La democrazia, l’antinomia istituzionale del mentitore e la catastrofe culturale italiana....

UMBERTO ECO E IL POPULISMO DI "FORZA ITALIA". Un’intervista di Marcelle Padovani (2002) e un’intervista di Deborah Solomon (2007) - a cura di pfls

Un elegante palazzo milanese di fronte al castello sforzesco, costruito nel XIV secolo, del quale scorge la splendida torre medioevale dalla finestra del suo studio.
domenica 25 novembre 2007.
 


Intervista a Umberto Eco

Vi scrivo dal medio evo

-  "Baudolino" esce in Francia e l’autore svela alcuni retroscena del suo ultimo romanzo
-  La recensione di ’Civiltà cattolica’ che lamenta il poco credito dato alla fede ha una sua logica: sono stato anche tacciato di eresia

-  La Padania è una pura e semplice fantasmagoria inventata dieci anni fa dalla Lega Nord di Umberto Bossi
-  "Avevo pensato a una trama con alcuni giornalisti in cerca di scoop, poi ho cambiato"

di MARCELLE PADOVANI *

Milano. Un elegante palazzo milanese di fronte al castello sforzesco, costruito nel XIV secolo, del quale scorge la splendida torre medioevale dalla finestra del suo studio. Una casa in cui si respirano il gusto del benessere borghese e la passione di un grande collezionista. Ventun anni dopo Il nome della rosa, Umberto Eco ha ritrovato il suo adorato Medio Evo in un romanzo che è anche la sua opera più personale: Baudolino. In quel turbine di erudizione medioevale messo al servizio del feuilleton popolare, racconta, lungo i quaranta capitoli, ciascuno dei quali costituisce come un romanzo a sé, le avventure dell’eroe Baudolino, un contadino adottato dall’imperatore Federico Barbarossa nell’anno 1155. Scaltro, furbo, bugiardo, Baudolino segue il padrone in Europa, compie i suoi studi a Parigi, padroneggia altrettanto bene il basso latino e il greco, il tedesco e il provenzale, confonde volentieri «quel che vede e quel che vorrebbe vedere» (sarebbe bello averne una copia sottomano - e passare un paio di giorni a cercare la citazione originale). Scrive la famosa «lettera del prete Gianni», che lasciava sperare in un regno favoloso agli esploratori del suo tempo e che fece sognare Marco Polo e i viaggiatori d’Occidente. Racconto fantastico, picaresco e comico, Baudolino è un monumento di ottimismo, una celebrazione delle virtù dell’immaginazione e della menzogna.

Come Ulisse e Pinocchio, il vostro eroe Baudolino non si accontenta di mentire, ma tesse anche l’elogio della menzogna.

«Tutti i protagonisti del mio libro dicono che Baudolino è un bugiardo. Non è del tutto vero, perché i bugiardi vogliono travestire il passato. Baudolino, invece, mente sul futuro. E poi crede a quello che dice. Inventa storie che soddisfano la sua fantasia, il suo senso dell’utopia. Come Cristoforo Colombo che credeva di sbarcare nelle Indie, Baudolino si mette in testa di raggiungere le terre del mitico prete Gianni. Fabbrica quindi documenti falsi».

Che cos’è, per lei, la menzogna?

«Mentire non significa dire il falso, significa dire una cosa che si sa essere falsa. Quando Tolomeo diceva che il Sole ruota intorno alla Terra, diceva una cosa falsa ma non era un bugiardo. Il mio Baudolino affabula, ma ci crede ciecamente. Inventare è il suo modo di essere, il motore della sua esistenza».

Il Medio Evo è il motore della sua esistenza?

«La mia età dell’oro... Ho scritto Baudolino perché avevo in mente l’idea di un romanzo picaresco intellettuale, intorno a un personaggio che racconta e si racconta delle storie e che viaggia nelle enciclopedie medioevali come in un mondo reale. Cercherò di essere più concreto: come cammina uno sciapode, un essere che si regge su una gamba sola? Dove mette il piede? Prima a destra e poi a sinistra? O prima davanti e poi dietro? Dove ha il pene? Davanti? Di fianco? il genere di domande, molto pratiche, che mi ponevo scrivendo il libro. Per scovare la verità nella leggenda».

