avevo 35 anni. Quel testo, poi rivisto con l’aggiunta di un poscritto, ancora oggi gira per il mondo».
Ne è soddisfatto?
«È un libro nel quale sono tutt’ora rimasto intrappolato. Per la gente rimango ancora quella roba lì. È difficile far capire che, nel frattempo, sono cambiato. Pensano che sia restato l’operaista di una volta».
Non è così?
«L’operaismo per me ricoprì una stagione brevissima. Poi è iniziata quella, maledetta da tutti, dell’autonomia del politico».
Maledetta perché?
«Mi resi ostile anche alle generazioni post-operaiste ».
Allude al Sessantotto?
«Lì ha inizio il piccolo Novecento. Dove è cominciata la deriva».
Fu un grande equivoco?
«Ammettiamolo: fu un fatto generazionale, antipatriarcale e libertario. Non sono mai stato un libertario».
Dove ha fallito il ‘68?
«C’è stata una doppia strada, entrambe sbagliate. Da un lato si è radicalizzato in modo inutile e perdente giungendo al terrorismo. Per me che sono appassionato del tragico nella storia lì ho visto l’inutilità e l’insensatezza della tragedia».
E dall’altro?
«Alla fine il ‘68 fu il grande ricambio della classe dirigente. La corsa a imbucarsi nell’establishment».
Niente male come ironia della storia.
«Sono i suoi paradossi e le sue imprevedibilità».
E il mito della classe operaia? La “rude razza pagana” come disse e scrisse.
«Non era certo quella che noi pensavamo. Gli operai volevano l’aumento salariale, mica la rivoluzione. Fu una delle ragioni che mi spinsero a scoprire le virtù del realismo politico».
Fu un addio alle illusioni?
«Vedevamo rosso. Ma non era il rosso dell’alba, bensì quello del tramonto».
Dove si colloca lo “sconfitto” Mario Tronti?
«Sono un uomo fuori da questo tempo. Ho sempre condiviso la tesi del vecchio Hegel che un uomo somiglia più al proprio tempo che al proprio padre. Il mio tempo è stato il mondo di ieri: il Novecento. Che comunque non sarà mai la casa di riposo per anime belle ».
Con quale riverbero affettivo lo ricorda?
«La mia tonalità è oggi quella di una serena disperazione. Forse per questo motivo non vado quasi mai a incontri pubblici. È troppo patetico andare in giro per parlare di quel mondo. E poi, dico la verità, la sua fine non è all’altezza della sua storia. Non c’è niente di tragico ».
Lei è passato dall’operaismo a Machiavelli e Hobbes e ora alla teologia politica, ai profeti, alla figura di Paolo.
«Se me lo avessero pronosticato trent’anni fa non ci avrei creduto. Però, vede, Paolo è stato il grande politico del cristianesimo. Nelle sue Lettere c’è il Che fare? di Lenin. Guardo molto alla dimensione cattolica, al suo aspetto istituzionale. C’è forza e lunga durata».
L’accusano di flirtare un po’ troppo con il pensiero reazionario.
«Dal punto di vista intellettuale trovo molto stimolante l’orizzonte che comprende figure come Taubes, Warburg, Benjamin, Kojève, Rosenzweig. Una costellazione anomala e irriferibile alla tradizione ortodossa. Uomini postumi».
Lo chiamerebbe eclettismo?
«Non lo è. Prendo quello che mi serve. La mia bussola mentale è molto spregiudicata. Mi chiedeva del pensiero reazionario. Ebbene, non rinuncio ai filosofi della restaurazione se mi fanno capire la rivoluzione francese molto più degli illuministi».
Si sente ancora un uomo di sinistra?
«È una bella contraddizione, me ne rendo conto. Ma come potrei essere di sinistra con il pessimismo antropologico che ricavo dal mio realismo? Dichiararsi illuministi, storicisti, positivisti - come fa in qualche modo la sinistra - è illudersi che i problemi che abbiamo di fronte siano semplici».
Dove si collocherebbe oggi?
«Dalla parte sconfitta. In un senso benjaminiano. Ha presente la figura dell’Angelo? Egli guarda indietro con le ali che si impigliano nella tempesta».
È una bella immagine. Fa pensare al Dio terribile e inclemente della Bibbia. Lei in cosa crede o ha creduto?
«A chi divide il mondo fra credenti e non, rispondo che non sono né l’una cosa né l’altra. Sto, per così dire, su di una specie di confine che ha ben descritto Simone Weil: non attraversare, ma non tornare neppure indietro. Al tempo stesso, penso che il “legno storto” dell’umano per sopravvivere abbia bisogno di qualche forma di fede».
E lei l’ha incontrata?
«In un certo senso sono stato credente anch’io. Ho creduto che si poteva abbattere il capitalismo, fare il socialismo e poi il comunismo. Niente di tutto questo aveva la benché minima parvenza scientifica».
Non è rimasto niente di quella fede?
«Sono più cauto. Avverto molto chiaramente il nesso tra realismo e passione. Il realismo da solo è opportunismo, puro adattamento alla realtà. Per correggere questa visione occorre una forma di passione».
Viviamo il tempo delle passioni tristi e spente.
«Tristi, certamente. Ma non spente del tutto. Il guaio è che oggi la storia non si controlla».
Ossia?
«La fase è molto confusa. Ogni cosa va per conto proprio. Agli inizi del ‘900 si parlava della grande crisi della modernità. Poi questa è arrivata. E ora che ci siamo dentro fino al collo non sappiamo in che direzione andare. È lo stallo. Si guarda senza vedere realmente».
Le sue preoccupazioni sembrano quelle di un uomo superato.
«In un certo senso è così. Ma non mi preoccupo. Perché dovrei? Ricordo certi vecchi che in prossimità della morte dicevano: purtroppo me ne devo andare. Mio padre credeva in un mondo migliore. Avrebbe voluto vederlo. Beato lui. Io dico ai giovani: meno male che non ho la vostra età. E sono contento che tra un po’ non vedrò più questo mondo. Questo dico».
Non si aspetta altro?
«Il futuro è tutto catturato nel presente. Non è possibile immaginare niente che non sia la continuazione del nostro oggi. Questo è l’eterno presente di cui si parla. E allora ben lieto di essere superato. Mi consola sapere che chi corre non pensa. Pensa solo chi cammina».
L’operoso Ferragosto del centro per Monti
di Francesco Lo Sardo (Europa, 10 agosto 2012)
La geometrica perfezione dell’incrocio di date attorno alla “Cosa catto-lib” in gestazione già la dice
lunga. Sul suo versante “destro”, se così si può dire, domenica 19 agosto, a Rimini, il Meeting di Cl
movimento ecclesiale il cui braccio socio-economico è la Compagnia delle opere - viene aperto
dal cattobocconiano Mario Monti, accolto con tutti gli onori. Sul versante “sinistro”, lo stesso
giorno, a Trento, all’indomani del convegno su De Gasperi di Pieve Tesino, il presidente della
provincia Lorenzo Dellai riunirà molti dei convenuti tra cui l’aclista Olivero, il cislino Bonanni e il
ministro Riccardi, per fare il punto in un incontro dell’associazione “Il popolo trentino”.
Cos’hanno in comune i ciellini della Cdo - orfani di Berlusconi e Formigoni - riuniti a Rimini attorno a Monti col cattolico-democratico Dellai - un politico perfetta espressione di quelle istanze del territorio evocate dal sociologo De Rita - con le Acli, la Cisl, la comunità di Sant’Egidio di Riccardi e, volendo proseguire nell’elenco, con l’Mcl, la Confcooperative, la Coldiretti, la Confartigianato?
Le sette grandi sorelle dell’associazionismo cattolico e le figure alla Riccardi (e a maggior ragione alla Corrado Passera) hanno in comune il retroterra di Todi: il summit benedetto dalla Cei di Bagnasco da cui arrivò la spallata a Berlusconi nell’autunno 2011 che, il 21-22 ottobre prossimi, tirerà le fila di un lungo lavoro di cui le tappe di Rimini e Trento segnano il giro di boa.
Nell’intervallo tra il parallelo tavolo Rimini-Trento del dopo Ferragosto e la sintesi di Todi si collocano due passaggi chiave: questi nel più tradizionale perimetro della politica romana. Il 7-9 settembre Chianciano ospiterà una kermesse dell’Udc in cui Casini - per l’ennesima volta, forse quella decisiva visto che il tempo stringe - scioglierà il partito e farà personalmente un passo indietro per mettersi a disposizione nell’impresa di costruzione di una grande lista catto-liberalriformista (forse guidata da Passera o Emma Marcegaglia, o da un consolato-ticket dei due) per le elezioni 2013.
Il 30 settembre Fini, con Fli, farà altrettanto. Passando per la cruna dell’ago dello scioglimento in un più vasto contenitore, la coppia Pier-Gianfranco potrà meglio traghettarsi nella Terza repubblica: in emulsione col complesso e articolato sentire del cattolicesimo democratico e liberalriformista che dalla base sindacale - passando dalla Cattolica e incuneandosi in Bocconi - pulsa nel cuore della raffinata tecnocrazia sociale di Monti e Passera. Anche Montezemolo, come Fini e Casini, farà un passo indietro e s’è già messo a disposizione: in cambio, il listone sarà anche espressione delle competenze selezionate in questi mesi dalla sua Italiafutura.
Obiettivo di questo centro, a bilanciamento e in alleanza col Pd, è la prosecuzione dell’agenda
Monti. Elettoralmente si strutturerà in autonomia da Monti: di cui, dopo il voto, reclamerà l’entrata
in campo come premier. Così sarà, piaccia o non piaccia. Perché le sole sette grandi sorelle
cattoliche hanno un loro bacino elettorale di dieci milioni di voti: in cerca d’interpreti e contenitori.
Ha scritto il direttore di Avvenire Marco Tarquinio: «Diverse situazioni politiche e di leadership
hanno reso tormentate la militanza partitica e le scelte di voto di tanti cattolici impegnati: nel
passato, nel presente e, si spera, non nel futuro». E la soluzione, come dice uno dei cervelli di Todi
il catto-bocconiano Roberto Mazzotta - non è un neo-partito cattolico ma «un accorpamento forte
su un progetto che coincida, sostanzialmente, con il proseguimento dell’agenda Monti». Fino al
2018. La Cosa catto-lib, appunto.
Cattolici, l’appello di Bagnasco: “Più impegno in politica”
di Orazio La Rocca (la Repubblica, 11 agosto 2012)
In politica e nella vita pubblica «i cattolici siano sempre più numerosi e ben formati, come da tempo esortano Benedetto XVI e i vescovi italiani». Nuovo forte richiamo del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Genova, a favore della presenza cattolica nella vita politica del Paese.
L’appello - lanciato ieri per la festa di San Lorenzo - arriva dopo una serie di analoghi interventi fatti da Bagnasco negli ultimi mesi in occasione delle assemblee vescovili e dei consigli Cei. Appelli e prolusioni che hanno quasi disegnato l’identikit del politico cattolico doc. E vale a dire, una figura «moralmente ineccepibile», fedele al Vangelo, aperta al dialogo, sempre attenta al «bene comune», ma mai disposta a «mercanteggiare » sui valori cristiani. Valori comunemente definiti dalle gerarchie cattoliche «non negoziabili» come la difesa della vita dal concepimento fino alla fine naturale, la promozione della famiglia basata sul matrimonio tra un uomo e una donna, libertà di insegnamento.
Punti rilanciati nell’omelia di ieri pubblicata - significativamente - quasi per intero dall’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede diretto da Giovanni Maria Vian, con un titolo altrettanto significativo, «Controcorrente per fedeltà al Vangelo». La presenza dei cattolici in politica, puntualizza tra l’altro il cardinale Bagnasco, «non è codificata in formule specifiche, fatta salva la consapevolezza che sui principi di fondo non si può mercanteggiare, che i valori non sono tutti uguali, ma esiste una interna gerarchia e connessione; che l’etica della vita e della famiglia non sono la conseguenza, ma il fondamento della giustizia e della solidarietà sociale».
E come “modelli”, il porporato indica «i grandi statisti cattolici che hanno portato la propria indiscutibile statura umana e cristiana che il Paese, l’Europa e gli scenari internazionali esigevano, allora come oggi». «L’appello del cardinale va raccolto sino in fondo e con coerenza», ha commentato Giorgio Merlo, deputato del Partito democratico e vice presidente della Commissione di vigilanza della Rai, secondo il quale «l’impegno politico dei cattolici, ovviamente laico pluralistico, non deve essere marginale e può avere un ruolo determinante anche in vista della prossima campagna elettorale».
Apprezzamenti anche dall’ex ministro Maurizio Sacconi del Pdl: «Ha richiamato i cristiani all’impegno pubblico ricordando che l’etica della vita e della famiglia sono il presupposto di ogni politica per il bene comune». Per Paola Binetti, deputata Udc, è un intervento che «va accolto integralmente, specialmente sulla difesa della valori, della promozione umana e della famiglia».
Da Todi a Palazzo Chigi
di Marco Politi (il Fatto, 17.11.2011)
I cattolici di Todi vanno al governo. Prima ancora che la carovana umbra riesca a darsi un’organizzazione, l’area bianca assume il volto della consistente pattuglia di personalità cattoliche che faranno parte del Consiglio dei ministri guidato dal cattolico Monti. È una squadra di tutto rispetto: Andrea Riccardi, leader della Comunità di Sant’Egidio alla Cooperazione internazionale, il banchiere Corrado Passera allo Sviluppo, Lorenzo Ornaghi rettore dell’Università Cattolica ai Beni culturali, Renato Balduzzi già presidente dei Laureati cattolici (Meic) alla Salute. Al di là delle differenti caratteristiche, la loro presenza testimonia l’avvento di una cultura politica radicalmente diversa da quella del governo di centro-destra. Al posto di una compagnia di ventura ispirata a faziosità, aggressività, ideologismo e nutrita di un’incosciente disattenzione al Paese reale, salgono sulla scena personaggi riunitisi a Todi sulla base del “Manifesto per la buona politica e il bene comune”.
“SIAMO ORGOGLIOSI di essere italiani, portatori di valori, di cultura, di tradizioni, apprezzati nel mondo e consapevoli di avere un destino comune... (impegnati ad) avviare una nuova stagione di sviluppo e per dare risposte positive alle giovani generazioni, ai territori meno sviluppati, alle persone bisognose”. Così recita il manifesto, su questo si misureranno e saranno misurati.
Il solo fatto di vedere persone che non alzeranno il dito medio (marchio Bossi), non manderanno ‘affanculo oppositori (Romano), non parleranno di élite di merda (Brunetta) o elettori coglioni (Berlusconi) è antropologicamente un sollievo. Il loro stesso modo di esprimersi rappresenta un ritorno a un linguaggio basato sul pensiero e non ispirato a spot pubblici-tari o furbizie da comizio.
La foto di Monti e dei suoi boys di parte bianca (al di là delle specifiche esperienze di ognuno) rappresenta plasticamente l’immagine del contributo di risorse cattoliche che si è sempre manifestato nei tornanti decisivi delle vicende italiane. Persino durante il Risorgimento, nel quale - nonostante la scatenata opposizione papalina e clericale - il cattolicesimo liberale è stato ben presente. Sul piano della cronaca politica più recente, il loro arrivo marca la sconfitta definitiva del tentativo di Berlusconi di costruire il suo governo del 2008 rifiutando superbamente il rapporto con forze cattoliche autonome. Tutti si accorsero, quando fu presentato l’ultimo governo di centrodestra, che i cattolici erano stati esclusi dai ministeri che contano. (Letta, uomo vaticano, è un caso a parte). La ricreazione del partito padronale, ateo devoto e intrinsecamente cinico, ora è finita. La benedizione di Ruini e di Bertone - è bene ricordarlo - ha portato al disastro attuale.
Il conciliaboli antecedenti alla formazione del governo hanno lasciato tuttavia uno strascico avvelenato. Il veto prepotente pronunciato da parte della Chiesa nei confronti dell’ipotesi che uno scienziato come Veronesi andasse al ministero della Salute. Vera o no l’ipotesi, rimane reale il veto. Sintomo preoccupante di una visione ideologica dei problemi della sanità (e della famiglia, possiamo aggiungere) che con un governo di stampo “europeo” non è assolutamente in sintonia.
È bene riflettere subito su problemi che toccano la vita quotidiana di milioni di uomini e donne. Un governo liberalizzatore di stampo europeo non può e non dovrà permettere che un farmacista si arroghi il diritto - contro la legge - di vendere o meno la pillola del giorno dopo. Non può tollerare ostruzionismi capziosi, che nulla hanno a che fare con la cura delle persone, nei confronti della pillola del giorno dopo o della Ru486. Dovrà riformulare urgentemente le assurde linee guida, varate come ultima raffica, per impedire la diagnosi preimpianto degli embrioni mortalmente malati. Soltanto il cinismo di una radicale pentita come Eugenia Roccella può dichiarare che l’assistenza alla procreazione è per le coppie sterili e non riguarda padri e madri che hanno la responsabilità di non mettere al mondo bimbi condannati a morire per talassemia o fibrosa cistica.
QUESTA VERGOGNA ideologica deve finire. Sarebbe poco logico predicare la libera concorrenza e ampliare la libertà di gestione delle imprese ad esempio nel campo dei licenziamenti, sarebbe poco comprensibile voler spezzare i lacci delle caste e delle corporazioni, e poi mortificare la libertà di responsabile decisione di uomini e donne nello spazio vitale della propria esistenza. Il profilo stesso delle personalità cattoliche arrivate nel governo Monti dimostra che questo governo è tutt’altro che tecnico. Al contrario, è altamente politico perché portatore di una visione generale di riorganizzazione sociale all’insegna di sviluppo, modernizzazione, equità e coesione. Dai cattolici, che siederanno ai banchi del governo, ci si aspetta che sappiano misurarsi con i problemi della modernità con l’indipendenza di un De Gasperi e della migliore tradizione di autonomia della Dc, trovando soluzioni concrete orientate al bene comune. Con l’accento su “comune”.
Il cardinale Bertone: «Una bella squadra». Dalle Acli all’Azione Cattolica reazioni soddisfatte
Casini si spinge a dire: «È la fine della diaspora della Dc». Replica Bindi: «Ti sbagli»
Il Vaticano benedice
Per i cattolici è l’«effetto Todi»
I «professori cattolici» nella squadra del governo Monti rassicurano la Chiesa.
La novità dell’esecutivo «tecnico» risponde allo spirito di Todi. Apprezzamenti dal cardinale Bertone, dal Sir, dall’Azione cattolica e dalle Acli.
di Roberto Monteforte (l’Unità 17.11.11
«Una bella squadra alla quale auguro buon lavoro. Si tratta di un lavoro difficile, ma penso che la squadra sia attrezzata per affrontare questo lavoro». È stata questa l’autorevolissima «benedizione» del segretario di Stato vaticano, cardinale Bertone al «governo tecnico» presentato ieri dal professore Mario Monti che ha giurato ieri al Quirinale. Un governo forte. Con personalità «tecniche» di grande competenza che con si mettono al servizio del Paese per favorire il superamento della crisi con un’imprevista accelerazione, almeno stando ai commenti e ai messaggi di augurio rivolti dal mondo dell’associazionismo cattolico al governo. Dal settimanale Famiglia Cristiana all’agenzia dei vescovi Sir, dalle Acli all’Azione cattolica è comune il sostegno convinto a Monti.
«Un governo tecnico» lo descrive il Sirnato da un passo indietro delle forze politiche che «tuttavia, fin d’ora sono chiamate ad accompagnare con serietà e senso di responsabilità il lavoro dei tecnici». «Coniugare rigore ed equità, sacrifici e crescita conclude il Sir comporta da parte di tutti uno spirito di coesione e di collaborazione. Plaudono anche il Terzo Settore e il presidente delle Acli, Andrea Olivero che lo definisce «un esecutivo convincente», con «figure di alto profilo» che «non nasce contro la politica, ma al servizi della buona politica».
Quello che si sottolinea è la sintonia con le indicazioni «politiche» avanzate dal laicato cattolico al seminario di Todi. Rafforzata dalla presenza di «ministri» di area. Il leader dell’Udc, Pierferdinando Casini si spinge a parlare di «fine della diaspora della Dc», visto che ora i cattolici si ritrovano uniti nello stesso al gover no. Gli risponde Rosy Bindi (Pd). Non vi è stata «alcuna riunificazione» dei cattolici. «Questo governo puntualizza -non è sostenuto da una coalizione, ma da forze politiche che lavorano in autonomia, ciascuna con le proprie caratteristiche».
QUELLI DELL’«INCONTRO»
Una cosa è certa. Tra i ministri che hanno giurato al Quirinale, vi sono protagonisti dell’«incontro di Todi» che hanno accolto l’invito delle gerarchie e dello stesso pontefice a mettersi al servizio del paese e del «bene comune». Vi è il banchiere Corrado Passera, neo-ministro allo sviluppo economico. Il professore Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di sant’Egidio, a cui il presidente Monti ha affidato la responsabilità di un nuovo dicastero che comprende la «cooperazione interna e internazionale», due emergenze che hanno contraddistinto l’«azione sociale» della comunità di Trastevere. «L’impegno per la coesione sociale, per l’integrazione nazionale e per la cooperazione internazionale ha spiegato Riccardi fanno parte della mia cultura e dell’esperienza da me maturata in questi anni. Credo siano elementi decisivi per un Paese che ritrova la forza per uscire dalla crisi».
Alla guida dei Beni culturali vi è il rettore della università Cattolica professore Ornaghi, l’uomo chiave del «progetto culturale» della Cei voluto dal cardinale Ruini, intellettuale apprezzato anche dal presidente dei vescovi, Bagnasco. Del governo fa parte anche Piero Giarda, formatosi alla Cattolica di Milano: sarà il ministro per i rapporti con il Parlamento. Espressione autorevole dell’associazionismo cattolico è il professore di diritto costituzionale, Renato Balduzzi già presidente del Meic, il movimento di impegno culturale legato all’Azione cattolica. Sarà a capo di un ministero strategico per la Chiesa: la Salute. Non gli manca l’esperienza. È stato esperto giuridico della Bindi alla Sanità e alle Politiche per la famiglia.
Pdl e Pd cercano la benedizione, ma i vescovi non negoziano
di Luca Kocci (il manifesto, 21 ottobre 2011)
Tutti in fila, qualcuno anche in ginocchio, dal cardinal Bagnasco e dai vescovi per chiedere benedizioni, incassare imprimatur, cercare convergenze o comunque avviare dialoghi per cominciare a preparare il terreno per il dopo-Berlusconi.
Hanno cominciato lo scorso fine settimana i cattolici del Pdl, a Norcia, in una due giorni promossa da Magna Carta, la fondazione di Gaetano Quaglieriello, in cui è intervenuto il vescovo di Terni Vincenzo Paglia, vicinissimo alla Comunità di sant’Egidio. Hanno proseguito lunedì, a Todi, le associazioni cattoliche del mondo del lavoro, in un attesissimo seminario aperto dal presidente della Cei. E ieri sera è toccato al segretario del Pd Pierluigi Bersani, che ha incontrato mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione ed «ex cappellano» di Montecitorio, in un incontro sul tema Vangelo e laicità.