Il suo libro è profondamente ottimista. Che la menzogna sia un antidoto alla follia del mondo?

«Ma non ho voluto scrivere un elogio della menzogna. Volevo raccontare come, dal fantastico, si potesse accedere all’esistenza vera».

Baudolino, è vero, fabbrica documenti falsi, ma che fanno davvero la storia. Quanto tempo ha impiegato a scrivere questo libro?

«Cinque anni. I primi due anni ho pensato a una trama con dei giornalisti che fondavano un nuovo quotidiano e dovevano inventare degli scoop. Ma ho temuto che somigliasse troppo a Il pendolo di Foucault. Allora mi sono chiesto quale fosse stata la più grande soperchieria della storia. Risposta: la lettera del prete Gianni. Allora nella mia testa si è verificato un corto circuito, tra quell’idea del falso scoop e la leggenda della fondazione di Alessandria, la città in cui sono nato. Ecco perché ho scritto Baudolino. Sono sempre stato affascinato dalle false testimonianze e dai documenti falsi. D’altronde ho scritto dei saggi sulla nozione di falso e tenuto una conferenza sulla letteratura che si intitolava "la forza del falso". Il falso, spesso, produce storia».

Lei insegna, viaggia. Quando trova il tempo per scrivere?

«Lavoro in modo irregolare. Spesso d’estate, in campagna, durante le vacanze. Quando lavoro, o sono in viaggio, mi accontento di tappare gli interstizi. Infatti mi sposto molto tra Milano, dove vivo, Bologna, dove insegno, e il resto del mondo, dove mi chiamano per tenere conferenze e per parlare dei miei libri».

Che cosa ha pensato delle recensioni del suo libro apparse sulla stampa italiana? Per esempio di quella del giornale cattolico Civiltà cattolica, dove si lamenta che non venga dato nessun credito alla fede?

«Civiltà cattolica fa il suo mestiere. Per Il nome della rosa, ero stato addirittura accusato di empietà e di eresia. Sta di fatto che Baudolino è un romanzo décapant dal punto di vista delle religioni: le reliquie, le false teste di san Giovanni Battista, i teli che si dice abbiano asciugato il corpo di Cristo. Se Il nome della rosa raccontava il Medio Evo dei manoscritti, Baudolino mette in scena quello dei poveri, delle scimmie e dei nani. Carnascialesco».

Mi parli di Baudolino. Lo fa nascere in Padania, in Piemonte.

«La Padania è un’invenzione della Lega Nord di Umberto Bossi. La sue esistenza risale al massimo a una decina d’anni fa, è una pura e semplice fantasmagoria senza unità né geografica né linguistica. Parlare della Padania è come fare la metafisica dell’Ile-de-France. Il mio Baudolino è soprattutto un piccolo buono a nulla, un furfantello, un visionario che arriva perfino a invaghirsi di una capra».

L’Italia si è recentemente lanciata in una crociata contro gli immigrati, contro le moschee. Baudolino non milita contro quello spirito, esaltando la cooperazione tra cristiani, ebrei e musulmani?

«Il mio libro è uscito, in Italia, un anno prima dell’11 settembre. Quando sarà pubblicato negli Stati Uniti, la gente sarà sicuramente convinta che il personaggio di Aloadin sia stato ispirato da Bin Laden. Si può scrivere su qualcuno che cade da cavallo, ma il lettore penserà malgrado tutto che si tratti di un incidente aereo...».

La sua ironia è feroce.

«L’unico modo per prepararsi alla morte è convincersi che gli altri esseri umani sono dei fessi. Dall’idraulico che non riesce a riparare il lavabo, al sindaco che dispone un’illuminazione assurda sulla torre del castello sforzesco, lì davanti a lei. Se fossero intelligenti, sarebbero tutti professori di semiotica all’università di Bologna, no?».

In questo momento l’Italia sta attraversando un periodo strano...