Al centro di tutte le iniziative, segno di un’agenda dettata dalle gerarchie ecclesiastiche, i «valori non negoziabili» cari ai vescovi, diventati discrimine di ogni iniziativa politica che voglia assicurarsi il placet della Conferenza episcopale italiana: vita, famiglia, scuola cattolica. È necessario un «impegno concreto e testardo da parte dei cattolici per la difesa di questi principi, non farlo sarebbe ignavia ma anche un affronto per la democrazia», ha detto ieri sera Fisichella a Bersani che lo ascoltava e che ha tentato di replicare: «Il relativismo assoluto è una bomba per la convivenza civile», ma la politica «ha il dovere di negoziare la convivenza, ovvero il bene comune, tenendo conto che quella dei temi etici è una frontiera mobile» e che «il copyright non appartiene né alla fede alla Chiesa». Si tratta allora di incontrarsi su un terreno di discussione e trovare una soluzione, ha proseguito il segretario del Pd, perché «in un Paese già lacerato e diviso, il bipolarismo etico, oltre a essere una iattura, sarebbe una caricatura».
«Interloquire con il mondo cattolico» e «cercare forme nuove di collaborazione con la Chiesa» è
stato anche l’invito, in una lettera aperta pubblicata su Avvenire, rivolto a Bersani e al Pd da quattro
intellettuali di formazione marxista - Mario Tronti, Giuseppe Vacca, Pietro Barcellona e Paolo Sorbi
, convinti che il concetto dei valori non negoziabili «non nega l’autonomia della mediazione
politica». Eppure Bagnasco sembra pensarla in maniera opposta: questi valori «non sono oggetto di
negoziazione», ha detto nel suo intervento al seminario delle associazioni cattoliche a Todi. «Su
molte questioni si deve procedere attraverso mediazioni e buoni compromessi, ma ci sono valori
che, per il contenuto loro proprio, difficilmente sopportano mediazioni», ha ribadito, con buona
pace di Tronti e Vacca.
A Todi molti si aspettavano il battesimo del «soggetto politico» dei cattolici, ma i tempi saranno ancora lunghi e incerti. Lo stesso Bagnasco ha fatto una parziale marcia indietro, limitandosi a dire che «la comunità cristiana deve animare i settori prepolitici». E i promotori dell’iniziativa (Acli, Cisl, Coldiretti, Compagnia delle Opere e altri), pur bocciando il governo Berlusconi - «ci vuole un governo più forte, questo non va bene per il Paese», ha detto Bonanni nelle conclusioni - si sono trovati concordi sul fatto che «le elezioni anticipate sarebbero la soluzione peggiore», anche perché in tal caso, non ci sarebbe il tempo per mettere a punto questo non identificato «soggetto cattolico». Che però, lobby bianca o partito che sarà, seguendo la stella polare dei «valori non negoziabili», è abbastanza evidente dove approderà.
Todi, una svolta solo a metà
di Luigi Pedrazzi (Europa, 20 ottobre 2011)
Quanto si è letto sui giornali, a commento dell’incontro di Todi, dove lunedì si è svolto il forum delle associazioni cattoliche, ha confermato l’impressione che si aveva in partenza: per Berlusconi, mala tempora currunt, et pejora supervenient.
La “tesi” più chiara, emersa da un contesto complesso riunente presenze associative fin qui più divaricate che convergenti, è stata indubbiamente politica: «Sostituire Berlusconi a Palazzo Chigi è urgente e molto utile».
Dai retroscena raccontati ieri su la Repubblica, un incontro in Vaticano, tra il papa, il segretario di stato e il presidente della Cei, avrebbe visto autorizzare Bagnasco a ribadire quanto già detto in sede Cei: «Non possumus nunc silere”, e trarne la conclusione obiettivamente implicita, anzi necessaria a chiarire quanto pesino pensieri e preoccupazioni dell’autorità cattolica, nel paese o, almeno, nell’associazionismo del “laicato cattolico”. A Todi, l’associazionismo cattolico incontrava il presidente dell’episcopato italiano, fisicamente presente e unico relatore, al fine di esaminare insieme una situazione e una problematica pericolose come le presenti, nel mondo e in Europa, aggravate in Italia da dati economici nazionali specifici, evidenze politiche ed istituzionali, guasti morali che non è decente definire “cose private del presidente del consiglio” (come ancora cercano di liberarsene cattolici ministri nel governo in carica...).
Le presenze a Todi dell’associazionismo laicale cattolico, hanno spaventato, riferiscono i giornali, lo stesso Berlusconi, irritato con quanti nel governo e nel partito avevano minimizzato importanza e pericolosità dell’iniziativa quando essa era in preparazione.
E forse l’assenza di Formigoni a Todi, dove pure erano presenti i capi della Compagnia delle opere, braccio secolare dei ciellini, ha preoccupato maggiormente il premier, che ben conosce obiettivi e capacità del governatore di Lombardia, difficile immaginare assente da cosa che, a conti fatti, non sia irrilevante.
Dal “caso Boffo”, che nell’agosto del 2008 per primo agitò le acque tranquille della navigazione di Berlusconi nel gran mare cristiano, molto tempo è passato e, però, guai e distanze si sono accresciuti. C’è ancora, tuttavia, un punto che forse è obiettivamente non chiaro e di più difficile valutazione: la “svolta di Todi”, sicuramente infausta per Berlusconi, in quanto avvicina il ridimensionamento, non più tanto lontano, dell’attuale centrodestra italiano, sarà pericolosa anche per il Partito democratico e i suoi equilibri interni?
Nei commenti che abbiamo letti, relativi al futuro che potrebbe nascere da Todi, il Pd potrebbe doversi confrontare, nel tramonto del centrodestra, con la costruzione di una alleanza che il Pd dovrebbe stipulare e far vivere col cosiddetto Terzo polo, del quale Casini è, allo stato delle cose, il leader più accreditato e messo meglio.
I “cattolici democratici e sociali”, oggi di casa nel Pd, avrebbero certo, nella situazione stimolante e nuova, un ruolo di notevole importanza e di significato tutto da verificare. Casini sarebbe da trattenere da un suo riallineamento sulla destra, che potrebbe configurarlo anche come un Berlusconi incomparabilmente migliore per l’Italia, ma anche trasformarlo in un concorrente assai pericoloso se fosse un erede in grado, partendo dal suo “centro italiano”, di crescere a una guida democratica e decente, in Italia, di un partito popolare europeo che Casini sarebbe in grado di far nascere davvero “unionista” sulla scena europea.
Forse il Pd, valorizzando con lealtà e convinzione le non poche figure di cattolici, neppure tutti exdemocristiani, presenti tra i suoi iscritti, potrebbe esemplificare un partito, schiettamente laico e democratico, che rappresenterebbe in difesa del lavoro, delle povertà antiche e nuove, degli immigrati e dei diversi o diversamente abili, regole e interventi di solidarietà (nazionale e internazionale), configurando una presenza di sinistra resa più ricca e sicura da una fortepartecipazione di cattolici ben convinti che una “bussola” preziosa per conoscere, studiare, far vivere la tradizione cristiana sia, nel nostro tempo, certo “moderno” e forse “postmoderno”, nell’evento e nei testi del 21esimo Concilio.
Essi sono tuttora da ricevere con intelligenza ed amore, per poterli applicare a fondo nella storia, cioè in comportamenti, costumi e istituzioni degli uomini, in proporzione alla consapevolezza acquisita dalle loro libere e liberate coscienze.
L’incontro di Todi, pur nella sua povertà e brevità di un solo giorno, può esprimere - iniziare ad esprimere - quella crescita di esperienza storica, di tipo “sinodale”, cioè di parola ascoltata gli uni dagli altri, che si origini e rinfranchi nella comunità nata dalla annuncio della fede, ma si esprima in solidarietà e responsabilità affrontando nella società comune i problemi comuni.
Ben vengano, se è così, altri incontri, in altri e diversi contesti. Pensiamo, ad esempio, a gli ambienti in cui paure e convinzioni di origine da noi leghista rendono difficili accoglienza e valorizzazione degli stranieri; o quelli ove la violenza delle armi è azione illusoria per portare pace tra popoli stretti da conflitti mal gestiti e malissimo conosciuti; o le sproporzioni enormi nella distribuzione delle risorse, che di fatto riducono lo sviluppo economico, intrecciando depressioni reali ed euforie illusorie e fittizie che i deliri finanziari oggi alimentano nella globalità e pervasività del nostro mondo in forme impossibili in altri tempi.
Se l’incontro di Todi è nato da una sia pure tardiva presa di parola giusta, in una Chiesa rimasta sapiente e tuttavia troppo a lungo silente tra scandali che sono stati segno di irresponsabilità ben pesanti e di omissioni intollerabili, ora dobbiamo festeggiare, con generosità, questo incontro come altri analoghi, che si producessero come richiamo ad una riflessione che può giovare a tutti, di sinistra , destra o centro che ci si qualifichi nelle responsabilità politiche: sperando che tutti si sia convinti che la politica è il massimo dei beni che dobbiamo avere comuni, e che l’esperienza insegna sempre a fermarsi per riflettere con serietà, e se possibile in amicizia, quando qualcuno, magari anche in ritardo, impegni se stesso esordiendo con la frase ben autorevole “non possiamo tacere”.
Chi, per metodo ed esperienza storica, crede nella partecipazione, ascolti e si impegni nella
riflessione che ne possa conseguire.
Confidando che in questo metodo e in analoga amicizia, tutti - compresa la grande Chiesa cattolica - possono fare una esperienza positiva nell’esercizio di un colloquio dialogico e sinodale.
Nella Chiesa, poi, lo si sa bene anche per esperienza teologica. Magari solo intravista, e un po’
capita, nei momenti storici più alti e difficili.
I valori cattolici
di Michele Serra (la Repubblica, 20 ottobre 2011)
Che cosa unisce un missionario comboniano e un vescovo lefebvriano? Una sola cosa, la fede cattolica. Ma per cultura, visione del mondo e degli uomini, pratiche sociali, idee politiche, i due sono esattamente agli antipodi. Schematizzando: estrema sinistra, estrema destra. In mezzo, ci sono milioni di cattolici che votano Berlusconi credendolo un difensore della famiglia tradizionale, e quasi altrettanti cattolici che lo spregiano come accanito profanatore dei loro convincimenti morali: segno oggettivo del fatto che i "valori cattolici", per gli uni e per gli altri, non sono assolutamente gli stessi. Chiedete a Giovanardi che cosa pensa dei diritti dei gay, e chiedetelo a un prete di strada come don Gallo, e otterrete risposte inconciliabili tra loro. Entrambe di cattolici.
Dev’essere per questa totale variabilità e mutevolezza della presenza cattolica nella società e nella politica che fatico a mettere a fuoco dibattiti come quello conseguente al raduno di Todi. Rivolgersi "ai cattolici" o definirsi cattolici vale, in politica, quanto rivolgersi a tutti, e dunque a nessuno. In una società secolarizzata come la nostra, la politica, la cultura, la maniera di stare in società di ogni essere umano ne orientano i pensieri e gli atti in modo assai più determinante della confessione religiosa.
Indignati ma ingenui?
di Vittorio Cristelli (“vita trentina”, 23 ottobre 2011)
Gli "indignati" e decisamente non violenti sono scesi in piazza in tutte le parti del mondo, ma solo a Roma sono stati scippati dai Black bloc delle strade, delle piazze e dell’attenzione dei mass media.
La violenza di questi infiltrati ha rotto vetrine, bruciato macchine in sosta, provocato decine di feriti e commessa la simbolica e blasfema distruzione di una statua della Madonna e di un crocifisso. Ma ha anche impedito che le centinaia di migliaia dei manifestanti esprimessero le loro opinioni, le loro idee e i loro progetti. Come è vero che fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce.
Anche questa ci doveva toccare! Dopo il ridicolo delle vignette sul nostro governo e sulle battute e comportamenti del suo capo che da mesi rimbalza sui media stranieri, anche l’umiliazione di una capitale che non riesce ad ospitare i cittadini del Paese che manifestano pacificamente. Quella "Piazza San Giovanni" che da decenni ospita manifestazioni sindacali, comizi politici, proclami sociali come il "Family Day", ridotta a campo di battaglia e poi percorsa a sera dai destinatari indignados, ma non per gridare i loro slogan, bensì con le ramazze per fare pulizia.