«Certo. Tutti i giornalisti vengono a intervistarmi su Berlusconi. Rispondo loro che si occupa dei suoi interessi con successo. Il problema è quel 50% di Italiani che gli permette di farlo, e il rischio di contagio che può effettivamente colpire la Francia e la Germania. Questa maniera di considerare la politica come un’impresa pubblicitaria è un problema che riguarda tutto l’Occidente. Ma lasciamo che quest’esperienza mostri la sua nocività ed evitiamo in ogni caso di parlare di fascismo. E conserviamo il nostro sangue freddo. Le tecniche di governo del Signor Berlusconi sono delle tali mazzate che più le si critica e più si ha l’aria d’esser pazzi. Quell’uomo si adopera per dare a ciascuno di noi un’occasione al giorno per indignarci, e in questo modo finisce per far sgonfiare la protesta e la rabbia. Ma se io riuscissi a lanciare una sassata ogni mattina e a romperle ogni volta un vetro, sarebbe lei ad aver l’aria dell’imbecille. Non Berlusconi».

-  Copyright la Repubblica - Le Nouvel Observateur
-  traduzione di Elda Volterrani

* la Repubblica, 17 febbraio 2002


L’INTERVISTA.

-  L’allarme di Umberto Eco: dal futurismo
-  e dal fascismo in poi l’Italia è sempre stata un laboratorio

-  "Populismo e controllo totale dei media
-  rischio-Berlusconi anche in altri Paesi"

di DEBORAH SOLOMON *

SEBBENE la sua notorietà sia dovuta soprattuto al giallo letterario "Il nome della Rosa", lei è anche un prolifico commentatore in campo politico. Nei suoi saggi, recentemente raccolti sotto il titolo "A passo di gambero", ha lanciato l’allarme contro il pericolo di un "populismo mediatico". Come definirebbe questo termine?

"Il populismo mediatico consiste nel rivolgersi direttamente al popolo attraverso i media. Un politico che ha in mano i media può orientare il corso della politica al di fuori del Parlamento, e persino eliminare la mediazione parlamentare".

Il suo libro è in buona parte un attacco a Silvio Berlusconi, l’ex primo ministro italiano che ha usato il suo impero mediatico per i propri fini politici.

"Dal 1994 al 1995 e dal 2001 al 2006 Berlusconi è stato al tempo stesso l’uomo più ricco d’Italia, il presidente del Consiglio e il proprietario di tre reti televisive, avendo inoltre sotto il suo controllo le tre emittenti di Stato. È un fenomeno che potrebbe accadere, e forse è già in atto in altri Paesi, in base allo stesso meccanismo".

Ma qui in Usa abbiamo la Fcc (la Commissione Federale delle Comunicazioni , ndt) e altri organismi federali creati per impedire la formazione di monopoli che consentirebbero ai politici di controllare la stampa e i canali televisivi del Paese.

"E negli Stati Uniti esiste tuttora, almeno nei principi, una netta separazione tra i media e il potere politico".

Ma allora, perché pensa che non solo l’Italia, ma qualunque altro Paese corra il rischio di cadere sotto il dominio dei media da lei descritto?

"Se all’estero c’è tanto interesse per il caso italiano, è anche perché durante lo scorso secolo l’Italia è stata un laboratorio. A incominciare dai futuristi, che hanno lanciato il loro manifesto nel 1909, per passare al fascismo, sperimentato nel laboratorio italiano e migrato poi in Spagna, nei Balcani e in Germania"

Intende dire che l’idea della Germania nazista nasce dal fascismo italiano?

"Senza dubbio. Così dicono gli storici".

Ma forse solo quelli italiani.

"Se non le sta bene, non lo scriva; per me è indifferente".

Lei pensa dunque che l’Italia sia all’origine di entrambe le tendenze, sia in campo artistico - con la moda del futurismo - che in quello politico, col fascismo?

"Infatti. Perché no?".

Come considera il successore di Berlusconi, Romano Prodi, eletto l’anno scorso, che ha spostato l’asse del governo a sinistra?