E’ così che anche all’indomani non abbiamo sentito alle televisioni o letto sui giornali i loro discorsi, ma solo descrizioni di vandalismi, interviste ai feriti ed esecrazioni della violenza. Non pochi hanno descritto i giovani indignati come ingenui e ti sanno dire che i protagonisti di analoghe manifestazioni erano dotati di un loro esperto servizio d’ordine che sapeva individuare gli infiltrati e isolarli. Di rimbalzo va anche detto che pure i servizi d’ordine ufficiali avrebbero dovuto sapere in anticipo, dotati come sono dei mezzi adatti a conoscere la realtà e quindi a prevenire.
Nel frattempo si è tenuto a Todi il Forum delle associazioni e delle persone cristiane. Non ne è uscito né il progetto di un nuovo partito dei cattolici né la sconfessione del bipolarismo. Unitario invece il giudizio negativo sull’attuale situazione politica del nostro Paese e la convinzione che bisogna cambiare. Ma anche che questo cambiamento deve passare attraverso l’impegno di tutti i cattolici, consci che, come ha detto il card. Bagnasco nella sua prolusione, gli Italiani hanno una "comunità di destino". Bagnasco è stato ancora più esplicito quando ha detto che "i cattolici non possono arretrare di fronte alle sfide" e che "l’assenteismo sociale per i cristiani è un peccato di omissione".
Ne consegue, sia per i giovani indignati che reclamano la partecipazione di tutti alla gestione della cosa pubblica, sia per i cattolici che considerano questa partecipazione la modalità esigente di esercitare la carità cristiana, l’esigenza di farsi delle competenze specifiche. Sì, perché a partecipare ad un’impresa in cui si è incompetenti si rischia di fare un gran male alla comunità.
Partecipanti quindi ma non ingenui. E gli indignati dimostrano di non essere ingenui nell’analisi che fanno di questa società e delle cause che l’hanno portata in questa impasse. Non per nulla personaggi con le mani in pasta come Draghi e Krugman dicono che hanno ragione. Va pure detto che dovranno emergere dei leaders. Ma questo culto dei leaders carismatici la caduta dei quali sarebbe suprema iattura è pure segno negativo della situazione in cui ci troviamo. I leaders devono essere naturale espressione della competenza.
Il pensiero corre al dopoguerra, quando si trattava pure di mandare a casa una classe dirigente e imboccare una nuova strada, appunto quella della democrazia. La collaborazione di tutti: dai liberali ai marxisti, ai personalisti di ispirazione cristiana ha prodotto quel gioiello che è la Costituzione repubblicana italiana, invidiato da molti anche all’estero. C’è dunque motivo di speranza.
I cattolici uniti: “Basta con B. serve un governo più forte”
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 18 ottobre 2011)
“Questo governo non è adeguato”. Alla fine, chiudendo i lavori della prima riunione che riunisce tutte le sigle cattoliche dai tempi del dopoguerra, Raffaele Bonanni si lascia andare all’ammissione più politica della giornata: “Questo governo non va bene. Ci vuole un governo più forte con l’accordo delle principali forze politiche”. Non è facile tirare fuori al leader cislino una parola così chiara, perché sino allo stremo sfugge alle richieste della stampa di dare un giudizio netto sulla sorte del premier.
Altri esponenti del mondo cattolico - nei dibattiti interni - sono stati più netti. Andrea Olivero, presidente delle Acli, non ha esitazioni: “Berlusconi deve dimettersi”. Sulla necessità o meno di esprimersi ufficialmente sulla fine di Berlusconi le contrapposizioni a Todi sono state molto forti. Il pollice verso nei confronti del governo rappresenta il punto minimo di accordo, raggiunto nel conclave di Todi. Scandisce il presidente di Confartigianato Guerrini: “Questo governo non ce la fa!”. Insiste il presidente di Confcooperative Luigi Marino: “I cattolici devono scendere in campo per cambiare la politica di questo Paese a fronte dei guasti economici, sociali e morali che sono sotto gli occhi di tutti”.
LE RAGIONI della visibile fatica di Bonanni ad esprimersi stanno nell’elegante reazione del ministro del Welfare Sacconi, che qualche ora prima a Milano - alla domanda di un giornalista del Fatto sull’ipotesi che il ritorno in campo dei valori cristiani possa tagliare fuori Berlusconi - ha risposto attingendo evidentemente al patrimonio sapienziale dei campetti dell’oratorio : “Questa mi sembra una grande stronzata”. Poiché, com’è noto a tutti, “Berlusconi è un bravissimo presidente del Consiglio”.
Ora che la carovana cattolica si è messa in moto, le contraddizioni interne si scontano tutte. Fermamente contrario al referendum, Bonanni, che ha tenuto la relazione conclusiva a porte chiuse come tutto il seminario, ritiene che la legislatura debba concludersi nel 2013 e nel frattempo un “governo più forte” dovrebbe fare due, tre riforme essenziali. Compresa una legge elettorale che ridia il potere delle preferenze ai cittadini e sia proporzionale. Peccato che intanto il leader dell’Udc Casini ritenga Alfano un partner non più credibile e, stante l’attaccamento ossessivo di Berlusconi alla poltrona, sostenga la necessità di andare alle urne. Un punto fermo, almeno per il momento, appare la constatazione che l’obiettivo non è la creazione di un partito bianco. Poco dopo l’una del pomeriggio - mentre ai giornalisti accampati come mendicanti dinanzi al convento francescano di Montesanto viene distribuita una scodella (di plastica) di maccheroni - il portavoce del Forum organizzatore, Natale Forlani, si materializza davanti alla portone e annuncia: “Formare un nuovo partito cattolico non è nel nostro orizzonte”. Però anche qui i pareri non sono unanimi.
IL LEADER del Movimento cristiano lavoratori Carlo Costalli, una volta scompaginato il bipolarismo attuale, vuole che i cattolici “partecipino” attivamente e non solo culturalmente alla ricomposizione dello scenario politico. Per ora il traguardo indicato da Forlani è la costruzione di un “soggetto di aggregazione dei mondi cattolici”. Quale sia la fisionomia è impossibile prevedere. I partecipanti stessi sono vaghi su questo punto. Bonanni parla dell’esigenza di promuovere incontri sul territorio per ascoltare la base cattolica e prevede iniziative sull’Europa, famiglia, fisco e lavoro.
Gli interventi durante il convegno hanno evidenziato tanti buoni obiettivi. Un “nuovo Welfare basato sull’alleanza tra pubblico, privato e civile”, come chiede l’economista Zamagni. Una sana politica, in cui si coniugano le esigenze di competitività delle imprese, la coesione sociale e la compatibilità ambientale, come postula il banchiere Passera. Olivero propone la regolamentazione pubblica dei partiti.
Del bilancio del conclave di Todi fa anche parte l’estrema prudenza del cardinale Bagnasco. Il presidente della Cei, che al mattino apre i lavori della giornata, è attentissimo a non dare l’impressione di una Chiesa che teleguida il mondo cattolico.
Nel suo discorso fa persino passi indietro rispetto alla sua recente prolusione al consiglio permanente dell’episcopato. Lì aveva proposto l’affermarsi di un “soggetto cattolico” che dialoghi con la politica. Adesso è più cauto. Forte del suo patrimonio spirituale, dice, la “comunità cristiana deve animare i settori pre-politicinei quali maturano mentalità e si affinano competenze, dove si fa cultura sociale e politica”.
Intimidito dagli intransigenti ecclesiali e dall’ala clericale del centro-destra, Bagnasco risfodera anche l’assoluta preminenza dei “valori non negoziabili”. Tra gli applausi a distanza dei pidiellini Gasparri, Quagliariello e Roccella.
Il Québec, laboratorio della modernità? (2)
di Jean-François Bouchard
in “www.baptises.fr” del 16 ottobre 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)
La storia del cattolicesimo e dei cattolici nel Québec degli ultimi cinquant’anni è ricca e complessa. Per motivi di sintesi, ci limiteremo qui a tre punti di vista, che sono rivelatori di quanto è avvenuto in questo paese. Analizzeremo la questione del posto delle donne e del femminismo nella configurazione ecclesiale; poi vedremo il percorso degli intellettuali all’interno della Chiesa; infine affronteremo il fallimento dei nuovi movimenti nel rinnovare il tessuto della comunità.
1. Il posto delle donne e del femminismo
Non si può capire nulla del Québec contemporaneo se non si valuta l’importanza dell’emancipazione femminile e della cultura femminista nella costruzione sociale. Poche società occidentali hanno fatto entrare fino a questo punto il dato dell’uguaglianza dei sessi e dell’importanza della promozione delle donne in tutte le sfere della collettività.
Siamo passati in trent’anni da una società patriarcale nelle sue istituzioni sociali (e matriarcale nello spazio domestico) ad una società nella quale l’uguaglianza è un’esigenza di tutti i momenti. Certo, niente è perfetto, e soprattutto niente è mai del tutto acquisito. Ma, oggi, i progressi oggettivi renderebbero difficili i tentativi di far fare dei passi indietro. Questo dato di fatto ha avuto due conseguenze tra i battezzati.
La prima è stata una diserzione massiccia delle donne dalla Chiesa e dalle chiese. Per un gran numero di donne che oggi hanno più di 70 anni era diventato inimmaginabile trasmettere il cattolicesimo ai loro figli, e alle loro figlie in primo luogo, tanto l’istituzione era subito apparsa loro passatista, sessista e maschilista. Ci sono state persone che lo hanno proclamato a voce alta. Tuttavia, la maggior parte ne ha preso atto senza rumore, allontanandosi de facto da una Chiesa che rappresentava ormai un elemento nocivo nell’educazione all’emancipazione. In conseguenza di ciò, molte persone della mia generazione (io ho 50 anni) sono cresciute nel silenzio domestico su Dio e sulla Chiesa.
La seconda conseguenza del femminismo è stata la sua influenza diffusa all’interno stesso della Chiesa del Québec. Infatti, benché un gran numero di donne abbiano disertato la Chiesa a partire dagli anni ’60, molte sono però rimaste, motivate dalle riforme nate dal Concilio. E queste donne, molte delle quali hanno, a partire da quel periodo, invaso le facoltà di teologia e di scienze religiose, hanno sviluppato una riflessione nuova che ha introdotto il femminismo nella teologia e nell’ecclesiologia. Negli anni ’70 e ’80 un certo numero di vescovi hanno prestato attenzione a questo, e alcuni di loro hanno preso delle decisioni d’avanguardia nominando delle donne a funzioni riservate fino ad allora a degli uomini (ordinati, evidentemente).
Meglio ancora, i vescovi del Québec hanno promosso la questione femminile presso le istituzioni romane, e nei sinodi. Cosa che è valsa loro a volte di essere ridicolizzati, non tanto da prelati romani, quanto da confratelli francesi! Questa dinamica felice col tempo si è indebolita. Perché da parte della Chiesa universale sono venuti in risposta pochi segni di evoluzione. Perché il discorso ufficiale si è a poco a poco riclericalizzato. Da una quindicina d’anni, domina nettamente la sensazione di blocco. Ciò detto, bisogna ricordare che le organizzazioni fondamentali della Chiesa, in particolare le parrocchie, non vivrebbero oggi senza l’apporto delle donne. Senza il loro impegno, la Chiesa del Québec sarebbe in brevissimo tempo una conchiglia vuota.
2. Il percorso degli intellettuali
Come le femministe, una forte percentuale di intellettuali del Québec si è allontanata dalla Chiesa a grande velocità dall’inizio della Rivoluzione tranquilla. Ma anche in questa categoria certi sono rimasti. Il Concilio ha svolto un ruolo di motivazione. Molti vi hanno visto la porta aperta ad un dialogo con la modernità, e quindi, ad un contributo delle scienze umane al pensiero cristiano. Come altrove, le facoltà di teologia e i centri di formazione hanno dato ampio spazio allasociologia, alla psicologia, alla pedagogia... Il campo dei possibili appariva vasto, senza limiti. Dei battezzati, uomini e donne, hanno creduto possibile partecipare a pieno titolo alla riflessione della Chiesa.
In Québec, il segno più forte di quella speranza è stato lo svolgimento di una commissione di inchiesta sui laici e sulla Chiesa, istituita dall’episcopato, e presieduta dal sociologo Fernand Dumont, uno dei massimi intellettuali del secolo. I lavori della commissione hanno permesso di affrontare tutte le questioni del momento, e di condurre una riflessione molto articolata in un dialogo franco ed esigente.
Fino alla metà degli anni ’80, la riflessione comune “dei battezzati e della gerarchia” è stata portata avanti dall’episcopato. I vescovi del Québec sono stati a lungo riconosciuti per l’audacia di cui davano prova nei testi che pubblicavano su questioni sociali, culturali e religiose. I messaggi annuali del 1° maggio hanno alimentato la riflessione delle parti sociali a diverse riprese. In quel contesto, degli intellettuali sono stati motivati ad alimentare la riflessione, spinti dalla sensazione di contribuire tanto all’edificazione del pensiero credente che al dibattito sociale.
Dobbiamo constatare che anche questo bello slancio è venuto meno. Tra le altre cose per il fatto che i vescovi sono stati seriamente occupati dalla crisi del declino istituzionale che devono affrontare (diminuzione del clero, chiusura di parrocchie, deficit finanziari...). Ma anche perché il discorso istituzionale cattolico si è ricentrato sulla dottrina e sull’affermazione identitaria. I luoghi di dialogo con la modernità diventano rari. E poche persone ne vedono la pertinenza per la credibilità del cristianesimo. Cosicché si assiste ad un secondo esodo dei cervelli in cinquant’anni. Questo è grave per il futuro del cristianesimo in questo paese.
3. I nuovi movimenti religiosi
Come in quasi tutte le Chiese occidentali, l’influenza dei movimenti evangelical ha preso la forma del “Rinnovamento carismatico” presso i cattolici di qui. Il Rinnovamento ha riunito migliaia di persone. È arrivato a riunire 70 000 persone allo Stadio olimpico di Montréal nel 1970! La forza di un tale movimento ha lasciato tracce in certe Chiese in vari paesi del mondo, sono nate delle “comunità nuove”. La cosa che sorprende, è che (quasi) niente di simile è avvenuto nel Québec. Il “soufflé” è lievitato in maniera spettacolare. E si è afflosciato in modo altrettanto sorprendente.
Mentre si sarebbe potuto credere che sarebbe stato una fonte di rivitalizzazione del cattolicesimo di qui, ne sono derivate poche cose. Certo, ci sono state alcune comunità nuove che continuano a vivere in alcune zone del paese. Ma non hanno nulla a che vedere con la creazione di un nuovo tessuto sociale portatore di un futuro significativo per il cattolicesimo del Québec.
Per ragioni difficili da spiegare, poco di quanto è avvenuto dopo il Concilio, e dopo la Rivoluzione tranquilla, ha portato frutti durevoli per un avvenire possibile.
La Chiesa in Québec si trova oggi in uno stato di grande fragilità. Moli battezzati, pure motivati a vivere sinceramente la loro fede, si trovano smarriti. I luoghi dove ritrovarsi diventano rari. E l’Istituzione sembra spesso più occupata a “gestire la decrescita” che ad aprire la porta alla speranza.
La chiesa italiana prepara il dopo-Berlusconi
di Philippe Ridet
in “Le Monde” del 18 ottobre 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)
Ha voltato pagina. Un po’ tardi, sperando fino all’ultimo momento in un miracolo che non è arrivato. Stanca di aspettare, la chiesa cattolica, dopo anni di “affiancamento” e di interessi reciproci, ha rotto con Silvio Berlusconi. “Bisogna purificare l’aria”, ha avvertito il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, invitando ancora una volta i credenti a restaurare le rovine della politica italiana.
La prima riunione a porte chiuse della maggior parte delle associazioni cattoliche, lunedì 17 ottobre, in un convento di Todi, dovrebbe segnare il loro ritorno in forze. Insieme, dicono di rappresentare 16 milioni di italiani. Così, l’appuntamento di Todi è passato dalle “notizie in breve” alla “doppia pagina” dei quotidiani italiani. Ci si interroga su questo raduno di ecclesiastici e di laici che vogliono “salvare l’Italia”, “tornare all’etica pubblica”. Vi si parlerà di morale, lavoro, fiscalità, economia. Sarà celebrata una messa per i partecipanti.
Un ufficio funebre per le esequie politiche del Cavaliere? “Per più di dieci anni, il Vaticano ha chiesto ai cattolici di tacere per sostenere la sua alleanza con Berlusconi. Quell’epoca è finita”, nota Marco Politi, vaticanista di il Fatto Quotidiano. In nome di quel patto, che ha assicurato alla Chiesa il sostegno del governo sui suoi “valori non negoziabili” (rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale, scuole cattoliche, ecc.), i cattolici hanno inghiottito di tutto: scandali sessuali, errori politici e promesse non mantenute.
Tra desiderio di partecipazione e volontà di pesare sulle prossime scadenze, lo scopo di questo forum non è chiaro. “I cattolici vogliono ormai essere protagonisti. Hanno il dovere di colmare l’abisso che si è creato tra i politici e il popolo”, spiega Andrea Riccardi, presidente della comunità di Sant’Egidio. Per Raffaele Bonanni, segretario generale della Confederazione italiana dei lavoratori (CISL, 4,5 milioni di iscritti), “è venuto il momento di costruire un governo responsabile di unità nazionale per affrontare i problemi. La riforma delle riforme, è la pacificazione dell’Italia. La conflittualità ha raggiunto un livello parossistico”.
L’annuncio di questa riunione dopo la presentazione in luglio di un Manifesto per una buona politica, è bastato a far risorgere l’ipotesi del ritorno della Democrazia cristiana che, dalla sua fondazione ne 1942 fino alla sua scomparsa nel 1994 a seguito di scandali finanziari, ha tenuto le redini della politica italiana. “La Balena bianca” (soprannome della DC) starebbe per rinascere? “La volontà di ricreare un partito dei moderati esiste, ma è minoritaria, decripta Marco Politi. L’intenzione del forum è piuttosto di lavorare su una piattaforma di proposte (...) che sarebbero poi sottoposte ai diversi partiti. Non c’è una vera strategia, perché non c’è uno stratega.”
L’ampiezza dei temi affrontati manifesta la volontà dei cattolici di uscire da un “do-ut-des” strettamente utilitaristico. Per anni, i credenti, spinti dal Vaticano, non hanno avuto a cuore se non la difesa dei loro “valori non negoziabili”. Essa traduce anche la volontà della Chiesa italiana di riprendere in mano il suo dialogo con il potere, che ha a lungo delegato alla Curia.
Mentre Berlusconi ha ottenuto un’altra volta la fiducia del Parlamento, la Chiesa scommette sulla sua prossima fine e sulle elezioni anticipate, o sulla formazione di un governo di responsabilità nazionale, nella primavera 2012. Un appuntamento per il quale la Chiesa ha già prenotato il suo posto. Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano dei lavoratori, vi si vede già: “Il declino del berlusconismo porterà ad una scomposizione e a una ricomposizione del panorama politico. (,,,) Vogliamo costruire dei ponti e collaborare con tutti.”
La missione dei cattolici
di Ferruccio De Bortoli (Corriere della Sera, 17 ottobre 2011)
Il Paese ha bisogno dei cattolici. La ricostruzione civile e morale non sarà possibile senza un loro diverso e rinnovato impegno politico. E senza un dialogo più stretto, fuori dagli schemi storici, con gli eredi delle tradizioni liberale e riformista. Se n’è discusso molto in questi giorni e il Corriere ha ospitato opinioni di orientamento differente stimolate da un articolo di Ernesto Galli della Loggia. Non si tratta di ricostituire il partito dei cattolici, né di far rivivere, sotto altre forme, la Democrazia cristiana, o il Partito popolare, al di là dell’attualità del pensiero di don Sturzo.
L’idea del partito unico è stata seppellita con la Prima Repubblica. E non se ne sente la necessità, nonostante qualche fondata nostalgia per la difesa dello Stato laico e delle sue istituzioni che appariva più convinta ed efficace quando vi era un forte partito di diretta ispirazione cristiana. La cosiddetta Seconda Repubblica è apparsa fin da subito affollata di atei devoti e politici senza scrupoli, ai quali le gerarchie ecclesiastiche hanno talvolta frettolosamente concesso ampie aperture di credito.
Nel nostro sofferto bipolarismo, al contrario, testimonianze cattoliche più autentiche sono state ridotte alla pura sussistenza o, come ha scritto Dario Antiseri, alla scomoda condizione di ascari. La diaspora ha trasmesso ai cattolici la falsa sensazione di contare di più. Come oggetti, però. Promesse generose (si pensi solo alla tutela economica della famiglia) mai mantenute. Impegni solenni, e discutibili, sulla bioetica, subito derubricati nell’agenda politica, e dunque ritenuti solo a parole irrinunciabili. Nella triste époque , come la chiama Andrea Riccardi, il ruolo dei cattolici in politica è finito per essere quello degli ostaggi corteggiati a destra e degli invisibili tollerati a sinistra. Condizione che ha impoverito la politica e immiserito una società scivolata nell’egoismo e nella perdita di un comune sentimento civile.
Nell’immaginario collettivo del pur variegato mondo cattolico si è poi creata una frattura tra chi poteva trattare con lo Stato la difesa dei valori e dei principi, e chi ha cercato di ritrovare i segni dell’essere cristiani nella pratica di tutti i giorni. I primi hanno chiuso troppi occhi su modelli di vita e di società non proprio evangelici e mostrato una tendenza al compromesso eccessivamente secolarizzata. Gli altri, i cittadini e i fedeli, si sono sentiti non di rado smarriti. Non hanno perso la speranza solo grazie a uno straordinario tessuto di parrocchie, comunità, reti di volontariato, cui tutti noi italiani, credenti o no, dobbiamo un sentito grazie.
Angelo Bagnasco, il presidente della Conferenza episcopale, ha parlato della necessità di creare un «nuovo soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni». L’incontro di oggi a Todi, al quale partecipa lo stesso Bagnasco, forse ne svelerà la forma. Non sarà un partito, dunque, e non è nemmeno necessario che il forum delle associazioni cattoliche del lavoro si ponga il problema di quale veste assumere. Sono stati troppi in questi anni i contenitori senza contenuti.
Che cosa potrebbero fare allora questo forum e altre aggregazioni già in movimento dell’universo cattolico? Sarebbe sufficiente che si ponessero obiettivi assai semplici seppur ambiziosi: ravvivare lo spirito comunitario, la voglia di partecipazione e gettare un seme di impegno per gli altri. «Né indignati, né rassegnati», ha detto Bagnasco: è uno slogan efficace. Nel saggio Geografia dell’Italia cattolica, Roberto Cartocci scrive che «la tradizione cattolica appare come il collante più antico, il tratto più solido di continuità fra le diverse componenti del Paese». Non solo: è portatrice di una cultura inclusiva, che non divide e frantuma la società. Ha il senso del limite all’azione della politica e della presenza dello Stato nella vita dei privati. Sono qualità importanti. Apprezzate da tutti. Anche da noi laici.Quel che resta, non poco, di quella tradizione ha il compito storico di promuovere un dialogo più proficuo con le altre componenti laiche, liberali e riformiste della società.
L’indispensabile opera di pacificazione del dopo Berlusconi passa necessariamente dalla affermazione della centralità della persona e dalla riscoperta delle virtù civili. I cattolici possono intestarsi una nuova missione, esserne protagonisti. Dire quale idea dell’Italia hanno in mente. Riscoprire un tratto più marcatamente conciliare dopo l’era combattiva e di palazzo di Ruini. Una missione sociale, in questi anni, poco valorizzata, mentre si è insistito tanto sulla difesa dei valori cosiddetti non negoziabili, dal diritto alla vita alle questioni bioetiche, al punto di estendere l’incomunicabilità con le posizioni laiche all’insieme delle questioni civili ed economiche. Un dialogo va ripreso su basi differenti, nel rispetto delle libertà di coscienza.