"Prodi è un amico. Io lo apprezzo, ma penso che sia stato sopraffatto dai contrasti sorti all’interno della sua stessa maggioranza dopo la sua elezione. Berlusconi ha il vantaggio di essere un grosso attore. Prodi non è un attore; e questo non è un delitto, ma una debolezza".

È un intellettuale, cioè tutt’altro che un uomo d’affari?

"Sì. Prodi è stato docente di economia, e all’inizio degli anni 90 ha anche insegnato nell’ambito di uno dei miei programmi. Poi, all’improvviso, ha deciso di dedicarsi alla politica".

Si riferisce alla facoltà di Scienza delle comunicazioni all’università di Bologna, dove è docente di semiotica?

"Sono andato in pensione proprio questo mese. Ho 75 anni".

E non ha mai pensato di entrare in politica?

"No, perché credo che ognuno debba fare il suo mestiere."

Si considera in primo luogo uno scrittore?

"Penso di essere uno studioso che scrive romanzi, ma solo con la mano sinistra".

Mi chiedo se lei abbia letto il "Codice Da Vinci" di Dan Brown, in cui molti critici hanno visto una versione pop del suo romanzo "Il nome della rosa".

"Sono stato costretto a leggerlo, perché tutti mi facevano domande in proposito. Le rispondo che Dan Brown è uno dei personaggi del mio romanzo "Il pendolo di Foucault", in cui si parla di gente che incomincia a credere nel ciarpame occultista".

Ma sembra che lei stesso sia interessato alla cabala, all’alchimia e ad altre pratiche occulte di cui parla nel suo libro.

"No, nel pendolo di Foucault ho rappresentato quel tipo di persone in maniera grottesca. Ecco perché Dan Brown è una delle mie creature."

Per lei è importante che i suoi romanzi continuino a essere letti di qui a cent’anni?

"Scrivere un libro senza preoccuparsi della sua sopravvivenza sarebbe da imbecilli".

-  da The New York Times Magazine
-  copyright 2007 Deborah Solomon
-  (distribuito da New York Times Syndicate)
-  Traduzione di Elisabetta Horvat

* la Repubblica, 25 novembre 2007.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  L’eterno ritorno del nano...

-  IL BERLUSCONISMO E IL RITORNELLO DEGLI INTELLETTUALI.

-  La Repubblica della "penisola dei famosi" e un Parlamento che canta: "Forza Italia"!?

-  BERLUSCONI E LA "MEZZA" DIAGNOSI DEL PROF. CANCRINI.

-  UNA QUESTIONE DI ECO. L’orecchio disturbato degli intellettuali italiani

-  "PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!! NEL 1994 UN CITTADINO REGISTRA IL NOME DEL SUO PARTITO E COMINCIA A FARE IL "PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA" DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’": "FORZA ITALIA" (2010)!!! Per i posteri, alcune note per ricordare


Degli scritti che, quasi contemporaneamente al mio, si occuparono dello stessa argomento [5], solo due sono, degni di nota: Napoléon le Petit di Victor Hugo e il Coup d’Etat di Proudhon [6].
-  Victor Hugò si limita a un’invettiva amara e piena di sarcasmo, contro l’autore responsabile del colpo di stato. L’avvenimento in sé gli appare come un fulmine a ciel sereno. Egli non vede in esso altro che l’atto di violenza di un individuo. Non si accorge che ingrandisc e questo individuo invece di rimpicciolirlo, in quanto gli attribuisce una potenza di iniziativa personale che non avrebbe esempi nella storia del mondo.
-  Proudhon, dal canto suo, cerca di rappresentare il colpo di stato come il risultato di una precedente evoluzione storica; ma la ricostruzione storica dei colpo di stato si trasforma in lui in una apologia storica dell’eroe del colpo di stato. Egli cade nell’errore dei nostri cosiddetti storici oggettivi. Io mostro, invece, come in Francia la lotta d i classe creò delle circostanze e una situazione che resero possibile a un personaggio mediocre e grottesco di far la parte dell’eroe.

* K. Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte Prefazione dell’autore alla seconda edizione, [1869].


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