La collocazione politica dei cattolici costituisce un problema secondario, per certi versi irrilevante. Galli della Loggia ha scritto che il centro non è il luogo del loro destino genetico, e tantomeno la sinistra. De Rita si è chiesto chi potrebbe essere il nuovo federatore di tante anime sparse disordinatamente. La politica verrà. Per ora possiamo dire che sarebbe un imperdonabile errore se lo slancio partecipativo dei cattolici, palpabile nel fermento di molte associazioni e componenti, si esaurisse in una sterile discussione di schieramento. Quello che ci si aspetta da loro è un contributo decisivo nella formazione di una classe dirigente di qualità che persegua l’interesse comune. Un esempio di etica pubblica da trasmettere ai giovani frastornati e delusi da una stagione di scialo economico e morale. La costruzione di un futuro che coniughi solidarietà e competitività.
L’idea dell’impegno, del sacrificio e dello studio come assi portanti della società. Un maggior rispetto per le istituzioni, a cominciare naturalmente dalla famiglia, sopraffatte da un individualismo dilagante e cinico. Quel cinismo «che va a nozze con l’opportunismo», come ha scritto bene sull’ Avvenire di ieri Francesco D’Agostino. I cattolici promuovano un dialogo senza pregiudizi con gli altri, come è accaduto nei momenti più bui della storia del nostro Paese. Il loro apporto sarà decisivo nella misura in cui saranno se stessi, senza mimetizzarsi e perdersi in altre case apparentemente ospitali. Possono essere maggioranza nel dibattito delle idee, pur restando minoranza nel Paese.
La lettera aperta
Il confronto può partire dal tema antropologico
Il Pd, partito di credenti e non credenti, pronto a discutere della crisi italiana, della tenuta dell’unità della nazione, della «sostanza etica» della democrazia
di Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti, Giuseppe Vacca (l’Unità, 17.10.2011)
La manipolazione della vita, originata dagli sviluppi della tecnica e dalla violenza insita nei processi di globalizzazione in assenza di un nuovo ordinamento internazionale, ci pongono di fronte ad una inedita emergenza antropologica. Essa ci appare la manifestazione più grave e al tempo stesso la radice più profonda della crisi della democrazia. Germina sfide che esigono una nuova alleanza fra uomini e donne, credenti e non credenti, religioni e politica. Pertanto riteniamo degne di attenzione e meritevoli di speranza le novità che nel nostro Paese si annunciano in campo religioso e civile.
A noi pare che negli ultimi anni un periodo storico cominciato con la crisi finanziaria del 2007 e in Italia con il crepuscolo della seconda Repubblica mentre la Chiesa italiana si impegnava sempre più a rimodulare la sua funzione nazionale, un interlocutore come il Partito democratico sia venuto definendo la sua fisionomia originale di «partito di credenti e non credenti». Sono novità significative che ampliano il campo delle forze che, cooperando responsabilmente, possono concorrere a prospettare soluzioni efficaci della crisi attuale. Il terreno comune è la definizione della nuova laicità, che nelle parole del segretario del Pd muove dal riconoscimento della rilevanza pubblica delle fedi religiose e nel magistero della Chiesa da una visione positiva della modernità, fondata sull’alleanza di fede e ragione.
Nel suo libro-intervista Per una buona ragione, Pier Luigi Bersani afferma che il «confronto con la dottrina sociale della Chiesa» è un tratto distintivo della ispirazione riformistica del Pd e che la presenza in Italia «della massima autorità spirituale cattolica» può favorire il superamento del bipolarismo etico che in passaggi cruciali della vita del Paese ha condizionato negativamente la politica democratica. Ribadendo la «responsabilità autonoma della politica», Bersani esprime una opzione decisa per una sua visione «che non volendo rinunciare a profonde e impegnative convinzioni etiche e religiose, affida alla responsabilità dei laici la mediazione della scelta concreta delle decisioni politiche».
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica vi sono due punti della relazione del cardinale Bagnasco alla riunione del Consiglio permanente dei vescovi del 26-29 settembre 2011 che meritano particolare attenzione. Il primo riguarda la critica della “cultura radicale”: essa è rivolta a quelle posizioni che, «muovendo da una concezione individualistica», rinchiudono «la persona nell’isolamento triste della propria libertà assoluta, slegata dalla verità del bene e da ogni relazione sociale». Il secondo è la proposta di nuove modalità dell’impegno comune dei cattolici per contrastare quella che in una precedente occasione aveva definito «la catastrofe antropologica»: «La possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica».
E non è meno significativa la sua giustificazione storica: «A dar coscienza ai cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza esterna, ma i valori dell’umanizzazione sempre di più richiamano anche l’interesse di chi esplicitamente cattolico non si sen- te». In altre parole, la “possibilità” di questo nuovo soggetto origina dall’impegno sociale e culturale del laicato, nel quale i cattolici sono «più uniti di quanto taluno vorrebbe credere» grazie alla bussola che li guida: la costruzione di un umanesimo condiviso. La definizione della nuova laicità e l’assunzione di una responsabilità più avvertita della Chiesa per le sorti dell’Italia esigono uno sviluppo dell’iniziativa politica e culturale volta non solo a interloquire con il mondo cattolico, ma anche a cercare forme nuove di collaborazione con la Chiesa, nell’interesse del Paese. A tal fine appare dirimente il confronto su due temi fondamentali del magistero di Benedetto XVI che nell’interpretazione prevalente hanno generato confusioni e distorsioni tuttora presenti nel discorso pubblico: il rifiuto del “relativismo etico” e il concetto di “valori non negoziabili”. Per chi dedichi la dovuta attenzione al pensiero di Benedetto XVI non dovrebbero sorgere equivoci in proposito.
La condanna del “relativismo etico” non travolge il pluralismo culturale, ma riguarda solo le visioni nichilistiche della modernità che, seppur praticate da minoranze intellettuali significative, non si ritrovano a fondamento dell’agire democratico in nessun tipo di comunità: locale, nazionale e sovranazionale. Il “relativismo etico” permea, invece, profondamente, i processi di secolarizzazione, nella misura in cui siano dominati dalla mercificazione. Ma non è chi non veda come la lotta contro questa deriva della modernità costituisca l’assillo fondamentale della politica democratica, comunque se ne declinino i principi, da credenti o da non credenti. D’altro canto, non dovrebbero esserci equivoci neppure sul concetto di “valori non negoziabili” se lo si considera nella sua precisa formulazione. Un concetto che non discrimina credenti e non credenti, e richiama alla responsabilità della coerenza fra i comportamenti e i principi ideali che li ispirano. Un concetto che attiene, appunto, alla sfera dei valori, cioè dei criteri che debbono ispirare l’agire personale e collettivo, ma non nega l’autonomia della mediazione politica. Non si può quindi far risalire a quel concetto la responsabilità di decisioni in cui, per fallimenti della mediazione laica, o per non nobili ragioni di opportunismo, vengano offese la libertà e la dignità della persona umana fin dal suo concepimento. Ad ogni modo, se nell’approccio alle sfide inedite della biopolitica ci sono stati e si verificano equivoci e cadute di tal genere non solo in scelte opportunistiche del centrodestra, ma anche nel determinismo scientistico del centrosinistra, la riaffermazione del valore della mediazione laica che sembra ispirare «la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica» rischiara il terreno del confronto fra credenti e non credenti. Quindi dipenderà dall’iniziativa culturale e politica delle forze in campo se quella “possibilità” acquisterà un segno progressivo o meno nella vicenda italiana. A tal fine noi riteniamo che il Pd debba promuovere un confronto pubblico con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose operanti in Italia oltre che sui temi cosiddetti “eticamente sensibili”, su quelli che attengono in maniera più stringente ai rischi attuali della nazione italiana: la tenuta della sua unità, la “sostanza etica” del regime democratico. Tanto sull’uno, quanto sull’altro, la storia dell’Italia unita dimostra che la funzione nazionale assolta o mancata dal cattolicesimo politico è stata determinante e lo sarà anche in futuro.
Sul quotidiano dei vescovi "Avvenire" il documento di quattro intellettuali di formazione marxista: Barcellona, Sorbi, Tronti e Vacca
"Laicità e relativismo, Bersani ascolti il Papa" *
TODI - La sinistra collabori con la Chiesa, nell’interesse dell’Italia. L’invito a farlo proviene da quattro noti intellettuali di formazione marxista, ed è partito ieri con una lettera aperta pubblicata sul quotidiano dei vescovi Avvenire. Il documento è firmato da Paolo Sorbi, Pietro Barcellona, Mario Tronti e Giuseppe Vacca. Il titolo scelto, con le foto dei quattro studiosi, è "Nuova alleanza per l’emergenza antropologica".
Sorbi, Barcellona, Tronti e Vacca esortano il Pd, e il suo segretario Pierluigi Bersani, a fare i conti con l’insegnamento di Benedetto XVI sulla insopprimibile dignità della vita umana e sul primato della persona, «cercando di andare oltre tutti gli steccati». «La definizione della nuova laicità - spiegano - e l’assunzione di una responsabilità più avvertita della Chiesa per le sorti dell’Italia, esigono uno sviluppo dell’iniziativa politica e culturale volta non solo a interloquire con il mondo cattolico, ma anche a cercare forme nuove di collaborazione con la Chiesa, nell’interesse del Paese». Annota Sorbi sul quotidiano della Cei, alla vigilia dell’incontro di Todi, che «il rischio incombente per un centrosinistra rassegnato a seguire derive radicali è di non riuscire a elaborare una cultura di governo all’altezza delle gigantesche sfide del nostro tempo». (m.ans.)
* la Repubblica, 17.10.2011
La sinistra di papa Ratzinger
risponde Furio Colombo
Caro Colombo,
che cosa pensi dei marxisti che si sono schierati con Ratzinger teologo e docente della verità unica e rivelata e nemico assoluto del relativismo?
Severino
PENSO che la solitudine sia uno dei problemi più gravi della nostra epoca, non tanto e non solo nella vita di tutti giorni ma, in particolare, dentro ogni schieramento o gruppo detto, per una ragione o per l’altra, “di sinistra”. Mi pare di capire che coloro che si sentono o si dichiarano ancora “marxisti” siano ancora più soli. E poiché il marxismo, di cui non puoi parlare più con nessuno, non era una filosofia della discussione, ma la definizione di principi ritenuti scientifici, dunque ovviamente predicati per essere creduti, non per aprire il dibattito, si può capire il percorso. Questo potrebbe essere un modo un po’ banale, ma utile, per spiegare i pensatori marxisti e ratzingeriani.
Però le persone in questione - Barcellona, Tronti, Sorbi e Vacca - non sono seconda fila e non si possono immaginare come parte di un pacchetto di viaggio in gruppo. Detto questo, il problema è di più difficile, non di più facile soluzione. Infatti, niente è più assoluto dell’assolutismo di Ratzinger. Nel suo insegnamento non c’è spazio per la minima flessione di principi rigidi e al di sopra di ogni negoziazione. Al punto che tutti devono credere e obbedire e far diventare legge dello Stato o proibizione assoluta il suo insegnamento (di Ratzinger, non della Chiesa, o almeno non della storia della Chiesa) oppure sono fuori.
Ecco, credo che il timore di questo “fuori” e, più ancora, il senso di solitudine che si respira in aree che furono di sinistra, siano la grande spinta, più caratteriale che teologica, verso l’affollato vascello del Papa. Certo, molti si imbarcano solo per convenienza. Qui credo che la parola giusta, dopo tanto gelo nel “day after” del post-marxismo, sia consolazione. La consolazione, comprensibile e umana, di essere parte, con qualcuno, di qualcosa. Era da tanto tempo che un marxista non poteva concedersi questa consolazione. Così tanto che si può spiegare (o almeno capire) l’inspiegabile.
* il Fatto, 13.11.2011
Ricostruzione, identità del Pd e questione antropologica
L’emergenza educativa è un grande tema nazionale che il programma per il 2013 deve affrontare con forza
Non si tratta solo dei fondi da destinare alla ricerca ma di assumere impegni sul profilo culturale del Paese
di Giuseppe Vacca (l’Unità, 17.05.2012)
Le turbolenze dell’economia mondiale e l’incertezza sul se e quali riforme si potranno varare in questo scorcio di legislatura fanno pensare che l’emergenza nazionale, da cui ha avuto inizio il governo Monti, non sarà superata con le elezioni del 2013. Tralascio gli aspetti internazionali, sui quali l’Italia può influire in misura limitata: la molteplicità dei fenomeni che sinteticamente chiamiamo crisi, origina, in ultima analisi, dalla insostenibilità per l’Occidente del dualismo competitivo fra euro e dollaro. Ma, quanto alla politica italiana, che situazione si profila sei mesi dopo la nascita dell’attuale governo?
Mi pare che i risultati delle elezioni amministrative rivelino la profondità della crisi del centrodestra: la rivelano, non la generano, e fanno comprendere meglio perché si sia giunti a un governo di emergenza nazionale. Tutti sembrano riconoscere che il Partito democratico sia il solo partito rimasto in piedi. Ma perché? Una prima risposta è nella centralità conquistata dal Pd nel gioco politico fin dall’estate del 2010: una centralità che continua e lo ha portato a essere il principale sostegno del governo attuale. Quando, nel 2010, il Popolo della libertà perse le elezioni regionali a vantaggio della Lega, originando una crisi d’egemonia di Berlusconi nella sua stessa coalizione, fu a mio avviso determinante che il Pd, appena uscito dal travaglio della successione dei suoi due primi segretari, si proponesse come forza politica essenziale per qualunque soluzione della crisi della Seconda Repubblica: fossero le elezioni anticipate, ovvero un governo di Grande coalizione senza Berlusconi, come poi sarebbe avvenuto.
Questa sommaria ricapitolazione mostra anche quale sia oggi la sua missione: quella di indicare un cammino che, attraversando le elezioni del 2013, consenta innanzitutto alle forze che sostengono il governo Monti, comunque riconfigurate dal passaggio elettorale, di condividere chi dal governo, chi dall’opposizione gli oneri di una situazione di emergenza di cui nessuno può prevedere la fine.
Naturalmente la sorte della prossima legislatura non dipende solo dal Partito democratico, ma qui mi preme porre l’accento su quanto esso può contribuire a determinarla. La sfida chiama in causa la sua ispirazione originaria, ovvero le ragioni per cui è riuscito ad operare come un partito nazionale e popolare. Io credo che fra queste abbia un ruolo determinante la sua matrice di partito laico fondato sulla collaborazione di credenti e non credenti. Il paesaggio politico e culturale della Seconda Repubblica appare sempre più simile a un territorio devastato da una guerra. Non può sorprendere, quindi, che il mondo cattolico sia riemerso come grande riserva intellettuale e morale della vita del Paese. Ma se la Chiesa italiana ha potuto assumere con rinnovata energia una funzione nazionale, se ha potuto essere un fattore determinante della fine di Berlusconi, a me pare che la sua azione sia stata favorita dalla presenza di un nuovo partito riformista, in cui il riformismo cattolico ha un ruolo significativo e che, nel suo insieme, è orientato a valorizzare il contributo del cattolicesimo politico alle sorti dell’Italia.
Nella messa a punto della proposta politica per la prossima legislatura a me pare che questo elemento fondamentale della figura del Pd debba esprimersi con ricchezza. Un primo tema riguarda la possibilità che sia una legislatura costituente, ma di questo mi propongo di parlare in un’altra occasione. Qui vorrei soffermarmi, invece, su un tema sensibile della ricostruzione culturale e morale della vita nazionale: il tema dell’«emergenza educativa». È auspicabile che sia un tema centrale nella messa a punto del programma annunciato da Bersani per l’autunno. Credo che sia il tema che meglio di qualunque altro può manifestare quale sia la nostra visione della società italiana e la nostra capacità di renderla concreta.
In estrema sintesi, non si tratta solo delle risorse che ci proponiamo di destinare alla ricerca e alla formazione, né delle priorità che scandiranno la nostra agenda della spesa. Si tratta di assumere impegni chiari sul profilo culturale della nazione italiana, che potrebbero riassumersi in un progetto per una società educante. Istruzione e educazione non si possono separare. La formazione della persona è una combinazione di conoscenze e motivazioni dipendenti dall’equilibrio fra autorità e libertà nel processo educativo. La concezione e il ruolo della famiglia è quindi centrale, ma dipende a sua volta dalla sintonia o dalla disarmonia morale che determina i rapporti fra tutte le «agenzie» educative e formative.
Un progetto di «società educante» esige, quindi, una nuova alleanza tra la famiglia, la scuola, le confessioni religiose, i mezzi di comunicazione sociale, le organizzazioni del tempo libero. Ne abbiamo parlato, giorni fa, in un incontro dedicato ai temi dell’emergenza antropologica, sui quali suscitò una certa attenzione la lettera aperta sottoscritta da Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti e da me lo scorso ottobre. Mi auguro che la discussione possa proseguire in pubblico.
Todi e i rischi di una Cosa bianca
di Aldo Maria Valli (“Europa” , 15 ottobre 2011)
Il forum delle associazioni di ispirazione cattolica che si riunirà lunedì a Todi ha un nome significativo: “La buona politica per il bene comune”.
Dopo anni e anni di berlusconismo e quindi di politica ridotta a strumento di affari privati e di nefandezze morali, non c’è persona sensata che non si ponga il problema di come tornare a una politica sana. Il che non vuol dire sognare a occhi aperti un impossibile mondo politico senza lotta fra posizioni diverse, ma semplicemente lavorare per il ritorno di un confronto al cui centro ci sia la res publica e non la res privata del sultano di turno.
Il confronto di Todi sarà, come si suol dire, a vasto raggio, e anche questo è un bene. C’è bisogno di guardarsi in faccia e parlare di tutto ciò che concerne questo paese da troppo tempo abbandonato a se stesso: la condizione giovanile, le famiglie, la crisi demografica, il lavoro, i meccanismi di selezione della classe politica e di espressione della volontà popolare, la stretta interdipendenza (espressamente proclamata dalla dottrina sociale della Chiesa) fra moralità individuale e ruolo pubblico.
Gli interventi saranno articolati in tre sezioni (valori, economia, politica), con discussione introdotta da Lorenzo Ornaghi, Corrado Passera, Stefano Zamagni, Vittorio Emanuele Parsi e Giuseppe De Rita. Il coordinamento e le conclusioni saranno a cura di Cisl (Bonanni), Movimento cristiano lavoratori (Costalli), Confartigianato (Guerrini), Coldiretti (Marini), Confcooperative (Marino), Acli (Olivero) e Compagnia delle opere (Scholz).
L’introduzione generale sarà tenuta da Natale Forlani, portavoce del Forum, mentre le conclusioni saranno affidate a Raffaele Bonanni.
All’inizio dei lavori del seminario ci sarà una prolusione affidata al presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, e questa scelta non è facilmente comprensibile alla luce della necessaria laicità dell’avvenimento: sa tanto di ipoteca clericale su un incontro nel quale i protagonisti sono i laici cattolici impegnati nelle varie realtà associative. Niente di personale contro il presidente dei vescovi, ma lui ha già parlato (e molto chiaramente) davanti al consiglio permanente della Cei, appropriata sede istituzionale per le sue valutazioni.
Perché intervenire anche a Todi, mettendo così un timbro clericale sull’intera giornata? Possibile che il laicato cattolico non sappia fare da solo, senza bisogno di questa permanente tutela? Il ruolo assegnato al presidente dei vescovi, inoltre, è già espressione, di per sé, di un indirizzo politico: collocare il ritrovato attivismo cattolico nel solco di un clerico-moderatismo che sembra pensato più per consentire una ricollocazione di soggetti cattolici bruciati, o quasi, dal contatto prolungato con Berlusconi che non per disegnare davvero un progetto per l’Italia intera e soprattutto per il suo domani, incarnato da tanti giovani privi di prospettive.
Ora, qual è il contributo che i cattolici possono dare alla rinascita del paese? Un’ammucchiata clerico-moderata, condita di “curialese” e distillata in base a un ecumenismo imposto dall’alto o la libertà di dire le cose come stanno e di chiamarle con il loro nome, per una chiara denuncia delle ingiustizie e un altrettanto chiara richiesta di svolta? Su Todi ci sono molte attese, forse esagerate. Scomposizione e ricomposizione sono parole suadenti, ma nessuno sa, in questo momento, che cosa possano dire in concreto. Né possono aiutare la precisazione del segretario Cei Mariano Crociata («Non abbiamo nessun partito cattolico da organizzare o da proporre», e ci mancherebbe) o il mantra di papa Benedetto che a ogni visita in Italia (l’ultima in Calabria) ripete l’appello «per una nuova generazione di uomini e donne capaci di promuovere non tanto interessi di parte ma il bene comune». Fin qui ci siamo.
Ma che cosa si vuol fare? Si vocifera di Ppe italiano, ma che vuol dire? Tanti anni fa Pietro Scoppola spiegò molto bene qual è la differenza che sta a cuore a cristiani: quella tra chi vive la solidarietà e la partecipazione come sfida esigente dell’operare quotidiano “nell’ambito delpossibile” e chi invece li considera inutili ingombri; quella fra chi concepisce la politica come coinvolgimento e responsabilità e chi invece, al di là dei proclami, la vede come strumento per farsi gli affari propri; quella fra chi parla di questione morale e chi vive la questione morale. Questa è la differenza che conta.
Il Pdl e i suoi alleati più o meno prezzolati hanno corroso l’impalcatura ideale su cui è stata costruita la Costituzione. In mezzo a tanta incertezza, chiaro è dunque il rischio che si profila: un Pdl in salsa cattolica con timbro vaticano. Una “Cosa bianca”, irrimediabilmente vecchia e ben poco attraente, rispetto alla quale i cattolici hanno un solo dovere: opporsi.
Todi, la carovana cattolica
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 15 ottobre 2011)
Lunedì, a Todi, si riunisce la carovana cattolica. Un’assemblea mai vista dal dopoguerra ad oggi. Oltre cento rappresentanti. Per la prima volta saranno insieme tutte le principali sigle dell’area bianca. Sia le associazioni storiche dall’Azione cattolica alla Cisl o ben istituzionalizzate come la Compagnia delle Opere (ciellina) sia i “cammini” più strettamente religiosi come Rinnovamento dello Spirito, i Neocatecumenali, Sant’Egidio, i Focolarini. E molti altri gruppi, piccole associazioni e singole personalità erano prontissime a partecipare.
E questo è il primo dato. Mentre il teatro politico guarda agli sbocchi partitici o meno dell’iniziativa, c’è un mondo ramificato cattolico - disgustato dalla palude berlusconiana, stanco dell’alleanza privilegiata protrattasi per troppo tempo tra Vaticano e governo di centrodestra, represso dal verticismo di vent’anni di ruinismo - che istintivamente vuole partecipare alla rinascita del Paese.
IL SECONDO dato è l’interesse sociale di movimenti nati in un’ottica prevalentemente spirituale: come i pentecostali di Rinnovamento dello Spirito e i Neocatecumenali. L’appello del presidente Cei cardinale Bagnasco a “purificare l’aria” ha elettrizzato molte energie rimaste a lungo in sonno. In molti casi questa realtà magmatica è la stessa che ha contribuito alla vittoria dei referendum sull’acqua e contro la legge salva-Berlusconi del “legittimo impedimento”. È un mondo impaziente di mettersi in marcia per ridare una direzione all’Italia, anche se i traguardi operativi sono ancora incerti. La riunione di Todi, che il cardinale Bagnasco aprirà, ha molte radici.
Già due anni fa il ministro Sacconi progettava di creare un “blocco sociale cattolico” da contrapporre alla “sinistra sociale”. È seguita una breve stagione in cui esponenti della gerarchia guardavano a Tremonti come capofila di un centrodestra fatto di cattolici e liberali attenti alla dottrina della Chiesa.
Ma l’evento che ha messo definitivamente in moto la carovana cattolica è stato il 14 dicembre dell’anno scorso, quando Fini (dopo Casini) ha abbandonato il governo e l’asse Berlusconi-Bossi si è dimostrato totalmente incapace di governare la crisi. Da gennaio il Forum delle associazioni cattoliche del mondo del lavoro (Acli, Cisl, Coldiretti, Compagnia delle Opere, Confartigianato, Confcooperative, Mcl) ha cominciato a progettare un’azione comune. Così è nato a luglio il “Manifesto per una buona politica” e dopo il disastro delle cinque manovre economiche si è deciso di chiamare a raccolta il mondo cattolico intero.
Anche chi era filoberlusconiano si è convinto che il premier è finito e soprattutto che non ha dato niente al mondo cattolico, specie in termini di tutela delle famiglie. A porte chiuse persino il ciellino Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere, sbeffeggia l’onorevole ciellino Lupi perché si sgola ancora in difesa di Berlusconi.
SULLA TABELLA di marcia la carovana è piuttosto divisa. C’è chi avrebbe preferito, come il presidente di Confcooperative Luigi Marino, un salto coraggioso: un appello ai liberi e forti di sturziana memoria per fondare ex novo con le energie cattoliche un partito moderato non confessionale nel nome della “modernizzazione del Paese”. Sostiene Marino che in questa fase “bisogna concentrare le forze e offrire all’Italia un soggetto concreto”. Qualcosa di meglio delle alchimie politiche di vertice. Ma è una posizione minoritaria.
La linea prevalente è di lavorare per un blocco pre-politico in grado di presentare a tutto l’arco delle forze politiche un’agenda specifica su cui confrontarsi. “Pochi temi, con rivendicazioni precise, quasi bozze di disegno di legge su cui i partiti non possano che rispondere con un sì o con un no”, spiega il presidente aclista Olivero. In quest’ottica, dopo Todi, il Forum dovrebbe darsi articolazioniterritoriali nelle regioni italiane.
Ancora diversa è la posizione di Andrea Riccardi, leader di Sant’Egidio. Favorevole a programmare un lavoro culturale di lungo respiro. “Bisogna iniziare un processo per elaborare idee”, sottolinea. Comune alla maggioranza è la richiesta di una legge elettorale proporzionale. “Per scardinare gli attuali schieramenti”, ammette sinceramente un esponente del Forum.
Propulsore dell’iniziativa è il leader cislino Raffaele Bonanni, che chiuderà i lavori di Todi. A lui interessa creare una massa di manovra da giocare sul tavolo della transizione verso la Terza Repubblica con un governo di “grandi intese”. È un deus ex machina un po’ ammaccato. Ha regalato tutto alla Fiat, ma la mitica Fabbrica Italia sta a zero. Ha avallato la linea Sacconi dei licenziamenti facili e stendendosi sulla linea Marchionne ha finito per favorire lo scardinamento della Confindustria. Troppo ambizioso per aprire una pagina nuova.
L’unità culturale dei cattolici non produrrà una «nuova DC»
di Roberto Monteforte (“l’Unità”, 14 ottobre 2011)
A Todi non ci sarà nessuna fondazione di un nuovo partito cattolico. Almeno per ora. È questa l’unica certezza su quanto accadrà lunedì prossimo, 17 ottobre, al seminario che nel convento francescano di Montesanto vedrà ritrovarsi «rigorosamente a porte chiuse» le tante anime dell’associazionismo cattolico per discutere della «buona politica per il bene comune». L’incontro che era stato promosso lo scorso 19 luglio dal Forum delle persone e delle associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro, ha cambiato natura. Soprattutto dopo le parole pronunciate dal presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco nella sua prolusione al Consiglio permanente con il suo «invito» ai laici cattolici a farsi «nuovo soggetto sociale e culturale» chiamato a dialogare con la politica.
Ora i riflettori sono puntati su Todi. Ci saranno tutti: dal Movimento cristiano lavoratori, alla Confartigianato, dalla Coldiretti, Confcooperative, alle Acli, alla Compagnia delle opere, alla Cisl ed anche i movimenti e le associazioni ecclesiali, dall’Azione cattolica e alla comunità di sant’Egidio, ai Focolarini. Realtà cattoliche molto diverse per storia e vocazione si confronteranno sul «bene comune». Discuteranno di come portare nella società italiana valori, proposte e progetti utili per affrontare la crisi morale oltre che materiale che vive il Paese e ridargli speranza.
Lo spiega il presidente dell’Azione Cattolica, professor Franco Miano. «Il paese ha bisogno di esercizi di dialogo e di impegno comune. Serve un nuovo patto educativo per ristabilire una base condivisa di valori per poi passare all’azione, e mettere al centro concetti come lavoro, famiglia, giustizia sociale, legalità, sviluppo del mezzogiorno». Dall’incontro di Todi ci si aspetta «uno spirito d’apertura al confronto e alla ricerca tra esperienze di impegno diverse come sono diverse». Sul dopo? «Non abbiamo risposte predefinite» scandisce il presidente dell’Azione cattolica. «Prima vi è da far maturare tra i cattolici un “nuovo sentire” che abbia al centro il bene comune, come ha detto Papa Benedetto XVI a Lamezia Terme, libero da interessi di parte. Poi si vedrà quale sarà la forma anche organizzativa più utile per far maturare un legame più stretto tra i cittadini e le istituzioni, per concorrere alla rinascita del Paese e vincere la rassegnazione».
Cosa partorirà l’appuntamento di Todi? «Nessuna “cosa bianca”». Lo assicura al settimanale Famiglia Cristiana il fondatore della Comunità di sant’Egidio, Andrea Riccardi. Per lo storico cattolico, molto accreditato anche Oltretevere, all’«orizzonte non vi è nessuna strategia per costruire una organizzazione, neppure di pressione sulla politica. Insomma nessun Comitato civico e nessun leader da legittimare». Ci vuole tempo. Così Riccardi raffredda le aspettative di chi punta alla fondazione di un partito cattolico moderato come risposta alla crisi del belusconismo.
Vi è molta attesa per quanto dirà al Forum, il cardinale Bagnasco. Parlerà in mattinata. Sarà l’unico intervento di un prelato. Poi la parola passerà al laicato cattolico e agli ospiti. Nessun politico è stato invitato. I lavori si articoleranno in tre sezioni: sui valori, sull’economia e sulla politica. Saranno introdotte da Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica, dall’amministratore delegato di Banca Intesa, Corrado Passera, dall’economista Stefano Zamagni, dal sociologo Giuseppe De Rita.
Le conclusioni saranno di Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl. Sarà un parterre significativo. Avere scelto come interlocutori il professor Ernesto Galli della Loggia, il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli e il banchiere Corrado Passera fa pensare al mondo cattolico che archiviato il rapporto privilegiato con gli «atei devoti » tanto cari al cardinale Ruini, pensi invece ad un rapporto privilegiato con la «borghesia liberale». Sarà un’apertura politica alla «terza forza »? È presto per dirlo. Il mondo cattolico alle prese con gli effetti della crisi, non pare favorevole a soluzioni moderate, alla «Sacconi», il ministro del welfare ora in rotta con Bonanni, che sabato 15 novembre si ritroverà a Norcia con i «cattolici» del Pdl.
Il confronto in vista di Todi
I cattolici, una risorsa per un’Italia più giusta
Il Pd sappia ascoltare
L’appuntamento di lunedì è una novità per tre ragioni: si incontrano associazioni lontane e diverse, è un’iniziativa del tutto autonoma, cade nel momento più acuto di crisi
di Luigi Bobba (l’Unità, 15.10.2011)
L’appuntamento dei movimenti cattolici a Todi è ormai alle porte. Solita minestra riscaldata o occasione per lanciare un nuovo partito di cattolici? Né l’una,né l’altra cosa. Piuttosto un incontro inedito per almeno tre caratteristiche. È la prima volta che nell’ultimo decennio si ritrovano insieme associazioni storiche come le Acli o l’Azione cattolica; movimenti ecclesiali, come S.Egidio o Rinnovamento nello Spirito; nonché le realtà organizzate del mondo del lavoro con radici nella dottrina sociale della Chiesa come la Cisl, la Coldiretti o Confcooperative. Già questa pluralità manifesta un carattere del cattolicesimo italiano: una realtà popolare che, pur dentro la secolarizzazione, ha conservato radici profonde nella vita quotidiana di molte comunità del nostro Paese.
In secondo luogo questo incontro nasce dall’autonoma iniziativa di movimenti e organizzazioni laicali anche se ha trovato una singolare risonanza nelle recenti parole del cardinale Bagnasco: «Sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte la possibilità di un soggetto sociale e culturale di interlocuzione con la politica che coniugando strettamente l’etica della vita e l’etica sociale sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie o ingenue illusioni». Le parole sono misurate ma inequivocabili tanto da non lasciare dubbi che vi sia da parte della gerarchia la tentazione o il tentativo di far rinascere la Democrazia Cristiana.
La terza novità è data dal contesto in cui si inserisce l’appuntamento di Todi. Dopo le Settimane sociali della fine del 2010 a Reggio Calabria, che avevano registrato già un singolare effervescenza, era parso a molti che quelle energieprovenienti dalle parrocchie, dai movimenti e dalle associazioni,non avessero trovato una qualche forma di continuità.
Ora, un po’ come un fiume carsico, quelle energie tornano a rendersi visibili proprio quando il centrodestra, che aveva raccolto il consenso di tanti cattolici praticanti, conosce la sua crisi più acuta. Ma quale esito potrà avere questo incontro? Potrei cavarmela con il felice slogan di Andrea Riccardi : «Coraggio, fratelli d’Italia». Che significa che vi sono tante persone che amano l’Italia, che sono pronte ad assumersi responsabilità di fronte alla grave crisi del Paese per colmare la distanza sempre più evidente tra la politica e i cittadini.
E infine, quale atteggiamento può assumere il Pd di fronte a queste novità dell’arcipelago cattolico? Spesso non si hanno orecchie attente ad ascoltare e comprendere questi movimenti che attraversano le viscere del Paese. Talvolta vi è persino una diffidenza, alimentata da radicati pregiudizi laicisti, per cui si finisce per ascrivere ciò che si muove sul terreno della religione sempre al centrodestra.
Non bisogna avere fretta, né tanto meno pensare subito al bottino elettorale. Proprio i cattolici, che insieme ad altri hanno contribuito a scrivere la Costituzione e a tessere la rete delle istituzioni democratiche, possono ancora essere una risorsa per chi vuole un Paese insieme più libero e più giusto, più equo e più orientato al merito, più aperto alle sfide globali ma non privo di una solida identità.
Forse servirebbero dentro al Pd luoghi non recintati e strumenti appropriati per intessere un rapporto non episodico, né strumentale con questi mondi.
Una grande forza riformatrice, popolare e nazionale ha bisogno anche di queste energie e ha il compito di formulare una proposta convincente e coerente con i valori di questa parte dell’elettorato. C’è il rischio, che in parte è già realtà, che i cattolici, anche quelli impegnati e praticanti, si rifugino nell’astensionismo e nel non voto, non trovando un’offerta politica adeguata.
Così, all’apice della crisi del berlusconismo, questo elettorato in progressivo distacco dal centrodestra, potrebbe rivelarsi decisivo per un cambio di stagione. Ben venga dunque l’iniziativa di Todi se saprà mobilitare energie sociali e culturali nascoste o demotivate e obbligherà i soggetti della politica a misurarsi in modo inedito con questa singolare carattere della società italiana.